Da una riflessione di Giulio e da un articolo di Claudio Magris è nata questa “ricerca” in 3 tappe sul pane.
Quanto pane si butta con assoluta indifferenza?
Lo facciamo senza pensarci ed ho un ricordo nitido della mia infanzia quando nostra nonna ci raccomandava di non buttare mai il pane, mai, mai; ma, se per una causa di forza maggiore si era costretti a gettarlo nella spazzatura, lo si baciava prima di farlo. Gesto che poi mi è rimasto e faccio ancora.
Ora purtroppo si sente di sprechi enormi, mentre sarebbe così facile col pane avanzato farci dei dolci, i crostini della mattina, metterlo nel minestrone o metterci sopra un trito di pomodoro, olio, basilico e sale, per una merenda modestissima, ma sana e che sa tanto di infanzia.
Giulio giustamente cita l’undicesimo comandamento: “ il pane non si butta” dopo tanti sacrifici fatti per guadagnarselo!
Giulio ci racconta del “suo pane toscano” di Basati.
Claudio Magris fa una riflessione su quanto pane viene sperperato.
Ed io, Paolacon, inforno il pane condendolo con un po’ di storia e un po’ di arte.
Nel mio piccolo paese, Basati, frazione del Comune di Seravezza, provincia di Lucca, gli abitanti hanno sempre avuto verso il pane, un rispettoso comportamento. Il pane non si butta via, è peccato. Non si rovescia il pane sulla tavola e non si pianta il coltello nel pane. Il pane deve stare nel verso giusto con la pancia rigonfia verso il cielo. Vi era, e vi è ancora, un certo timor di Dio, dettato dalla religione, perché il pane, è il corpo del Signore. Anch’io, che sono certamente ateo, questi insegnamenti li ho trasmessi alle mie figliole.
La letteratura ha scritto pagine e lasciato un solco profondo di pensieri rivolti al pane. La nonna incaricava sempre me di accendere il fuoco, prendevo qualche fascina ben secca, delle stiampette secche fino a portare il forno alla giusta temperatura e quando era il giusto momento, la donna più anziana posava sui mattoni incaldanati quelle pance rigonfie di tenero impasto con inciso il segno del credente. Chiudeva il forno e si aspettava come una cerimonia la lenta cottura.
Poche cose per un alimento tanto importante: farina di grano, acqua e lievito.
E quanti fatti, personaggi, detti, riempiono il dire giornaliero: buono come il pane, lavorare per un pezzo di pane, non è pane per i tuoi denti, pane amaro, rendere pan per focaccia, le liti sono pane per gli avvocati, dire pane al pane e vino al vino, perdere il pane, il pane quotidiano, mangiare pane a ufo, e si potrebbe continuare scavando nelle tradizioni di ogni regione.
Oggi, questo bene così prezioso, molti lo prendono a calci, e molti, troppi operai hanno perso il pane quotidiano.
Prima di iniziare questo lungo percorso denso di infinita storia, voglio riportare un frammento di vita paesana, e proprio del mio paese: Basati-Alta Versilia, tratto dal libro di un autore che ben conosco, del Comune di Seravezza Lucca.
“ Frugando nei ricordi dell’infanzia, rivedo i forni fumanti del mio paese. Il sabato era un giorno di festa, il borgo si risvegliava e le viette strette brulicavano di bimbi, mamme e nonne. Qualche vecchio, seduto sun ciocco di castagno, cianciucava morsi di sigaro toscano, sputacchiando in lontananza con un sibilo.
Erano tanti i forni e le donne si riunivano a gruppi, chi al forno di Giovà, chi dalla Leò, chi dalla Baffina… ognuna aveva scelto, ormai da anni, il proprio. Il paese era avvolto di volute di fumo, sembrava che quella nube bluastra che avvolgeva i tetti delle case, unisse la gente in un’intimità paesana. Quelle bocche incaldanate dei forni che divoravano cumoli di fascine scoppiettanti, per noi ragazzi parevano gole infernali, e si dava una mano avvicinando la legna all’imboccatura. Se quello doveva essere l’inferno con le fiamme come diceva il prete al catechismo, per noi era una gioia immensa.” (…) “Un profumo di pane ti entrava nel naso e nel cuore, e le donne ci davano qualche colombino, un panino fino e lungo, croccante, che divoravamo in un attimo”.
