Arlecchino Luzzati

Arlecchino/Luzzati

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Per il Martedì Grasso, ultimo giorno di Carnevale, mi piace soffermarmi su una maschera sola: quella di Arlecchino.

È la più celebre, la più conosciuta, rappresentata nella Commedia dell’Arte e in tantissimi quadri da pittori più o meno famosi.
La leggenda racconta che fu la poverissima madre di Arlecchino a confezionargli un vestito, fatto solo con avanzi di stoffa di differenti colori.

Arlecchino ha un carattere bizzarro, la battuta sempre pronta, è scapestrato, ma al tempo stesso molto furbo e coraggioso.
La sua scaltrezza e vivacità lo fanno sopravvivere, anche se ha un grosso difetto: è terribilmente pigro.
Ma la sua furbizia gli fa trovare sempre soluzioni ai problemi, facendolo faticare il meno possibile.

Arlecchino gran signore, Giovanni Ferretti (Firenze 1692-1768)

Arlecchino gran signore, Giovanni Ferretti (Firenze 1692-1768)

A partire da circa la metà del 1500 con la Commedia dell’Arte e poi nel 1700 con Goldoni fino ad oggi con Dario Fo, Arlecchino sul palcoscenico è il personaggio principale e raffigura il servo ignorante e astuto, sempre affamato, popolare poi in tutta Europa.

Gino Severini Arlecchino 1938

Gino Severini Arlecchino 1938

Arlecchino non è solo personaggio di teatro, ha interessato artisti come Picasso, Cezanne, Joan Miró, Gino Severini o Juan Gris nel XX secolo e precedentemente.
Picasso ha amato particolarmente i personaggi del circo e quelli della Commedia dell’Arte, tra cui Arlecchino. Li sente vicini ed è solidale con la loro povertà e vita precaria per cui i suoi “Arlecchini” sono dipinti con rispetto e malinconia, lontano dallo stereotipo di buffoneria e scaltrezza che caratterizzano il personaggio. Saltimbanchi e Arlecchini divengono, per il grande pittore spagnolo, l’emblema dell’artista di strada con la malinconia nel sorriso.

 

Carnevale-di-Arlecchino-Joan-Miro-1925

Carnevale-di-Arlecchino-Joan-Miro-1925

Picasso Arlecchino allo specchio

Picasso Arlecchino allo specchio

Paul Cézanne

Paul Cézanne

Juan Gris

Juan Gris

 

 

 

 

 

 

Arlecchino di Picasso 1905

Arlecchino di Picasso 1905

11 Commenti a “***ARLECCHINO***”

  1. Giuseppe3.ca scrive:

    Nel panorama del Carnevale nn poteva mancare la citazione della figura di ARLECCHINO, la maschera carnevalesca, ma non solo, più rappresentativa in tutto il mondo e in tutte le culture: Carnevale, Pittura, Letteratura, Teatro ecc. Una bella pagina e i commenti hanno completato l’opera, grazie Paola.

  2. edis.maria scrive:

    Gianduja e Giacometta 2006
    Gianduja è nato burattino, ma presto è divenuto maschera per assumere in seguito la veste di simbolo di Torino, del Piemonte e nel Risorgimento, del sentimento unitario del popolo italiano.
    Giôvan d’la dôja (Giovanni dal boccale, riferimento al suo “debole” per il succo d’uva) nacque ufficialmente nel 1808 sulle colline dell’astigiano, nel paese di Callianetto, erede di un burattino impertinente ma saggio, di nome Gironi, costretto ad emigrare a Torino e a cambiare nome per la sua lingua troppo lunga, scomodo ai potenti che quasi mai, in ogni tempo, hanno dimostrato di possedere un spiccato senso dell’umorismo, specie se a ridere è il popolo semplice e schietto.
    Gianduja è furbo, coraggioso, magari fintotonto all’occasione, ma con ben chiaro in testa che cosa vuole, ed esteticamente aveva ” facia rôtonda e paciôcôna, neô sôta n’euj, pôret ‘ ns la front a la banda sinistra e nas ‘n po’ rôss.” (faccia rotonda e pacioccona, neo sotto un occhio e sulla fronte dalla parte sinistra e naso un po’ rosso).
    In quegli anni ansiosi, vibranti, Gianduja cominciava ad impersonare per gli italiani il Piemonte: è una maschera libera e democratica “non ha bisogno né di sottintesi né di inchinarsi ai padroni. Parla francamente e schietto al suo re. E’ la rappresentazione di un popolo, mentre le altre maschere non ne sono che la caricatura”; più di una maschera egli è dunque un carattere.
    A partire dal 1862, con la fondazione della Società Gianduja, la tradizione del Carnevale di Torino subisce una svolta decisa, che è ben riassunta nel motto “Ridet beneficando” (ridere fa bene) in cui si evidenziano le caratteristiche gioiose e spensierate associate alla beneficenza e al pensiero per i meno fortunati.
    L’anima e il cuore della città continuano a pulsare sotto la giubba di Gianduja ed anno dopo anno il suo viso sorridente ed ottimista illumina la festa del Carnevale torinese ed è presente a commentare con la sua pungente bonomia i fatti più importanti della storia e del costume italiano, almeno fino al 1893. Si ha poi un lungo periodo di eclissi in cui Gianduja è una presenza occasionale e sempre meno incisiva e significativa . Nel maggio del 1925 nasce la Famija Turinèisa e con essa la maschera di Gianduja riprende la fila della tradizione risorgimentale ed ottocentesca.
    “Gianduja a tôrna Turin as dësvija” (Gianduja ritorna e Torino si sveglia): questo è il motto con cui si apre il carnevale 1926 e da allora ininterrottamente, tranne la parentesi fascista, si sono succeduti a calzare tricorno, codino e dôja e ad impersonare il “carattere” Gianduja, uomini dalle radici ben salde nella nostra terra e cultura, nel rispetto delle qualità proprie della nostra gente: calda fratellanza, umana comprensione e sottile umorismo.
    Ogni anno, il Gianduja viene eletto nel corso di una cerimonia solenne e da quel momento sarà totale il suo impegno a “deje n’andi!” (darsi da fare), a far sì che le cose si muovano e l’allegria e il bene possano avere per un po’ qualche spazio in più. Al suo fianco la graziosa e sorridente Giacometta, sua sposa, chiamata a condividerne gioie e fatiche in una perfetta unità di intenti.
    In Gianduja rivive ancora una volta “L’anima ‘d nòstr Piemônt” (l’anima del nostro Piemonte) che, nel segno della solidarietà e della tradizione, è destinata a resistere nel tempo intatta e forte: “Ai cascrà la Mole e Palass Madama, e Gianduja a sarà sempre viv përchè l’anima ‘d nòstr Piemônt a peul nen muire” (crollerà la Mole e Palazzo Madama, e Gianduja sarà sempre vivo perché l’anima del nostro Piemonte non può morire). (Nino Costa).

  3. mario33.co scrive:

    Se si parla di attori(allora), non dobbiamo dimenticare, Claudia Contin, la prima donna che ha interpretato Arlecchino ( maschera per antonomasia ,la più amata forse al mondo ) sin dal 1987. Dirige dal 1997 con il regista Ferruccio Merisi, il rinomato Festival annuale”L’arlecchino errante,” e il connesso “Masterclass Internazionale per l’arte dell’attore.” ( sbirciando nel web)

  4. Bracco scrive:

    Il citato Ferruccio Soleri 5o anni dietro la stessa maschera e nello stesso ruolo, quello di Arlecchino appunto.
    E’ entrato a far parte di quel grande indice dei fenomeni che è il Guinness World Records, il Guinness dei Primati:
    “La più lunga performance di teatro nello stesso ruolo”
    questa la motivazione del riconoscimento.
    Evviva Arlecchino !

