Renato Sacchelli ci vuole fare partecipi di questo suo scritto anche se si rende conto che è piuttosto lungo.
Ho ritenuto interessante pubblicarlo oggi, 4 novembre, giornata celebrativa delle forze armate, per stimolare un dialogo, che sia esso pro o contro e conoscere le vostre opinioni.
Con questo mio elaborato, intitolato “Le forze armate: il coraggio della solidarietà”, ho partecipato al concorso di letteratura indetto nell’anno in corso dal circolo ufficiali in congedo di Chiavari, riservato ai militari in servizio ed in congedo.. Non figuro tra i tre concorrenti premiati. Dovrei essere stato classificato al quinto posto. Grazie, buona lettura e cordiali saluti,
Renato Sacchelli
Le Forze Armate: il coraggio della solidarietà
Ne ha fatta di strada l’uomo da quando accese il fuoco e inventò la ruota, uscì dalla grotte e dalle palafitte e costruì le città. Le sue opere hanno esaltato la propria intelligenza in tutti campi della scienza, della medicina e dell’arte. È arrivato persino a mettere i piedi sulla Luna e a “passeggiare” nello spazio. Soltanto in un campo non è progredito: sin dall’antichità, infatti, anziché vivere in pace ha sempre combattuto sanguinose battaglie coi propri simili, con milioni e milioni di morti, feriti e cumuli di rovine. Le guerre, motivate quasi sempre da mire espansionistiche e dalla brama di appropriarsi delle ricchezze altrui, considerate bottino di guerra, hanno rallentato il progresso umano.
Mettere in campo forze armate per difendersi e, ove necessario, attaccare, ha comportato e sempre comporterà lo spreco di ingenti somme di denaro che, se impiegate nella costruzione di opere pubbliche e nella ricerca scientifica, ad esempio per trovare nuove cure alle malattie, ci avrebbero consegnato se non un mondo perfetto quantomeno uno migliore. Nel 1950, quando i caschi blu dell’Onu intervennero nella guerra scatenata dalla Corea del Nord contro quella del Sud, per ripristinare lo “status quo ante” e restituire l’indipendenza a Seul, ebbi modo di pensare che soltanto le Nazioni Unite, avvalendosi di contingenti militari internazionali, potessero far cessare gli scontri armati senza far incancrenire i conflitti tra gli Stati e ripristinando in tempi abbastanza rapidi la pace. Purtroppo le numerose guerre che si sono susseguite fino ai nostri giorni mi inducono a pensare che mi ero sbagliato. Le mie convinzioni iniziarono a vacillare negli anni della guerra civile in Libano. Il 23 ottobre 1983, una domenica, un contingente militare costituito da marines americani, sotto l’egida dell’Onu, inviato pochi mesi prima per porre termine a una guerra fratricida, fu preso d’assalto in una caserma: persero la vita 241 soldati americani, e in un altro attentato, quasi simultaneo, furono trucidati altri 56 militari francesi. La storia va avanti ma le tragedie si ripetono. Il 12 novembre 2003 a Nassiriya, nel sud dell’Iraq, un altro sanguinoso attentato stroncò la vita a 28 uomini, tra cui 19 italiani (diciassette erano militari) e nove iracheni. Sono anni che mi domando a cosa servano davvero le Nazioni Unite se non riescono a impedire i conflitti che scoppiano nel mondo, tenuto conto che questi è il loro primo compito istituzionale.
Mi soffermo su due recenti interventi militari: la prima guerra del Golfo (1991), che una coalizione internazionale, sotto l’egida dell’Onu, dichiarò all’Iraq che aveva invaso il Kuwait; la seconda guerra del Golfo (2003), voluta da Stati Uniti e Gran Bretagna, per eliminare il regime di Saddam Hussein, accusato di essere un pericolo per la sicurezza internazionale perché in possesso di pericolose armi di distruzione di massa (mai trovate). Persa la guerra Saddam fu catturato, processato e condannato a morte per i crimini commessi nel corso degli anni sia contro i propri oppositori, sia contro le popolazioni curde. Se nel primo caso l’intervento militare fu legittimato dalla palese violazione da parte dell’Iraq di una risoluzione dell’Onu, tesa a ridare piena sovranità ad uno Stato invaso, nel secondo a scatenare la guerra furono motivazioni geopolitiche, e il Palazzo di Vetro fu beffato da chi spacciò per vero, un rapporto sulla sicurezza, palesemente inventato (quello che dava per certo il possesso, da parte di Bagdad, degli ordigni di distruzione di massa).
Un breve accenno anche alla guerra in Afghanistan, dove tuttora operano, su mandato Onu, i contingenti militari di diverse nazioni, tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Italia e altri otto Stati. Il conflitto è scoppiato nel 2001 per porre fine al dominio dei talebani, che davano asilo a Osama Bin Laden e da anni facevano vivere il paese nel terrore. I militari italiani inviati in Afghanistan, è bene ricordarlo, sono soldati di pace, alla luce dell’articolo 11 della nostra Costituzione (“L’Italia ripudia la guerra…”). I nostri soldati avrebbero dovuto essere accolti con gioia, invece fino ad ora ben 54 di loro sono stati uccisi nel corso di scontri armati e attentati compiuti dai filo talebani. È incredibile che così tanti giovani militari inviati in quella terra non per aggredire, uccidere o conquistare terreni, ma per riportare sicurezza e pace tra la popolazione afgana, siano rimasti uccisi. Ma torniamo alle Nazioni Unite.