Il pane in Alta-Versilia, aveva un’unica forma circolare con il segno della croce al centro. Alcune cotture, venivano fatte aggiungendo all’impasto le patate, così rimaneva morbido per una settimana, ed era quel pane che i cavatori si portavano, su alle cave del Fondone.
Partivano il lunedì mattina all’alba e ritornavano il sabato. Dormivano in alloggi costruiti dalla ditta Henraux.
Il poeta cavatore Lorenzo Tarabella scriveva:
“Rubini nella notte gelida le stelle, cielo spaziato, un senso, l’infinito (…) e vanno le ombre per l’impervio monte stagliate contro il vuoto dell’abisso, sino a toccar le stelle. (…)
E silenziosi vanno i cavatori, stanchi dal sonno, privi di sogni e di gioie.(…) Un vecchio, avanti, li guida premuroso battendo i passi lenti col bastone…”
Giulio.lu 15 marzo 2010
Ciao giulio, finalmente leggo i tuoi racconti!!!!!
Ne vale la pena….complimenti!
Sono d’accordo con te, Titina, nelle scuole, ormai da tempo, si organizzano visite guidate in fattorie preposte a queste cose e dove i bambini possano “fare” con le loro mani. Nel corso degli ultimi anni ne abbiamo visitate parecchie e i bambini hanno, sotto la sapiente guida delle persone addette, prodotto mozzarella, pane, pizza, hanno pigiato l’uva come si faceva una volta, con i piedi, e quant’altro sia stato possibile fare. I bambini, specie quelli che vivono in grandi centri urbani non hanno minimamente la cognizione di come vengano prodotti questi alimenti(per loro si compra tutto al supermercato) e, quindi, quale sistema migliore per far sì che le imparino, se non attraverso il “vissuto”?
Anche se Paola non vuole ringraziamenti, mi sento in dovere , invece, di scriverLe una breve riflessione:-Hai saputo bene “impastare” questo lavoro sul pane con gusto.Non è facile posizionare e intrecciare elaborati diversi ,in una brevitas di contenuti storici e pittorici legati al tema .Credo che Tu abbia azzeccato anche la cottura , hai portato il forno alla giusta temperatura, ma soprattutto , con la dovuta chiarezza per i Nostri Lettori. Grazie, dal solito -Maledetto Toscano
Giulio, a proposito di didattica ti dico che qui da noi, da qualche anno a questa parte, le scuole primarie e dell’infanzia organizzano visite guidate in alcune fattorie didattiche del posto dove i bambini partecipano a veri e propri laboratori di trasformazione dalla materia prima, la farina, fino ad arrivare al pane fragrante e profumato.I miei nipotini hanno partecipato con entusiasmo e piacere e poi hanno voluto conoscere da me i nomi dialettali di tutti gli attrezzi che si usavano anticamente per la produzione del pane in casa. Ho raccontato loro che io , da ragazza, facevo il pane tutte le settimane ed era anche abbastanza buono, tant’è che ora i bambini mi hanno chiesto di riattivare il forno che abbiamo per provare a fare il pane per loro, sicuramente li accontenterò, ma in fondo in fondo sarà un accontentare anche me nel ricordo dei bellissimi anni passati nel nostro borgo, proprio come fai tu, Giulio, con la tua magica penna! Complimenti anche a Paola sempre così attenta e precisa nelle sue ricerche.
bellissimo il tuo racconto leggendo vedevo le azioni di tutti
al pane ho sempre dato grande importanza lo gratuccio quello che avanza non butto via niente
forse perchè io ho sofferto la fame da bambina edo un valore agginto al pane che tanto ho sognato
racconto un episodio del pane in tempo di guerra a noi bambini il fornaio del posto ci dava le ceste di pane per buttarle ai prigionieri italiani in una fabbrica abbiamo rischiato di morire i tedeschi non scherzavano tutto questo per un filone di pane dopo aver vuotato la cesta ancora oggi se getto qualche pezzettino lo bacio
Commenti abilitati Quanti ricordi legati al pane e al suo profumo! Un proverbio dice:”Il pane di ieri è buono domani”.