  5. mario33.co scrive:

    Mi piacerebbe( a modo mio) analizzare; già che si parla di maschere , di arlecchino, di… Carnevale. Vorrei permettermi (se me lo consentite), di anatomizzare, sviscerare ,sottoporre ad una analitica riflessione la maschera/ta . Originariamente era indossata per nascondere le fattezze umane e, nel corso di cerimonie religiose, per allontanare gli spiriti maligni. In seguito, prima nel teatro greco, successivamente… In quello romano.
    Le maschere sono nate…Dal teatro dei burattini,dalla Commedia dell’arte, da tradizioni arcaiche, evolvendosi …in feste popolari. Era un bisogno individuale di: Disinibizione di estroversione, scioltezza, spregiudicatezza. Quel giorno tutto era permesso ma… nascondendo la “vera,” la propria identità. Un bisogno inconscio di fare, di essere, quello che si desiderava, di… Lasciarsi andare e comportarsi secondo le proprie fantasie i proprie desideri più reconditi, intimi, misteriosi, nascosti, occulti, profondi,. Un giorno liberatorio…Anche a livello sociale. Quel giorno permetteva al popolo, alla comunità al singolo individuo, di… Criticare, ridicolizzare, prendere in giro i potenti, le istituzioni, le leggi, i balzelli, le tasse. Insomma un giorno liberatorio che: Il potere, i potenti, lasciavano “magnanimamente” alla collettività. Ogni regione in Italia ha la sua maschera. Ogni maschera oltre ad un costume particolare ha un carattere che la contraddistingue.
    Ci sono tante altre maschere italiane: Capitan Spaventa (Liguria), Rugantino (teatro romano), Giangurgolo (Calabria), Scaramuccia (Campania), Stenterello (Firenze), Beltrame (Milano), Blumari (Montefosca, UD), Bumbasina (Busto Arsizio, VA), Burlamacco (Viareggio, LU), Capitan Matamoros, Capo Valàr (Lazise, VR), Farinella (Putignano, BA), Gioppino (Bergamo).
    Oggi il carnevale con la sfilata dei carri carnevaleschi è anche… Satira politica, sociale, sfilata di moda/costumistica (vedi carnevale di Viareggio).
    Se… Mi Permettete, mi vorrei soffermare… Sul bisogno di mascherasi di mistificare la propria identità. “Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero” diceva Oscar Wilde.Dal punto di vista psicologico la maschera rappresenta un filtro tra la nostra coscienza individuale e l’esterno: coppia, famiglia, società. C’è una maschera dove c’è una relazione, interconnessione, interdipendenza, reciprocità,: solo quando siamo da soli non ne abbiamo bisogno. Pensiamo all’adolescente e alle sottoculture urbane, alle… Quali sceglie di aderire, e dalle quali si fa definire e rappresentare. Dirsi… Ed essere Punk, Metal, Hip Hop, Squat, Dark, Emo piuttosto che Hipster per esempio, è frutto di un processo di separazione dai genitori, di esplorazione, e di individuazione. Concludendo possiamo dire… Viva il carnevale, Viva la maschera, espressione non solo fisica ma… Soprattutto mentale psicologica,inconscia individuale, di carattere, mentalità,del mondo interiore di un singolo individuo o di una collettività.
    Luigi Pirandello. Uno, Nessuno, Centomila. ” Una realtà non ci fu data e non c’è, ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere: e non sarà mai una per tutti, una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile. “

  6. sandra .vi scrive:

    Anche a me piace molto la maschera di Arlecchino ,scalto,furbo,millantatore eppure col suo modo ironico e scanzonato per secoli in molti corti ha imperato .Nella DIOCESI ROMANA oggi ultimo giorno di carnevale ,ma noi della DIOCESI AMBROSIANA beneficiamo di altri 4 giorni il carnevale efinira’ sabato .Diversi sono i motivi per i quali godiamo di questo privilegio
    Uno dei motivi spiega che il VESCOVO di MILANO ,AMBROGIO in viaggio prevedendo di nn arrivare in tempo per i riti della quaresima chiese al Papa spostare la data fino al suo arrivo e continuare il carnevale,cosi fu con gra gioia della popolazione che continuo’a divertirsi,

  7. lucia1.Tr scrive:

    Ricordiamo anche Paul Cézanne “Pierrot and Harlequin (Mardi Gras)” – 1888

    Una riflessione di Fernando Pessoa, sul “Il senso del Carnevale d oggi”
    “Quante maschere e sottomaschere noi indossiamo / Sul nostro contenitore dell’anima, così quando, / Se per un mero gioco, l’anima stessa si smaschera, / Sa d’aver tolto l’ultima e aver mostrato il volto?”

