Ritorniamo a parlare dei tragici fatti accaduti a Sant’Anna di Stazzema, tornati alle cronache proprio in questi giorni, a causa dell’incontro, di uno dei supestiti alla strage, con il nipote della persona che lo risparmiò da una morte atroce.
Giulio ci propone un suo racconto, ma per la cronaca dei fatti vi consiglio di andare a leggere l’articolo, scritto da Giulio stesso, nel blog “Incontiamoci”.
Il 12 agosto del 1944, reparti delle SS tedesche salirono a Sant’Anna di Stazzema, in provincia di Lucca. In poco più di tre ore, vennero massacrate 560 persone innocenti, in gran parte bambini, donne e anziani. In quel periodo, la zona era ritenuta franca, sicura; tanto che vi erano più di mille sfollati…
MARCO E IL FORNO
Questo racconto tratta di un fatto veramente accaduto, il nome non è reale per rispettare la volontà del sopravvissuto al massacro, oggi ancora vivo e grazie al cielo, gode ottima salute. Siccome il racconto fu pubblicato nel 1988, sul volume: “Sant’Anna, guida per un pellegrinaggio di pace” l’ho lasciato integro. Il libro citato, è stato per molti anni la pubblicazione ufficiale, a cura di C. Paolicchi e G. Salvatori, ETS Pisa casa editrice.
Oggi quel ragazzo ha cinquantacinque anni. Un uomo con i capelli ormai grigi, ma con lo sguardo ancora vispo e penetrante. Gli anni però, non sono riusciti a cancellare il dolore, mai potrà dimenticare le grida, i pianti, gli urli rabbiosi dei carnefici: il crepitare della mitraglia, l’odore acre della carne bruciata, il forno.
Il forno per lui era diventato l’eterno ricordo, l’incubo amico e nemico delle notti insonni.[…] A Marco volevano tutti bene, era il discolo del villaggio, ma si conquistava la simpatia e l’affetto, rendendosi sempre disponibile nel dare una mano alle persone anziane. Lo chiamavano scherzosamente: guindolo. Anche se sentiva dalle donne raccontare che, giù nella piana, succedevano cose brutte. Ma Marco, non prestava attenzione a queste voci, le considerava chiacchiere gonfiate dalle donne. Nella sua mente c’erano i giochi con gli amici, le corse sfrenate attraverso i campi, i ciliegi da scassinare, i nidi da imparare. Non poteva pensare alle cose dei grandi.
Sì, a volte vedeva le nonne che si asciugavano gli occhi di nascosto fingendo di soffiarsi il naso: ma lui sapeva che non era raffreddore, né allergia da fieno. Sentiva nelle forre, giù lontano, qualche sparo, e capiva che non erano le mine nelle cave. E si chiedeva come mai i carbonai non facevano più le carbonaie. Perché i pastori non salivano con le pecore verso gli alpeggi? Perché alla sera, si sprangavano usci e finestre puntellando perfino le porte delle stalle? E perché la notte nelle viuzze del paese si sentivano passi affrettati? Erano troppi i perché ai quali non riusciva a dare una risposta.[…] Sentiva dentro di sé che qualcosa cambiava di giorno in giorno. Anche gli amici erano diventati tristi e irrequieti. L’aspetto famigliare del paese si trasformava cambiando le loro abitudini. E perché arrivava in continuazione delle gente? Li chiamavano gli sfollati.
Arrivavano a gruppetti, a famiglie intere: portavano sulle spalle fagotti legati alla rinfusa. Facce tristi, mute. Bambini che piangevano. Quanta gente. E gli sfollati, portavano anche le novità, gli orrori che i tedeschi lasciavano dietro di loro. Gli venivano alla mente alcuni brani di storia che il maestro spiegava in quell’aula che comprendeva tutte e cinque le classi. -Attila flagello di Dio- Ma che questi tedeschi fossero tutti figli di Attila? E che lingua parlavano? Oltre agli sfollati, nel bosco circolavano anche i Partigiani. Marco e compagni si avvicinavano curiosi a questi uomini, fra l’altro armati. E la curiosità li spingeva a fare domande: domande senza risposte. E chiedeva alla mamma: “Ma chi sono i Partigiani? I buoni o… i cattivi ?” Marco li considerava intrusi. Anche perché chiedevano con insistenza roba da mangiare. La mamma rispondeva che “Bisognava aiutarli”.
