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Orlando furioso
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A Ferrara è in corso (Palazzo Diamante) la mostra per il 500° anniversario “dell’Orlando furioso”, che si svolgerà dal 24 settembre 2016 all’8 gennaio 2017, a tal proposito Paola mi ha chiesto di parlare dell’argomento .
La mostra è ricchissima con opere di Mantegna, Giorgione, Piero di Cosimo, Andrea della Robbia, Michelangelo, Leonardo e molte curiosità sull’argomento.
Parlare di Ariosto e del suo Orlando non è cosa semplice nel ristretto spazio di un blog tematico, cito a sommi capi che si tratta dell’amore di Orlando per Angelica, della rivalità con Rinaldo, delle lotte dei paladini di Francia contro i mori e soprattutto delle fantasie che hanno anticipato tutti i “fantasy” dei nostri tempi.
Ariosto ha seguito le tracce del Boiardo con il suo “Orlando innamorato”, edito una cinquantina di anni prima, ma tutti e due hanno attinto dalle “chanson de Roland”, dalle saghe artùriane dei cavalieri della tavola rotonda, nate attorno ai primi decenni del mille. Già in quell’epoca i trovatori al seguito delle prime crociate raccontavano dei paladini di Carlo Magno, del mago Merlino e di altre mille fantastiche creature.
Nella Sicilia i Normanni francofoni portarono queste saghe ancora oggi rappresentate dai pupari ed illustrate sui famosi “carretti siciliani “.
Nell’Orlando furioso si dipanano le storie dei vari personaggi : Orlando , Rinaldo, Angelica, Bradamante , maga Melissa, mago Merlino, l’ippogrifo, la spada “durlindana” (Excalibur) , l’anello che rende invisibili (il signore degli anelli) , questi protagonisti , questi mostri e questi oggetti fanno vivere un “fantasy” ante litteram , nato soprattutto per glorificare gli estensi, allora signori di Ferrara.
Non mi posso cimentare nel riassumere il romanzo pieno di fatti che mi farebbero occupare spazi inimmaginabili per un blog tematico e per non far cogliere gli eldyani da crisi di sonno.
E’ argomento che uno se vuole può affrontare anche per vedere i parallelismi con romanzi e serie TV (es. il trono di spade) ed apprezzare la fantasia di Lodovico Ariosto.
Come dice giustamente Franco Muzzioli è impossibile riassumere un poema così complesso e ricco di personaggi come “Orlando furioso”, se siete interessati vi consiglio di leggere in wikipedia e scoprirete un racconto fantastico pieno di colpi di scena e di avventure.
La guerra di Carlo Magno, l’amore di Orlando per la bellissima Angelica e la sua follia quando la vede innamorata di un altro, ed infine gli amori di Ruggiero e Bradamante, dai quali discenderà la casa degli Estensi, signori di Ferrara ed il Cardinale Ippolito al quale è dedicato tutto il poema. (PCA)
La vita del cortigiano, Ariosto, di un cortigiano anomalo, controverso (per quei tempi), non amava… Adulare, si sentiva… Voleva sentirsene libero. Pratica (forse diffusa da sempre), diffusissima anche oggi dai cosi detti cortigiani, adulatori, “lechini” per interessi, propri per soddisfare e servire i potenti e/o il potere. Usava (forse il primo per quei tempi), ad usare la satira , l’ironia, contro il benefattore che lo teneva sotto l’ala protettiva. Preso dal web: ho cercato la traduzione in italiano moderno di quello che scrisse Ariosto al suo (per interposta persona al fratello), “padrone” cardinale Ippolito d’Deste.
Premessa: (Satire, I, 1-126) Scritta nel 1517 in occasione del trasferimento del cardinale Ippolito d’Este a Buda, la satira vuol essere un’ironica giustificazione da parte dell’autore del suo rifiuto a seguire il suo signore in Ungheria, motivato con ragioni di salute ma, in realtà, riconducibile al desiderio di Ariosto di non lasciare l’Italia e di non separarsi dalla sua donna e dal figlio Virginio. Lo scrittore si rivolge idealmente al fratello Alessandro e al gentiluomo Ludovico da Bagno, rimasti al seguito del cardinale, e colpisce con ironia sferzante il malcostume diffuso nelle corti, in cui l’adulazione sembra essere l’arte più apprezzata dai signori e più praticata dai cortigiani, costretti per il resto a condurre una misera vita cui Ludovico intende sottrarsi (benché egli sia poi passato al servizio del duca Alfonso). Ariosto sottolinea anche che la produzione letteraria importa poco ai potenti, assai più interessati al servilismo degli uomini di corte, e lamenta come tale condizione sociale sia strettamente legata al bisogno di denaro e all’impossibilità per lui di mantenersi unicamente grazie all’opera poetica. Il lamento di Ariosto, serio e velato di amaro sarcasmo, anticipa la condizione ben più drammatica di T. Tasso per il quale la corte diverrà una sorta di prigione da cui è impossibile evadere.
