Ed ecco la seconda parte del bellissimo racconto del padre di Titina
IL PORTALETTERE (Seconda parte)
Ad un crocevia situato proprio nel bel mezzo del famigerato bosco Mazzocca, fu bloccato da quattro briganti dal viso torvo, cappellacci calati sugli occhi, armati fino ai denti con coltellacci, schioppo, pugnali, sciabole dalle lame lunghe e luccicanti. Lo fecero scendere dal mulo che subito fu preso in consegna da uno di loro; con modi bruschi, con spintoni, minacce e bestemmie irripetibili, fu spintonato contro un albero e minacciato di morte immediata.
La cosa si metteva male…, ma dopo un po’, forse perché nessuna resistenza veniva opposta dal sequestrato gli dissero di eseguire i loro ordini senza resistere, altrimenti gli avrebbero sparato in volto al primo accenno di rivolta, quindi si avviarono per un sentiero.
Zì Gianbattista diventò piccolo piccolo per la paura, in vita sua non aveva mai subito una violenza simile, era la prima volta che si trovava in una situazione triste come quella; pensava alla famiglia, ai suoi figli, a tutti i suoi cari, dicendo fra sé e sé che forse che non li avrebbe rivisti più.
Camminava in mezzo a quei brutti ceffi, non sapendo dove lo conducessero, forse in qualche radura, presso qualche fosso naturale, dove sarebbe avvenuta l’esecuzione. Dopo circa mezz’ora di cammino, da un anfratto della roccia, si udì provenire un’imposizione, un “chi va là”, uno dei briganti, a voce alta, rispose :- Amici! E pronunciò la parola d’ordine convenuta per il lasciapassare. A quel punto, si lasciò il sentiero e si deviò nel bosco più fitto, dove non esisteva alcuna strada, ma solo una discesa ripida fra cerri e querce secolari. Risalita una collina, la pattuglia si ritrovò davanti ad una grotta scavata dal tempo in una maestosa roccia che presentava alla base una cavità naturale ben nascosta da rigogliosi cespugli che ne impedivano la vista, era quello il “covo dei briganti”, in questo posto si ritiravano e si nascondevano.
In una piccola radura, poco distante, alcuni briganti giocavano ai dadi, altri sdraiati sul fogliame secco, dormivano o sonnecchiavano.
All’arrivo del plotone, tutti scattarono in piedi, circondarono zì Gianbattista e, con fare minaccioso, cominciarono a schernirlo e a strattonarlo, la sua posizione era gravissima! Intanto quello che fungeva da capo-pattuglia, lo spinse dentro l’antro, qui c’era un altro ceffo seduto smodatamente, con le gambe divaricate sul rustico tavolo fra alcune ciotole colme di vino, sembrava fosse ubriaco: era il capo brigante, il comandante, quello che impartiva gli ordini.
Il brigante che aveva catturato zì Gianbattista prese il malcapitato per un braccio e, con fare brusco lo spinse davanti al “capo” che esclamò:- Chi è questo?- Capo, lo abbiamo catturato al “guado Mistongo”, pare che sia un portalettere, sicuramente è un italiano e certamente porta con sé del denaro.-
Intanto il capo guardava il viso sbiancato di zì Gianbattista che tremava come una foglia, lo guardava con insistenza, non gli toglieva gli occhi di dosso. – Capo! – chiese quello che lo aveva catturato- Cosa ne facciamo? Lo spogliamo di tutto il suo avere, ci prendiamo il mulo, gli facciamo la festa e lo lasciamo in pasto ai lupi. – Il capo, assorto nei suoi pensieri, lo lasciava parlare, ma continuava a fissare zì Gianbattista che intanto pensava alla triste situazione nella quale si trovava. Nella sua mente era fisso il pensiero che lo attanagliava: si trovava di fronte a colui che avrebbe deciso la sua condanna e chissà di lui cosa ne sarebbe stato! – è arrivata la mia ora ! – pensava- non rivedrò più nessuno dei miei familiari! – E si raccomandò a Dio.