Cosa fecero per evitare la violenza criminale del dittatore serbo Slobodan Milosevic, che si macchiò di un’efferata pulizia etnica, da Vukovar a Dubrovnik e nel Kosovo, dai campi di concentramento di Prjedor e Omarska, all’eccidio di Sebrenica, causando ovunque morti e distruzione?
L’Onu non riuscì ad opporsi con fermezza a quel dittatore sanguinario: per bloccarlo fu necessario un intervento della Nato, sotto l’ombrello giuridico della palese violazione dei diritti umani. E il Palazzo di Vetro nulla riesce a fare per porre termine alle gravi tensioni che da decenni minacciano il Medio Oriente, la terra in cui nacque Gesù, dove non si placa lo scontro tra israeliani e palestinesi.
Dopo la Prima guerra mondiale, su iniziativa del presidente americano Woodrow Wilson, nacque la Società delle nazioni, con sede a Ginevra, allo scopo di salvaguardare la pace e la sicurezza universale e favorire la cooperazione economica, sociale e culturale fra tutti gli Stati. Si estinse il 18 aprile 1946, a causa della sua manifesta impotenza nell’aver impedito lo scoppio del secondo tragico conflitto mondiale. Dalle sue ceneri nacque l’Organizzazione delle Nazioni Unite, con sede a New York, costituita dalle potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale: Cina, Francia, Gran Bretagna, Unione sovietica e Stati Uniti d’America. In considerazione della brutta situazione che stiamo vivendo in questi tempi, con numerosi focolai di guerra accesi in vari angoli del mondo, dobbiamo purtroppo prendere atto che l’Onu è priva degli strumenti necessari a imporre, agli stati membri, le proprie risoluzioni per la salvaguardia della pace e della sicurezza. Le Nazioni unite, infatti, non dispongono di proprie forze armate e non hanno, quindi, un’opzione militare su cui far leva come minaccia e per intervenire tempestivamente laddove necessario. Restano solo i moniti del segretario generale dell’Onu, che quasi sempre rimangono inascoltati, a meno che qualche altro organismo più ristretto (G8) non agisca per proprio conto, facendo leva sulle sanzioni economiche (vedi caso della Russia per l’occupazione della Crimea) o su interventi militari veri e propri promossi dai singoli stati: uno degli ultimi casi è la guerra in Libia contro Gheddafi (2011), combattuta da una coalizione internazionale composta in tutto da 19 stati e guidata dalla Nato. Autorizzata da una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che aveva istituito una zona d’interdizione al volo sul paese nordafricano, la guerra “ufficialmente” fu combattuta per tutelare l’incolumità della popolazione civile dai combattimenti tra le forze lealiste e i ribelli.
Ma torniamo al nostro Paese. Le Forze armate italiane sono il primo baluardo per la difesa delle nostre frontiere. Fra i propri doveri vi è anche quello della solidarietà, che impone comportamenti relativi agli alti valori di carattere etico-sociale in ordine ai quali occorre aiutare chi è in difficoltà. Con il “Trattato di Lisbona” del 2007 (in vigore dal 2009) è stato modificato il “Trattato istitutivo della Comunità Europea” che ha introdotto una clausola di solidarietà (art. 222) che impone agli Stati membri di agire con spirito di solidarietà, impiegando tutti i mezzi possibili, compresi quelli militari, in caso di richiesta di aiuto per attentati terroristici e per calamità naturali o causate dall’uomo. Gloriosa è la storia delle nostre Forze armate, ricca di pagine di epico valore scritte col sangue dei soldati che le hanno vissute. Mi riferisco, in primo luogo, ai conflitti combattuti per unificare la nostra Patria, per secoli divisa in diversi piccoli staterelli, com’era solito dire il mio maestro della scuola elementare – che frequentai durante gli anni ’30 – che mai ho dimenticato, tanto da farmi pensare che l’eroismo con cui furono combattute dai nostri soldati le battaglie sul Carso, sull’Adamello, sul Piave e su ogni altro fronte fosse derivato dall’amore per la Patria. Un sentimento che, unito ad altre circostanze a nostro favore, ci permise di vincere la Prima guerra mondiale. Da bambino mi capitava di piangere quando la banda musicale del mio paese suonava l’inno del Piave, davanti al monumento ai Caduti del mio paese, durante la ricorrenza della vittoria celebrata ogni anno il 4 novembre. Ancora oggi, dopo tanti anni, quando ascolto le note musicali del nostro inno i miei occhi si riempiono di lacrime. Mi è di conforto sapere che i nostri Padri costituenti nell’articolo 11 della Carta Costituzionale abbiano scritto: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…”. Al di là di ogni retorica, per l’importanza che hanno, queste parole dovrebbero essere “scolpite” nella Carta costituzionale di tutte le nazioni il mondo. Molto importanti e significativi sono anche gli articoli 52 e 54 della Carta costituzionale: il primo sancisce che la difesa della Patria è un dovere sacro del cittadino e che l’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica; il secondo precisa che tutti i cittadini hanno il dovere di fedeltà alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato. Inoltre chi esplica funzioni pubbliche ha il dovere di adempierle con disciplina e onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.
