Guglielmo.fi ci propone una riflessione su un fatto di cronaca avvenuto a Cortina nel bellunese.
Colpevolizzare o no la reazione della famiglia?
Non è una commedia pirandelliana, ma una tragedia successa a Cortina d’Ampezzo. Protagonista un giovane di 24 anni, un giovane solare, amante della montagna e delle armi, ben visto nella città in cui viveva.
Nello sbigottimento della famiglia e degli amici questo giovane si è tolto la vita, sparandosi senza lasciare nessun biglietto. Nessuno ha saputo spiegarsi in città questo gesto.
Invece il perché di questo gesto c’è, eccome!
Il giovane alla sua famiglia aveva svelato di essere bisessuale e invece si essere ascoltato e accettato era stato deriso per questa sua rivelazione.
Mi domando: ma come si può fare questo in una famiglia? Di non accettare il figlio perché diverso dagli altri giovani… sì in questo mondo, in questa sfera in cui viviamo, non ci fa meraviglia è una dinamica come tante, vedi anche le mamme che gettano il figlio appena nato nel bidone della spazzatura, non è una storia di vita come tante, qui si va al di là.
Ma ci rendiamo conto, il padre e la madre rifiutano di accettare il figlio che è diverso, qui mi arriva un pugno nello stomaco che mi lascia senza respiro. In una società per crescere insieme e individualmente e socialmente bisogna accettare anche il diverso, così deve essere anche nelle famiglie. Si devono ascoltare i giovani che svelano i loro disagi interiori e non rifiutarli… come questo giovane che arriva ad uccidersi, perché non accettato. La famiglia è la prima scuola della vita, tutti i genitori devono ascoltare i loro figli, per non arrivare a questa triste e orribile storia del giovane di Cortina.
GUGLIELMO
Qualcun altro commenta invece: “sono felice che nella mia famiglia, tra i miei figli non vi sia stato un diverso, purtroppo li dobbiamo accettare, non colpevolizzo quei genitori, bisogna esserci dentro per capire le loro reazioni”
Che ne pensate?
Riflettiamoci e poi parliamone se ne avete voglia
Nello sbigottimento della famiglia e degli amici questo giovane si è tolto la vita, sparandosi senza lasciare nessun biglietto. Nessuno ha saputo spiegarsi in città questo gesto.
Invece il perché di questo gesto c’è, eccome!
Il giovane alla sua famiglia aveva svelato di essere bisessuale e invece si essere ascoltato e accettato era stato deriso per questa sua rivelazione.
Mi domando: ma come si può fare questo in una famiglia? Di non accettare il figlio perché diverso dagli altri giovani… sì in questo mondo, in questa sfera in cui viviamo, non ci fa meraviglia è una dinamica come tante, vedi anche le mamme che gettano il figlio appena nato nel bidone della spazzatura, non è una storia di vita come tante, qui si va al di là.
Ma ci rendiamo conto, il padre e la madre rifiutano di accettare il figlio che è diverso, qui mi arriva un pugno nello stomaco che mi lascia senza respiro. In una società per crescere insieme e individualmente e socialmente bisogna accettare anche il diverso, così deve essere anche nelle famiglie. Si devono ascoltare i giovani che svelano i loro disagi interiori e non rifiutarli… come questo giovane che arriva ad uccidersi, perché non accettato. La famiglia è la prima scuola della vita, tutti i genitori devono ascoltare i loro figli, per non arrivare a questa triste e orribile storia del giovane di Cortina.
