Le ultime festività pasquali le abbiamo trascorse, mia moglie ed io, a Padova, ospiti di mio figlio. Siamo arrivati a Padova nella stessa giornata in cui, a scuola, finivano le lezioni, lasciando il posto alle vacanze che sarebbero iniziate dal giorno successivo. Per fare una sorpresa al mio nipotino, Francesco, sono andato a rilevarlo, al posto di sua madre, all’uscita dalla scuola.

Grande è stata la gioia di Francesco nel vedermi e, dopo gli abbracci e le domande “di rito”, mi ha centrato, come con un cazzotto a freddo, in pieno stomaco, con questa domanda: “nonno, tu che sai tutto, dovresti spiegarmi, per favore, in maniera esaustiva (sic!), il significato della morte”. Mi sono reso conto che ad un adolescente di prima media, di undici anni, non potevo parlare come ad una persona adulta e, preoccupandomi di non infliggergli traumi psichici, avuto riguardo alla materia trattata, gli ho risposto pressappoco così: “caro Francesco, nessuno mi ha mai fatto prima una domanda del genere. Intanto, temo che tu abbia di me un’opinione troppo lusinghiera. Forse mi consideri un’enciclopedia, quale vorrei essere, ma non sono. Sono un vecchietto, e non perché sia un matusalemme, che da tanti anni bruca l’erba del sapere, della conoscenza, né più né meno di come faccia tu, di come faccia il tuo papà, di come facciano un po’ tutti quelli che hanno voglia di assumere un minimo di conoscenze e di aggiornamenti. Forse tu scambi la mia disponibilità, la mia gioia nel parlare con te, con qualcos’altro. Quando ero più giovane ed il tuo papà aveva la tua età, anch’io mi soffermavo poco a parlare con lui che, poverino, a sua volta si rivolgeva al nonno od a qualche zio per sapere qualcosa che non conosceva. Tutto qui.

Per quanto riguarda, poi, la domanda specifica che tu mi hai rivolto, al momento mi sento di poterti dire soltanto che la morte è la fine di un ciclo esistenziale. Questo vale, credo, per gli uomini, per gli animali, per le piante. Poi, ci sarebbero altri concetti, per rendere più “esaustiva” la risposta. Ma sono concetti che riflettono, nel tempo, i più variegati punti di vista, espressi da filosofi, umanisti, dottrine religiose. Credo che tu, per poter conoscere le definizioni di questi concetti ed ampliare le tue cognizioni, debba attendere (quando sarà tempo), lo studio della filosofia, delle religioni, delle consuetudini dell’Uomo nei secoli. Nel frattempo, non fartene un cruccio, vivi la tua vita serenamente e spensieratamente poiché quello che sai, sulla vita e sulla morte, è di per sé sufficiente a farti essere l’ottimo ragazzo che sei”.

La domanda postami dal mio nipotino mi ha arrovellato il cervello per tutto il tempo di mia permanenza a Padova. Tornato a Brindisi e certo di non saperne “in modo esaustivo” dell’argomento, sono andato alla ricerca per rinfrescarmi la memoria e per soddisfare una mia esigenza intima. Ho rivisto il pensiero di vari filosofi, umanisti. teologi, da Marco Aurelio a Leibniz, da Plotino a Shopenhauer, Sant’Agostino fino a Dilthey, Heidegger ed anche ai più recenti. Ho esaminato riviste scientifiche universitarie.

Ciò che più mi ha colpito è stato l’aspetto di negazione della morte nella società laica, ossia nella cosiddetta società secolare. Credo valga la pena sottoporre alla vostra riflessione, amiche ed amici di Eldy, ciò che sono riuscito a focalizzare perché di più mi ha colpito.

Ripercorrere il cammino del “senso della morte”in Occidente è stata una delle imprese storiografiche più suggestive del declinare del secolo ventesimo. Di fronte ad un sistematico e quasi ossessivo occultamento della morte –segno di una sfida non ancora vinta e forse mai vincibile – l’uomo occidentale ha voluto rivisitare, sotto questo aspetto, il suo passato per essere aiutato a leggere più in profondità il suo presente ed il suo stesso futuro.

Il tema della morte non può essere affrontato fuori del nuovo orizzonte aperto dalla scienza e dalla tecnologia. Gli ultimi secoli della storia dell’Occidente sono stati caratterizzati dalla progressiva scoperta delle leggi della vita e dalla graduale acquisizione alla scienza di “territori” che sembravano essere destinati a sfuggire per sempre alla sua presa. L’uomo rimane un mistero, ma un mistero largamente esplorato, in cui restano alcune zone d’ombra che, si spera, potranno essere a poco a poco illuminate. La stessa origine della vita ha perduto, in larga misura, la sua oscura sacralità ed è stata analizzata in tutte le sue dimensioni. La vita è diventata “manipolabile” e in qualche misura “costruibile” artificialmente: le nuove tecniche procreative sembrano avere consentito il valico del confine fra sapere e potere.

