I VICINI DI CASA (scene in una tipica casa genovese)
Era il suo compleanno e gli amici in coro lo incitavano: “DISCORSO! DISCORSO!”
Visibilmente imbarazzato si guardava attorno e scrollando lievemente il capo disse: “come passa il tempo…!”
Tutti i presenti si sentirono in dovere di rifletterci su, qualcuno disse pensoso: “…sembra ieri…”
Un secondo intervenne dicendo: “E’ vero! Vi ricordate quando?…” ma venne subito interrotto da una voce greve e nasale : “… ma il Marietto della Cloe chi l’ha più visto?”
Un altro : “Ma era poi vero che erano degli sfollati dall’ultima guerra?”
Il festeggiato era uno dei più anziani e sentenziò: ” Però erano tutte brave persone, oneste, lavoratrici”
Un suo coetaneo aggiunse: “Vivevano ammucchiati in dodici in una camera”.
Il figlio della Carletta di diciotto anni, volle intervenire : “Ed allora? L’estate scorsa noi eravamo in quindici sotto la tenda!”
“Ai nostri tempi anche noi andavamo in campeggio… !” disse ironicamente Alfonso.
“Eh!… certo i che tempi sono cambiati!” aggiunse un altro massaggiandosi contemporaneamente il ginocchio sinistro evidentemente dolorante.
“Ma almeno, nel possibile, vorrei poter dare loro quello che non ho avuto io!” disse la signora bionda.
Le rispose Aldo: “D’accordo, ma a questo modo non impareranno mai cosa vuol dire sapersi sacrificare!”
Elisa di anni ne aveva sedici: “Ma perché mi devo sacrificare sempre io, quando tutti i miei amici …!” “Non ricominciare con questa storia … eh!” l’interruppe bruscamente la madre.
“Certo che tutti i torti non li ha” la difese Rino, lui che di figli non ne aveva: “con tutti gli esempi che hanno da cinema, giornali e televisione…!”.
“Cosa c’è stasera in tivvù?” chiese qualcuno distrattamente: “…tanto fanno vedere sempre le stesse cose!” rispose caustica la madre di Elisa.
“I soldi del canone però li prendono sempre…quelli là.!” continuò un altro.
“A me piacciono i documentari” disse una voce arrivando da destra, ma che nessuno raccolse.
Improvvisamente, per una strana coincidenza, tutti i presenti si trovarono contemporaneamente con la bocca piena, cosicché per qualche attimo fu il silenzio.
Uno si sentì in dovere di interrompere quell’attimo di imbarazzo collettivo e, rischiando di soffocare nel deglutire quella orribile torta, prese il bicchiere dello spumante, bevve un paio di sorsi, trattenne un piccolo rutto: “Scusate!” disse, poi, con aria solenne : “Avete sentito le dichiarazioni di Bossi?”
La signora bionda, alzando le braccia al cielo in un segno misto tra la preghiera la minaccia, con il tono di voce di chi non vuole lasciare dubbi gridò: “EH! NO!, EH! NON COMINCIATE A PARLARE DI POLITICA PERCHÈ POI VA A FINIRE CHE..!”
Tutti i maschi presenti si guardarono e con un impercettibile segno d’intesa che universalmente viene captato come: <ma che rompiballe!>, presero ognuno il proprio bicchiere e, con un sincronismo, cui non sarebbero riusciti neanche con mesi di prove, bevvero alla sua salute.
Matteo, il figlio della Carletta, rivolgendosi ad Elisa: “Chi hai di matematica? la Scotto?”
“È andata in pensione, fortunatamente! Ora abbiamo un figo…! Avrà trent’anni…!”
“La Scotto? Quella con la coda di cavallo e l’occhio sinistro che non sapevi mai da che parte guardasse?” “Proprio lei” rispose Elisa a Rino che continuò: “Era davvero buona quella! M’ha bocciato in terza quella carogna che non è altro. Qualcuno scrisse sulla lavagna che era lesbica, e lei se la prese con me!”
Gli rispose ironicamente il festeggiato: “Per forza! Eri il più scemo!”
La signora bionda intervenne in favore di Rino: “Non è vero, era un bel ragazzo, educato, sempre in ordine”. “No, era scemo ti dico!” mentre Rino continuava a sorridere, quasi a confermare quelle parole.
Alfonso,che era sempre polemico, incominciò una delle sue filippiche: “Voi tutti, e quando dico tutti intendo dire tutti, non vi rendete conto che quando si comincia a prendere di mira qualcuno per quello è finita?”