Devo riconoscere che, nel corso degli anni, mi ha favorevolmente impressionato la sensibilità dimostrata dai governi che si sono succeduti e dalle autorità militari, sempre protesi a garantire il soccorso alle popolazioni colpite da terremoti, allagamenti o altri disastri. Ricordo la tragedia del Vajont, provocata dall’enorme massa d’acqua fuoriuscita dalla diga quando una parte del monte Toc sprofondò nel bacino: acqua e fango spazzarono via Longarone con tutti suoi abitanti. Rivedo, davanti ai miei occhi, le immagini trasmesse dalla tv, coi soldati che cercavano nella melma i corpi delle vittime. Una straziante operazione di soccorso che qualcuno doveva pur fare e che vide i nostri militari in prima linea. Anche nel terremoto di Messina, nel 1908, i primi a portare aiuto ai superstiti di quell’immane tragedia furono i nostri marinai e soldati. E lo stesso avvenne nei terremoti che sconvolsero il Friuli e l’Irpinia. Per assicurare tranquillità e sicurezza alla popolazione, i nostri militari sono stati impiegati anche in alcune città del Sud Italia, dove la criminalità organizzata è responsabile di reati gravissimi che minacciano il vivere civile di tutti noi. Non ci possono essere dubbi: altissimo è sempre stato il senso del dovere manifestato con zelo, disciplina e coraggio dai nostri soldati nei confronti degli abitanti delle zone in cui sono stati mandati a espletare il loro servizio.
Il “coraggio della solidarietà” è una bellissima qualità. Ma dove la si può trovare? Nel cuore nobile di ciascun uomo, se permeato dall’amore nei confronti dei propri simili e se sane e robuste sono le Istituzioni. Ma credo anche che vi sia un fondamento culturale frutto dell’umanesimo cristiano. Il primo a manifestare questo “coraggio della solidarietà”, infatti, fu Gesù Cristo, quando disse agli uomini: “Amate il prossimo come voi stessi”. Che si abbia fede, oppure no, come spiegò Benedetto Croce in un famoso saggio, “non possiamo non dirci cristiani”. Per il filosofo il cristianesimo aveva compiuto una rivoluzione: “Operò nel centro dell’anima, nella coscienza morale, e conferendo risalto all’intimo e al proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fino allora era mancata all’umanità” che grazie proprio a quella rivoluzione non può non dirsi “cristiana”.
Se desideriamo vivere in un mondo di pace, come credo sia nel cuore di tutti gli uomini, è fondamentale adoperarsi per risvegliare la coscienza di quei governanti che vorrebbero costruire bombe atomiche per distruggere altre nazioni, pronti a scatenare “guerre sante” strumentalizzando la religione e sfruttando l’ignoranza delle persone. Non c’è fede al mondo che possa predicare la morte anziché la vita. Chi afferma il contrario, se ha studiato i propri testi sacri di riferimento sa di dire il falso. Non è possibile, purtroppo, prevedere tragedie come quella generata dall’ideologia folle professata da Adolf Hitler, che scatenò la Seconda guerra mondiale e causò la morte di milioni e milioni di persone, provocando enormi distruzioni. L’unica cosa che sappiamo con certezza è che, se vogliamo evitare che in futuro fatti analoghi si ripetano, servono adeguati strumenti di prevenzione. Occorrerebbe, ad esempio, che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu (l’organo esecutivo delle Nazioni unite) disponesse di un contingente militare fornito da tutte le nazioni iscritte all’Associazione, per agire come deterrente o, nei casi più gravi, intervenire in modo tempestivo per spegnere i conflitti. Ma bisognerebbe anche rivedere le regole, perché il sistema dei veti (un solo no espresso da un membro fisso del Consiglio di sicurezza può bloccare ogni decisione), figlio delle logiche dei blocchi del secondo dopoguerra, è ormai anacronistico e impedisce ogni decisione. Se soffermiamo la nostra attenzione sul nostro Paese, dobbiamo riconoscere che è un dovere morale attenersi ai principi filosofici dell’etica, che studia e ci mostra le scelte e i comportamenti che ogni governo nazionale dovrebbe assumere, sia per governare i popoli che per utilizzare al meglio i propri militari. Dalla condizione delle forze armate si hanno due connotazioni peculiari: la prima è quella del “professionista militare”, inteso come dirigente, la cui etica è di matrice tecnica, mentre di matrice eroica è la seconda, che qualifica “un capo per vocazione”. La matrice tecnica riguarda la modernizzazione sempre crescente dei mezzi, strumenti e armi in dotazione, mentre la matrice eroica attiene al fattore morale, che si impernia su valori etici quali, ad esempio, lealtà, coraggio, rigore morale, senso del dovere, rispetto dei diritti e della dignità, spirito di dedizione al prossimo.