Ma Marco non accettava che il pollaio fosse vuoto, compreso il gallo che tutte le mattine cantava. Se ci fosse stato il babbo, non avrebbero approfittato della generosità della mamma. In quel momento si sentì indifeso, voleva gridare, chiamare il babbo, ma non lo avrebbe sentito, era lontano con altri partigiani. Riuscì a capire che combattevano contro i tedeschi. […] Erano giorni ormai che non giocava più con gli amici. La sera appena incominciava ad imbrunire, aiutava a chiudere le porte col grimaldello. Nella stalla, ora che le bestie non c’erano più, avevano trovato posto alcune famiglie di sfollati, che ringraziavano in continuazione per l’ospitalità concessa. “Che Dio ve ne renda merito! Pregheremo per voi” Erano le frasi ricorrenti che uscivano dalle loro voci.
Anche le notti incominciavano ad essere diverse, ogni tanto a notte fonda, sui monti circostanti, si accendevano e spegnevano delle luci e, poco dopo, aeroplani sorvolavano i tetti delle case e lasciavano cadere dal cielo, paracaduti per i Partigiani. Non aveva mai visto quei grossi ombrelloni che dolcemente calavano al suolo. Poi i quadrimotori, così li chiamavano, si allontanavano superando le Apuane e ritornava nel letto con la mamma .
I giochi cessarono, le mamme chiamavano spesso i figli. Anche i forni del pane erano spenti, solo qualcuno tingeva brevemente il cielo di fumo. Non si sentiva più il profumo del pane, ma solo qualche teglia di patate, le ultime rimaste […] Gli sembrava che i monti fossero più vicini e che spingessero il bosco a ridosso delle case: un cerchio invisibile stringeva il paese. E le case unite tra loro, si abbracciassero in una stretta forzata, un groviglio di sassi coperti da un solo tetto. Una sola fontana, un lavatoio: un filo teso tra due pali, per appendere al sole gli ultimi stracci. Un sorriso innocente di bimbo, un pianto. Un unico giaciglio sul solaio di legno, una sola preghiera. La stessa nenia per addormentare i bambini. Un ultimo pezzo di sigaro fatto con le scorze di viti, avvolgeva tutti come l’incenso della chiesa.[…]
Anche le vie del paese erano fuse in una sola strada: univa le case alla chiesa in un percorso obbligato. Una fede forzata, ultimo appiglio per i credenti. E vedeva quella chiesa e la piazza, riempirsi di gente: mamme, vecchi e bambini, spinta brutalmente dai carnefici. L’unica via, portava verso il Calvario gli ultimi vecchi ch’erano rimasti indietro a chiudere gli usci delle case ormai vuote.
I cani mordevano i fianchi del gregge. Il Pastore del villaggio, prese l’Agnello più piccolo, lo alzò verso il cielo affinché tutti lo vedessero. Tuonò verso i lupi e al mondo intero, la parola dell’amore, il perdono, la pace: la grazia. Gridò verso le bestie avide di sangue, di togliersi le sembianze feline e ritornare uomini, figli di Dio. Offrì la vita per la salvezza della sua gente. Cadde assieme al Suo Gregge.
Il suo corpo divenne una fiaccola, un enorme falò: cinquecentosessanta luci, un’unica fiamma che tutt’oggi brucia nel cuore della Versilia. Marco si era nascosto nel forno sotto le fascine, scampando così al fiuto dei cani. E, seppur lontano, vide la ferocia dell’uomo scagliarsi verso i suoi simili. Lo ritrovarono il giorno dopo, addormentato con la faccia nella cenere, tremante come un cucciolo scampato agli artigli della tigre.
