Il pane perso nell’età dello spreco
Un articolo di Claudio Magris apparso sul Corriere della Sera del 06 gennaio 2010

[…] Centottanta quintali di pane buttati via ogni giorno a Milano, novecentocinquantanovemila tonnellate di pane consumate in Italia lo scorso anno… In questi giorni, leggendo il giornale, ci mettevamo a fare calcoli per tradurre quei numeri in oggetti concretamente afferrabili con la mente, per sapere quanti panini o mezzi panini avrebbe potuto mangiare di più ogni milanese se tutti fossero andati a frugare nelle spazzature, quanti affamati— per i quali pure una pagnotta è un miraggio— avrebbero potuto saziarsi con quei pletorici avanzi. […]
Lafitte, il banchiere di Luigi Filippo re di Francia, diceva che la finanza ha spesso la meningite ed era uno che s’intendeva di numeri e del loro rapporto, così spesso bislacco, con le cose.
La cifra del nostro stipendio la sentiamo concretamente corrispondere alle cose in cui può convertirsi e si converte— un pranzo, un cappotto o l’affitto— finché non comincia a slittare così pericolosamente rispetto al costo della vita da diventare fluttuante e irreale, perché non sappiamo più a cosa corrisponde in realtà, a quanti caffè al bar o a quante stanze di un appartamento in affitto. Nei mesi scorsi, le discussioni sulla crisi— sulle sue dimensioni e le sue prospettive, insomma la sua realtà— sembravano bolle d’aria o di sapone, simili a quelle bolle (misteriose per i profani) di cui parlavano, e scoppiavano di continuo nel nulla; troppi esperti di banca, di finanza e di economia apparivano guru sfiatati e acchiappa nuvole.

Quello spreco di pane appartiene alla follia generalizzata in cui e di cui viviamo e che non risparmia certo il commentatore di quello sciupìo più di chi lo mette in atto. Esso desta giustamente scandalo, perché è un’offesa oggettiva a chi non ha pane. La mia generazione lo sente più fortemente di quanto lo sentano quelle più giovani, perché, pur non avendo mai patito la fame, sono cresciuto in un’epoca in cui si mangiava tutto quello che c’era nel piatto, senza buttare via niente, e anche adesso, pur cercando anche a tavola i piaceri — com’è giusto, perché non siamo al mondo per fare fioretti— non mi viene in mente di lasciare avanzi nel piatto, anche quando il cibo non mi dà grande soddisfazione. Anni fa uno dei miei figli, conoscendo questa mia abitudine e vedendo un giorno che non gustavo quello che mangiavo, si mise a riempirmi ogni tanto di nuovo il piatto, quando ero distratto da altre cose e non me ne accorgevo, sicuro che avrei continuato imperterrito a vuotarlo.
È lo stile formatosi in un’epoca della penuria, che non dobbiamo certo rimpiangere. Pure lo spreco, peraltro, non contrassegna solo le società opulente, ma anche, sia pure solo in occasioni speciali, quelle povere: in una pagina memorabile Canetti ha descritto l’enorme spreco praticato da alcune popolazioni indigene non certo ricche per dimostrare, in alcuni riti, potere e magnificenza, la regalità di distruggere pure ciò che è necessario a vivere, di gettare in un certo qual modo pure se stessi nel fuoco. La miseria è quasi cessata per noi, ma non per il mondo — in cui anzi aumenta — e dal mondo s’infiltra nelle nostre città, nell’esistenza di tanti nostri concittadini, venuti da lontano o nati vicino a noi, che non hanno dove posare la notte il capo, come dice la Scrittura del Figlio dell’Uomo, e dove trovare il pane.
Quei 180 quintali buttati via sono uno scandalo, ma di chi è la colpa? È facile ed è doveroso pensare agli affamati, ma è anche retorico, se non si riesce a suggerire tecnicamente, in modo concreto, come distribuire quel pane a chi ne ha bisogno. Non è certo semplice, come hanno sottolineato sul Corriere alcuni rappresentanti delle meritorie associazioni di volontariato.
Il problema si fa ancor più tragicamente difficile se dallo scialo milanese o italiano si passa a quello del cosiddetto primo mondo in generale, rispetto alle centinaia di milioni di persone che, nelle più diverse parti della terra, muoiono di fame e di sete e che sarebbe difficile sfamare e dissetare anche se buttassimo meno pagnotte nel cestino e lasciassimo scorrere meno l’acqua nel bagno.
I 180 quintali di pane sprecati ogni giorno a Milano sono il piccolo tassello di un immane, tragico problema che investe il mondo; tragico perché— a parte le infami e deliberate ingiustizie, che è necessario eliminare— è oggettivamente di difficilissima soluzione.
Distribuire, ai milioni e milioni che non li hanno, il pane e l’acqua che ci avanzano è più arduo che viaggiare nello spazio o realizzare mutazioni genetiche; siamo capaci di trasformare radicalmente l’uomo, che presto sarà qualcosa d’altro rispetto all’umanità che conosciamo, ma non siamo capaci di dargli da mangiare e da bere. A tutto ciò si aggiunge l’iniquo sfruttamento di ogni genere perpetrato da parte di tante potenze e forze economiche ai danni del pianeta e di innumerevoli suoi abitanti. I volontari— specialmente, ma non soltanto religiosi— che nei più aspri luoghi della terra aiutano contro ogni speranza i loro sempre più numerosi fratelli in condizioni abominevoli, salvano l’onore dell’umanità, come soldati che non si arrendono, ma tutta l’umanità è seduta ai bordi di un vulcano non certo spento. Quei panini gettati via sono anche dei lapilli che attestano il ribollire della lava.
Claudio Magris