Giova evidenziare che al militare può essere richiesto, quando gravi momenti lo rendano necessario, il sacrificio della cosa più preziosa che ciascuno di noi possiede, la vita. Non può essere imposto a nessun altro. Il militare è tenuto a credere nei valori e nei compiti che gli vengono affidati, in quanto programmati nell’interesse della collettività nazionale. La sua condizione è molto diversa dalle altre professioni in quanto comporta la totale adesione ai valori che si pongono alla base della solidarietà e della capacità, di ogni soldato, a combattere. Come ricordavo prima, per tentare di costruire un mondo migliore occorrerebbe che le Nazioni Unite fossero messe nelle condizioni di agire, attraverso opportune riforme giuridiche e organizzative. E un primo intervento operativo da mettere in cantiere con urgenza sarebbe quello di impedire la produzione di gas asfissianti e di altre altre pericolose armi chimiche, o nel caso in cui esistano già, provvedere allo smantellamento degli arsenali, il cui impiego può causare spaventose stragi di esseri umani. Anche se spesso sono divisi da odi e incomprensioni, i popoli della terra sono accomunati da alcuni elementi imprescindibili: tutti sognano di vivere in pace, lavorare e acquistare il pane quotidiano e quant’altro necessario alla propria sussistenza. Hanno bisogno di amore, perché è amore lavorare, seminare la terra, far crescere le piante, raccogliere i frutti, impedire che fiumi, laghi e le acque del mare siano inquinati dai rifiuti di ogni genere. Crescere sani e forti e vedere i propri figli e nipoti farsi strada nel mondo. Qualcuno pensa che vi siano persone che, nel profondo del loro cuore, sognino davvero morte, miseria, disperazione e distruzione? Impossibile. Se non nella mente di chi vuole instillare odio nelle persone, perseguendo finalità malate.
Grande è il sentimento di amore che il popolo italiano deve sempre sentire per le proprie Forze armate, pronte a mantenere fede al giuramento di fedeltà prestato, come avvenne ad esempio all’indomani dell’Otto Settembre 1943 a Cefalonia, dove la divisione Aqui si rifiutò di consegnare le armi ai tedeschi e iniziò a combattere contro di essi. Feroce fu il comportamento dei tedeschi che, per vendetta, massacrarono i superstiti dell’intera divisione, con in testa il comandante Generale Gandin e migliaia e migliaia di uomini tra ufficiali, sottufficiali e soldati. Sappiamo per certo che le nostre Forze armate sono pronte ad aiutarci nei momenti di maggiore difficoltà, quando la vita è appesa a un filo a causa di qualche imprevedibile evento naturale. O aiutare i nostri simili che, sognando una vita migliore, scappano dal loro paese e, sfidando le onde del mare, il fame, il freddo e la sete, salgono su barconi di fortuna per raggiungere le nostre coste alla ricerca della felicità. E trovando, spesso, solo miseria e disperazione. Quanti di loro hanno trovato la morte nel Mediterraneo. Quanta indifferenza e quanto odio da parte di molti. Ma quanta bellissima solidarietà da parte, ad esempio, del popolo di Lampedusa e, soprattutto, delle nostre Forze armate, impegnate nel prestare soccorso a chi è in difficoltà in mezzo al mare. Una solidarietà che non ha confini, ideologie o secondi fini. Ma è frutto solo di amore e umanità.
Sono fermamente convinto che il coraggio della solidarietà lo debbano avere, in primis, tutti i governi e i vertici delle forze armate. Ma anche, nel proprio piccolo, ciascuno di noi. Solo questa “rivoluzione culturale” ci potrà permettere di realizzare quel fantastico sogno che hanno nel cuore tutti gli uomini di buona volontà: costruire un mondo migliore, senza più guerre, perché, come disse Papa Pio XII nell’agosto 1939, alla vigilia dello scoppio della Seconda guerra mondiale, “con le guerre tutto è perduto mentre con la pace niente è perduto”. Auspico che la “rivoluzione” da me propugnata, ancorché difficile da realizzarsi, possa compiersi per il bene delle generazioni future, che potranno finalmente vivere in un mondo permeato dai valori eterni della pace e dell’amore, e dal naturale spirito di fratellanza che appartiene a ciascun essere umano.
Renato Sacchelli
Scritto da paolacon
AGORÀ
Grazie signor Sacchelli
Desidero informare i lettori di “Parliamone – Eldy” che il concorso di narrativa dell’Unione Nazionale Ufficiali in Congedo d’Italia (Sezione di Chiavari) è aperto a tutti i cittadini che prestano o hanno prestato servizio nelle Forze Armate, nel Corpo della Polizia, nel Corpo della Guardia di Finanza, nel Corpo Forestale, nel Corpo dei Vigili del Fuoco, nella Croce Rossa Italiana, nel Corpo della Polizia Municipale, nel Corpo della Polizia Penitenziaria.
Il concorso è esteso alle vedove e agli orfani dei cittadini sopra menzionati e agli alunni delle Scuole Medie Superiori.
Ogni anno viene scelto un tema diverso. Per il 2015 verte su un episodio di coraggio o di solidarietà compiuto o conosciuto: “Gli eroi dei nostri giorni sono quei giovani, uomini e donne, che consapevolmente, vanno incontro a sacrifici, a volte estremi, nei vari ambiti delle missioni di pace”.
