Tittati ci racconta un’esperienza di vita e di grande coraggio.
Il metodo Doman nella riabilitazione dei cerebrolesi.
Lo scopo di questo scritto è quello di divulgare il resoconto della mia esperienza nel campo della riabilitazione, perché possa essere di informazione e di aiuto a persone che ne hanno bisogno; lungi da me il volermi sostituire a chi ha titolo e “sapere” specifico in materia, io desidero solo raccontare come è stato affrontato il problema del danno cerebrale nella nostra famiglia.
Quindici anni fa, è arrivato in mezzo a noi uno splendido bambino Down, dopo i primi giorni e i primi mesi di disperazione e di sconforto che possono essere compresi solo da chi li ha vissuti, tutti noi ma soprattutto i genitori, iniziammo a guardarci intorno, a cercare informazioni sul da farsi, a chiedere aiuto a persone competenti. Ci venne indicato di rivolgerci ad una struttura medica molto lontana dalla nostra regione, dove, personale specializzato praticava il metodo Doman su bambini cerebrolesi o comunque con forti ritardi cognitivi. I genitori chiesero subito un appuntamento, nel giro di qualche giorno, furono accolti nella struttura e, dopo la visita al bambino, fu spiegato loro cosa bisognava fare. Il metodo Doman prende il nome dal medico americano che lo ha messo a punto e che, da anni, lo usa sui suoi pazienti; è un metodo che va protratto nel tempo e la sua limitazione, secondo me e non solo, sta nel fatto che, per attuarlo necessita di un congruo numero di persone che si alternano nel lavoro; gli esercizi, con e senza attrezzi, sono mirati a stimolare i cinque sensi e la motricità per l’acquisizione di abilità, prima grosso-motorie, poi, fino-motorie.
I genitori furono molto bene istruiti ed allenati ad eseguire gli esercizi necessari e, al loro ritorno, insegnarono a noi (nonni, zii e cugini) cosa bisognava fare; eravamo tutti mobilitati, fu preparata una vera e propria tabella di marcia nella quale ognuno aveva il proprio turno a seconda del tempo libero disponibile. La cameretta del bimbo divenne una piccola palestra con gli attrezzi necessari suggeriti dagli esperti; iniziammo così un lungo percorso che, quotidianamente, vedeva impegnate sei persone, ma, oltre ai genitori, le persone che hanno dato il massimo sono stati i nonni paterni e la nonna materna, loro, nonostante l’età avanzata, ci hanno trasmesso un meraviglioso esempio di amore e dedizione. Quali sono stati i risultati? Certamente la patologia della sindrome di Down non può essere purtroppo eliminata, ma il nostro piccino ha appreso delle abilità quali lo strisciare, il gattonare, e poi il camminare, in età diciamo……canonica, quindi quasi come i bimbi “normali”e anche l’approccio con l’apprendimento scolastico è stato abbastanza buono.
Il pregio fondamentale del metodo Doman è che viene eseguito in famiglia , fra gli affetti più vicini al bambino e quindi più “sentito”.
Tittati a tutti voi, con affetto 06/ 09/ 2009
molto bella la tua esperienza tittati ,perchè è molto utile alla spcietà ,di conoscere i vari aspetti di questa malattia.
Giulio, non trovo parole per ringraziarti, ti dico solo che auguro tutto il bene possibile a te e alla tua famiglia. GRAZIE
Tittati.Non mi vergogno a dire che io non prego mai. Con Colui, che di lassù ci guarda, ho un diretto dialogo e più volte l’ ho anche sgridato perchè, I NOSTRI FIORI, che sono i bambini,non devono soffrire ma dovrebbero sempre sorridere .Purtroppo non è così e tanti , tanti fiori sono appassiti. Voi , tutti , da quanto si legge, avete il grande dono , ma soprattutto la forza di donare il sorriso e la speranza anche a noi. Che Dio Vi benedica. Giulio Salvatori , Versilia Lucca
Tittati, importante lezione di vita, grazie.
Rosaria, ti vedo molto ferrata in materia, certamente x via del tuo lavoro con i diversamente abili, con il nostro lavoro, ma soprattutto con l’impegno della madre nella fase dell’apprendimento, il bambino è giunto alle soglie della scuola che sapeva leggere e scrivere le sillabe e facili parole bisillabe, ora frequenta la seconda media e diciamo che i progressi vanno un po’ a rilento, speriamo bene x il futuro.
Un grazie e tutto il mio affetto anche x il tempo che ti faccio perdere nel tuo blog, ciao.
Luciano, purtroppo, qui da noi l’istituzione dorme sonni tranquilli, tutto è affidato all’iniziativa personale, sia x i down che per altri tipi di patologie, non c’è neppure l’ombra di un interessamento a voler fare qualcosa; la cura e l’assistenza al nostro bambino sono sempre ricadute sulla famiglia, anche quando è venuto a visitarlo una dottoressa da Israele, lo ha fatto a nostre spese e di quelle della famiglia di un altro bambino; mi chiedo, non sarebbe stato meglio che questa opportunità l’avessero avuta anche altri bimbi del posto, magari con l’aiuto delle istituzioni? Comunque, Luciano, ti ringrazio per il tuo commento, mi ha dato modo soprattutto di spiegare un po’ come stanno le cose, ricambio la simpatia e ti saluto caramente.
Grazie Tittati per il tuo articolo.
