Questa è la storia di un siciliano che molti anni fa è approdato a Roma. Un importante approdo la capitale, grande metropoli. Da allora, il ricordo, il rimpianto della Sicilia è stato sempre più lontano. Sicilia bella, madre ingrata che hai reso possibile il distacco, ti amo e ti odio, non potrò mai dimenticarti ma se dovessi tornare sarei molto diverso da quello che ero quando sono partito.

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Cittadino cresciuto nei problemi altrui che sono divenuti i miei problemi. Cittadino consapevole, libero, cittadino romano.

Pirandello, ne “Il fu Mattia Pascal “, fa dire al suo personaggio principale, fuggito a Roma per scomparire: “Scelsi allora Roma, prima di tutto perché mi piacque sopra ogni altra città, e poi perché mi parve più adatta a ospitar con indifferenza, tra tanti forestieri, un forestiere come me”.

A ben vedere, l’indifferenza, tanto auspicata da quel personaggio, costituisce un male della grande città, che può essere bella, bellissima, ma non dovrebbe mai essere indifferente se vuol essere fonte di affetto e gratitudine da parte di uomini, donne, anziani, bambini particolarmente fragili perché sradicati. Per questo la Sicilia, anche quando è stata matrigna con i suoi figli tanto da costringerli all’abbandono, rimane per molti, nello sfondo dei pensieri, invincibile perché evanescente, romantica. Ma i confronti finiscono qui. Si capisce ben presto, stando a Roma, che non c’è indifferenza reale, anzi c’è accoglienza, curiosità, simpatia, e che quella che può sembrare indifferenza in realtà è rispetto.

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E’ quello che ho capito quasi subito. E ho capito, ho desiderato fin da subito che volevo essere un cittadino di questa meravigliosa città. D’altra parte, guai a non sentirti cittadino di una città. Guai a vivere del rimpianto di qualcosa che per di più non hai  mai avuto. Guai a formare gruppi di alienati in una città di altri. Roma, grazie a Dio, ha una storia tradizionale di apertura nei confronti dei “forestieri”, i quali, dopo un minimo di adattamento, si sentono romani. E anche i forestieri vivono tutti i problemi della città senza, ovviamente, badare alle loro origini regionali. Quando non passa l’autobus, i servizi sociali non funzionano, il lavoro manca, tutti si disperano, romani, siciliani, liguri, abruzzesi. Tutti sono cittadini romani.

Conoscendoli un po’ penso che l’aspirazione profonda dei siciliani, come di tutti gli uomini, sia  la libertà, la dignità, il piacere di vivere e di operare, di crescere. Se si eccettuano le “sacche” di miseria, di ignoranza, di delinquenza, di turpitudine, che richiedono interventi sociali generali, il siciliano romano è un buon cittadino che, quando anche ha motivi di insoddisfazione, li esprime con civiltà e desiderio di comprendere e di essere compreso. E’ un buon cittadino e nei suoi confronti il “romano” ha di solito pazienza e considerazione perché comprende che la sola urbanità nei modi non basta e che spesso la rabbia, la decisione, la presa di posizione possono essere anch’esse utili per far crescere, far funzionare una società. Comprende che occorre, in una certa misura, essere anche un po’ selvaggi. Appunto, come i siciliani.

Liolà esprime in modo stupendo questa capacità naturale dei siciliani: “Non sono uccello di gabbia, zia Croce. Uccello di volo sono: Oggi qua, domani là: al sole, all’acqua, al vento”. Certo qualcuno può vedervi una particolare enfasi per una libertà di fare quel che si vuole. Ma il siciliano a volte dice più di quello che sente. E non mi pare dubbio che egli, nella quasi totalità dei casi, sa usare bene la sua libertà. Spesso, molto spesso vivendo a favore degli altri e della collettività. Vivendo i suoi problemi con dignità e consapevolezza. Sapendo protestare e farsi rispettare. Perché i siciliani, a Roma come in Sicilia, sanno che molti problemi hanno bisogno di tempi lunghi per essere risolti. La loro pazienza: anch’essa è un’antica virtù che si può mettere al servizio della collettività cittadina.