Oggi, quel forno non esiste più. Però, nelle sue notti, nei suoi pensieri, appare sovente: amico del pane, giaciglio di lacrime amare.
Giulio.lu 30 marzo 2010
han bisogn de quel rimedio che non avvennolo prova se lo meriterebbero asini sono che si vergognino coi loro sarcasmi deficenti ignoranti proprio che non conoscono e capiscono perchè non l’han prova’ cos’è la mancanza di libertà
Ciao Giulio,ho letto il tuo scritto con molta attenzione,mi ha riportato indietro di cinquant’anni.No ,io non ho vissuto la guerra ma i miei genitori si.Ricordo che ero una bimbetta e dicevo a mia madre(mamma raccontami della guerra,nemmeno fosse stata una favola),stavo li ad ascoltare per ore,incantata,inorridita.Ora sono grande ,capisco quante brutture,quanta fame,quanto terrore hanno vissuto.Ieri nella piazza di eldy c’èra qualcuno che diceva(ma il 25 aprile,che ricorrenza è,e lo diceva con sarcasmo)Vorrei che quel signore leggesse tutto questo(ECCO CARO SIGNORE ,PER UN FATTO COME QUESTO E PER MOLTRI ALTRI FATTI ANALOGHI,LA RICORRENZA DEL 25 APRILE).Grazie di cuore ,Giulio
alba sei n’angelo co le tue storie de vita vissuta ciao alba
Alba Morsilli, Sei una Grande Donna , ti ringrazio.Credo di interpretare anche il pensiero di molti Eldyani se scrivo: -TI RINGRAZIAMO- Gridale queste cose finchè avrai fiato. Finchè avrai la forza di raccontare.Grazie ancora , e grazie soprattutto a Paola che ha riproposto questa VERITA’.Non per me Amiche e Amici , (non cerco consensi ne applausi, non è il caso), ma per non dimenticare.
il mio 25aprile
ero una bimba di 6anni che dalla nascita ha vissuto in una baracca (i primi bombardamente distrussero la casa)ero un campo di baracche come quello dei lagher lunghe messe in fila e tutte di legno ci si viveva dalle 6alle 10famiglie ammasati uno sopra l’altro con tutti i pidocchi e pulci che facevano da contorno. il mio posto più tranquillo era il rifugio li almeno ero per terra ma ero sola,il 25aprile mi ricordo tanti morti per strada e appesi ai lampioni dei ponti, io andavo in cerca di un paio di scarpe per mio padre perciò tolsi atutti i morti le scarpe a quel modo papà finalmente aveva le scarpe nuove
quello che mi rimane impresso sono le donne con i capelli ravati che facevano il giro delle baracche non capivo ma da grande ho capito erano andate con i tedeschiquesto è il mio ricordo del 25aprile
Hai indovinato, Giulio, è la crudeltà dei fatti.
Mario.pe Antonio.li.Ringraziando ancora una volta tutti coloro che hanno letto o commentato, Vi confesso che : – Ogni volta che leggo qualche capitolo sull’Eccidio di Sant’Anna di Stazzema,si riapre un triste capitolo. Ripenso alle molteplici interviste, racconti, contestazioni, sopralluoghi etc etc. Sono fatti che non si possono dimenticare, ma ricordare come i Campi di Sterminio. Questa è purtroppo la vera storia della nostra Repubblica. Grazie
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Grazie Giulio, per tutti i tuoi racconti, perché, leggendoli, sei riuscito a farmi amare la storia che, nel mio percorso di studio, mi è sempre risulata la bestia nera.
Tu continua a scrivere ed io continuerò a leggere, ma se spesso non scrivo il mio commento, devi sapere che un silenzio può valere più di 10 pagine scritte. E molte volte il tuo racconto mi rende muto sino al punto di non riuscire a scivere una parola, ma lo stesso, ti confesso, ti trasforma in: “Benedetto Toscano”!!.
