La strada s’inerpica forte a tagliarti il respiro e le gambe. Si sale. Anche il sudore sa di sale. Il bosco con la sua frescura accarezza la pelle.Tra odori e rumori, senti il respiro degli altri e i pensieri farsi parole. Tira a salire. Ti volgi un momento e il compagno vicino ti volge uno sguardo che dice “si va”. Non c’è la guida in questo mattino. Cerchiamo il sentiero tra felci e mughetti. “No torniamo giù, la strada è sbagliata”. Ma sempre testardi cerchiamo uno spunto per tornare a salire.
“Ma dai si sale, si vede qualcosa.” “Aspettate vado a vedere.” Una carrareccia si snoda nel bosco. “Avanti di qua. C’è un segno, e un altro laggiù”. Così comincia l’ennesima avventura tra boschi che presto lasceranno il posto a pascoli e pietre. Lasciati i mille (metri) alle spalle, ci si avvia sicuri: le carte (topografiche) parlano chiaro, si svolta si sale e poi la carrareccia diventa sentiero .
Son passati pochi minuti. Il fiato si è fatto leggero. Gli scarponi macinano sassi mischiando foglie e fanghiglia. Si sale. Qualcuno comincia a cantare. Picchiettano i picchi per farsi un nido tra i faggi. Api e farfalle si contendono i fiori. Ancora profumi. Poi il bosco di larici scivola via e sai che stai andando oltre. Rimangono alpeggi in successione che cambiano nome e si chiamano malghe. Lontana lontana, una chiesa raduna i suoi amici. Vicina una mucca raduna i vitelli. Ormai la fatica è un ricordo passato. Una volta che il fiato si è aperto ti muovi di slancio con una forza che credevi perduta. Tra i sassi scopri corolle di fiori: la vita attecchisce dove non penseresti ci fosse possibilità.
Dalla partenza sono trascorse due ore. Scivolate via come sabbia in una clessidra che, svuotando l’ampolla superiore riempie di vita quella più bassa. Volgendosi indietro si sa che si va ancora più su. Ancora 90 minuti ti dice il segnavia e il passo Varicla è tuo.
I larici ormai han lasciato posto a cespugli di rododendri e il fischio delle marmotte taglia l’aria a segnalare allarme: “arrivano i bipedi nemici” e ti rendi conto che la cecità di pochi te la porti stampata nel DNA degli animali selvatici.Al passo arrivi un po’ stanco. Pochi minuti e hai ripreso tutte le forze. Sei oltre i 2000, hai camminato 215 minuti in salita e ti chiedi “perché”? Ti rispondi riempendo la mente d’immagini ed esplosivi silenzi. Come è possibile che tutto quello che racchiudono gli occhi, il suo ricordo, vada perduto?
*parola inesistente: mia libera invenzione fonetica.
Popof 16luglio2009
Popof , ho seguito il tuo racconto. Ora mi ci vorrà una settimana per riposarmi.Scherzo.
Io purtroppo non son capace di apprezzare le bellezze della montagna.La mia natura marina me lo impedisce, ma so che gli amatori dei monti sono tanti e sicuramente avranno apprezzato il tuo articolo piu di me che non provo le sensazioni da te descritte cosi bene.Non me ne volere per questo.Per fortuna siamo tutti diversi così ciascuno di noi trova la sua esatta collocazione.Del resto ci sono anche quelli che al mare o alla montagna preferiscono la campagna.C’è posto per tutti.
un saluto a tutti
che bello anche io andrò presto in montagna grazie popof e semplice questo articolo è veramente bello grazie
Popof, ho fatto la scalata con te e condiviso le tue emozioni e sensazioni. Stavolta hai pure inventato una parola. Insomma, che vuoi di più. Un abbraccio e tante ongratulazioni.