Vengono in mente le meravigliose parole di Quasimodo, rivolte a suo padre, un padre meraviglioso, come sanno essere tanti padri siciliani: “La tua pazienza, triste, delicata, ci rubò la paura”. Il richiamo all’antica pazienza, all’antica saggezza ha sicuramente costituito per i siciliani presenti a Roma, siciliani di nascita e oriundi, che sono centinaia di migliaia, un impegno profondo e duraturo. Un conforto alla disperazione che talvolta ha potuto far nascere un groppo alla gola. Un antidoto alla solitudine certamente sofferta in svariati momenti, quando verrebbe voglia di tornare anche correndo nella propria terra, lasciata senza amore e sognata con rimpianto.

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Ma Roma è Roma, è il nostro amore, la nostra città. “Semo de Roma” anche noi, “ ce potete contà”.

lorenzo.rm 06//05//2009

8 Commenti a “SICILIANO, CITTADINO DI ROMA ADORATA (scritto da lorenzo.rm inserito nel blog da paolacon)”

  1. lorenzo.RM scrive:

    Cara Maria, la Sicilia continua a rappresentare un sogno per quanti non la conoscono e sempre una madre per quanti se ne sono andati. Miseria e nobiltà la caratterizzano. Ma, a parte il richiamo del sentimento, sono cittadino romano e non andrei mai via dalla mia città.

  2. lorenzo.RM scrive:

    Le osservazioni di paola sono, e come poteva non essere?, intelligenti e puntuali. Certo, bisogna sentirsi ed essere cittadini del mondo e considerare le proprie radici un patrimonio da apportare alla società in cui ognuno di noi si inserisce e, per ciò stesso, fa sua partecipando alla vita comune. Il superamento della mia sicilianità, pur non esendo stato indolore, si è verificato agevolmente nel nome della dea Roma.

  3. lorenzo.RM scrive:

    cara nadia, io ricordo chiacchiere mattutine con nadia e stefy. Se non eri tu mi fa comunque piacere averti conosciuto ora.

  4. edis.maria scrive:

    Ritrovo nelle prime cinque righe del tuo scritto le parole dette sempre da mio padre , siciliano di Trapani.Partì dalla sua città giovanissimo ed emigrò negli USA.Dopo pochi anni s trasferì in Libia senza neppure passare per la Sicilia che considerava ,come te, terra bella ma ingrata.Dopo la guerra, viste le condizioni del posto, venne in Piemonte dove si trovò molto bene , accolto da tutti con stima e rispetto.Raramente torno a Trapani che considerava con affetto, ma con ricordi deleteri.Ora la Sicilia è cambiata, fortunatamente, ed io ci vado sempre volentieri

  5. paolacon scrive:

    Interessanti le tue riflessioni sull’integrazione in un’altra città non tua x nascita, ma devo dire che mi dispiace sentir parlare di: “i siciliani”, “i romani”, “ gli italiani” come fosse un marchio di fabbrica.
    Aborro queste generalizzazioni; sono esseri umani, cittadini del mondo e teste pensanti. È vero che un certo tipo di tradizioni, abitudini e cultura influenzano il nostro agire e tutti noi siamo facile preda di classificazioni. (io, come tu ben sai, la classifica la vivo da anni sulla mia pelle)
    Tu dici una cosa sacrosanta, però: “Guai a non sentirti cittadino di una città. Guai a formare gruppi di alienati in una città di altri”. Io aggiungo: guai a vivere nel rimpianto di qualcosa che non può ritornare. Come ho visto fare in tante comunità, non ultima quella italiana in USA.
    È questa consapevolezza, secondo me, che ha fatto sì che la tua integrazione in una città, che non era la tua x nascita, fosse positiva e quasi indolore.
    Non la tua sicilianità.

  6. nadia4.RM scrive:

    lorenzo scusami ma quando mai ci siamo visti?…forse ti sbagli con un’altra nadia che peraltro nn è di roma

  7. lorenzo.RM scrive:

    nadia, se parlamo de’ romane ‘a bocca se sciacquamo. Grazie e tante cose care. Se vedemo poco ormai, ‘a matina.

  8. nadia4.RM scrive:

    lorenzo ..la conosci quella canzone che dice ……..e le baresi co le toscane se mpareranno a parla’ romane ,e se diranno vie’ giu’ a marietta s’annamo a beve n’antra fojetta la veneziana che fu mantina ,la chiameremo cor nome nina ……e le baresi e le napoletane lassatele passa’ che so romane …venite tutti a roma v’aspettamo ,se dice che piu semo e mejo stamo………grazie lorenzo…….da una vera romana

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