Ed ora ecco un esempio di ” NON INDIFFERENZA” che fa da controcanto al post precedente.
Cactus  condivide la sua esperienza di volontariato in Africa, nello Zambia; e ne scriverà ancora, affinché si possa anche noi venire a conoscenza. Mwabombeni Cactus!

Per anni mi sono recato come volontario in vari Paesi per cercare di portare un mio piccolo contributo a persone che mancano dell’essenziale. Questo mi ha fatto conoscere il lato “triste” dell’altra faccia della vita, ma mi ha anche dato una grande possibilità: quella di riuscire a immergermi nella cultura di popolazioni con stili di vita diversi dal nostro, accettandoli senza volere cambiarli e, soprattutto, senza giudicarli! Da queste mie esperienze ne ho tratto un libro di cui, responsabili dei blog permettendo, vi farò partecipi con l’invio di alcuni episodi, di cui questo è il primo. 

Ritorno a Chibote

(Pace e Bene in lingua Bemba)

Agosto

Finalmente il viaggio è terminato. Non è stato eccessivamente lungo, ma dopo 400 km di strade dove le buche si alternano ad altre buche e i tratti asfaltati improvvisamente lasciano il posto allo sterrato, non si può parlare di un viaggio riposante e il raggiungimento della meta è accolto da un senso di sollievo.
E’ trascorso un anno dalla mia prima fugace visita a questo villaggio, ma questa volta il mio soggiorno sarà più lungo in quanto, con alcuni amici, porteremo a termine un piccolo progetto di cui si è discusso durante la visita precedente: lavori vari di manutenzione da eseguire all’interno delle 24 case che costituiscono il villaggio. Esse sono state costruite anni fa e fanno parte di un progetto più ampio che comprendeva la costruzione di un ambulatorio, magazzini, locali vari ad uso comunitario, pozzo, una scuola e una minuscola chiesetta.
La particolarità di questo progetto risiede nel fatto che è rivolto a famiglie colpite dalla lebbra e tende a rendere questa comunità di circa 400 persone autosufficiente… e i risultati ottenuti sono stati più che soddisfacenti.
E’ stato aperta una sartoria, un laboratorio dove si costruiscono protesi molto semplici e stampelle, un allevamento di polli e mucche e dove una vasta zona di terreno è stata dedicata all’agricoltura. Tutto questo ha fatto in modo che gli abitanti di Chibote potessero avere una vita dignitosa, ma quel che più impressiona è constatare l’armonia e la pace che qui si respira. Ogni famiglia ha più di un membro colpito dalla malattia, ma questo non impedisce, anzi sprona, l’aiutarsi l’uno con l’altro. Qui l’egoismo sembra una parola sconosciuta… ognuno lavora per la comunità e dà ciò che gli è possibile dare.
Colpisce vedere persone che, sedute a terra, riescono a zappare stringendo l’attrezzo tra due moncherini o assistere all’aiuto reciproco che si danno nell’ambulatorio per le medicazioni. Già, qui i dottori non esistono e neppure infermieri “veri”: semplicemente gli stessi malati sono stati istruiti sul come eseguire le medicazioni e anche il responsabile dell’ambulatorio è un malato.