  8. mario33.co scrive:

    MI LIMITO A CITARE LA: “TRECCANI” ENCICOLPEDIA DEI RAGAZZI.
    Scopro con stupore quanto scritto:
    Arlecchino Maschera di Bergamo, Arlecchino ha un nome che, per il suo vestito a losanghe colorate, è diventato nella lingua italiana sinonimo di ‘multicolore’. Il suo nome è ripreso, forse, da quello di Hellequin, un diavolo buffone del Medioevo francese, e inizialmente connotava un poveretto, stupido e pronto a menare le mani. Più tardi, le sue maniere si sono ingentilite e il suo vestito ha assunto una nuova eleganza.
    Nella distribuzione tradizionale dei ruoli della Commedia dell’arte, lo Zanni (dal veneto Zani, ossia Gianni) era il servo, cioè uno dei personaggi fondamentali. infatti i personaggi erano tre: vecchi, innamorati e servi
    Lo Zanni, in origine, indossava camicia e pantaloni bianchi. A poco a poco, l’abitò subì diverse trasformazioni: la camicia diventò una tunica aderente e cominciò a coprirsi di toppe colorate che, inizialmente, avevano forme irregolari e diverse tra loro.
    Ma all’inizio del Seicento le toppe cominciarono a prendere una forma regolare e geometrica. Si trasformarono in quadrati, rombi, losanghe, innestandosi su uno sfondo non più bianco, ma colorato: ora il vestito di Arlecchino non aveva più niente di misero, ma appariva addirittura lussuoso. Al fianco completava il costume un corto manganello, strumento delle scene finali in cui Arlecchino regolarmente dava e prendeva botte.
    La maschera che ricopriva il volto dell’attore era di cuoio o di cartone cerato. Aveva profonde occhiaie e piccole orbite. Una barba ispida faceva somigliare il viso a quello di uno scimmione. Sulla fronte si intravedevano due bozzi, residuo delle antiche corna da diavolo. I capelli erano completamente coperti da una calotta nera. Nonostante il volto coperto, Arlecchino era un re della mimica che si esprimeva soprattutto nel corpo, capace di ingobbirsi o distendersi a piacimento e nella camminata che poteva trasformarsi in salti acrobatici. Nella recitazione, Arlecchino si esprimeva spesso per monologhi senza capo né coda, come chi s’ingarbuglia in una lingua che non riesce a padroneggiare. E dal labirinto di parole da lui stesso creato ne usciva con una frase che era conclusiva solo per l’intonazione ma non per il senso.
    La parlata bergamasca con cui si esprimeva poteva essere mutata a piacimento dagli attori per farsi meglio capire o per introdurre espressioni gergali. Il suo linguaggio era il più sboccato tra quelli adoperati dalle maschere della Commedia dell’arte e tale restò, graditissimo al pubblico, per tutto il Seicento. Aveva anche a disposizione un repertorio di canzonacce popolari, ricche di doppi sensi e bisticci di parole oscene. Nel Settecento venne censurato in Francia e gli attori che lo impersonavano dovettero rinunciare alle parole più espressamente sconce. Gli Arlecchini di fiera che, nello stesso secolo, a Venezia, popolavano piazza San Marco continuarono però ad adoperarle tranquillamente con gran diletto del pubblico.

  9. paolacon scrive:

    Mi fa piacere che Arlecchino abbia suscitato dei ricordi tanto belli, Franco.
    Così ogni tanto possiamo ritrovare delle cose piacevoli, nascoste in un angolino della nostra memoria.
    Vero, Arlecchino è la maschera più bella ed è anche quella che sentiamo più vicina a noi. Carattere? Mentalità? Storia?…

  10. franco scrive:

    La più bella maschera italiana ! Ricordo un “Arlecchino servo di due padroni” con Ferruccio Soleri …regia di Strelher. Ancora la vecchia commedia da carro dei Tespi…allora ero amico dello scomparso Gianfranco Mauri (Brighella) , che mi fece conoscere tutti i personaggi….bellissimo ricordo.

  11. lorenzo12.rm scrive:

    Impazzi il Carnevale, dunque, fino all’ultimo giorno, che è oggi. Domani cospargiamoci il capo di cenere! Ciao Paola. E grazie.

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