Per ricordare Rosaria ripropongo un articolo che lei aveva scritto, espressamente per Parliamone, diverso tempo fa. Mi piace ripensarla con la sua intelligenza vivace e piena di interessi che amava condividere con gli altri. Da persona colta qual era e abituata a spiegare, aveva sviluppato l’argomento dei dialetti, cercando di renderlo il più comprensivo possibile. Il rileggerlo ce la farà sentire vicina ancora un po’. Grazie Ross

 

Spesso, qui in Eldy, capita di leggere qualche espressione dialettale di qualcuno di noi, poiché questa chat è formata da persone che digitano da tutta Italia. E’ bello scoprire i dialetti. L’Italia ne è ricca e a volte, nell’ambito della stessa regione, si notano differenze. Ma ci siamo mai chiesti come sono nati i dialetti? E’ una domanda che mi ero posta già in passato ed allora ho rispolverato vecchi appunti che avevo da quando insegnavo e mi è venuta l’idea di trasferirli qui.
Tutte le regioni, come ben sappiamo, hanno i loro dialetti che, contrariamente a come si potrebbe pensare, esistevano ancor prima che arrivasse la lingua italiana, e che oggi, anche se modificati dall’influsso delle varie dominazioni avute nelle varie regioni italiane, ancora l’affiancano.
In Italia da molti anni è in corso un acceso dibattito fra i fautori dei dialetti e chi li avversa. Diciamo subito che dal punto di vista linguistico i dialetti italiani e la lingua nazionale sono sullo stesso piano: entrambi hanno avuto la stessa ‘nobile’ origine, cioè il latino. La lingua italiana deriva dal latino e il processo evolutivo che ha condotto la lingua degli antichi Romani fino a noi è stato lento e complesso.
L’impero romano aveva imposto a tutti i popoli sottomessi la lingua latina. Però pochi parlavano la lingua di Roma nel modo degli scrittori, il cosiddetto latino classico.
Il popolo minuto (detto vulgus) dei mercanti, degli artigiani, dei contadini, che non aveva frequentato le scuole e doveva comunicare cose pratiche e di ogni giorno, parlava in modo assai più semplice e poco rispettoso delle regole della grammatica. Parlava un latino che appunto da vulgus fu detto volgare. E fu così che San Francesco, per essere più vicino al popolo scrisse un’opera: “Il Cantico delle Creature” composta, probabilmente nel 1224 in una lingua che si era formata dalla modifica graduale del latino, cioè in volgare, proprio perché il latino, allora lingua ufficiale, ma conosciuta solo dalle persone colte, risultava difficile.
Non è vero che i dialetti sono una corruzione dell’italiano. È vero invece che italiano e dialetti hanno un diverso ruolo sociolinguistico: il primo è la lingua della comunicazione all’interno della Repubblica Italiana; i secondi hanno uso più limitato, in qualche caso si limitano all’uso familiare.
Con la conquista romana il latino si è diffuso in mezza Europa e soprattutto nel bacino del Mediterraneo sovrapponendosi alle lingue parlate in precedenza da quelle popolazioni. Dalla commistione di questi elementi e da quelli derivanti dalle successive invasioni barbariche si sono generati i vari dialetti d’Italia.
Nel corso dei secoli, mentre la lingua latina si trasformava nei dialetti, le popolazioni italiane sono entrate in contatto con altri popoli e altre lingue: i Germani, gli Arabi, i Bizantini dell’Impero d’Oriente, che usavano la lingua greca, con la cultura provenzale, sviluppatasi rigogliosa nella Francia meridionale. Varie esigenze, quindi, avevano portato ad adottare parole di questi popoli: parole che, poi, faranno parte della lingua italiana.
Quindi riprendendo il discorso, dal latino si formarono i dialetti: in questo passaggio molte parole si modificarono nella grafia e nella pronuncia e, a volte, finirono per avere un significato diverso da quello originario. Le parole che hanno percorso l’itinerario dal latino al dialetto e dal dialetto alla lingua italiana, sono parole di tradizione popolare.
Nei secoli XV e XVI (1400-1500), durante l’Umanesimo e il Rinascimento, ci fu la riscoperta del latino nei testi dei grandi autori dell’antichità. Gli studiosi ripresero e diffusero espressioni e parole latine nel loro significato originario. Così entrarono nella lingua italiana tante parole latine, anche se riadattate alle nuove forme.
Ancora oggi esistono nella lingua italiana e anche in alcuni dialetti parole derivanti dal latino come ad esempio “a craje” dal latino cras che significa appunto domani e parole prettamente latine come ad esempio: gratis, referendum, video, ultimatum, super, facsimile, ex, idem, album, humus, extremis, rebus, juniores, auditorium, extra, Juventus e bis. A proposito di quest’ultima parola esiste un aneddoto che voglio raccontarvi, giusto per sorridere un po’.