Il capo continuava a guardarlo, non diceva nulla, non decideva la sua sorte e questo suo atteggiamento aumentava in lui la terribile paura della morte. Dopo alcuni minuti che sembrarono un’eternità, disse:- Portatelo fuori e imbandite la tavola, fatelo sedere sulla “prevela” grande, quella con la spalliera, prendete il prosciutto che abbiamo iniziato stamattina, un fiasco di vino, quello rosso, quello che abbiamo razziato sabato alla masseria di “Toppè Top”, il pane quello bianco e fresco e fatelo mangiare.
I briganti, allibiti, anche se di malavoglia, eseguirono gli ordini ricevuti dal capo, avrebbero voluto sbrigare subito la faccenda e disfarsi dell’uomo per evitare che le cose andassero per le lunghe.
Intanto fu preparato tutto, fecero sedere zì Gianbattista alla tavola imbandita e lo invitarono a mangiare, ma lui non toccò nulla, mangiare per lui era impossibile, come si può mangiare con il pensiero di morire? Il capo uscì dal covo, gli si sedette di fronte e lo incitava a mangiare, ma lui non ne aveva alcuna voglia perché pensava che quello sarebbe stato il suo ultimo pasto, era sicuro che dopo aver mangiato, lo avrebbero ucciso.
Zì Gianbattista sbiancò in volto e cominciò a sentirsi male; il capo, allora, lo invitò ancora a mangiare:- Mangia non aver paura, perché io ho un debito con te. Zì Gianbattista trasalì e pensò:- Un debito? Ma io quest’uomo non l’ho mai visto! Il mio lavoro mi porta ad avvicinare tante persone, è vero, però questa persona non mi dice nulla, non mi ricorda niente!. Il bandito continuava ad offrirgli da mangiare, ripetendo che aveva un debito con lui. Il povero malcapitato si rassicurò un poco pensando che doveva trattarsi di un debito buono se il brigante era piuttosto gentile con lui, provò a fatica a prendere qualche boccone e il viso del capo accennò ad un lieve sorriso. In quel momento cominciò tra loro questo dialogo:- Come ti chiami?- e l’altro sussurrando:- Gianbattista Spallone- Quanti anni hai?- Quarantaquattro- Di dove sei?- Di Riccia- che mestiere fai?- Il portalettere- Guardami bene in faccia, non ti dice nulla il mio viso? E zì Gianbattista replicò:- Il tuo viso non mi dice nulla perché non ti ho mai visto- Io invece ti conosco- disse il brigante- mi ricordo molto bene di te!-
Per qualche istante ci fu silenzio, poi lui ricominciò:- Ti dice nulla Campobasso?- Nemmeno a questa affermazione riusciva a ricordare qualche indizio, no, non ricordava nulla, anche perché in tanti anni di servizio aveva incontrato tanta gente, tanti fatti gli erano successi, ma nessuno gli ricordava quell’uomo Il brigante continuò:- Nemmeno la taverna di “posta” a Campobasso ti ricorda nulla? Nulla, vuoto totale, nessun ricordo si faceva strada nella sua mente. –Non ti ricordi di un braciere di carboni ardenti nella taverna, quel giorno che pioveva tanto e faceva freddo, di quel ragazzo appoggiato allo stipite della porta della taverna, con gli abiti grondanti acqua e tremante dal freddo? Tu lo chiamasti e, come avresti fatto con un figlio, lo invitasti a prendere il tuo posto per permettergli di asciugarsi? Quel ragazzo ero io!!! Avevo sedici anni e se tu non mi avessi ceduto il tuo posto, sarei morto di freddo. Da Oratino ero andato a Campobasso a piedi , in cerca di lavoro che non trovai e che non ho mai trovato, pur avendo tanta voglia di lavorare, ma soprattutto tanto bisogno per i miei genitori. Tornato al