► Il Rinascimento
► Ludovico Arioso
A MESSER ALESSANDRO ARIOSTO
ET A MESSER LUDOVICO DA BAGNO
Io desidero sapere da voi, fratello Alessandro e amico mio [Ludovico da] Bagno, se a corte ci si ricorda più di me; se il signore [Ippolito] mi accusa ancora; se qualche altro cortigiano si alza a mia difesa e dice la ragione per cui, mentre gli altri partono, io resto qui; oppure, tutti esperti nell’adulazione (l’arte che più di ogni altra si studia e pratica fra di noi), l’aiutate a biasimarmi in modo irragionevole. È pazzo colui che vuole contraddire il suo signore, anche se dicesse di aver visto le stelle di giorno e il sole a mezzanotte. Sia che il signore lodi, sia che voglia offendere qualcuno, subito si sente un’armonia di tante voci che si accordano tra quelli che ha attorno; e chi per modestia non ha il coraggio di aprir bocca, approva con tutto il viso e sembra voler dire: «Anch’io sono d’accordo». Ma se per altre cose potete biasimarmi, almeno dovete riconoscere che, volendo io rimanere in Italia, lo dissi apertamente e non in modo coperto. Addussi molte ragioni e tutte vere, ciascuna delle quali, anche da sola, doveva essere degna di trattenermi qui. Anzitutto la vita, alla quale ho poche cose da preferire, anzi nessuna, e che non voglio che sia abbreviata dal cielo o dalla fortuna. Ad ogni pur minima alterazione del male di cui soffro, potrei morire, altrimenti il Valentino [medico di corte degli Este] e il Postumo [medico amico di Ariosto] sono in errore. Non solo lo dicono loro, ma io comprendo i miei mali meglio di chiunque; e so quali rimedi mi siano utili, quali dannosi. So come la mia natura mal si adatta agli inverni freddi; e là, vicino al polo [in Ungheria] voi li avete più intensi che in Italia. E non sarebbe solo il freddo a nuocermi, ma anche il caldo delle stufe, che a me è così dannoso che lo fuggo più che la peste. E in questo paese [l’Ungheria] non si abita se non in ambienti riscaldati: vi si mangia, si gioca e beve, vi si dorme e si fa tutto quanto. Chi viene da qui [dall’Italia] come può sopportare l’aria gelida che viene dalle vicine montagne Rifee e che disturba il respiro?
A causa del vapore che, levatosi dallo stomaco, produce catarro nella testa e cala poi nel petto, resterei soffocato in una notte. E il vino denso, a me proibito [dai medici] più del veleno, laggiù si beve smodatamente, ed è sacrilego non bere molto il vino puro. Tutti i cibi sono conditi con pepe e zenzero e altre spezie, che il medico mi proibisce tutti come nocivi. Potreste dire che qui [a corte] avrei degli appartamenti privati, dove potrei sedere presso il camino al fuoco, e non sentirei l’odore di piedi o di ascelle, né i rutti; e il cuoco potrebbe condirmi i cibi secondo i miei desideri, e potrei annacquare il vino a mio agio, e berne poco o niente. Dunque voi stareste insieme, io invece starei solo nella mia cella dal mattino alla sera, e mangerei solo a mensa come un frate certosino? Mi occorrerebbero pentole e vasi da cucina e da camera, e dovrei dotarmi di suppellettili come una novella sposa. Se mastro Pasino [il cuoco di corte] vorrà cucinare separatamente per me una o due volte, alla quarta e alla sesta si arrabbierà con me. Se io vorrò alcune cose che Francesco di Siviero [il dispensiere di corte] avrà acquistato per il seguito del cardinale, potrò averne molte mattina e sera. Ma se io dirò: «Dispensiere, comprami questo, che non alimenta gli umori del cervello; questo no, perché acuisce troppo il catarro», per una volta o due che mi ubbidisce quattro o sei volte se ne dimentica, oppure non osa farlo perché teme che l’acquisto non sia approvato dal cardinale. Mi ridurrei a mangiar pane; e da questo nascerebbe la mia collera; ed ecco che per due parole io e gli amici inizieremmo a litigare. Mi potreste anche