3 Commenti a “Il pane perso nell’età dello spreco di Claudio Magris”

  1. popof scrive:

    Lo spreco del pane è un delitto in un modo dove si muore di fame: da questo non si scappa.
    Ma occorre anche sentire altre campane, un rappresentante dei panificatori ricordava che 180 quintali di pane al giorno per gli oltre 2.000.000 di abitanti di milano (4mil. nelle ore di punta) sono circa 3-5 grammi a pasto procapite.
    In effetti il numero 180 ql fa effetto.
    Io molto più realisticamente penso che il surplus produttivo serve per fare pangrattato e quant’altro, figurarsi se i panificatori milanesi rinunciano a un guadagno, considerando il costo di vendita di un kg di pane, non sono tipi che buttano via circa 1.000.000 di € di incasso mancato al giorno.
    Penso che lo spreco maggiore lo si fa in casa. La fretta e l’aver dimenticato cosa fare con il pane raffermo fanno il resto.

  2. Franco Muzzioli scrive:

    Come non essere d’accordo con Magris !! Mi riallaccio alla risposta che ho dato all’articolo di Giulio”Le vie del pane”,dove ho sintetizzato lati di questo problema.Penso però che se siamo seduti sui bordi di un vulcano non spento,come dice giustamente Magris, è sciocco starcene fermi a farci abbrustolire le terga.L’uomo può fare qualcosa, il riciclo ad esempio è indispensabile ,vi sono sostanze “di scarto” che se adeguamente trattate possono rientrare nel ciclo alimentare. E’ chiaro che al mondo les affaires son les affaires e se non c’è guadagno nulla si fa.Quindi intanto pensiamo a chi mettiamo alla guida del paese e prendiamo esempio dalle Coop citate da Alba.

  3. alba morsilli scrive:

    se tutti i supermecati imitassero la coop liguria ci sarebbe veramente meno spreco
    la coop ogni giorno invia pane emolte confezioni ammacate non vendibili a deversi centri tra cui molti extra comunitari vi appatergono.
    noi volontarie facciamo il mistamento vi assicuro che vengono nutrite molte persone
    se prendessero esempio ecco un modo per non buttare via niente poi fa la raccolta ogni giorno ei soci lasciano qualcosa della loro spesa

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