GUGLIELMO
Riflettiamoci e poi parliamone se ne avete voglia
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Family matters (Questioni di famiglia). La esperienze dei familiari di giovani lesbiche e gay in Italia” è la più ampia ricerca sociologica effettuata in Europa sui familiari di giovani omosessuali. E’ stata condotta da Chiara Bertone e Marina Franchi, del Dipartimento di ricerca sociale dell’Università del Piemonte orientale. «La ricerca – spiegano le autrici – è stata realizzata in Italia, dove i rapporti dei giovani omosessuali con le loro famiglie emergono come particolarmente significativi. A differenza di molti altri Paesi occidentali, in Italia, come tutti i giovani, anche gay e lesbiche tendono a vivere con le loro famiglie di origine a lungo, ben oltre i vent’anni, e i legami con i genitori restano spesso fondamentali, anche come fonte di sostegno, successivamente all’uscita dalla famiglia”. Analoghe ricerche sono state condotte in Spagna e nel Regno Unito, ma con taglio diverso: la ricerca spagnola è sui “Programma pubblici a sostegno delle famiglie con giovani omosessuali”, quella britannica su “Le organizzazioni non governative che sostengono le famiglie con giovani omosessuali in! Europa.
La ricerca italiana è stata condotta raccogliendo direttamente, attraverso la distribuzione di un questionario e la realizzazione di interviste in profondità, le esperienze di oltre 200 familiari di giovani gay e lesbiche tra i 14 e i 22 anni (o che comunque sono divenuti visibili in quella fascia di età). Le famiglie sono diverse per provenienza geografica (il campione è uniformemente distribuito tra Nord, Centro, Sud e isole, grandi città e piccoli centri) e livello di istruzione (dalla licenza media alla laurea). L’82% degli uomini e il 72% delle donne si dichiara cattolico. Il 70% degli intervistati si dichiara di sinistra, il 4% di destra, il restante 26% si distribuisce equamente tra centro-sinistra e centro-destra.
Al questionario hanno risposto 119 madri e 53 padri. Le interviste sono state realizzate anche con fratelli e sorelle. Nel 64% dei casi la scoperta è avvenuta in modo diretto, con un ! esplicito coming out del figlio/a. Negli altri casi, lo si è saputo da un’altra persona, lo si è scoperto leggendo il diario del figlio, trovando una lettera o del materiale sull’omosessualità. Centrale la figura della madre, che spesso è stata la prima tra i familiari ad averlo saputo, ed ha avuto poi un ruolo di mediazione nel rapporto con il padre («aiutami a dirlo a papà»). Un ruolo importante lo giocano anche fratelli e sorelle, che in molti casi sanno prima dei genitori, ed esprimono complicità e condivisione.
Per molti genitori (53% dei padri e 44% delle madri) la scoperta arriva inaspettata. Negli altri casi, raccontano di aver già avuto dei sospetti. La prima reazione alla scoperta è di smarrimento, paura, dolore. Ma solo una minima percentuale confessa di aver avuto reazioni violente: tre madri hanno dato uno schiaffo, altre due hanno cacciato il figlio di casa. Un padre ha detto! al figlio maschio: «Non sei più mio figlio»! ;. Due madri hanno definito i figli maschi dei «pervertiti». Qualcuno ha avuto una reazione ricattatoria: «Perché mi dai questo dolore?», altri hanno ritenuto che il figlio/a fossa stato «traviato» da qualcuno. Quasi tutti, comunque (161 su 168) rifiutano il concetto di omosessualità come malattia.
Dopo la crisi, la forte emozione della scoperta, a prevalere sono comunque sentimenti di amore incondizionato, solidarietà, protezione, talvolta complicità. Il legame col figlio non viene mai messo in discussione, non viene spezzato dalla scoperta della sua omosessualità. Le frasi in cui la maggioranza dei genitori si riconoscono sono «l’importante è che tu sia felice» (88%), e «mi dispiace non esserti stato vicino quando ne avevi bisogno» (69%).
Spesso la rivelazione rende più autentici i rapporti all’interno della famiglia: genitori e fratelli descrivono i! cambiamenti in termini di «liberazione», «maggiore confidenza», «maggiore intimità». «Ci dobbiamo ritrovare – dice una madre – Siamo una famiglia diversa, ma sempre una famiglia, anzi… forse una famiglia vera».