Ciò che è stato possibile nella fase d’origine – con il conseguente, quasi completo, assoggettamento della vita iniziale alla scienza – rimane ancora difficile e problematico a livello terminale: la morte resta fuori del quadro del dominio della tecnica; può essere rinviata, forse a scadenze fino a ieri inimmaginabili, ma non può essere né elusa, né superata e rimane lì a ricordare che l’uomo è un essere finito e che il superamento della finitezza è possibile, semmai, soltanto su un piano diverso da quello della pura e semplice vita biologica.

La morte finisce così col mettere in discussione la vita stessa, che può diventare, secondo la tragica espressione di Heidegger, un “essere per la morte”. Ma è appunto questo ciò che la scienza e la tecnica – a differenza della religione e della filosofia – non riescono ad accettare. Di qui l’ eclissi della morte nella società contemporanea: non potendo eliminarla, l’uomo la esorcizza, occultandola ed emarginandola.

Gioca un ruolo decisivo, in questo processo, il fenomeno della secolarizzazione, soprattutto nella sua dimensione scientista, all’interno della quale è la scienza che dà finalmente le risposte che le religioni non avevano saputo offrire. Non vi è, sotto questo aspetto, problema al quale non si possa dare, prima o poi, una soluzione: resta all’interno delle scienze, come delle religioni, la prospettiva del rinvio, ma si tratta qui di un rinvio “storico” – il “non ancora”, che tuttavia presto verrà – e non di un rinvio “escatologico”, ad altri cieli e ad altre terre.

In questo contesto la morte appare uno “scacco”, e, dunque, deve essere rimossa dalla coscienza e, in quanto possibile, dominata.

La spinta così fortemente presente, nella nostra cultura, all’eutanasia, va letta esattamente in questa direzione, quasi come tentativo disperato di appropriarsi, seppure in forma negativa, della morte. Non potendola impedire, ma al più soltanto rinviare, l’uomo contemporaneo tenta di assoggettarla a sé, di gestirla, di esserne padrone, di deciderne dunque i tempi e le modalità. Ma è questo, in realtà, un “dominio” surrettizio e camuffato, perché la morte non si lascia né imbrigliare, né imprigionare ed alla fine la stessa scienza deve riconoscere la propria sconfitta.

L’intero atteggiamento dell’ Occidente nei confronti della morte può essere letto così in termini di “rivelazione” e di “occultamento”. La stagione religiosa è stata quella della rivelazione non solo della realtà della morte, ma del suo senso profondo: della morte si parlava come di un aspetto della vita, con essa ci si confrontava e ad essa ci si preparava. La morte era inserita nella vita ed insieme veniva sentita come transito o come passaggio.

Nel momento in cui, con l’avvento della società secolare, la morte ha smarrito agli occhi di molti il suo significato religioso e la categoria “di passaggio” (che presuppone, ovviamente, un “al di là”) ha perduto il suo significato, rimane soltanto il concetto di “fine” o di “termine”; ma è proprio questa finitezza e questa terminazione , che l’uomo occidentale non riesce più ad accettare, che lo induce, conseguentemente, all’occultamento.

Poche “spie” sono, al riguardo, più eloquenti del “linguaggio”, che edulcora e stempera la parola “morte”, sostituendola con una serie di eufemismi che, appunto, cercano di nascondere una realtà sgradita, imprevista, in qualche modo inaccettabile da chi aveva presunto di poter dominare il mondo e che alla fine deve ancora fare i conti con la morte. Si trasferisce la morte lontano dalla casa, in ospedali in cui pochi soltanto, talvolta da lontano, possono assistervi; si seppelliscono i morti fuori dalla città, in spazi che vengono in qualche modo eclissati e sono oggetto di nuovi, oscuri “tabù” dell’uomo tecnologico; si evita persino di parlare ai bambini di coloro che sono morti per non turbare, si pensa, il tranquillo candore con traumatiche rivelazioni di un’improvvisa assenza.

Nonostante tutto, peraltro, la morte continua a percorrere le strade dell’Occidente opulento e tecnologico; rimane compagna dell’uomo anche nell’età delle scoperte scientifiche. Ritornare al passato, confrontarsi con la schiettezza e con la stessa, pur drammatica, “tranquillità” con la quale si guardava alla morte, la si accettava e talora la si attendeva, contribuisce ad esorcizzare il trauma della morte, a ricollocarla al suo giusto posto, quello di punto terminale, e, in qualche modo, di maturazione e di pienezza, del grande ciclo della vita. La morte, amiche ed amici, è un evento fisiologicamente irreversibile.