Sig.Sacchelli con il suo “elaborato” enfatizzante sulle forze armate, lei non fa altro che mettere mano al suo trascorso di ufficiale dell’esercito .Poi… ad un concorso cosi specifico, che la riguarda cosi direttamente, il risultato non poteva che… essere scontato. . Capisco che lei stia parlando di un’occupazione, di una professione, scelta sicuramente perche sentita,perche… appagante, che le ha anche permesso di vivere, di guadagnare, per mantenere la sua famiglia. Non trova… che ci sia una certa esaltazione delle armi nel personale che compongono le “forze armate”? Mi permetta il virgolettato perche io le chiamerei forze di difesa. Armate fa pensare ad una certa violenza intrinseca. le ricordo (lei lo saprà sicuramente) ,che… Con decreto del capo provvisorio dello Stato 4 febbraio 1947, n. 17, dal 14 febbraio 1947, col governo De Gasperi III il Ministero della guerra accorpa il “Ministero per l’aeronautica” e il “Ministero della marina militare” nel nuovo Ministero della difesa, nome che conserva tuttora (Prima si chiamava Ministero della guerra).Lei, ha fatto un esauriente crono storia dell’ONU come forza armata di pace. Dei suoi interventi in diversi paesi del mondo, per mediare in modo armato, sulle frapposte fazioni belligeranti. Non trova che (la storia mi da ragione) che questi interventi non abbiano portato a nulla di concreto, che… l’ONU abbia fallito nei sui intenti stanziando milioni di dollari e perdendo anche inutili vite umane lei ha ricordato molto bene i vari interventi. Non trova, che se non ci fossero stati interessi economici, territoriali,logistici, il tutto si sarebbe potuto risolvere mettendosi a tavolino cercando di trovare delle soluzioni alternative, politiche,sociali,economiche, che non avrebbero portato a tanto scempio umano e di denaro per finanziare delle missioni di “pace” perdute in partenza.
Le allego un articoletto (un po’ lunghetto) sulla situazione attuale dell’ONU,e delle sue missioni di pace. Mi dica lei a cosa serve un’organizzazione mondiale di “pace” che di fatto non conta nulla.
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(PRESO IN RETE) le Nazioni Unite hanno speso un ammontare di 124 miliardi di dollari su queste missioni – un importo che impallidisce in confronto anche ad un solo anno di spese militari mondiali, che nel 2012 si sono attestate a 1.753 miliardi dollari. Gli eserciti del mondo non potrebbero operare neanche per due giorni con il bilancio annuale del peacekeeping»(MANTENIMENTO DELLA PACE). Eppure le missioni di pace dell’Onu sono chiamate a tentare di spegnere gli incendi provocati da quelle armi e oggi il peacekeeping è molto più complesso che al tempo della Guerra Fredda: è difficile distinguere tra buoni e cattivi in posti come il Sud Sudan e la Repubblica Centrafricana. Alcune missioni Onu riguardano il “peace enforcement”(IMPOSIZIONE DELLA PACE), ma molte altre comportano anche molti compiti “civili”, come l’assistenza per organizzare elezioni democratiche, lo sviluppo di istituzioni, la riforma dei sistemi giudiziari e la formazione per le forze di polizia, nonché altre misure per favorire e consolidare la pace. Attualmente nel mondo ci sono 14 missioni di pace dell’Onu: 8 in Africa, 3 in Medio Oriente, 2 in Asia, 1 in Europa e 1 nelle Americhe. L’Onu ha dispiegato in totale 117.630 “caschi blu”, la maggior parte dei quali sono forze di pace in uniforme. Tanto per fare un confronto, 36 Paesi hanno eserciti che superano la forza dei caschi blu in divisa e civili, e 5 Paesi hanno eserciti con più di un milione di soldati. Nel marzo 2010, il numero delle truppe, osservatori militari e polizia civile dell’Onu arrivò a 101.939 effettivi, il livello più alto mai raggiunto, poi si è mantenuto sempre sotto le 100.000 unità. Mentre i Paesi ricchi ed emergenti vendono le armi, sono i Paesi poveri, soprattutto dell’Asia meridionale, a contribuire alla maggior parte delle forze di pace. Renner spiega che «La decisione di stabilire, espandere, o terminare una operazione di peacekeeping sono prese dai membri del Consiglio di Sicurezza. Ma tra i 5 membri permanenti, solo la Cina sta dando un notevole contributo di personale con 2.186 caschi blu. Insieme, i “Perm-5? forniscono meno del 4% del totale delle forze di pace dell’Onu». Eppure sono proprio Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia a decidere spesso come, quando, dove e se mandare i caschi blu. Ma il loro potere è economico: i “Perm-5” rappresentano una quota sostanziale del finanziamento alle missioni di pace. Insieme agli altri 10 primi contribuenti forniscono oltre l’80% del bilancio totale nel 2013, con Usa e Giappone che da soli arrivano quasi alla metà di questa quota (39%). Francia, Germania, Gran Bretagna e Cina hanno contribuito per quasi il 28%, mentre Italia, Russia, Canada e spagna insieme arrivano al 13,5%. Nel gennaio 2014 le più grandi missioni dei Caschi blu, sia in termini di spesa che di personale, sono gli interventi in Repubblica democratica del Congo (con 25.723 persone e un budget di 1,5 miliardi di dollari) e in Darfur, Sudan, (con 23.754 persone e un budget di 1,3 miliardi dollari), due aree dove però continuano scontri armati e massacri.