«Dopo la scoperta – osservano le ricercatrici – si riflette di più sulla famiglia, si cercano nuovi codici di comunicazione e regole non fondate sul modello dato per scontato dell’eterossesualità». A quel punto il problema si pone semmai al di fuori del contesto familiare: «I genitori – riferiscono le ricercatrici – si trovano a dover fare essi stessi delle scelte rispetto al proprio “coming out”,(che esce) se e quando diventare visibili come genitori di una ragazza o un ragazzo omosessuali». Allora si evita di dirlo a parenti e amici che «non potrebbero capire», perché magari hanno in altre occasioni dato prova! di atteggiamenti negativi verso l’omosessualità,! o perché molto religiosi.
L’integrazione dell’omosessualità del figlio nella vita familiare è accompagnata comunque da un desiderio di ‘normalizzazione’: per il figlio/a si desidera una vita affettiva appagante, una coppia stabile. Ma a fronte di questi desideri di normalità, resta chiara per i genitori la percezione che i figli dovranno fare i conti con una società ostile, con un Paese che nega loro diritti. E molti genitori pensano, e desiderano, che i figli vadano in futuro a vivere all’estero, in un contesto di maggiore accettazione e riconoscimento di diritti.
di Lucia Zambell iwww.agedo.org
L’omosessualità è un disturbo mentale?
La risposta è no. Tutte le principali organizzazioni di igiene mentale sono d’accordo nell’affermare che l’omosessualità non è una malattia. Nel 1973 l’American Psychiatric Association ha eliminato l’omosessualità dal Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders. Al momento l’omosessualità viene considerata un “orientamento sessuale non patologico”.
Cos’è l’orientamento sessuale?
L’orientamento sessuale è una espressione che si usa per descrivere l’attrazione sessuale, emotiva e sentimentale di qualcuno nei confronti di qualcun altro. A seconda dell’orientamento sessuale gli individui possono essere classificati in eterosessuali, bisessuali o omosessuali.
VENDOLA, PER I MIEI GENITORI FU SCONVOLGENTE LA MIA OMOSESSUALITA’
16/02/2010
‘Per i miei genitori apprendere della mia omosessualita’ fu sconvolgente’ e le incomprensioni durarono anni: lo dice il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, in un’intervista al settimanale Diva e Donna domani in edicola. Vendola racconta il percorso difficile che ha dovuto affrontare nella vita per far accettare ai suoi genitori la propria omosessualita’.
(preso in rete: sintesi)
Finalmente sbloccato tutto …si può commentare!!!!!!!!!!!
Caro Guglielmo ,l’articolo dopo il tuo, scritto da me tempo fa, sembra fare il verso ad una tragedia come quella da te raccontata, ovviamente non c’erano le intenzioni. Paola “birichina”, ha messo in sequenza i due articoli aprendo di certo una discussione bella tosta.
Mi permetto però di mettermi nei panni dei genitori da te descritti…forse non preparati, forse legati a schemi cattolici impregnanti ed integralistici, forse vittime ancora del “cosa dirà la gente”,frastornati da una società globalizzata che sta crescendo troppo in fretta. Non li scuso di certo ,ma faccio un piccolo esame di coscienza…se mio figlio ,in un ipotetico “guarda chi viene a cena ” mi portasse a conoscere il suo compgno ,non so quale sarebbe la mia reazione….poi mi adeguerei per la sua felicità , ma ti dico di più ,se mia figlia, sempre in un ipotetico “guarda chi viene a cena” mi portasse il suo compagno nero , avrei anche in questo caso un bel trasalimento. E mi picco di essere aperto e disincantato!!!!!!E’ chiaro che davanti a simili tragedie siamo costretti a pensare a ricusare certi atavici maschilismi di fondo a fregarcene del giudizio degli altri …ma tant’è!
Con questo non ricuso l’articolo da me scritto…in questo caso il mio pensiero rimane lo stesso.