Vi piacerebbe vivere come in un villaggio? Poter scegliere uno spazio, un luogo e vivere circondati dalle persone che condividono i vostri stessi usi,i modi di pensare?
Vi piacerebbe vedere i vostri nipotini “merendare “e giocare insieme a tanti altri bambini sotto il vostro discreto e non invadente controllo?
Vi piacerebbe ipotizzare che non ci saranno , a meno che non li vogliate voi per scelta, momenti di solitudine ?
Provate cosa possono diventare le vostre cene, i vostri pranzi, le feste consumate insieme ai vostri amici?
L’uomo è un animale sociale, ha bisogno di vivere, per l’espletamento di tutte le sue funzioni vitali, degli altri; ma purtroppo spesso, e chi vive nei condominii delle grandi città lo sperimenta quotidianamente,si fanno i conti con le inciviltà altrui pagandone il prezzo in limitazione della propria libertà.
Solitudini silenziose consumano la vita di tanti, ingigantendone i problemi.
Provate ad immaginare come possa essere bello avere un problema e sapere che non siamo soli ad affrontarlo e risolverlo.
Un punto fermo nella mia vita è stato sempre pensare e crederci che: condividere, dividere è moltiplicare!
E’ sempre stato il mio sogno fin da quand’ero ragazza, e scoprire leggendo qui e là che questo mio sogno da qualche parte del mondo stà diventando una filosofia di vita , mi ha reso felice e voglio rendervi partecipi.
Non vi sto raccontando una favola spaziale e impossibile ma semplicemente vi illustro il “cohousing”e i “cohouser”, coloro che già sperimentano questo nuovo modo di abitare.
Esigenza di stare meno da soli o gusto per l’eccentrico?
Si è veramente giunti al collasso del sitema liberista e dell’alienante società globalizzata oppure è solamente voglia di sperimentare?
Di fatto il cohousing in Europa è una realtà concreta dagli anni ’60 dove il “movimento” ha preso piede in Danimarca.
Si tratta di una forma di socialità in senso stretto, che consente ad una comunità di persone di condividere i propri spazi in un’ottica di miglioramento della qualità dela vita, di risparmio e di esistenza eco-sostenibile.
In poche parole un tentativo di sottrarsi al modo di vivere disgregato e solitario che la società ci propina in mille forme, tenendoci incollati al televisore, elimindando dalle città luoghi di aggregazione e di fatto ostacolando ogni forma di socialità in senso lato.
La socialità è fucina di idee.. la socialità è il popolo in movimento.. la socialità è presa di coscienza.
I cohouser che hanno capito l’importanza della questione decidono autonomamente di spezzare le barriere e seppure nell’intimità del nido domestico di condividere qualcosa di loro con il mondo esterno (o almeno con una selezionata minoranza… del resto bisogna pur scegliere chi mettersi dentro casa),ecco nascere:
nel giardino del proprio vicino un piccolo internet-cafè dove scrivere poesie e condividere libri;
la cucina di qualcun’altro diventare lo spazio per preparare il pranzo a tutti i bambini delle varie famiglie che devono andare a scuola;
la rimessa di un’altro ancora diventare un laboratorio per darsi tutti insieme al fai da te e perchè no? magari al bricolage.
Lo spazio verde con l’esperienza di alcuni fiorire di stagione in stagione e profumare di basilico e lavanda…
I costi di gestione e gli sprechi energetici diminuiscono: si va a fare la spesa in un’azienda agricola biologica e si ottiene cibo di qualità ad un prezzo inferiore (visto che comprano da mangiare per 30 o 40 famiglie) magari utilizzando un solo furgone (avete mai pensato a 40 padri di famiglia che escono in macchina per comprare il pane… alla faccia della CO2 ?).
In italia ovviamente, dove la socialità è avversata più che mai e vige il controllo sociale applicato dalle istituzioni, si stanno muovendo solo ora i primi passi in questa direzione ed a ridosso delle principali metropoli del nord ed a Roma, sono stati avviati progetti per il “vivere insieme”.
In italia in particolare è molto sentito il problema ambientale (non si direbbe a giudicare dal ministro dell’ambiente che continua a difendere un’ottica arretrata che ripropone il nucleare) tanto che pare essere proprio questo il motore che spinge i nostri conterranei a pensare alcohousing come alternativa eco-solidale.
Semplice 29aprile2009
Certo è essenziale avere le strutture capaci di favorire il fenomeno esaminato con tanta passione da Semplice. E soprattutto è importante, essenziale, il modo di costruire le case. E’ una battaglia sulla quale occorrerebbe coinvolgere grandi protagonisti collettivi. Forse, in Italia, la socialità non è così malmessa come si crede.
Leggendo l’articolo ho pensato ai gruppi di acquisto di recente formazione, nati per far fronte al rincaro delle materie prime, dando vita al consumo a Km 0, cioè acquistare nell’azienda agricola vicina prodotti che non hanno attraversato l’oceano. I gruppi spuntano anche prezzi favorevoli e addirittura in qualche caso salvano aziende dal fallimento (come è avvenuto ad un’azienda casearia nel mantovano). Oltre ai gruppi di acquisto non posso non pensare alle Comunità di CL che di fatto da decenni fanno questo, o alle comunità che c’erano (ci saranno ancora?) in Valmalenco e in ultimo le Banche del Temppo. La famiglia nucleare degli ultimi decenni, senza la tribù di nonni, zii, cugini e nipoti, è limitata. Le migrazioni interne, indubbiamente hanno favorito lo sviluppo involutivo del senso di appartenenza. Portare all’attenzione quanto accade altrove, come in questo articolo, fa ben sperare. Situazioni che aggregano salvaguardando gli spazi intimi del vivere e al tempo stesso far apprezzare e riscoprire quanto è bello stare insiene.