Giulio, con gioia ho letto il tuo commento perchè tu sei stato il primo uomo della Versilia al quale riconosco il merito di avermi dato l’imput,dopo avere vissuto per più decenni in località molto distanti dal luogo dove sono nato, per scrivere alcuni racconti in dialetto versiliese, pubblicati su Versilia Oggi, in primis stimolato dalla lettura, più volte ripetuta, del tuo fantastico libro “Oltre le siepe di bussilo”, ricco di racconti scritti in dialetto parlato a Basati nella terra dove nacque, negli anni del 1800, anche la mia cara nonna materna Marianna Marrai. Mi fa piacere scrivere quanto innanzi detto su sito Parliamone Eldy,o come tu hai scritto su le valli di Eldy, non solo per ricordare i tuoi bellissimi racconti ( ho tutti i tuoi libri), ma anche per parlare della musica che sai esprimere a così alto livello con tuo fantastico strumento, da quale escono note che inneggiano all’amore universale che anch’io ho tentato di esaltare a fin di bene,col mio componimento che davvero ho scritto col cuore, ricordando fatti accaduti a partire dalla guerra che scoppiò in Corea quando ero giovanissimo. Ho gradito i tuoi saluti inviatimi dalla base del Monte Cavallo la cui cima. per un attimo, ho rivisto incendiata dal fuoco acceso dai partigiani per indicare agli aerei alleati i luogo dove effettuare il lancio degli armamenti a loro destinati e quant’altro, durante la tragica estate del 1944.
Ancora ringrazio tutti i commentatori , anche quelli che hanno mosso alcune osservazioni che comunque rispetto, anche se non sono riuscito a comprenderle in quanto non trovo nulla di retorico nel mio scritto in quanto frutto dei miei ricordi veri volti a diffondere l’amore fra gli uomini che ponga fine alle guerre barbare che in questi giorni mietono tante creature innocenti, molte con le teste tagliate.
Renato SacchelliCommenti abilitati
Ti leggo ora Amico Renato . E’ un piacere trovarti nelle “Valli di Eldy”. Io che ti conosco so della tua capacità descrittiva e mi fa piacere dell’apprezzamento di coloro che ti hanno letto. Grazie per quello che ci doni pechè è scritto col cuore . Un caloroso saluto dai piedi di Monte Cavallo .
Le banche…giusto Paola….anche perchè dentro le banche ci sono tutti!!!!!!!!!!!!!!
Franco hai dimenticato le banche
Vorrei riprendere il discorso sul film “Torneranno i prati”, citato ancora da Lucia, che a mio parere dovrebbe essere proiettato nella scuole .Olmi, regista del film, in una intervista dice: …” Ogni guerra è un crimine e io predico la disubbidienza come valore civile…….Ci furono diciasette milioni di morti nella 1° guerra mondiale, seicentomila solo in Italia ,per lo più contadini analfabeti chiamati a difendere la patria (lui la mette con la minuscola) , che per loro era la terra stessa, l’orto, la vita. Senza neanche immaginare che, invece, morivano per la ricchezza della casate reali , gli imperi, per il ferro e il carbone della nazione.”
Ora le guerre non sono più “mondiali”perchè se no saltano per aria anche quelli che sulla guerra ci speculano e ci guadagnano.Ora si fanno per il petrolio , per i minerali pregiati, per i diamanti e per il consumo di armamenti……nulla cambia nelle guarre….neppure se sono sante!!!!!!
Voglio aggiungere qualche riflessione riguardo alla visione del film di Olmi che mi ha molto toccato. Le mie conoscenze riguardo questo periodo storico sono quelle studiate sui libri di scuola e qualche vago racconto dei miei genitori, il regista attraverso lettere, fotografie, lampade, gavette e gli stessi fucili della grande Guerra, ci fa vivere quei fatti da vicino, tutti reperti di una memoria non ancora perduta. Molto bella e toccante la scena del film in cui l’Attende tira le fila di una guerra ormai al termine: : “Quando tutto sarà finito, dice, quando anche qui torneranno i prati, della nostra pena non resterà più niente, neppure il ricordo”
Ho letto con attenzione tutti i commenti ed aggiungo solo un’osservazione: è bello parlare di pace, tutti quanti la vorremmo, cerchiamo di preservarla il più a lungo possibile, però non dimentichiamoci un detto dei nostri saggi antenati romani “Si vis pacem, para belum“!
Che cosa significa? Se vuoi la pace prepara la guerra, con il significato, secondo me, di essere pronto a difenderti. Non nel senso di aggredire, di dichiarare guerra alle altre nazioni, ma di non sguarnirti, di non essere debole, di non porgere un fragile fianco alle conquiste altrui.
Per questo penso all’importanza delle forze armate: proprio per difendere e mantenere la pace. Ogni nazione ne ha bisogno.
In questa ottica il discorso sul film di Olmi, come ci ricorda Lucia, cade a pennello.
Grazie, Lucia….
forse cosi si capirà meglio….