SEMPRE PASTA E FAGIOLI
“Un giorno, Giufà andò in città ed entrò in un ristorante. Non sapendo leggere segnò col dito a caso sulla carta e stette ad aspettare. Il povero Giufà si vide portare pasta e fagioli. Ne mangiava tanta al suo paese; averla ordinata anche lì era proprio una disdetta. Pazienza! La mangiò, ma tenne gli occhi sempre sul vicino di tavolo che spolpava un quarto di pollo. E il pollo doveva essere buono, perché il vicino disse: – Bis!
Il cameriere gli portò un altro quarto di pollo. Allora Giufà non volle più saperne della lista e disse anche lui: – Bis!
Non vi dico come rimase quando si vide portare un’altra porzione di pasta e fagioli.”

A partire dal 1500 l’Italia fu per lungo tempo dominata da potenze straniere. La Spagna prevalse nel nostro territorio per tutto il 1600: gli spagnoli diffusero in tutta Italia, oltre che i loro costumi, anche espressioni linguistiche che entrarono a far parte della nostra lingua.
Dalla seconda metà del 1600 e per tutto il 1700, la Francia esercitò in Europa una grande influenza sul piano culturale, politico, scientifico ed anche nei costumi. Saper parlare francese per le persone colte, anche italiane, divenne quasi un obbligo. Così parole della lingua francese entrarono a far parte dell’italiano.

Ma torniamo ai dialetti che possono essere classificati in: dialetti galloitalici (Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna), dialetti veneti, dialetti toscani, dialetto romanesco, dialetti centromeridionali, dialetti sardi e romanzi (ladino e friulano).
Un discorso a parte va fatto però per il dialetto o vernacolo toscano.
Il dialetto toscano è, tra i dialetti italiani, quello che dal latino si è discostato di meno e comunque si è evoluto in maniera lineare ed omogenea. È alla base della lingua italiana grazie agli scritti di Dante Alighieri, Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio anzitutto, ma anche di Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini, che conferirono a tale dialetto la dignità di “lingua letteraria” della penisola.
Al momento dell’unificazione dell’Italia, il toscano, fu scelto come lingua da adoperare mettendo fine ad una secolare discussione, a cui aveva partecipato anche Dante (nel De vulgari eloquentia), che vedeva due fazioni principali, una che sosteneva la nascita di una lingua italiana sulla base di un dialetto ed un’altra che si proponeva di creare una nuova lingua che prendesse il meglio dai vari dialetti. Prese piede agli inizi del XIX secolo proprio la prima corrente, soprattutto grazie al prestigioso parere di Alessandro Manzoni (molto nota è la vicenda relativa alla scelta della lingua per la stesura de “I promessi sposi” e i panni sciacquati in Arno), ma non poche furono le critiche mossegli da chi sosteneva che il toscano era un dialetto come gli altri e una vera lingua nazionale sarebbe potuta nascere solo dopo l’incontro tra le varie culture del paese.

Infine propongo a voi tutti di scrivere nei commenti frasi o detti nel proprio dialetto, con relativa traduzione.

Su, diamoci da fare e scopriamo i nostri bei dialetti!!!!!!

Per dare l’esempio comincio io:
“Chi fraveca e sfraveca nun perde maje tiempo”.
Chi costruisce e demolisce (cioè si da da fare, in qualsiasi cosa) non perde mai tempo.

Ed ora a voi la parola!!!!!


7 Commenti a “L’ORIGINE DEI DIALETTI (scritto da ROSARIA.NA)”

  1. pasquino scrive:

    Maggio è il mese dei fiori nella poesia Napoletana.
    Il mese ci sta lasciando come ci ha lasciato una Grande Amica di Eldy,salutiamoli con questa poesia di Ciro Borrelli in arte Massenzio Caravita.(con traduzione)
    (Se avete tempo leggete le sue poesie e la sua storia)

    E’ TRASUTO MAGGIO…
    (E’ entrato maggio)