Fortunatamente la maggior parte dei bambini sono sani e anche per coloro che dovessero ammalarsi, nonostante la prevenzione che si effettua, è ora più semplice riconoscere i sintomi al loro comparire e procedere alle cure che li porterà alla guarigione. La parola “lebbra” incute, specialmente a noi occidentali, ancora paura e repulsione, ma i progressi della medicina in questo campo sono stati enormi e anche il problema del contagio è stato molto ridimensionato.
Purtroppo molti degli adulti ammalatisi nel passato hanno sofferto di menomazioni gravi, specialmente agli arti e, anche se non si arrendono, ci sono cose per le quali necessitano di un aiuto. Questo è il motivo della mia/nostra presenza: eseguire alcuni lavori che essi non riuscirebbero a portare a termine se non con estrema difficoltà.
Iniziamo con il rifacimento del recinto per le mucche. Si rende necessario sostituire diversi pali e il filo spinato, oramai ossidato e strappato in più punti. Niente di particolarmente gravoso, salvo il fatto che un intero lato del recinto è stato invaso da rovi con spine lunghe 7/10 cm… e questo non è piacevole, in quanto per riposizionare il filo si rende necessario il taglio dei cespugli a colpi di machete. Comunque, a parte le mosche e la temperatura poco gradevole, in pochi giorni terminiamo questo compito e ci accingiamo ad iniziare il lavoro più gravoso: la ristrutturazione delle case.
Ognuno di noi lavora insieme a un ragazzo del villaggio… questo per responsabilizzare gli abitanti e anche perché imparino a fare certe piccole manutenzioni.
Ogni casetta è divisa in due piccoli appartamenti composti da due vani, di cui uno utilizzato per la preparazione dei pasti e il secondo come camera da letto. All’esterno, sul retro, un gabinetto comune. Una famiglia deve quindi vivere in circa 15/20 mq. complessivi e se si pensa che un nucleo è composto mediamente da sei persone, si può immaginare il tipo di vita possibile, anche se queste sono condizioni migliori rispetto alla maggior parte degli abitanti dei villaggi circostanti.
Nostro compito principale sarà procedere a una disinfestazione degli ambienti e quindi installare degli scaffali nel vano adibito a cucina, sui quali poter riporre pentole, ciotole e altri utensili. Questo è importante perché serve a migliorare le condizioni igieniche in cui essi vivono… e l’igiene è fondamentale in questo frangente.
I giorni passano e il lavoro prosegue abbastanza speditamente, anche se ci troviamo spesso a dover fronteggiare la mancanza del materiale, per il quale dobbiamo inventarci sempre nuove soluzioni.
Il ragazzo che lavora con me ha circa 12 anni ed è molto volenteroso… anche se non riesco ad interrompere il flusso di domande alle quali devo rispondere: come è l’Italia, dove si trova, come si vive, se ci sono molti ammalati di lebbra e se la gente muore di malaria. Ha sentito parlare della televisione e vuole sapere “tutto”.
Non si può dire che manchi di curiosità, ma stranamente nessuna domanda verte sui bambini, su cosa fanno nel tempo libero, sulla scuola e altre domande che sarebbe normale sentirsi rivolgere, Forse sarà perché qui il periodo dell’infanzia e del gioco è brevissimo: appena si riesce ad essere indipendenti già si deve aiutare la famiglia.
Ieri è stato il giorno della distribuzione di coperte e materiale arrivato con l’ultimo container inviato alcuni mesi fa e a loro destinato e gli anziani hanno chiesto a noi di consegnarle.
La coperta, nella sua semplicità, riveste una particolare importanza nella loro vita: con essa ci si protegge dal freddo durante le ore del mattino e all’imbrunire, quando ci si raduna intorno al fuoco e, naturalmente, per contrastare il freddo pungente della notte. Rimane con il possessore fino a quando non si rende inutilizzabile e, in alcuni casi, lo accompagna anche nella morte. Non tutti possono permettersi una bara, anche se costruita con assi di scarto, e allora la coperta diventa il loro sudario. Il corpo viene avvolto in essa e così seppellito.
La cerimonia (la chiamo così perché per questi nostri fratelli è una “cerimonia”), è iniziata nel tardo pomeriggio, quando il calore del sole si era un po’ attenuato. Gli anziani avevano già deciso, in base alle nuove nascite e ad altre necessità, chi doveva ricevere il materiale e adesso una cinquantina di persone aspettano ordinatamente e pazientemente che si proceda alla distribuzione.
E’ stato toccante vedere con quanta dignità ricevevano così poco… e quel poco era da loro ricambiato con un sorriso e con il gesto di portare la mano, o quel che rimaneva, sul cuore. Bambini accompagnati dalle mamme o da parenti, signore anziane che a malapena riuscivano a camminare aiutandosi col bastone, persone rese cieche dalla malattia… tutti passavano davanti a noi.
Ho visto una mia compagna piangere silenziosamente, mentre consegnava la coperta a un’anziana donna, col viso sfigurato dalla malattia e con un bambino che la guidava per mano. Ti chiedi “perché” su questo nostro pianeta deve ancora succedere tutto questo… ma la risposta la conosci e ti fa paura. Ti rendi conto di quanto egoistico è il ”nostro” mondo che vive racchiuso nella sua ampolla infetta e ti viene il desiderio urgente di gridare la tua rabbia… anche se capisci l’inutilità del gesto.