Franco3.br (già Fgiordano.br)

 

14 Commenti a “LA NEGAZIONE DELLA MORTE NELL’ETA’SECOLARE (scritto da Franco3.br e inserito nel blog da Semplice)”

  1. flavio.46 scrive:

    Platone riteneva che la morte fosse l’inizio di un ciclo di vita (l’immortalità). Epicuro diceva che quando ci siamo noi non c’è la morte e quando c’è la morte non ci siamo noi. Per Hegel la morte era la fine del ciclo dell’esistenza individuale e Tolstoi la vedeva come una minaccia incombente sull’uomo. Il concetto biblico invece (che per la verità e il più distante dal mio modo di vedere) considera la morte come la pena del peccato originale.
    Credo invece che si possa cndividere il concetto della morte espresso da Heidegger il quale sosteneva che ogi possibilità esistenziale può come possibilità non essere, la morte è la nullità possibile di ognuna e di tutte le possibilità esistenziali e costituisce la limitazione fondamentale dell’esistenza umana come tale.
    Ma forse, e non vorrei apparire dissacratorio, il vero significato della morte l’ha indicato un grandissimo personaggio chiamato principe Antonio De Curtis, in arte Totò, il quale, con una bellissima trattazione poetica, ci disse che la morte è una “livella”.

  2. franco3.BR scrive:

    Carissime amiche ed amici di Eldy,
    nel momento in cui ho effettuato la ricerca sulla “morte nell’età secolare”, mi sono indirizzato esclusivamente ad indirizzi filosofici, escludendo, a priori, ogni riferimento teologico inteso sia come conoscenza degli dei, sia come successiva scienza di Dio e delle cose divine. L’ho fatto immaginando che un qualsiasi, eventuale riferimento avrebbe scatenato una polemica difficilmente controllabile. Quello che maggiormente è predominante, nella mia ricerca, è il pensiero platonico il quale ci ha tramandato il suo sapere in epoca antecedente il Cristianesimo. Era convinto, come altri filosofi suoi predecessori, che esisteva un’aldilà e che non c’era necessità di “fede” o di cristianesimo per credere questo. Quindi, qualsiasi deduzione si possa fare su quest’argomento è soltanto un sillogismo gratuito che, a mio modestissimo parere, non muta il concetto da me espresso sull’interpretazione della morte nell’età secolare la quale, ripeto, con tutto può essere interpretato ad eccezione dello strumento teologico. Un abbraccio

  3. antonio2.LI scrive:

    Anche la chiesa formata dai credenti sta attraversando una crisi e uno degli indici più evidenti è il calo dei matrimoni religiosi molto evidente in tutta europa e anche in italia.Riporto da Wikipedia :
    La progressiva disaffezione nella religione cattolica e, più in generale, verso il sentimento religioso. I matrimoni religiosi sono scesi dai 257.555 del 1991 [18] ai 214.255 del 2000 [19], fino a calare a 163.721 del 2007 [20]. Infatti, come si evince dai dati, l’incidenza dei matrimoni con divorziati e con stranieri non può spiegare da sola il 34,61% dei matrimoni civili nel 2007.

  4. lorenzo.RM scrive:

    Antonio, c’è una chiesa come organizzazione e una chiesa formata dai credenti. A quest’ultima mi riferivo quando parlavo di un ritorno alla fede. Questa chiesa non si pone il problema di arruolamenti. Quanto alla pace dei non credenti non so che dire. Certo succedanei della fede ce ne sono tanti: gli spettacoli, le lotterie, gli oroscopi. Un che di irrazionale sembra debba accompagnare per forza la vita degli uomini (e delle donne), che non si accontentano del fatto che nascono e muoiono.

  5. neve.vi scrive:

    BEN DETTO Antonio….ti sai esprimerti molto meglio di quello che riesco fare io..confermo tutto quello che hai scritto. GRAZIE

  6. antonio2.LI scrive:

    Hai ragione Neve è qui la grande differenza che c’è tra un ateo e un credente. All’ateo non importa fare proseliti l’ateo è uno che la pensa in un certo modo e vuole avere la libertà di continuare a pensarla cosi. Il credente ha invece la presunzione di esere lui padrone della verità assoluta e vuole o vorrebbe che gli altri la pensassero come lui. Nel passato la chiesa in nome di questa presunzione si è macchiata di delitti tremendi.Pensiamo alle crociate, alle stragi di indios in Messico e in Perù, all’inquisizione e ai roghi delle cosiddette streghe.
    L’ateo non è di quella pasta e se ci sono state persecuzioni religiose in certi paesi non sono state fatte per motivi di ateismo ma per motivi politici o economici vedi Russia, Tibet , Germania.