paese, piano piano, la mia esistenza prese un altro corso. Quando ti ho visto, ti ho riconosciuto subito, il tuo viso era stampato nella mia mente e non ho esitato a dirmi: ora è il momento di saldare con quest’uomo il debito che ho contratto con lui tanto tempo fa, ora mi si è presentata l’occasione per ripagarlo. Zì Gianbattista, non ti sarà torto un capello, dopo che abbiamo consumato la cena insieme, se vuoi e quando vuoi e, puoi ripartire per il tuo paese. “Guastatò” ( guastatore, questo era il nome di uno dei briganti, il più fidato), prendi la bisaccia di zì Gianbattista, mettici dentro la migliore coppia di caciocavallo che abbiamo, un prosciutto, quello più grande, un barilotto di vino rosso, il migliore che c’è, carica tutto sul suo mulo e, quando decide di andare via, tu ed un altro gli farete da scorta per proteggerlo da qualche aggressione, fino al confine del tenimento di Riccia.-
Z’ Gianbattista era pietrificato per lo stupore, non si capacitava che un suo semplicissimo, normalissimo gesto lo avesse salvato da morte sicura. Quando si “riebbe”, salutò quello che ormai era diventato suo amico e tutti gli altri e tornò a casa sua la sera stessa, sano e salvo.
Il racconto dell’avventura di zì Gianbattista deve essere un monito per tutti gli uomini, ma soprattutto per i giovani che si affacciano alla vita, bisogna farne tesoro, fare del bene a tutti , quando si presenta l’occasione, anche se il bene costa caro, sicuramente ci sarà il momento in cui verrà restituito, infatti il vecchio adagio dice:
“ Fà bene e scuorde, fà male a pienz”
(fai del bene e scordatelo, fai del male e pensaci)
AUTORE: Nicola Spallone, padre di Titina
Grazie Titina, stamani avevo proprio bisogno di leggere un racconto così a -lieto fine- Dice un vecchio saggio che.- Ciò che è fatto è reso , in tutti i sensi – Un doveroso pensiero alla memoria di tuo padre , e grazie ancora .
Titina, ho aspettato la fine del racconto x scrivere un mio commento, ma ormai gia’ sapevo che sarebbe stato, come al solito, una bellissima storia. Ero gia’ abituata a leggere i racconti del tuo papa’ (ne ho pubblicati due + una poesia), quindi conosco abbastanza bene la sua bravura nell’esprimere in maniera semplice, ma allo stesso momento coinvolgente, fatti realmente successi e fatti un po’ romanzati. Complimenti ancora al tuo papa’ che sicuramente da lassu’ ti segue e vedra’ quanto bene gli vuoi e quanto sia sempre nei tuoi pensieri. Proprio un bel modo, questo, di mantenere sempre vivo il suo ricordo. Brava Titina!!!!!
Titina, hai fatto bene a non tenere per te questo bel racconto e come dicevo in altra occasione, son convinto che in giro ci siano tante storie positive che andrebbero evidenziate ma, come si sa, il bene è silenzioso ed il male più chiassoso e seducente. Comunque, Titina la stima che le persone ripongono in te,anche in eldy, è tutta più che meritata per il tuo stile sempre misurato e rivolto alle cose positive. Grazie a te, a Paola ed ovviamente al tuo papà.
Titina, il bene trionfa sempre, nonostante tutto. Può essere un pensiero banale ma è ciò che il tuo racconto mi ispira.
Un abbraccio.
Un caro ricordo del padre e un abbraccio alla figliola, così affettuosa.
Com
Tittina,BEL RACCONTO ,RINGRAZIA TUO PADRE PER QUESTA LEZIONE
DI VITA . TANTI LEGGENDO QUESTE RIGHE DOVRANNO FARNE TESORO
NON è MAI TROPPO UN GESTO D’AMORE PER IL PROSSIMO,UN ABBRACCIO AL BABBO!!