Ero stato avvisato che questo sarebbe stato un “viaggio” difficile, anche per la ragione che queste sono le mie prime, vere esperienze, ma lo stare qui per diverso tempo mi ha fatto entrare in un mondo dove la realtà, nella sua crudeltà, supera l’immaginazione… e non è né semplice né facile accettare tutto questo.
Ci sono però anche momenti di distensione, specialmente quando, al termine della giornata e prima di tornare nella casa che ci ospita, c’intratteniamo con i bambini per infuocate partite di calcio oppure ci lasciamo “portare” in giro per il villaggio, circondati dai più piccoli i quali “lottano” per poter prendere la nostra mano… e come si sentono fieri quando, arrivati vicino alla loro casetta, si precipitano all’interno per poi uscire con i quaderni e poter mostrare i loro lavori. Quanto entusiasmo per lo studio e quanto desiderio di conoscere!
I giorni passano velocemente e il lavoro è a buon punto; ancora pochi giorni e il nostro impegno qui sarà terminato… per riprendere in un altro villaggio, quasi al confine con l’Angola, a circa 500 km.
Quasi senza rendercene conto, arriviamo al termine della nostra permanenza e cominciano i saluti con i tanti che qui abbiamo conosciuto… persone splendide nella loro dignità, nella bontà che si legge nei loro occhi, sempre pronte al sorriso e senza mai una lamentela per la loro malattia. Quanto abbiamo da imparare!
Gli anziani del villaggio sono i primi a farsi avanti… poche parole, ma tanti, tantissimi sorrisi. I bambini non smettono un instante di tendere le loro manine per toccarci, abbracciarci e salutarci. La commozione tra noi è grande… e anche i nostri occhi tradiscono il momento.
Joseph, è questo il nome del mio giovane amico e aiutante, è silenzioso… cosa innaturale per lui. Gli domando che succede e lui, abbassando gli occhi, mi dice che tutti i giorni ha parlato di me con la sua famiglia e che loro avevano espresso il desiderio di conoscermi. Ha aspettato fino a oggi per dirmelo perché sia i genitori, sia il nonno e altri parenti che con lui vivono, sono stati tutti toccati dalla lebbra e lui non osava dirmelo. Lo guardo stupefatto e gli chiedo il motivo per cui ha aspettato tanto… non risponde, ma capisco lo stesso.
C’incamminiamo verso la sua casa, posta quasi al limite del villaggio, in una zona in cui io non ho lavorato. La notizia è arrivata loro in un baleno e, al mio arrivo, tutta la famiglia è fuori ad aspettarmi. Qui la malattia è stata crudele, specialmente verso il nonno che, oltre agli arti, è stato anche colpito al viso. I genitori e le altre persone della famiglia sono state più fortunate, in quanto chi ha perso le mani o soltanto alcune dita, chi i piedi ma tutti sembrano esserne usciti. Certo, dovranno continuare a fare gli esami di routine, ma il peggio è stato evitato.
Mi avvicino al nonno e tendo la mano per salutarlo, ma lui, volto serio e rigidamente seduto su uno sgabello, non fa alcun gesto in risposta. Mi viene spontaneo posare una mano sulla sua spalla e stringere con l’altra il suo moncherino. Non so perché l’ho fatto, anche perché il mio gesto poteva essere interpretato male… ma l’ho fatto.
Ho visto prima gli occhi illuminarsi e quindi un sorriso addolcire la rigidità del viso, al quale ho risposto con un altro sorriso e una parola di saluto… per trovarmi subito dopo seduto su uno sgabello apparso dal nulla.
La famiglia è numerosa e vogliono sapere di me: “Sei sposato? Quante mogli hai? E figli?” Il loro stupore è enorme quando rispondo che ho un solo figlio e subito mi sento chiedere “ma se il tuo unico figlio muore, chi ti aiuterà quando sarai vecchio?”.  Questa domanda potrebbe essere la risposta a quanti, tra noi, si stupiscono sul perché “fanno” tanti figli.
Il tempo scorre impietoso e un colpo di clacson mi avverte che mi stanno aspettando… a malincuore mi alzo e mi avvio, mentre il sole inizia velocemente a sparire dietro agli alberi che nascondono il fiume. Un altro giorno se ne è andato e domani sarò già lontano, ma sono certo che Chibote rimarrà nei miei ricordi più cari. Sarà per la dolcezza dei suoi bambini, per gli amici che qui ho conosciuto o, forse, semplicemente per il sorriso di quel nonno… un sorriso proveniente da una persona minata nella salute ma profondamente serena, felice per un altro sorriso e una stretta di mano.