Giulio il terreno per quanto mi riguarda è fertilissimo. Solo che quando leggo questi racconti, e ne ho sentiti tanti resto senza parole.Come abbiano potuto dei padri degli sposi dei figli commettere simili atrocità verso altri padri altri sposi e altri figli non sono mai ruiscito a capirlo. E allora resto agghiacciato dalla rabbia e dal dolore e mentre su altri argomenti sono un chiaccherone su queste cose mi chiudo in me stesso e medito ma so che non si dovrà mai dimenticare perchè certe cose non avvengano mai mai più
Se dovessi fare una critica riferita alla scarsità di commenti, direi che questo mio elaborato non ha trovato “terreno fertile” fra i lettori. O forse, la crudeltà degli eventi ha fatto scaturire nell’animo di molti il silenzio, la meditazione, la riflessione.Coloro i quali non conoscevano questi fatti, si saranno posti dal profondo del cuore la domanda:- Ma come è possibile che l’essere umano abbia commesso un simile Eccidio:trucidare 560 persone , donne, vecchi e bambini in poche ore.Amiche e Amici di Eldy, come ho scritto in – Incontriamoci-se non fossi stato coinvolto inconsapevolmente dall’Amico Enio Mancini, me ne sarei stato in silenzio ;ma la coscienza di spronava a scrivere e far conoscere un fatto amaro della nostra Storia.Anche perchè il libro citato, è stato per molti anni la pubblicazione ufficiale dell’Associazione Martiri e Reduci di Sant’Anna di Stazzema.Pertanto, non ho cercato ne applausi, ne elogi.No ! Mi sento gratificato per aver contribuito a far conoscere questo fazzoletto di terra a tante persone .Ho parlato di nuovo con Enio Mancini, il quale mi prega, commosso, di ringraziarVi e di AbbracciarVi tutti.Un ringraziamento alla Direzione di Eldy , nella persona di Enrico, il quale mi ha esternato la Sua disponibilità per eventuali e future iniziative.Un ringraziamento partiolare a Paola , soprattutto per la stima sempre dimostrata nei miei confronti. Un grazie a tutti coloro che hanno commentato e letto , dal solito -Maledetto Toscano
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genova 25 aprile 1945,
le truppe tedesche del gen.Meinhold si arrendono ai partigiani.
L’operaio Remo Scappini riceve dalle mani del generale l’atto di resa.
Si era riusciti con lunghe trattative ad evitare la distruzione del porto da parte delle truppe tedesche.
Per noi che siamo nati a guerra appena finita questi ricordi ci appartengono come fossero nostri.
Ho ancora nel naso l’odore del legno bruciato delle case bombardate, il ricordo delle macerie,
i racconti della mamma, le sue fughe nel rigugio con un bimbo in braccio, al suono selle sirene
che preannunciavano un bombardamento.
Il razionamento del pane.
I racconti con voce tremante e pacata di papa, partigiano e poi commisario della polizia partigiana sono indelebili.
Trasmettiamo questi ricordi ai giovani noi che abbiamo vissuto molto da vicino quei tragici avvenimenti !
Il revisionismo storico in atto cancellerà tutto ed allora potrà ricominciare tutto daccapo.
Giulio, mi sono commosso.
Anche se i fatti trattati risultano tragici, non si può fare a meno di sottolineare la tua capacità di riportarli in vita nel miglior modo possibile, complimenti Giulio.lu
La testimonianza di Marco di un avvenimento tanto tragico e spaventoso, non poteva trovare un narratore migliore di te, Giulio, con umanità e partecipazione emotiva, hai reso omaggio al personaggio di cui scrivi. Complimenti…”maledetto toscano”!
giulio bravissimo mi compiaccio per l’umanita’ che metti sempre nei tuoi scritti sono veramente penetranti nell’animo ciao scrittore giulio carissimo