Oggi, 25 aprile 2009, anniversario della Liberazione
Proprio oggi, ho ripensato a una poesia che Natalia Ginzburg (1916-1991) ha dedicato alla memoria di suo marito Leone Ginzburg, morto nelle carceri di Roma il 5 febbraio 1944. Leone Ginzburg fu spietatamente assassinato dalla ferocia della Gestapo perché era un resistente e un ebreo.
Natalia e Leone si sposarono nel 1938, e due anni dopo furono confinati in Abruzzo, in un piccolo villaggio a 15 km dall’Aquila: a Pizzoli.
Nel luglio del 1943, Leone Ginzburg, rientrò a Torino e di lí a Roma, dove in settembre cominciò la lotta clandestina. Il primo novembre, coi tre figli, Natalia raggiunse il marito a Roma, e visse in un alloggio di fortuna in via XXI Aprile.
Leone fu arrestato il 20 novembre 1943 dalla polizia italiana nella tipografia clandestina di via Basento e fu trasferito a Regina Coeli, nel braccio tedesco, dove morì.
Dal giorno dell’arresto fino a quello della morte, Natalia non vide mai più il marito
Quella che segue è la poesia che la Ginzburg scrisse dopo essere andata di nascosto a vedere la salma del marito Leone trucidato dai nazisti. Anche lei era ricercata, ma siccome i nazisti cercavano una donna giovane con tre bambini e poiché lei si presentò con uno solo, non venne loro in mente che potesse essere lei…
E’ la poesia di una donna di trent’anni che rende omaggio al padre dei suoi tre figli… anche loro orfani…
È una poesia quieta , dignitosa e che esprime un dolore sordo, impossibile da raccontare…
L’ho scelta per ricordare quei tempi terribili e per non dimenticare che cosa rappresenta oggi il 25 aprile.
Memoria
Natalia Ginzburg
Gli uomini vanno e vengono per le strade della città.
Comprano cibi e giornali,
muovono a imprese diverse.
Hanno roseo il viso, le labbra vivide e piene.
Sollevasti il lenzuolo
per guardare il suo viso, Ti chinasti a baciarlo
con un gesto consueto.
Ma era l’ultima volta.
Era il viso consueto,
Solo un poco più stanco.
E il vestito era quello di sempre. E le scarpe eran quelle di sempre.
E le mani eran quelle
Che spezzavano il pane
e versavano il vino.
Oggi ancora nel tempo
che passa sollevi il lenzuolo A guardare il suo viso
per l’ultima volta.
Se cammini per strada
nessuno ti è accanto.
Se hai paura nessuno ti prende
la mano.
E non è tua la strada,
non è tua la città.
Non è tua la città illuminata. La città illuminata è degli altri,
Degli uomini che vanno e vengono, comprando cibi e giornali.
Puoi affacciarti un poco
alla quieta finestra
E guardare in silenzio
il giardino nel buio.
Allora quando piangevi
c’era la sua voce serena. Allora quando ridevi
c’era il suo riso sommesso. Ma il cancello che a sera s’apriva
resterà chiuso per sempre.
E deserta è la tua giovinezza,
spento il fuoco, vuota la casa.
Paolacon 25 aprile 2009
Paola, ho ricordato la poesia e la disperazione di quei tempi. Che abbiamo forse superato o siamo sulla via di superare. Dopo tanto sangue, tanta crudeltà, da tutte le parti. Questo dovrebbe essere sempre più il tempo di una vera riconciliazione fra gli italiani e di un loro maggiore impegno per i problemi del mondo povero, malato. Capisco e apprezzo l’impegno permanente di Francesco ma non le sue espressioni che dividono e disprezzano. Pensate che il nano è comunque il suo presidente del consiglio e il popolo bue è tuttavia il suo popolo, il popolo italiano. Ah questi duri e puri!
Veramente toccante, Paola, la poesia di Natalia Ginzburg, anche se espressa con sentimento contenuto.
Che amara e tragica esperienza, la sua!
Grazie Paola per ricordarci che oltre alla conciliazione dei mercanti di poltrone c’è ancora il ricordo di quel che è stato. Già stamattina avevo letto il tuo articolo, i misfatti di oggi ti fanno apprezzare di più. Hanno intervistato dei giovani al TG1, nessuno sapeva cosa si commemorasse oggi. Chiaro interviste di parte, ma fanno male lo stesso. Che giorno amaro. Adesso che anche il nano è salito su un palco del 25 aprile vedrai che avanzerà la proposta per la cancellazione di una festa non condivisa dal popolo(bue). Grazie ancora, resistiamo.