“Ma dai!” azzardò uno. “Lasciami parlare” disse Alfonso rizzandosi in piedi con un scatto e aumentando il tono della voce: “Voi non vi rendete conto di essere come i pappagalli. Ripetete tutto quello che sentite, cosicché se uno fa un battuta scema tutti gli corrono dietro!” Accalorandosi ancor più : “Quel poveretto di Rino è una vita che si sente dare dello scemo. Vi rendete conto che finirà col crederselo davvero?”.
Matteo, il figlio della Carletta, in quei giorni stava finendo gli esami di maturità e col tono un po’ da saputello di quelli che hanno studiato, rivolgendosi ad Alfonso gli disse: “Non sapevo che Lei Alfonso avesse studiato psicologia e filosofia!”
A queste parole seguì la fragorosa risata di tutti i presenti.
Visibilmente imbarazzato, Alfonso, riuscì soltanto a dire con un filo di voce: “E te’ za abbellinou!” ……[traduzione: e sei già scemo tu!]
“Su… non ti offenderai mica!” disse qualcuno con la faccia nascosta dietro una delle ultime fette di torta e, nonostante non piacesse a nessuno, non ne era rimasta quasi più.
Anche lo spumante stava per finire: quattro bottiglie erano completamente vuote; in altre due c’era ancora un dito di spumante sul fondo. Un’altra ancora da stappare era andata a finire chissà come sul piano della credenza: sembrava dicesse: non toccatemi!
Alfonso, ripresosi dalla battutaccia dello studentello, per far vedere a tutti che lui era superiore a quelle cose, andò verso il tavolo dove era la torta.
Quel che ne restava. Prese la fetta più grande e con provocatoria ostentazione alzò controluce le due bottiglie nelle quali era rimasto un po’ di vino e lo versò, prima una e poi l’altra nel suo bicchiere.
Di tutti i presenti nessuno aveva avuto il coraggio di farsi vedere vuotare una bottiglia.
Ma quel “Te za abbelinou„ era stata come una dichiarazione di guerra nei confronti di tutti i presenti. Nell’attraversare la sala salì inavvertitamente su una scarpa della Carletta (la madre di Matteo) la quale, seguitolo con lo sguardo e osservata la scena dello svuotamento delle bottiglie, ne approfittò per intervenire in difesa del figlio: “Eccoli lì quelli che fan ‘a morale a tütti. Predican ben e rassolan ma’! Ammiælo un po’ quello lì! Pa’ che o no l’agge mai mangiou! Imbriegon de un imbriegon che no sei atro!”… [traduzione: eccoli li quelli che fanno la morale a tutti. Predicano bene e razzolano male. Sembra che non abbia mai mangiato! Ubriacone che non siete altro!]
Alfonso, con una calma ed una freddezza che impressionò tutti, si voltò verso di lei, sollevò il bicchiere pieno a metà, e a mo’ di brindisi bevve un sorso, poi spalancò la bocca e con la lingua fece sporgere una poltiglia colorata di quella che un attimo prima era stata una torta.
Elisa scoppiò a ridere fragorosamente come solo i ragazzi sanno fare e rivolgendosi a Matteo: “Ah, ah, ah. Sembra proprio quel tale del libro di fisica, quello che fa le boccacce. Ricordi? Quello che ha una testata di capelli bianchi? Ricordi?…ha inventato qualcosa…ora non ricordo bene. Mi pare parlasse di relazioni…relativi o qualcosa di simile. Ah ah, ah pare proprio lui!”
“Belinonn-aaa!” [stupidona] la apostrofò Alfonso dopo aver ostentatamente bevuto un altro sorso di spumante: “Einsten o l’ea, quello da’ relativitæ! Ma za, ciù studdian e ciù no accapiscian un belin!”…….. [Einsten era!, quello della relatività! Ma già, più studiano e meno capiscono]
Accortosi di aver attirato su di sè l’ammirazione di coloro che in quel momento l’ascoltavano diede una scrollatina di spalle e con disinvoltura si diresse verso il bagno. Quando uscì si sedette e rimase con il busto eretto ed in silenzio per tutto il resto della serata.
Come spesso succede nelle feste casalinghe, si erano formati vari gruppetti di persone ciascuno delle quali parlava di cose diverse: chi parlava di calcio, altri di lavoro.
Le donne facevano pettegolezzi, e i ragazzi, invece, erano nell’altra stanza davanti al televisore che probabilmente non guardavano.
Ogni tanto Matteo scandiva: ” …e sette, e otto”. Qualcuno gli chiese che cosa stesse contando: “Conto le volte che qualcuno và al cesso”.
