Da quando è iniziata questa crisi continuo a chiedermi: perchè si è in crisi? E delle risposte me le sono date anticipando anche quelli che sono i risvolti odierni.
Come la maggioranza di chi legge ho vissuto gli anni del boom degli anni ’60: non me ne sono accorto, ero troppo piccolo ma non ho visto la mia famiglia crescere così tanto in forza economica, ero povero e felice come tutti i bambini, ma già a 14 anni già volevo capire di più, sentivo al telegiornale degli scioperi al nord per una maggiore dignità dei lavoratori e per un salario migliore; per una diversa distribuzione della ricchezza, direi oggi.
Poi la prima crisi petrolifera degli anni ’70/’75, le domeniche a piedi, il prezzo della benzina che aumentava, e da li a poco i risvolti di un cambiamento dei metodi di produzione che rendeva difficoltoso l’accesso al lavoro a chi come me a vent’anni vi si affacciava.
L’inflazione cominciava a galoppare, c’era chi ne vedeva la causa nell’aumento del costo del lavoro (ricordate l’automatismo della scala mobile?), e chi vedeva la causa dell’aumento nel costo del denaro, difatti si andò ad una riconversione dei mezzi di produzione che sostituì in molti casi le braccia.
Per riconvertive servivano soldi che, come ogni merce, si paga, più aumenta la richiesta più aumenta il prezzo (ad ognuno le proprie conclusioni sul perchè l’inflazione).
Negli anni ’80/’90 la crisi asiatica, con la deflazione che colpisce il Giapppone la Tailandia la Corea e così via.
Non si era ancora nell’era globale e solo in parte ne abbiamo sentito gli effetti, e gli investitori occidentali han trovato subito il modo di fare buoni affari (ricordate quando Fiat voleva acquisire Daewoo e poi fu rilevata da GM?). E di li a poco iniziò la delocalizzazione produttiva.
Intanto cresceva l’informatizzazione e tutto ciò che era informatica conosceva un boom incredibile, e siamo circa al 2000, aziende che valevano 10 in breve si ritrovarono quotate a 1000, poi scoppiò la bolla speculativa e tutti a rimettere i piedi per terra.
Il presidente Fiat in quegli anni ricordo che in un’intervista disse qualcosa di questo tipo: “il prossimo futuro sarà caratterizzato dalla volatilità, occorre investire oculatamente”. Di lì a poco morì ma ci aveva dato un segnale.
Quando è iniziata quella attuale non ci si era rialzati ancora del tutto dalla crisi precedente, ma lo vedavamo tutti il risiko bancario e la bolla immobiliare.
Al tempo stesso la Cina esplodeva, produzione ai massimi livelli, PIL da fantaeconomia.
Mia moglie quattro anni fa di ritorno dagli USA mi portò solo delle noccioline ricoperte di cioccolato: l’unica cosa di produzione locale che aveva trovato, per il resto quasi tutto era di produzione Cinese.
Difatti si era innescato il meccanismo della crisi attuale: i prezzi della Cina erano (e sono) competitivi.
Come dovevano fare gli USA per mantenere attiva la bilancia dei pagamenti? Dovevano fare in modo che il denaro restasse in USA. Come?
Obbligango i produttori stranieri a reinvestire in USA e, vista anche la necessità, garantendo buoni interessi.
I cinesi in primis (ma anche inglesi, islandesi ecc.) trovavano utile investire in USA.
A quel punto bisognava inventare nuova carta dove far ballare i numeri: i derivati ecc., di fatto scommesse sulla reddditività futura.
Ricordate la finanza creativa di Tremonti? (E meno male che Parmalat aveva insegnato qualcosa anni prima). Carta e solo carta che, portata all’incasso non avrebbe avuto copertura: cosa avvenuta come ben sappiamo.
Nel frattempo si era innescata la speculazione sui beni primari, quelli cui la gente non può rinunciare: il cibo e le materie legate alla produzione di energia.
Quattro anni fa un conoscente mi chiedeva in una e-mail “da voi il prezzo della benzina sta aumentando? Qui (in USA) è raddoppiato”. In Italia non era raddoppiato (il grosso lo paghiamo in tasse) e il rapporto euro/dollaro era passato dagli 1,17 del 2002 a 0,87 per risalire sino a giungere nei mesi scorsi a 1,33: pertanto per fare 100 $ bastavano poco più di 75 €.
