Non l’abbiamo più il cavallo. Per un certo tratto ha caratterizzato, e complicato, la nostra esistenza. Non era un figlio di Ribot, ma neppure più brocco di altri. Con il suo acquisto avevamo realizzato il desiderio, non tanto nascosto, di vivere una vita più spericolata. Ma non abbiamo potuto resistere oltre.
I quesiti sono stati tanti. Primo, la scelta del posto dove tenerlo. Tor di Valle, alla fine. E il guidatore (e allevatore-allenatore)? Quello troppo caro, quell’altro stupido, quell’altro ancora troppo giovane o troppo vecchio. E poi i problemi del vivere quotidiano, con i relativi costi. E infine, ma non certo per ultima, la scelta della corsa, anzi delle corse a cui iscriverlo per poter contare su qualche possibile rientro economico, oltre che sulla sicura spesa di mantenimento.
Ma sì che ce la facciamo, diceva qualcuno di noi, il più entusiasta. Basta che il cavallo si piazzi, mica deve vincere per forza. Ci sono i premi della federazione. Fortuna e pazienza, ci vogliono, dobbiamo resistere. Da scontare, fra gli intoppi inevitabili, il sordo rancore delle nostre compagne le quali, con la crudeltà tipica delle donne, ti mettevano sotto il naso costi e risultati. E poi concludevano con la domanda se ne valesse davvero la pena. E se avessimo dovuto essere sinceri avremmo dovuto dire che no, non ne valeva la pena.
E a tutto questo occorreva aggiungere la parte tecnica: come l’hai visto oggi il cavallo, ai pasti, in allenamento? Le domande tipiche: ha mangiato, ha “sgambato” bene, sudava, ti è sembrato nervoso?
Prima della gara c’è il problema del numero, cioè della posizione in pista. Si sa che se il cavallo è stretto, se corre all’esterno, se accanto a lui trotta qualcuno che lo provoca, ecc., la “rottura” è inevitabile e addio corsa, con il fatale annuncio: “Numero 8, Romolo, squalificato”.
Io, poi, avevo l’impressione che il nostro guidatore, bravo figlio per carità, fosse un po’ fesso, non riuscisse a cogliere le occasioni che gli si presentavano, dormisse troppo in definitiva.
Alla fine, come dicevo, non l’abbiamo più il cavallo e meno male che ce l’hanno preso dandoci anche qualche soldo, infinitamente poco, ma vuoi mettere tutti i soldi che da oggi risparmieremo? Per non contare i dispiaceri che eviteremo, come quelli che ti colpiscono direttamente nell’orgoglio, quando non puoi dare a nessuno il cavallo sicuro su cui puntare. E che dire del fatto, inconcepibile, che non puoi giocarlo neppure tu?
Stasera si recide un nodo. Non abbiamo più il cavallo, abbiamo i cavalli. Speriamo di vincere qualcosa finalmente. Quanto non importa. Vuoi mettere che si può andare a cena, dopo la corsa, senza assilli e con l’animo sgombro di chi non ha più un cavallo?
Ah, le gioie e dolori delle corse. C’è qualcuno che li conosce?
Erasmus 04 agosto 2009
Certo Aldo. Solo, ma non è secondario, occorrerebbe scindere il fatto sportivo da quello della scommessa. Purtroppo so di gente che non ci dorme la notte con le scommesse.
Dopo questo articolo devo dire che il detto romanesco “datti all’ippica ” sia appropriato? credo di si!!!!
D’altra parte, sembra che l’ippica sia in discesa nell’interesse degli italiani. Ma è in ascesa il lotto, enalotto, superenalotto, ecc. A questo punto meglio l’ippica.
Anche a me piacciono tanrto i cavalli. Ma passare la vita negli ippodromi, via!
Erasmus!
Amo moltissimo il cavallo a forma e carattere perfetto, per me sono gli animali più belli.