Oggi ho visto il nuovo film di Ermanno Olmi; “Torneranno i prati”. Il regista, in ottanta minuti, racconta la storia di uomini soli e spaventati mandati inutilmente a morire per ragioni che non conoscono. Soldati, costretti a diventare eroi ignoti senza rendersene conto, in quei lontani giorni del 1917, prima della sconfitta di Caporetto, sull’Altipiano dei Setti Comuni a 1800 metri d’altezza. Un bellissimo film che narra le vicende di guerra di una sola notte, simile a tante altre, un cielo di nuvole nere rischiarato da una luna splendente, montagne scure, ricoperte da una neve bianchissima. Olmi narra l’orrore e l’inutilità delle guerre, dei morti, dei feriti mutilati per sempre, ma anche della solitudine di tutti i soldati, lasciati soli e senza speranze. Il regista ha scritto di persona questo film, documentandosi attraverso i diari e le lettere di tanti soldati sconosciuti che ubbidienti e disperati non capivano fino in fondo il loro sacrificio. Il regista prende spunto da una frase di un vecchio pastore, “La guerra è una brutta bestia che gira il mondo e non si ferma mai”. http://youtu.be/Mk-VcbKywto
Carissimo Renato hai scritto un bellissimo saggio (non racconto) sulle Forze Armate ,sentito e dettagliato , forse per molti di noi un pò anacronistico.
Anche io , che sono abbastanza avanti con gli anni,mi commuovo se sento l’Inno nazionale …o la “Leggenda del Piave” o vedo passare la banda dei Bersaglieri.
Ma le cose cambiano ,stiamo tentando di diventare una unione di Stati , i giovani conoscono il nostro Inno solo perchè esiste la Nazionale di calcio.
Non ha più senso proteggere i “patrii confini” perchè si tende ad eliminarli , “i soldati” ora, sono solo dei professionisti che volontariamente scelgono questa attività.
Tutto si modifica , certe cose hanno il sapore di vecchi cimeli , come le croci di guerra sul Carso di mio nonno bersagliere , cose passate che rimangono retaggio dei sentimenti di noi vecchi supestiti del novecento. Non c’è più spazio per difese eroiche quando esistono bombe termonucleari che possono distruggere in pochi secondi città come New York e tutti i suoi abitanti.
Più che di buoni soldati abbiamo bisogno di buoni politici……..e di buoni cittadini.
Riconoscere gli atti di valore compiuti ,onorare e rispettare i ns caduti e’ una esaltazione ?????????????????cOMMUOVERSI Ascoltare l’inno della tua Patria e’ sentimentalismo ? Non certo quella che hanno ridotto adesso…………….
avere un esercito è certamente necessario,
cosa non è necessario è la sua esaltazione.
Grazie,Renato Sacchelli x questo tuo bellissimo articolo,scritto veramente con il cuore.Il tuo rispetto verso tutte le forze dell’ordine ,è da me condiviso,con immenso piacere e rispetto,le dobbiamo un grazie a questi uomini ,sempre pronti a difesa di tutti,,,,,,,,,,,,,,
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Non mi aspettavo elogi su quanto avevo scritto sul tema “Le Forze armate: il coraggio della solidarietà”, peraltro non vincitore di alcun premio al 12 concorso di narrativa dell’anno 2014 indetto dal circolo ufficiali in congedo – sezione di Chiavari – a cui ho partecipato, anche se devo dire, in primis, che mi ha fatto molto piacere parteciparvi per aver attinto ai ricordi rimasti impressi nella mia memoria sin dagli anni più giovani della mia vita. Colgo l’occasione per esprimere i miei elogi ai tre premiati di questo concorso, ma mi preme anche dire di avere ricevuto un attestato di partecipazione a detto concorso, a tergo del quale l’illustre Presidente della Sezione di Chiavari e tutti i soci iscritti al sodadizio, mi hanno espresso le loro “congratulazioni per l’ottimo racconto”.
L’ho scritto col cuore questo racconto e spesso mi sono commosso mentre lo componevo, lungi da me il solo pensare di ricorrere ad una eccessiva artificiosità, né tantomeno di ricorrere a parole ad effetto, frutto di una retorica davvero controproducente a cui non ho nemmeno pensato.
Tanti fatti dolorosi e criminali sono realmente accaduti durante la mia già lunga vita, quindi posso dire che non c’è retorica nel mio racconto perchè è tutto vero ciò che ho scritto.
Sono contro la guerra, sono per la costruzione di un mondo migliore, più giusto, più umano, senza disoccupati perché da anni sostengo che il lavoro è vita e vorrei davvero che scomparissero le condizioni miserevoli i cui vive, come tutti sappiamo, gran parte della popolazione del mondo.
Ringrazio tutti coloro che mi hanno letto. Ai quali formulo auguri di ogni bene e porgo i miei pù cordiali saluti,
Renato Sacchelli
Sono figlio di un militare che ha fatto la seconda guerra mondiale in Africa e Jugoslavia, è che stato internato in un lager nazista per due anni ed è rimasto in divisa anche dopo il conflitto,quindi rendo onore a tutti i soldati mandati spesso a combattere guerre assassine ed inutili.
Mi unisco ad Alfred e ad Alba ….perchè nel 2014 sarebbe necessaria un pò meno retorica, un pò meno di commistione tra Cristianesimo e Santa difesa del suolo Patrio.
I soldati devono essere “baluardo per la difesa delle nostre frontiere”…..ma quali frontiere? Quelle con la Svizzera? Siamo in Europa!!!!!
Forse consiglio di andare a vedere l’ultimo film di Olmi sulla prima guerra mondiale, per vedere quanta falsa retorica è stata seminata nei decenni e quanta crudeltà ignominiosa c’è sempre in una guerra e in chi la comanda.
