Il mio solito curiosare tra i ricordi della gente mi ha fatto incontrare ad un angolo di strada un ottantaduenne che faceva l’autostop e a cui ho dato un passaggio (se si hanno i denti buoni la vita si morde ad ogni età). Il breve tragitto non si svolge in silenzio, “ma come si fida lei a chiedere un passaggio al primo che passa?”- “e che vuoi che mi facciano alla mia età? E tu come ti fidi a dare un passaggio al primo che incontri? Io no posso farla a piedi, lo faccio almeno due tre volte la settimana, l’autobus è solo al mattino presto, e per l’andata un passaggio lo trovo sempre, mi conoscono”. – “E al ritorno che fate?” -“Al ritorno l’autobus lo prendo, lì vicino alla scuola, c’è la fermata, e alle 19.30, minuto più minuto meno, prendo l’autobus e torno a casa”.
Fugato ogni dubbio e che non si tratti di un caso di alzhaimer in fuga o alla ricerca di qualcosa, scopro che è un mio vicino di casa, anzi dirimpettaio. Mannaggia alle auto che chiudendoci nel guscio non ci fanno conoscere la gente, ci passi le vacanze da quattro o cinque anni di fila e alla fine conosci soltanto le strade e non chi ci vive. Ci si interroga vicendevolmente. Mi chiede che lavoro faccio, come mai sono in quel paesino e dove vivo. Risposte che do volentieri mentre parla di se e dei figli. Guardo le mani di Antonio (non ho chiesto il suo nome, lo battezzo da me), son grandi, tipiche di chi sin da piccolo le ha usate tanto per conquistare quel che necessita alla vita. Lavorava i campi mi dice, e come immaginavo, da piccolo non ha frequentato scuole, aveva da pascolare le pecore e appena le ossa si son fatte solide, vanga, pala e piccone a massaggiar la terra.“Certo quando eravate piccolo non era così la Piana”. Come immaginavo mi descrive campagne coltivate ad agrumi, ulivi, viti, e ogni tipo d’albero da frutta e ortaggi di ogni tipo. Man mano che la pianura lasciava posto alla collina cambiavano le piante coltivate.
Oggi villette, case e capannoni,s’avvicendano per tratti ininterrotti. Nei giardini son state piantate nuove specie, sono palme e roseti, salici e cactus con gli ulivi e gli agrumi che fanno da decoro.Le rare, autonome, masserie sono un ricordo, o se lustrate a nuovo, si sono metamorfizzate in agrituristici alberghi.
Due anni fa le colline intorno bruciavano. Ulivi,noccioli,castagni,cipressi, sughere, pini mediterranei, ginestre, felci … tutto ardeva. Fumo scuro e cenere che per due giorni oscurarono il cielo. Dai balconi vedevi la collina bruciare, fumo di giorno e la notte era rischiarata da fiamme giallo rossastre.
Due aerei, dall’alba al tramonto, facevano la spola tra il monte e il mare. Il fronte del fuoco avanzava aiutato dal vento. Gli animali del bosco e dei campi a terrazzo si erano sparsi all’intorno. Nessun elenco dei caduti, non erano iscritti all’anagrafe e senza diritti da rivendicare. Quanti nidi di gazze, quanti di passeri, merli, rondini e corvi caduti bruciati. Per non parlar degli insetti troppo piccoli e fastidiosi per farci caso.
Due anni e la collina si è ricolorata del verde dell’erba e di qualche rado cespuglio. Gli scheletri neri dei tronchi bruciati li vedi soltanto se ci vai vicino. Quando Antonio era giovane le colline erano cariche d’alberi e di arbusti. Quanti incendi si siano susseguiti nel tempo in quest’angolo tra i più rigogliosi perché esposto a nord, non ricorda. Ora i pini impiegheranno decenni a riconquistare il cielo con le chiome, se qualcuno mai li ripianterà. Gli ulivi saranno rimessi a dimora tra chissà quanto, tenuto conto del costo e dei benefici del prodotto finito. E i noccioli che rendita danno, perché ripiantarli? Magari qualcuno ha già pensato a come rendere economicamente utile l’effetto delle fiamme. E i castagni? Le sughere? Dal non detto di Antonio capisco che tanto fuoco non fu solo un fatto naturale. Si innestavano vendette di vicinato, rancori non sopiti che aiutati dal caldo soffio del vento han dato una mano. Fatti indimostrabili, cattivi pensieri dei malpensanti che dietro ogni evento ci vedono la lunga mano appoggiata al portafoglio e al rancore. In “Collasso”, l’antropologo Diamond, descrive l’estinzione dei Vichinghi conquistatori della Groenlandia. In circa tre secoli tagliarono o bruciarono tutti gli alberi, cacciarono tutto il cacciabile e quando non rimase più nulla praticarono il cannibalismo, sino ad estinguersi. In questo tempo globale non arriveremo a tanto, ma poco ci manca. Potremo abbellire i nostri giardini, metter cartelli con la scritta “Parco, Riserva naturale, Riserva naturale pilotata, Museo ecologico” e ideare ogni invenzione linguistica che colori poeticamente i rimasugli naturali, con una certezza: i nostri figli e i nostri nipoti non potranno vedere un pino o un faggio piantato da noi, oggi, nella maestosa secolarità che i nostri occhi hanno conosciuto.
Popof 27Luglio2009
Caro Popof sono pensieri tristi quelli che sorgono se si pensa alle bellezze perdute in tante regioni per motivi che forse tanto naturali non sono.Si perdono gli alberi, si perdono gli animali, ed è un pezzetto di noi stessi che se ne va.I paesaggi cambiano aspetto, e ritornando in certi luoghi ameni dopo tanti anni non si riconoscono più.Ma io penso che la natura sia piu forte dell’uomo distruttore e che alla fine saremo noi a scomparire se non sapremo fermarci per ritrovare il modo di vivere in armonia con la natura.
Popof congratulazioni un bellissimo articolo!
Bello Popof. Congratulazioni.