dire: «Manda il tuo domestico a comprarti i pasti a tue spese; mangia i tuoi polli cotti sul tuo camino». Ma io, per il mio cattivo servizio da cortigiano, non ho ancora tanto denaro dal cardinale da poter allestire un’osteria nella corte. Apollo, per grazia tua e del sacro collegio delle Muse tutte, per i testi ispirati da voi non possiedo quanto basta a comprarmi un mantello. «Oh, ma il tuo signore ti ha dato denari…»; ve lo concedo, e infatti ne ho acquistato più di un mantello; ma non credo che mi abbia dato soldi per opera vostra [in cambio di versi]. Lui stesso lo ha detto: anche io voglio dirlo a tutti e posso mandare a mio piacimento i miei versi al Colosseo per il sigillo. Ippolito non vuole che la sua lode composta da me in versi sia considerata opera degna di compenso; lo è invece il correre da una stazione all’altra [seguirlo ovunque lui vada]. A chi lo segue nel Barco [parco degli Este] e in villa dà denaro, e a chi lo veste e lo spoglia, o fin dal pomeriggio mette i fiaschi di vino al fresco nel pozzo per la sera; a chi sta sveglio la notte, fino al risveglio dei fabbri bergamaschi quando fanno chiodi, cosicché, spesso, si addormenta con la torcia in mano. Se io l’ho messo nei miei versi per lodarlo, dice che l’ho fatto per mio piacere e per passare il tempo; sarebbe stato più gradito seguirlo. E se mi ha associato al Costabili nella cancelleria arcivescovile di Milano [un beneficio ecclesiastico], così che ottengo un terzo di quanto viene pagato al notaio per ogni affare, ciò accade perché qualche volta io sprono e sferzo i cavalli cambiando bestie e guide, e perché corro in fretta per monti e dirupi, scherzando con la morte. Fa’ come ti suggerisco, Marone: getta i tuoi versi con la lira in un cesso e apprendi un’arte che sia più accetta [della poesia], se vuoi benefici. Ma non appena li hai ottenuti, pensa che avrai perso la tua preziosa libertà, non meno che se l’avessi giocata a dadi; e mai più questa tua condizione cambierà, anche se tu e il cardinale vivrete alla veneranda età di Nestore. E se mai progetti di sciogliere un tale legame [la servitù al cardinale], lo potrai fare, ma solo a patto che lui possa riprendersi con sua pace quello che ti avrà dato.
Ottima idea ,sono in GRECIA ,comincia il tempo brutto ,nn mastico bene la lingua ,,,,combinata vncente ,uno rilettura dei classici è quanto ci vuole,nn l’avrei mai fatto…………
Traendo esempio dal postulato di Antoine Laurent de Lavoisier che per la fisica affermò:
« Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma »
Possiamo dire che anche nella letteratura, cinema, teatro, fiction TV, di oggi, nulla si inventa se tutto trova riscontro nella grande opera di Ludovico Ariosto, l’Orlando furioso, appunto. Lettura piacevole e interessante. Grazie a Paola per l’idea e a Franco per i consigli turistico/gastronomici, molto stuzzicanti. Grazie.
Smitizzo l’argomento … chi ha intenzione di visitare la mostra di Ferrara non perda l’occasione di andare al Leon D’oro a mangiare i maccheroni pasticciati in pasta frolla dolce (ricetta dell’epoca di Ariosto). Un’armonia di dolce e salato con una besciamella al tarufo da urlo. Se mangiate solo quello non spendete certamente follie (poco più di una pizza)…Ne vale la pena… ed entrate nell’atmosfera estense.
Ottima idea ha sugggerito Paola, a Franco! Molti di noi ricorderanno Ludovico Ariosto e l’Orlando Furioso, qualcuno meglio qualcuno peggio, ma la curiosità di approfondire , o iniziare, la conoscenza potrebbe essere un incentivo per rileggere pagine della nostra letteratura, che spesso abbiamo un po’ trascurato!
Bentornata, Paola e ben ritrovato Franco, con la mostra sull’Orlando furioso di Ferrara. Molto interessante il pezzo (sospeso fra favola e possibile realtà). In sintesi, una bellissima lettura. Grazie.