Un bellissimo articolo di Renato Sacchelli ,tutta la mia ammirazione per le mns forze armate per il loro indiscusso valore e la loro disciplina .Un pensiero riverente va a tutti quanti hanno data la vita per la Patria ,che ricordiamo in questo giorno
se ho ben capito chi scrive è un ex ufficiale dell’esercito, un nostalgico delle forze armate, che ha fatto una lunga cronistoria dalla nascita dellONU ai tempi moderni.
Io certamente non sono la persona giusta per espremire un giudizio, ma lo faccio tramite Flavio Lotti in suo scritto come coardinatore nazionale della tavola della Pace,
Perugia4 Novembre2011 sempre valido questo scritto Oggi è la Festa delle Forze Armate, ma coi tempi che corrono, non c’è proprio nulla da festeggiare. Anzi, è arrivato il tempo di ripensare un’istituzione pubblica che ci costa ventisette miliardi di euro all’anno, che spende male e spreca moltissimo. Domandiamoci: A che ci serve mantenere 178.600 militari in servizio quando ne impieghiamo al massimo trentamila? Perché accettiamo che nel frattempo la polizia continui ad essere gravemente sotto organico? A che ci serve avere un generale ogni 356 soldati e un maresciallo ogni tre militari in servizio (in tutto 500 generali e 57.000 marescialli)? A cosa ci servono due portaerei, 131 cacciabombardieri, 400 carri armati e centinaia di altre armi che non potranno e dovranno essere mai utilizzate? Perché vogliamo costringere i giovani a pagare il conto delle armi che stiamo ancora costruendo? Perché continuiamo a mantenere quattromila soldati in Afghanistan quando tutti sanno che dieci anni di guerra non hanno risolto alcun problema? E ancora (sono le domande puntuali del Generale Fabio Mini): Perché illudiamo i giovani sulle prospettive d’impiego e buttiamo i soldi facendoli giocare alla guerra? Perché arruoliamo volontari per un anno quando abbiamo sempre detto che non basta per addestrare, non basta per mandarli all’estero e uno di loro costa complessivamente come uno in servizio permanente? Perché continuiamo a reclutare ufficiali e sottufficiali e li promuoviamo come se in futuro dovessimo avere dieci corpi d’armata? Perché diciamo di avere un esubero di marescialli che comunque sono già addestrati e una vita operativa futura di pochi anni e li vogliamo rimpiazzare con un ugual numero di sergenti da formare, addestrare e tenere in esubero per i prossimi 40 anni? Perché avevamo uno “scandalo” di comandi centrali e periferici ridondanti e oggi li abbiamo moltiplicati senza migliorarne l’efficienza? Perché dobbiamo lasciare alla speculazione e all’abusivismo gli immobili militari dai quali sappiamo di non ricavare nulla di significativo? Perché facciamo gravare gli oneri della crisi sul personale e non tocchiamo i contratti esterni, gli appalti, le forniture e gli sprechi?
La risposta a tutte queste (e a molte altre) domande è un atto dovuto a tutti i giovani che non riescono a trovare un lavoro, a chi lo sta perdendo, a chi pur lavorando tantissimo non riesce a vivere dignitosamente, a tutti quelli a cui i tagli del governo stanno rendendo la vita impossibile.
In poche parole: Non possiamo tollerare uno spreco così enorme, non ce lo possiamo più permettere. Dobbiamo programmare un taglio radicale delle spese. Dobbiamo ripensare in che modo e con quali strumenti vogliamo garantire la sicurezza del nostro paese e dell’Europa. E’ un dovere improrogabile!
PS. Oggi, 4 novembre, ricordiamo le vittime innocenti di tutte le guerre e di tutte le nazionalità, dai seicentocinquantamila italiani che sono stati ammazzati “nell’inutile strage” della Prima Guerra Mondiale ai quarantacinque militari italiani che hanno perso la vita in Afghanistan, i feriti, i mutilati, gli invalidi e tutti i loro familiari. Con questo spirito oggi rinnoviamo il triplice appello di Assisi: Mai più guerra! Mai più terrorismo. Mai più violenza!
Mammamia quanta brutta e inutile retorica!
Nessun popolo in quanto popolo ha mai dichiarato ad un altro popolo.
Le guerre le hanno sempre decise i potenti e per loro interessi.
Le decidono e mandano altri a farle.
Mandano uomini a morire e ad uccidere per cause che il più delle volte neppure conoscono.
Mandano ad uccidere popoli dei quali neppure sospettano l’esistenza in nome della libertà!
I soldati non sono eroi, se lo diventano lo diventano loro malgrado.
I soldato è obbligato a combattere: può scegliere.
Può scegliere di morire senza saper il perchè o scegliere di morire fucilato come disertore perchè si è posto domande alle quali nessuno ha dato risposte.
Tutti gli stati hanno sempre pensato di avere eserciti forti e potenti ma nessun stato ha mai pensato
di abolire tutti gli eserciti.
Mi spiace ma non me la sento di festeggiare strumenti di morte.
Un grande articolo di Renato Sacchelli, un excursus storico e civile sui legami, sempre rinnovati nella fiducia, con le forze armate, uno dei capisaldi del vivere civile, all’interno e nella collaborazione con gli altri Paesi.