Tittati, il tuo scritto mi ha suscitato molti ricordi. Ecco xchè sono qui, eccezionalmente, a commentarlo. Come già ho avuto occasione di dirti qualche tempo fa, nella mia carriera scolastica, ho anche circa dieci anni svolti come insegnante di sostegno. Venni a conoscenza di questo metodo proprio in quegli anni e, ricordo che alcuni di noi, con il massimo dell’entusiasmo, ci tuffammo in questa nuova esperienza, pur di dare un aiuto concreto a questi bambini meno fortunati. Come prima cosa comprai il libro di Glenn Doman “Leggere a tre anni”, molto interessante e molto semplice anche x i non addetti ai lavori. Ricordo che ci sembrò molto innovativo, all’epoca, ed eravamo molto fiduciosi nel suo esito. La scuola, a sue spese comprò, invece, la valigetta con l’occorrente.
Nato x bambini normali, come si evince dal titolo, è stato sperimentato su bambini con difficolta’ e mentre, con cerebrolesi e down ha dato risultati convincenti, con gli autistici, un po’ meno.
Io lo usai con un bambino down, coinvolgendo necessariamente anche la famiglia. Veniva attuato a mo’ di gioco, con la tecnica di insegnare a leggere ai bambini tramite pannelli e cartoncini raffiguranti parole a caratteri enormi che progressivamente si riducevano al crescere del bambino e della sua capacità di riconoscerle. Ogni pannello veniva mostrato e letto ripetutamente in diversi momenti della giornata, per alcuni giorni, finchè non era in grado di leggerlo o, se il bambino non parlava ancora, perlomeno ad indicarlo, per poi passare ad un nuovo pannello raffigurante una nuova parola. Si iniziava con mamma, poi papà e poi tutte le parole relative al corpo e al mondo prossimo al bambino, facendo attenzione ad usare parole più o meno sempre della stessa lunghezza.
In quel periodo si venne a conoscenza anche di un altro metodo….il Delacato.
Secondo Delacato ogni bambino poteva sviluppare il suo massimo potenziale di apprendimento se rispettava i vari stadi dello sviluppo motorio e sensoriale.
Qualora si fosse saltato uno di questi stadi, l’apprendimento poteva subire un ritardo o un arresto.
Il Metodo Delacato prevedeva la messa a punto di un programma di neuroriabilitazione che, pur considerando l’aspetto motorio, si basava soprattutto su una serie di stimolazioni sensoriali mirate a normalizzare i canali percettivi compromessi.
Scopo principale del programma di riabilitazione era far ripetere al bambino lo stadio che era stato saltato e farglielo ripercorrere in modo da orientare il suo cervello verso una percezione corretta. Il gattonare, ad esempio, aiutava lo sviluppo dello schema crociato e favoriva la relazione col mondo esterno a lui circostante. Fu proprio in questo periodo che i box furono messi sotto accusa xche’ si diceva che precludessero tale sviluppo, in quanto non davano la possibilità di vedere le cose intorno al bambino dalle varie angolazioni e prospettive, la visione era più o meno sempre la stessa, mentre il gattonare favoriva la relazione diretta con lo spazio circostante e i movimenti incrociati di braccio destro con gamba sinistra e braccio sinistro con gamba destra, erano utili x lo sviluppo del sistema crociato. Saranno stati utili questi metodi? Chissà! Fatto sta che sono anni, ormai, che non ne sento più parlare.
Grazie, Tittati, di avermi ricordato tutto questo col tuo bellissimo articolo e scusa la mia lungaggine, ma quando comincio a parlare di queste cose non la smetto più, purtroppo x gli altri.
Tittati,Non conosco questo metodo Doman, né il suo ideatore, ritengo sicuramente duro e stravolgente per la famiglia applicare questo metodo, solo il grande amore può sopportarlo, mi auguro che almeno ci sia da parte dell’istituzione assistenza domiciliare e rimborso alle spese sostenute. Con simpatia e grande rispetto un saluto.
Lorenzo e Giovanna, vi ringrazio dal profondo del cuore per le belle parole che avete avuto x me, la motivazione che mi ha spinto a raccontare questa mia esperienza è data dal principio che ha sempre caratterizzato la mia vita: aiutare, dare conforto, sostenere in ogni modo chi è in difficoltà e, anche raccontare una propria esperienza, come ho fatto io, potrebbe essere d’aiuto a qualcuno, perciò, se questo mio scritto è stato o sarà utile anche ad una sola persona, le mie intenzioni hanno raggiunto il loro scopo. A voi, Lorenzo e Giovanna, ancora grazie e vi abbraccio forte forte.
Tittati, ho letto con enorme interesse il tuo articolo: uno spaccato di vita vissuta con coraggio e abnegazione. Una bella lezione per tutti noi.
Spesso, mi è capitato di assistere ad espressioni di disagio e di noia, che alcune persone provano alla vista di un individuo, diversamente abile,non certo di solidarietà o di partecipazione.
Ti ringrazio molto di averci fatto riflettere!
Titina (e Paola), stringe il cuore ma inorgoglisce questa “storia” raccontata con tanta semplicità e amore.
Non conoscevo nulla di esperienze specifiche sui metodi di assistenza per i bambini Down e, come tanti altri, provavo una istintiva simpatia, un affetto profondo, sia per i bambini che per i loro familiari, così impegnati in una vicenda umana difficile.
Il racconto ci fa sapere e, soprattutto, ci fa essere partecipi.
Voglio aggiungere un sentimento personale per Titina, nonnina cara e sensibile, che ho imparato a conoscere da poco tempo(ma è come se fosse da tanto).
Un sentimento che si riassume in due parole: brava e grazie. Con affetto.