(Cactus)

13 Commenti a “Ritorno a Chibote scritto da Cactus”

  1. novella scrive:

    or mi sovvien, e’ kimbau mi pare, na lampadina per kimbau il libro di m pia bonanate, ciao

  2. cactus scrive:

    Chibote si trova nel nord dello Zambia vicino alla città di Luanshya nella regione del Copperbelt (miniere di rame). Non so dove si trovi Chiara Caselli e comunque non in questa zona. Ciao

  3. novella scrive:

    ciao cactus, kibote è dove c’è chiara caselli?
    Vuoi dire Chiara Castellani, suora laica, medico “Chiara Castellani Una lampadina per Kimbau. Le mie storie di chirurgo di guerra dal Nicaragua al Congo raccolte da Mariapia Bonanate, Mondadori, 2004.” (chiara caselli è un’attrice NdR)

  4. sandra .vi scrive:

    Grazie Cactus per questa testimonianza vissuta ,molto commvente.Anche se sembriamo essere il Paese degli “indifferenti “fortunatamente abbiamo anche delle magnifiche persone come Cactus che operano in silenzio e fanno moltissimo ,certo il bene non fa testo.

  5. marc52 scrive:

    Commenti abilitati
    Molto bello il reportage del sig. Cactus, intanto perché scritto da un volontario che ha vissuto sulla sua pelle tal esperienza. Persona vicina a noi perché conosciuta da tanti del blog o della chat di Eldy. Mi domando, se non ci fossero queste persone cosi alturiste, cosi, generose, con quel pizzico di curiosità nel conoscere, nel confrontarsi con le culture e le persone bisognose di aiuto. Che con tanta dedizione sottraggono tempo al lavoro, alla famiglia. A che livelli saremmo, che cosa di concreto si sarebbe fatto, che cosa di tangibile sarebbe avvenuto, con le sole politiche solidali dei vari stati compreso il nostro.
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    Non c’e’ in un’intera vita cosa piu’ importante da fare che chinarsi, perche’ un altro cingendoti il collo, possa rialzarsi.
    (Luigi Pintor)

    Canta il sogno del mondo.
    Godi del nulla che hai
    del poco che basta
    giorno dopo giorno:
    eppure quel poco
    – se necessario dividi
    e vai, leggero dietro il vento
    e il sole che canta vai di paese in
    paese e saluta
    saluta tutti
    il nero, l’olivastro e perfino il bianco
    Canta il sogno del mondo
    che tutti i paesi
    si contendano
    d’averti generato.
    (David Maria Turoldo)

    Laddove muore la speranza
    laddove la vita è un inferno
    e ogni nuovo giorno uno schiaffo
    laddove la voce si smorza in un lento lamento
    laddove trionfa il peccato
    e la virtù ha smarrito la strada
    là, nei carceri duri, negli ospedali
    nei ghetti assolati e isolati
    nelle idee contorte e asservite
    nei recinti di ferro obbligati
    nelle stupide gesta
    un angelo veglia su tutti
    un angelo porta il suo amore
    un angelo umano vuol bene
    È il Volontario dal cuore grande
    [Vincenzo De Rosa]

  6. alba morsilli scrive:

    Il tuo cuore pieno di umanità verso i più deboli, desideroso di porgere un sorriso, un aiuto materiale, e forse una speranza in questi popoli disperati.
    Mi sono domandata come può uno stato che manda la sua squadra di calcio ai campinati,ha delle persone ancora con la lebbra.
    Ma allore questo paese è diviso in due, uno emancipato e l’altro represso.Lusaka che è la capitale dello Zimbia ex colonia inglese (Rhodesia) è una citta metropolitana con grandi musei e immensi parchi,dunque qui c’è civiltà,la popolazione vive come gli occidentali.
    Solo le cascate Vittoria (in onore alla regina) sono una attrazione turistica, le miniere di rame,e minerali, possono dare a questo stato lavoro e benessere.
    Perchè mi domando una nazione che ha lottato per la sua indipendenza ha ancora villaggi di lebbrosi?
    La corruzione Dio denaro fa che l’umile sofra le pene dell’inferno

  7. lorenzo.rm scrive:

    Un’esperienza che pesa in un contesto, il nostro, non “tanto indifferente”, come ho letto in un commento. D’altra parte è anche logico che l’attenzione si fissi su ciò che non va, presunibilmente per correggerlo, che su ciò che va, da ammirare e possibilmente seguire. Le vicende narrate, i particolari sottolineati, fanno di questa storia un prezioso diario, da tenere preziosamente conservato e da tirar fuori per sottolineare un modello e assumere una decisione nel campo della solidarietà umana.