    Io ca d’ ‘e sciure so’ n’amante,
    Io che dei fiori sono amante
    quanno t’affacciave ‘a fenesta
    quando t’affacciavi alla finestra
    t’ammiravo comme n’incanto…
    t’ammiravo come un incanto
    pe’ cchesto te facevo sempe festa,
    per questo ti facevo le feste
    e cu ‘e vviole e ‘e ciclamine
    con violette e ciclamini…
    p’ ‘a gioja me mettevo abballà,
    e per la goia mi mettevo a ballare…
    cu ‘e mmargarite… ‘a matina
    ela mattina… con le margherite
    me mettevo a ridere e a pazzià.
    mi mettevo a ridere e giocare.
    è trasuto ‘o mese ‘e Maggio!
    E’ arrivato il mese di maggio!
    schioppano tutt’ ‘e sciure…
    sbocciano tutti i fiori…
    ‘e sciure ‘e ll’ammore.
    i fiori dell’amore
    Fuje ‘e ‘stu mese addiruso
    Fu in questo mese profumato
    ca ‘e te… m’annummaruje!
    che di te mi innamorai!
    Tu bella comme na rosa…
    Tu bella come una rosa
    tu…na margarita cianciosa…
    tu margherita leggerina
    tu… c’‘o prufumo d’ ‘a viola…
    tu profumata di viola…
    tu ‘a cchiù bella, ire na cosa sola:
    tu… la più bella… eri una cosa sola:
    “Nu sciore ‘e Maggio”
    “Un fiore di Maggio”
    Sì!…è trasuto Maggio!
    Sì è arrivato maggio!
    Schioppano ‘e sciure
    sbocciano i fiori…
    ‘e sciure ‘e ll’ammore.
    i fiori dell’amore
    Fuje ‘e ‘stu mese addiruso
    Fu in questo mese profumato
    ca ‘e te… m’annummaruje!
    che di te mi innamorai!
    e dimme tu…c’aggia fa’…
    e… dimmi tu… che posso fare…
    si chisti sciure j’
    se questi fiori io
    nun te faccio maje mancà?
    non riesco a farteli mancare?

    di Ciro Borrelli in arte Massenzio Caravita

  2. alessandro22 scrive:

    Sono credo, l’ultimo registrato in eldy e al mattino presto navigo un po’ e mi soffermo a leggere, per me le ore dell’alba sono le più indicate; e navigando nel forum di eldy mi sono soffermato su l’articolo dei dialetti riproposto e credetemi mi ha impressionato la maniera con cui è stato affrontato l’argomento (tanta grazia,tanta cultura, tanto rispetto).
    Sono uno sconosciuto, ma credo nel vero significato della parola sia scritta che parlata, ma espresse con sincerità e nello scritto di Rosaria ho percepito tanto amore per la vita…………………. mi dispiace
    alessandro

  3. sandra .vi scrive:

    Io non la conoscevo,me la fate conoscere attraverso i vostri commenti ,deve essere stata vramente una persona squisita la vera colta partenopea e ringrazio Paola per aver messo il suo scritto si dialetti ,quanta cultura ,esposta con tanta semplicita’ ,sono commossa non trovo parole ,ma sollecitata a cercare …….

  4. alfred-sandro.ge scrive:

    ho pianto per una persona che non conoscevo.
    per una persona che non conoscevo fisicamente. non era necessario: Rosaria ti era amica da subito.
    Ciao Rosaria.

  5. ester vi 3 scrive:

    no nn mi riesce non so dir niente mi spiace …. non voglio credere ciao Rosà

  6. Lorenzo.rm scrive:

    Sì che sentiamo Rosaria ancora vicina, Paola. Questo suo lavoro sui dialetti è bello e colto, suscita il desiderio di approfondire, di cercare. Proprio come lei faceva; infatti aveva il gusto della ricerca, dell’approfondimento. La sua non comune fedeltà alla cultura faceva di lei una paladina instancabile per le cose fatte bene, l’opposto del comune bla bla bla del sentito dire. Mi ha insegnato molto su come si vive in un ambiente come quello di Eldy, qualche volta complicato. Ho trovato in lei una cara amica e una persona squisita. Certo, la sua Napoli, per me siciliano, aveva un’attrattiva particolare: una delle prime e vere città europee, anche la mia capitale, fatta di gente amareggiata dalle tante dicerìe malevole nei suoi confronti, ma colma di cultura, simpatia, aperture di vita. Il dialetto, sì, è un tesoro inesauribile. La canzone è un altro tesoro. Il carattere, infine, garantisce che Napule nun more. Mai.

  7. alba morsilli scrive:

    Paola ricordare persone come Rosaria è come leggere un libro giallo,ti intriga non capisci mai chi è l’assasino per poi risolvere tutto in una bolla di sapone.
    Questo era il suo carattere prendeva fuoco come una miccia,da buona parteneopea ma poi tutto sfumava, il buon senso aveva il sopravvento, e tutto ricominciava da capo.
    Io parlo di Lei come se fosse tra noi non la voglio ricordare tra i defunti.
    Tutti siamo bravi da morti io invece dico rispettiamoci da vivi che la vita è già amara per sua natuta,che sia di esempio atutti che oggi ci siamo e domani chissa,

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