“Ma cosa ti frega del cesso?”
“Del cesso niente, tengo il conto di tutti quelli che vanno a pisciare e dopo non si lavano le mani”
Elisa rise sonoramente e per fare eco a Matteo imitò l’atto del fare pipì degli uomini.
Subito dopo esclamò: “Che palle queste feste da vecchi” portandosi le mani sulla fronte come segno di disperazione. Ed aggiunse: “Diventeremo pure noi così”.
Intanto la festa stava esaurendosi e gli invitati cercavano il modo per andarsene e naturalmente, nessuno si azzardava a essere il primo. Già da un po’ di tempo si erano notati, su diverse bocche, enormi sbadigli inutilmente celati da movimenti delle mani che non avevano niente di naturale e che assumevano le più svariate posizioni.
Uno degli invitati chiese a voce alta che ora fosse. Un altro da mezz’ora fissava l’orologio appeso alla parete sopra alla testa della Carletta che in quel momento stava seduta vicino al padrone di casa e sbottò con disinvolta sfacciataggine: “Domani mattina devo alzarmi presto: ho tante cose da fare e già che il tempo si è messo al bello farò anche la lavatrice, stendo, così mi asciuga tutto e prima di sera riesco anche a stirare”.
Fu Alfonso a prendere l’iniziativa da vero uomo quale aveva dimostrato di essere: “Sciü, andemmossene a casa nostra, tûtti, che chi sotta ghe sta gente che ‘a vorria dormì. Forsa, andemmossene tûtti a casa nostra che l’è nœtte fæta!”. … [su, andiamocene a casa nostra….tutti….che qui sotto ci stanno persone che vorranno dormire. Forza, andiamocene a casa che è notte fatta]
Sembrò di essere a teatro quando finisce lo spettacolo. Tutti si precipitarono alle uscite come se fosse scoppiato un incendio: chi correva a prendere la borsa, chi le giacche, chi si guardava attorno smarrito perché non si orizzontava e non sapeva più dove era la porta di casa per uscire.
“Elisa! Elisa, dai che andiamo. Su che è tardi” le urlava la madre “Ciao Matteo, ci vediamo domani. Ricordati di lavarti la mani quando vai a pisciare, ah, ah, ha!” disse infilandosi la felpa blu.
Ciao a tutti. Bella festa! Scusate il disturbo. Tutte frasi di circostanza che si accavallavano. Strette di mano. Pacche sulle spalle. Aspettate che vi chiamo l’ascensore!. Io vado giù a piedi, così smaltisco la torta, disse uno. Gli altri lo seguirono per la vergogna perche erano più giovani, provocando un calpestio giù per le scale che sembrava passasse una mandria di cavalli. Andarono via tutti.
Il padrone di casa raccolse i piatti, i bicchieri di plastica, le posate pure di plastica e li gettò nella pattumiera. :”Questo lo lavo e lo tengo: può sempre servire”, pensò vedendo il grande piatto di plastica bianca sul quale era poggiata la torta.
Sistemò le sedie della sala, poi quelle della cucina, diede una scopata in terra e mentre soddisfatto si guardava attorno, sorridendo fra sé e sé pensò: “Però che care persone sono i miei vicini. Tutti quanti” e si avviò verso la camera da letto.
Passando davanti alla credenza della sala, notò il ripiano desolatamente vuoto pensò: “Tutti, meno uno!”
Anche questo tuo scritto conferma il tuo stile : senso del comico e arguzia. Tutti i personaggi corrispondono ad un’autentica ricerca sia di carattere , sia di presenza corporale.Qui hai anche impreziosito il racconto con qualche parola in dialetto genovese,che ha stigmatizzato meglio le persone.La fetta di torta che appare nella foto è (permettetemi il bisticcio) proprio ” la ciliegina sulla torta : miserella e sgradevole !!!!!! aahahaahhahah!!
signori signori vi presentiamo in un atto unico la commedia
U VESCIN DE CASA
Registra ALFRED
:scenografia famigliare l’importante era mangiare a UFFO
divertente, ironia di un giorno di festa in una tradizionale famiglia genovese
sei na bomba alfred di scrittore, ciai la vena letteraria simpatica ironika mordente moderna senza strafa piena ancora de multisentimenti insomma me piace un sacco leggerti permetti questi miei entusiastici apprezzamenti sempre così ciao
Commenti abilitati
Alfred,anche quella si sono fregata,hhahaahhha.Molto molto divertente e veritiero,Alfred,come tutti i tuoi scritti del resto