  8. edis.maria scrive:

    Ho letto diverse volte il racconto di Cactus, la prima quasi incredula , le altre piangendo, poi cercando di elaborare il tutto! Bravo lo scrittore che , entrando nei minimi particolari di una realtà così terribile, ci dà modo di comprendere situazioni nelle quali non riusciamo ad entrare da soli. Lebbra!!!!! Malattia che fortunatamente si può sconfiggere se curata in tempo, ma che , come abbiamo letto, ha vincolato vite e situazioni atroci. Mi hanno colpito le “ non domande” fatte dai bambini. Per loro esiste solo la loro vita, i loro contatti, la loro sofferenza e quella dei loro amici. Forse non hanno neppure il coraggio di sperare per se stessi destini diversi. Cactus aspetto di leggere altre pagine come queste che mi facciano piangere, soffrire, riflettere sulla nostra fortuna, dare l’aiuto che potrò. Ti stimo per ciò che fai, ma sono certa che trarrai da questi dolori vissuti da vicino, tanta umanità e bontà da elargirne anche a chi ti è caro. !

  9. giulian.rm scrive:

    L’Italia sembra essere il “paese degli indifferenti” eppure è un paese che conta un gran numero di volontari, sia di gruppi laici che di gruppi religiosi.
    Volontari che si occupano dei più disparati bisogni:
    dalla cura degli handicappati, alla compagnia agli anziani, all’assistenza dei bambini malati, al babisitteraggio di quelli che hanno i genitori in carcere, a quelli che si occupano dell’ambiente e vanno a ramazzare boschi e spiagge, a quelli che vanno a dare assistenza a domicilio ai malati terminali, a quelli che cercano di alleviare i dolori dei senza tetto, a quelli che si occupano del recupero dei tossici…
    Almeno questo ci venga riconosciuto.
    Ma cosa spinge un essere umano a farsi carico del bisogno di un altro che non conosce?
    E perchè così tanto in un paese che per altri versi può sembrare indifferente?(ma siamo poi così indifferenti?)
    Laici, religiosi.. persone come te che sentono sia giunto il momento di fare qualcosa al di fuori dell’ambito “politico” che spesso si autoconfina nel dialettico(parlare,parlare solo parole). Così s’inventano un modo di donare il proprio tempo per una causa che spesso è anche la loro magari avendola vissuta in prima persona e sentendo il desiderio di poter essere a loro volta utili ad un ipotetico,reale, “fratello” che si trovi a passare attraverso la medesima difficoltà.
    Persone ammirevoli non ci sono altre parole.

  10. franco muzzioli scrive:

    Caro Cactus dopo aver letto il tuo articolo , mi sono sentito annientato nella mia pacifica ed egoistica nullità.
    Quelle che mi hanno anche colpito sono le antiche parole di quel vecchio…..” ..ma se il tuo unico figlio muore , chi ti aiuterà quando sarai vecchio?…” Mi sono sentito un pò meglio , ma forse più colpevole ,io (noi) …siamo e saremo aiuto indispensabile dei nostri figli…altro che bastone della vecchiaia!
    Vorrei cirare Bauman , che dice ” …viviamo una “modernità liquida” ,dove il futuro è il presente e quindi va riempito di soddisfazioni ,che un tempo tendevamo a posticipare. Costi quel che costi , per noi stessi, per il pianeta , per il debito che lascieremo in eredità a figli e nipoti.
    Lo slogan è : immortalità subito!
    Attraverso esperienze che ne facciano pregustare l’ebrezza. Tipo una vacanza alle Seychelles, o vestiti griffati (a rete ), e case (con mutui subprime) che non potremmo mai permetterci….”
    Ti puoi immaginare se abbiamo il tempo ( ma soprattutto se lo avranno i nostri figli ) , di pensare ad un lontano villaggio nella Zambia e per di più di lebbrosi!
    Mondaccio caro Cactus ,intanto ti ringrazio di fare anche quello che dovrei fare anch’io.

  11. rosmarie scrive:

    Grazie di cuore per questta bellissima testimonianza, che ci fa riflettere…. noi abbiamo tutto, troppo di tutto, ma queste persone ci insegnano cos’è la dignità umana!

  12. marisa8,bs scrive:

    letto tutto di un fiato c.è tanto da imparare chissà se si riuscirà un giorno ad avere tutti gli stessi diritti.lode a tutti i volontari che con il loro impegno cercano ti risollevare tanta misceria e povertà…..complimenti

  13. armida.ve scrive:

    GRAZIE, CACTUS PER QUESTA TOCCANTE TESTIMONIANZA, TI AUGURO TANTA SALUTE PER POTER CONTINUARE LA TUA MISSIONE. SEI UN ESEMPIO PER NOI TUTTI

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