Tempo fa, Alfred scrisse una bella poesia, che aveva come protagonisti un tram ed i suoi occupanti nelle prime ore del giorno. Una piccola riflessione, molto sentita di vita vissuta.
Adesso ci regala i suoi ricordi tragicomici di un’avventura accadutagli su un tram.
Per i genovesi come me parlare del tram è come parlare di antiquariato.
ô tranwaj lo chiamavamo.
Li tolsero negli anni sessanta per agevolare il traffico delle auto essendo le strade di Genova strette e tortuose.
Molti ricordi sono legati al tranwaj: le auto parcheggiate a centro strada, le cadute dei ciclisti, la gente appesa ai predellini,
i dispetti dei ragazzini che lo rincorrevano, per staccare l’asta e farlo fermare, per sentire le imprecazioni dei passeggeri.
Era un sabato pomeriggio dopo le le cinque; si perchè allora si lavorava anche il sabato tutto il giorno ed io, uscito dall’officina dove facevo il garzonetto, mi recavo al capolinea del tranvaj con altri tre amici poco più grandi di me.
Avevo quattordici anni appena compiuti, la scuola interrotta per motivi famigliari, e una grande gioia di vivere.
MI facevano fare le pulizie: tutte le mattine scopare tutta l’officina, accendere la grossa stufa piazzata tra il vecchio tornio
e il banco da lavoro del vecchio Gatta. Aveva ottanta anni e ancora lavorava.
Il tram era già quasi pieno ed io ed i miei tre amici siamo saliti cercando di farci spazio tra la gente che a quell’ora, come no,i tornava a casa dopo una settimana di lavoro.Avevo la mano destra occupata: portavo a casa gli indumenti da lavoro,
l’asciugamani , la gavetta dove mia madre metteva il mio pasto del mezzogiorno. Era tutto dentro alla cartella nera che non usavo più per la scuola e che ora serviva egregiamente per altro. Era una cartella di finta pelle con la maniglia, un finta chiusura al centro, con una finta chiave e due fibbie ai lati. Era gonfia la cartella, con tutta quella roba dentro.
Ho porto il tesserino settimanale al bigliettario nel momento stesso che il tram è partito, perchè lo fori con quella magnifica pinza che faceva forellini di tutte le fogge: stelle, lune, quadrati, tondi……………avessi potutoi averne avuta una!!!
I miei amici erano spariti in mezzo alla gente; come tutti cercavano di arrivare vicini al manovratore per assaporare dal davanti l’ebbrezza della velocità.
Io, impedito nei movimenti dalla mia cartella, ero rimasto indietro, da solo, bloccato, imposibilitato a muovermi e, piccolo come ero, non arrivavo neppure al corrimano per tenermi, era troppo in alto per me. Neppure le maniglie dei sedili mi riusciva di toccare. Stavo in piedi sostenuto dalle persone che mi stavano schiacciando.
Improvvisamente qualcuno mi afferrò la mano destra, costringendomi non so come a sollevarla sopra le teste della altre persone e urlando a squarciagola: <E O TOCCAAAA! O ME TOCCOAAAAAAA>.
Non mi ero reso conto che ero si immobilizzato, ma il mio braccio era rimasto in mezzo alle chiappe enormi di una anziana signora che mi stava vicino. Sarà stata cento chili e aveva una voce stridula.
Lo ha ripetuto diverse volte quel MI TOCCA! tanto che da lì a poco tutti i passeggeri del tram ridendo scandivano O ME TOCCA, O ME TOCCA , O ME TOCCA.
Ero piccolino di statura eppure avrei voluto essere un moscerino. Dei quasi cinque litri di sangue che avevo nelle vene in quel momento almeno quettro erano nelle orecchie e sulle guance.
Impiegava quaranta minuti il tram a portami a casa: quel pomeriggio fù un’eternità.
Giunti finalmente a destinazione, con un sospiro di sollievo, mi precipitai giù da quella prigione, mi diressi verso casa accompagnato da un coro :< E O TOCCA, E O TOCCA, E O TOCCA> erano i miei amici che affettuosamente mi salutavano.
Quanti ricordi evoca il”tramwaj”.
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si edis, l’intenzione era proprio quella di dare un’immagine di di uno spaccato di vita cittadina di gente normale che si può incontrare tutti i giorni nelle periferie delle città.
Commenti abilitati Alfred, peccato che non sia stato sottolineato l’aspetto ironico ed umoristico della tua vicenda , oltre che quello umano. Per chi conosce i tuoi scritti sarebbe subito apparso evidente che il tuo intento era quello., perchè è la caratteristica migliore delle tue produzioni.
bravo alfred. sono ricordi indelebili,che ci hanno insegnato a vivere. c omplimenti
Alfred, che situazione imbarazzante … comunque anche queste situazioni fanno crescere, certo che se il ricordo è così nitido vuol dire che ti ha bruciato parecchio, ma comunque l’averla raccontata ha fatto bene a te ed a noi. Ciao a tutti.
che forza ha ancora sto vivido ricordo in te alfred timido sempre po’ come anch’io a volte e appunto l’inizio della tua vita lavorativa e giulio quanti ai calli se permetti ce so anche troppi age anche qua violenti bulli che se avessero calli sulle mani o calli della vita agirebbero meglio diversi accettate anche miei pensieri estemporanei istantanei istintivi ciao tutti
Alfred, non mi soffermo sulla -mano morta- ma sul “teatro amaro” del lavoro .Ti capisco perchè anch’io come te, ho incominciato prestissimo a lavorare… Hai dato uno spaccato del tuo passato chiaro , limpido e soprattutto umano.Sono convinto che ,sicuramente sei daccordo con me , quando affermo e scrivo che :-Certi giovani violenti…, se avessero i calli nelle mani , agirebbero diversamente.Grazie
alfred sei fantasticio !bisogna ammeterlo noi genovesi abbiamola il sarcasmo la comicità nel sangue
siamo come Beppe Grillo.
Mi domando la mano morta tu non l’ai mai fatta?
hahahahhahache piacere leggerti mi hai divertito
alfred,sapessi quanto è veritiero tutto questo.Ero ragazza,modestamente ,una bella ragazza ,e anche io x andare al lavoro prendevo 2 autobus.Immancabilmente cèra la solita mano morta,ed io timida e stupida qual’ero’sai che facevo? scendevo dall’autobus.Oggi farei tutt’altra cosa,prenderei la borsa che all’epoca èra abbastanza pesante ,e gliela darei in faccia.Certo il tuo racconto è tutt’altra cosa,ti hanno fatto passare (e poi chi? una cicciona bombardona)x un toccone,e in quei casi nn puoi nemmeno dire che nn è vero,si peggiora la situazione