  7. neve.vi scrive:

    Sono d’accordo con antonio2.Li…Lorenzo, anch’io non vedo ci sia un ritorno alla religione in questi ultimi anni, mi sembra invece, come dice antonio, ci sia una grande crisi in questo senso. Ritornare alla fede e cercare di realizzare una nuova speranza, fa parte solo del mondo dei credenti. Sono atea anch’io e so solo che si nasce e si muore, è un ciclo naturale.
    Comunque ho detto più volte che parlare di questi argomenti in questi termini è sempre riduttivo.

  8. antonio2.LI scrive:

    Per Lorenzo ti avevo promesso una risposta e dopo essermi documentato ti rispondo. Vedo che su questo argomento sei non allineato con quel che pensa il Pontefice ma ciascuno la pensa come crede.
    “Papa Benedetto XVI ha ammesso che «una difficile crisi» ha colpito, negli ultimi decenni, quasi tutti gli ordini religiosi cattolici (francescani, gesuiti, salesiani) sia femminili sia maschili; una crisi – ha spiegato – dovuta all’invecchiamento, a «una più o meno accentuata diminuzione delle vocazioni» e a una «stanchezza spirituale e carismatica». «Questa crisi, in certi casi, si è fatta persino preoccupante», ha osservato, incontrando, in Vaticano, i responsabili della Congregazione per gli istituti di Vita Consacrata e quelli delle Unioni internazionali dei superiori e delle superiore”.

    Questo articolo è apparso su Repubblica alla fine del 2008
    mi sembra abbastanza attuale

  9. antonio2.LI scrive:

    Lorenzo non mi risulta che ci sia un ritorno alla fede ma forse tu sei piu informato di me.
    Io essendo ateo non potevo dare che quella risposta dato che per pensare uso solo il mio cervello e non seguo nè correnti nè teorie di nessun genere . Comunque sul ritorno alla fede da te citato mi aggiornerò e mi riprometto di risponderti.

  10. franco3.BR scrive:

    Carissimi Antonio2 e Rosaria3 –
    Come avrete certamente intuito, la mia è stata una ricerca nel campo filosofico, mai scostandomi, però, da ciò in cui credo per convinzione. Pertanto, l’argomento essendo complesso, non è facile dare una risposta “esaustiva” (uso il termine di mio nipote).Le vostre risposte si avvicinano molto a ciò che, alla fine, emerge come mio pensiero personale. Comunque, grazie amici per le vostre riflessioni.

  11. franco3.BR scrive:

    Grazie Lorenzo, hai colto nel centro (secondo quanto ho scritto e secondo quello che io penso).

  12. lorenzo.RM scrive:

    Francesco, sei grande. Hai fatto una ricerca come difficilmente se ne possono trovare. Alla fine della vita, dunque,che cosa rimane? Io penso che l’esorcismo della morte sia una delle colpe più grandi della società laica. Che voleva fare tante cose per rendere la vita migliore nel mondo prescindendo dalla religione e non c’è riuscita. Voleva rendere l’uomo libero e l’ha fatto schiavo. Voleva cambiare questo mondo e vediamo come l’ha cambiato. Il ritorno alla fede, fenomeno in crescita degli ultimi tempi, sta cercando di realizzare una nuova speranza, sia per il mondo di qua che di quello di là. In fondo in questo quadro vita e morte sono due facce della stessa medaglia. Anche il nostro attuale Papa Benedetto, una volta, disse che occorrerebbe vivere come se, parlando naturalmente ai non cristiani, come se Dio ci fosse e ci guardasse. La nostra vita potrebbe essere, per tutti, un viatico anche per una buona morte e per la speranza di un mondo futuro di cui non possono intravedersi i contorni ma che potrebbe essere bello, bellissimo.

  13. rosaria3.NA scrive:

    Prima di tutto mi devo complimentare con la
    profondità di pensiero e della curiosità nei confronti del sapere del tuo nipotino. Poi fare un discorso qui e x giunta x iscritto diventerebbe troppo difficile, comunque quasi tutti i filosofi hanno trattato questo argomento e la nostra stessa religione ci ricorda che solo il corpo muore e che l’anima va ad incontrare Dio. Mah, questo è quanto possiamo sapere ora, x il resto ……. bohhhh?

  14. antonio2.LI scrive:

    La morte è la paura che ad essa è legata è tipica di chi si aspetta dopo di essa un premio o un castigo.Come è stato detto sopra giustamente è un evento fisiologicamente irreversibile e come tale va trattato.Si cessa diessere quell’agglomerato di atomi che ci ha contraddistinto per tanti anni se siamo stati fortunati o per pochi anni se lo siamo stati meno.E ritorneremo in ciclo nella natura da dove siamo venuti.
    In molti paesi la morte viene celebrata diversamente da come la trattiamo noi in funzione delle dottrine che vengono seguite.Parlo soprattutto dell’asia.

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