Consiglio di leggere il libro di Enzo Bianchi intitolato ” Il pane di ieri”,è pieno di storie del “tempo che fu” ricche di personaggi singolari,di aneddoti curiosi,di comandamenti nati dalla saggezza popolare e tanto altro.Per chi vuole buona lettura!
Caro Giulio, quanta malinconica introspezione nel tuo racconto.Ormai siamo nell’era del consumismo e parlare di “santo pane” è quasi una incongruenza.Si gettano i vestiti acquistati l’anno prima perchè non sono più di moda, si butta via un mare di roba che scade stipata nei frigoriferi, perchè tutto si compra in abbondanza , con quello che cacciano via i ristoranti italiani si sfamerebbe una nazione africana.L’anno scorso sono andato in crociera ed una sera hanno comunicato che ci sarebbe stato a mezzanotte il gran galà dei dolci. Arrivata l’ora ci siamo recati nel grande salone dove era stato allestito un tavolo lungo una decina di metri ricolmo di torte e dolci di ogni genere..una cosa incredibile. Venivamo tutti da una cena sontuosa ,quindi alla vista di quei dolci eravamo spinti solo dalla gola. Presi una fettina di un dolce…di un altro poi stomacato rimasi a guardare quelle belle opere di pasticceria, fecero quasi tutti così, fatto stà che verso l’una uscimmo dal salone ed era rimasto oltre l’80% dei dolci. I camerieri cominciarono a vuotare il lungo tavolo ,ne interpellai uno e dissi ” Scusate, ma dove portate tutto questo ben di Dio?”mi rispose ” Signore per legge dobbiamo distruggere tutto”………. Vedi quanto è lontana la briciola di pane da salvare ! Ma ti do ragione, non dobbiamo mai dimenticare.
Grazie Amiche/i, visto? Ognuno di noi ha qualche cosa da dire. Il pane non riempie solo la pancia, ma anche il cuore. Sono sicuro che se frughiamo nei nostri ricordi , ne può venir fuori una ricerca didattica interessante. Vi ringrazio
Giulio, sai che con te spesso faccio le dovute eccezioni e ti inseguo, o meglio inseguo i tuoi racconti. Anche questa volta hai saputo mirare direttamente al cuore, suscitando, in noi, ricordi della nostra fanciullezza. Ancora oggi quando passo davanti ad un forno e sento l’odore del pane fresco, lo associo ai ricordi “olfattivi” di quando ero piccola e di quando mia mamma (e prima ancora, mia nonna) sfornava il pane croccante. Tutti noi ragazzi eravamo lì pronti x l’assaggio, infatti mia mamma ne faceva uno piccolino in modo da accontentarci e farcelo assaggiare quasi subito. Grazie Giulio per questi bei ricordi che susciti in noi!!!!
Ho molto apprezzato il tuo racconto sul pane,Giulio. Mi hai ricordato il buon pane di segale e di grano saraceno, che si usava infornare Grazie per il n in Alta Valtellina e il modo come lo preparava e cuoceva mia nonna. Momenti vissuti con grande partecipazione.
Grazie per il bel racconto.
Un cordiale saluto.
Commenti abilitati una descrizione molto curata ,considerando il pane un bene prezioso ,poi i detagli cuarati molto bene complimenti giulio ciaooooooooo
Al solito Giulio ci ha fornito un quadro parlante della vita del suo paese degno del più bravo de’ Macchiaioli.Voglio aggiungere una curiosità che forse pochi conoscono.”Non si rovescia il pane sulla tavola” hai detto giusto Giulio ma io ve ne spiego la ragione.In toscana il boia era un dipendente del bargello che era l’amministratore della giustizia,bene, il boia tra le sue spettanze, aveva il privilegio di mangiare gratis in certe bettole e in queste il posto del boia si riconosceva perchè sul tavolo c’era un pane rovesciato.Da allora il pane a tavola si mette diritto e rovesciarlo è uno spregio come servire il vino con la mano sinistra rovesciando il polso.
Eh sti maledetti toscani come sono complicati !!
Ecco il Giulio che preferisco.