Fatte queste considerazioni il fallimento di Merryll Lynch e tutte le altre ha rappresentato una perdita per chi aveva investito in USA: buona parte dell’occidente, e soprattutto la Cina.
Con questo meccanismo i cinesi stanno finanziando la crisi più di altri. In ogni caso aziende cinesi o occidentali che siano hanno preferito investire in borsa anzichè reinvestire gli utili nell’impresa.
Intanto arriviamo a cosa ci attende, ovvero cosa sta avvenendo adesso: le aziende occidentali sono sottoquotate in borsa, alcune sono sull’orlo del fallimento, i governi degli stati cercano in tutti i modi di sovvenzionarle per non avere effetti peggiori: aiuti alle imprese (siano esse industrie o banche), ammortizzatori sociali, incentivi ecc.
Questi aiuti a cosa servono?
Secondo me solo a dare il tempo alle aziende sottoquotate di rivalutare il valore nominale delle proprie quote azionarie.
Una corsa ai ripari frenetica, da noi mentre la terra tremava in Abruzzo il governo emanava un decreto che consentiva alle aziende oggetto di un OPA (offerta pubblica di acquisto) ostile, di acquistare il 10% in più delle proprie quote (che era del 10% prima del dlgs e passata al 20%). Può anche darsi che sia una cosa positiva.
Intanto ci giunge notizia che Fiat vuol comprare Opel ed è in trattative con Chrysler.
Mi concentro su questo punto soltanto: perchè gli USA sono favorevoli a Fiat e la Germania no?
Gli USA sono favorevoli perchè Fiat produce motori di minor impatto ambientale, in parole povere che consumano meno e che utilizzano combustibili alternativi al petrolio.
I tedeschi invece si muovono sullo stesso piano della Fiat: che interesse avrebbe Fiat a tenere in vita un doppione di sé? Vedono in questo una progressiva riduzione della produzione in Germania.
In alternativa per Opel ci sono altri acquirenti: arabi prima di tutto, vale a dire quelle basi economiche che l’anno scorso con l’aumento del prezzo del greggio, hanno incamerato parecchi quattrini.
E cosa ci si compra ? Ci si compra le fabbriche, vale a dire i mezzi di produzione: in sintesi siamo ad una lotta per il possesso dei mezzi di produzione, che è cominciata anni fa, si combatte in borsa, che noi sovvenzionamo mantenedo i salari fermi, pagando di più i servizi, riducendo i consumi (quel tanto quanto basta per non affogare l’economia).
Trent’anni fa si diceva che il petrolio nel 2010 sarebbe stato agli sgoccioli (me lo ricordava un’amica), ancora non è così: gli aumenti di prezzo ne hanno reso conveniente l’estrazione in luoghi prima antieconomici. L’ENI e le altre sorelle puntano anche sulle sabbie bituminose (detto “petrolio sporco”, il cui sfruttamento con i prezzi bassi non conviene).
Le fonti energetiche alternative (solare, eolico, geotermico ecc.) sono alternative non solo per l’ambiente ma anche a chi ha il petrolio che, se non ha a chi venderlo a peso d’oro, come fa a sostenere i progetti faraonici in corso? (fatevi un giro in internet a vedere cosa stanno costruendo a Dubay per capire).
Pertanto siamo ad una lotta per il possesso dei mezzi di produzione. Il secolo scorso era iniziato allo stesso modo, solo il mezzo di produzione era diverso: era la terra.
Francesco8bg 26 aprile 2009
Carlo ti do pienamente ragione.In questa crisi finanziaria ci sono stai coloro che ne hanno tratto dei profitti, come d’altra parte dalle guerre. Se si vuole andare fino in fondo si possono anche conoscere i nomi. Perchè non vene confiscato, come alla mafia, il maltolto? A pagare sono sempre i più deboli che sono i popoli, purtroppo!
io sono semprre scettico sugli aiuti che il governo da alle banche cioe le stesse che anno procurato la crisi, ma siamo scemi o no?dove ci vogliono portare? affidiamo i nostri risparmi al ladro che ce li ha rubati dove sono le nostre azioni alitalia? i nostri fondi pensioni quanto valgono oggi? e domani quanto valeranno? booooo,vorrei qualche risposta…peronon di parte ,ciao alla prossima