E’ diventato un mondo veramente difficile, che ci “propone” molteplici patologie, dalle già conosciute, come le droghe e l’alcool, allo shopping esasperato,etc.
Leggevo su: “L’Espresso” di una patologia a me sconosciuta che sta mietendo vittime tra gli adolescenti, la fascia più soggetta e più fragile.
Un vero disturbo che, nato in Giappone e chiamato Hikikomori, (Hiki komori (引きこもり) letteralmente “stare in disparte, isolarsi”, dalle parole hiku “tirare” e komoru “ritirarsi”) si sta diffondendo anche qui da noi in Europa.
Sembra impossibile che degli adolescenti, che dovrebbero essere pieni di vita, si chiudano nella loro stanza, come dei misantropi, rifiutino il mondo esterno, la socializzazione.
Questa società con il progresso e la globalizzazione, ci ha portato nuove sindromi prima sconosciute, che minano l’avvenire dei nostri figli e nipoti.
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Vi riporto l’articolo di Luciana Grosso estrapolato da”L’Espresso”.
Per anni è stato considerato una questione tutta giapponese.[…]
E invece no. Perché gli Hikikomori, cioè gli adolescenti che rifiutano il mondo e si chiudono in camera per non uscirne più per mesi, anni o addirittura per tutta la vita, adesso ci sono anche in Europa e in Italia.
I primi casi italiani, sporadici e isolati, sono stati diagnosticati nel 2007, e da allora il fenomeno ha continuato a crescere e, seppure con numeri diversi da quelli giapponesi, a diffondersi”.
A spiegarlo è Antonio Piotti, psicoterapeuta in forze al centro milanese Il Minotauro,[…] Ad oggi non sappiamo con precisione quanti siano i giovani italiani che si sono ‘ritirati’- spiega Piotti -. Le stime parlano di 20/30 mila casi, ma il fenomeno potrebbe essere più ampio. In Francia se ne contano quasi 80 mila, mentre in Giappone, dove il fenomeno è quasi endemico, si parla di cifre che oscillano tra i 500 mila e il milione di casi.
Difficile riconoscere i sintomi di un Hikikomori,[…] Chi è depresso – spiega Piotti – tipicamente ha crisi di pianto, incapacità di relazione, continue lamentazioni su di sé e, nella sua sofferenza, c’è una forte componente di senso di colpa. Negli Hikikomori, invece, il sentimento prevalente è la vergogna. Si vive come un fallimento la distanza tra il mondo che si è immaginato e previsto per sé e quella che invece è la realtà: tanto più grande è la distanza tra la realtà che si era idealizzata e quella vera, tanto più grande sarà la vergogna che si prova”.[…] Alcuni giovanissimi fanno crash e prendono a evitare sempre di più il mondo esterno, fino a scegliere l’autoreclusione in un universo minimo, fatto solo di una stanza, in cui i contatti con il prossimo sono relegati solo all’universo virtuale dei social network o dei videogiochi e in cui non di rado il ritmo sonno veglia è completamente invertito. Tra i sintomi presentati dagli Hikikomori c’è una forte avversione per tutti i tipi di attività sociali, dall’uscire con i coetanei alla pratica di sport di gruppo, e, soprattutto, un’accentuata fobia scolare, non necessariamente motivata da brutti voti.[…] la competizione, non sempre vincente e felice, con quelli del proprio”.
A saziare le esigenze di chi si taglia fuori dal mondo esterno, pensa la Rete che dà risposte e aiuta a costruire legami senza troppi pericoli e senza metter in gioco il corpo. E proprio Internet è al centro di un’ampia discussione nella quale ci si chiede se il rapporto parossistico tra Hikikomori e web sia la causa o l’effetto della malattia. In merito ci sono due teorie: secondo la prima gli Hikikomori nascono per colpa della rete. La seconda, invece, a cui credo io, sostiene che i ragazzi stanno male comunque.
Una volta che ci si è reclusi in casa, poi, la Rete è oggettivamente un posto bellissimo dove andare, potenzialmente infinito e pieno di stimoli, in cui crearsi una vita fuori dalla vita.[…] “Al terapeuta tocca trovare il modo per entrare in contatto ragazzi che, appunto, non vogliono nessun contatto e, spesso l’unico modo per farlo passa proprio internet, con Skype o con le chat”.
vedi Mario io ho tanti nipotini e uno fra questi di 8anni tenta a isolarsi, bambino molto intelligente, sensibile forse anche troppo, vive in un mondo suo, sembra che a volte quando lo chiami non sente, tanto è preso dai i suoi pensieri che poi sono nulla. Però l’occhio vigile sia mio che di mia figlia abbiamo notato che tenta l’isolamento.
forse la sua insicurezza, la sua timidezza, ma la nostra attenzione cercando un dialogo pacato e molto personale, lui si è sentito più sicuro di se stesso, piano piano siamo entrati nel suo cervellino, aveva solo tanta paura di affrontare le cose. questo un anno fa adesso tanto è bello tanto è forte.
Vedi che in primis siamo sempre noi gli educatori e poi i psicologi, è fatica educare e i genitori moderni credono che mettendo in mano quei maledetti arnesi tecnologici di aver fatto tutto. ma non sanno che il dialogo si fa in famiglia se questa esiste e a mio parere non esiste più, questo è il male del mondo moderno
Io mi trovo d’accordo che in Italia il fenomeno sia ancora molto marginale ,puo’ esserci qualche caso ,da esibizione ,ma vedo ancora il ruolo del Genitore molto importante nella famiglia.Saro’ la solita ottimista ,ma cerchiamo di pensare positivo.
Pochi giorni fa ho visto una mamma che spingeva una carozzina e una bimbetta di tre anni (come massimo) era intenta a muovere le sue piccole dita su un giochino elettronico , non si guardava intorno , sembrava assente tra il rumore delle macchine e l’andirivieni della gente. Quella bimba , ne sono certo, a casa verrà messa davanti alla TV per vedere qualche cartone animato , così la mamma indisturbata potrà fare le sue faccende domestiche. Alla sera per addormentarla altra TV con la favoletta di turno…..fra qualche anno non ci dovrà stupire se questa bimba soffrirà della sindrome Hikikomori….o di qualsiasi altra sindrome da isolamento.
In Italia, anche se è già possibile trovare questi casi,il fenomeno non è diffuso tanto quanto in Giappone. Mario qui da noi è ancora marginale, non sembra sfociare nelle forme di totale preoccupazione. Certamente le nuove generazioni usano queste forme di tecnologia. Ritorno sempre a ricordare la figura del “Genitore” ruolo importante nella famiglia e nella società. Se c’è dialogo fra genitore e figli, forse si userebbe meno la tecnologia informatica e forse avrebbe anche una vita migliore.