Ho letto d’un fiato sulla rivista  “Alternative” le suggestioni di Fausto Bertinotti sulla rinascita dei conflitti come strumento per ricreare l’opposizione di sinistra.
Suggestioni tanto più necessarie in un momento di grande “stanca” che attraversa tutti i sentieri  della politica.
Di fronte a tanta sollecitazione viene voglia di prendere la vanga e mettersi immediatamente a scavare, approfondire, dire la propria senza coperture e timidezze.
Perché, se si deve dar vita ad un’opera così improba, difficile, bisogna essere chiari con gli altri e, soprattutto,  con se stessi.
In proposito, metto sul tappeto qualche osservazione alla rinfusa, senza alcuna pretesa di organicità.
Prima di tutto. Rinascita della sinistra, appunto. E’ forse l’obiettivo che mi lascia più freddo. Personalmente non vedrei un grande impegno per far rinascere una “cosa” dai contorni così indeterminati, quasi irreali. Emoziona una rinascita del comunismo, del socialismo come fede, come idea totalizzante, come somma di credo politico e di  azioni concrete per realizzarlo. Ma, “sinistra”, via. La prima risposta che ci sentiremmo dare è forse quella classica: “che cos’è la sinistra”, “che cos’è la destra”? Il commento rinato  del Signor G. di qualche anno fa. La macchina è di sinistra o di destra? E l’autobus? E l’aereo?
Il socialismo, il comunismo erano fede e speranza in una società diversa, giusta, con la classe “generale”, il proletariato, al comando per far scomparire tutte le disuguaglianze. Le ingiustizie. E’ in quella direzione che dovremmo continuare a lavorare.
Ma in quella direzione ci fu ad un certo punto, e non certo per colpa della “classe” dei lavoratori, un’involuzione statalista che fronteggiò a sua volta l’altra involuzione, quella del capitalismo  senza regole, determinando un terreno tempestoso, quasi fra Scilla e Cariddi, una lotta fra ciechi e sordi.
Sicché fu gioco-forza che vincesse a sinistra, almeno in certe condizioni date, la socialdemocrazia, che dette ai lavoratori quello che il capitalismo poteva dare senza correre il rischio di andare a gambe all’aria.
Non bastava? Certo, non bastava e bisognava andare avanti, raggiungere nuove conquiste, nuovi traguardi. Ecco l’esigenza della rifondazione.
Ma qui nasce il vero nodo da sciogliere, che continua, perdonatemi, a rimanere evanescente: il nuovo modello di sviluppo, di stato, da indicare come mèta, come traguardo.
Senza di questo non si va da nessuna parte. Il sindacato potrà uscire dalla stanza della concertazione lasciando da solo un capitalismo scalcagnato,  senza, d’altra parte, essere in grado, da solo, malgrado tutti i conflitti di cui sarà capace, di produrre situazioni significativamente nuove, giuste, vantaggiose per tutti.
E questo non in un solo paese, soprattutto se esso appartiene al novero dei più ricchi, ma portando “giustizia e libertà”, come si diceva una volta, in tutto il mondo degli sfruttati, diseredati.
Sono problemi, mi rendo conto, che fanno tremare i polsi. Ma sono ineludibili.
Dunque, modelli diversi per il capitalismo ed il comunismo, che sarebbe meglio chiamare socialismo viste le connotazioni che storicamente ha assunto il comunismo e che sarebbero d’intralcio ad un’operazione simpatia da proporre alla gente.
Ma oggi quali diversità ci sono fra i modelli economico-sociali?
Giustamente si parla delle nefandezze del capitalismo, del neocapitalismo. Ma che cosa c’è di alternativo ad esso? Tutti dicono le stesse cose, vogliono le stesse cose, si comportano allo stesso modo e a volte viene il dubbio che il vero problema per molti consiste semplicemente nell’idea di mettersi al posto dell’avversario.
Ma non è così. Non basta. Oggi, ma non è sempre vero, dovrebbe essere scomparsa qualsiasi infatuazione statalistica, se non altro per mancanza di espliciti estimatori. Naturalmente non per i compiti fondamentali dello stato,  come la scuola, la giustizia, le regole di vario tipo che assicurino giustizia, protezione ai poveri, ecc.
Ma ormai sembra pacifica l’adozione della forma aziendale, di impresa, per quasi tutte le attività economico-sociali. Ebbene, a sinistra qualcuno ha creato qualcosa di alternativo al modello d’impresa? L’unica alternativa fu, ma sono passati anni luce, la cooperazione. E dopo nulla. C’è stata un po’ troppa acquiescenza al “tutto sindacato”? Quando in periodi di vacche grasse era possibile colloquiare e confliggere più facilmente con l’imprenditore privato? E strappargli parte del suo profitto? Non è una critica, s’intende, ma in periodi meno grassi sarà necessario approfondire. Capire quali ruoli alternativi si intende svolgere, quali novità immettere nel sistema.
Anche il mondo “privato” non è tutto lo stesso, ci sono imprese che puntano al profitto ed imprese che, pur private, svolgono attività non di lucro e socialmente prevalenti.
Come vogliamo comportarci con queste e con quelle? E quale ruolo dovrebbero le une e le altre svolgere nel sistema che vogliamo?
Poi c’è Il neocapitalismo. Che informerebbe di sé l’intero stato quasi che tutte le colpe siano da ascrivere ad esso. Qualche anno fa qualcuno aveva fatto il panegirico dei manager rispetto ai capitalisti d’antan. L’innamoramento è finito salvo, forse, che nel partito democratico. Ma questo neocapitalismo, che si ritiene fortissimo, per me ha le pezze ai piedi. Cerca alleanze più che nemici, solidarietà più che contestazioni. Per non morire, forse. Ma se muore il capitalismo con che cosa lo sostituiamo?
Ci sono, certo, le morti, gli incidenti in fabbrica. Inaccettabili. Esecrabili. Ma lo vogliamo dire che i morti sono spesso dei poveracci che non hanno niente a che fare con i capitalisti?
E vogliamo dire che l’esercito d’immigrati che vengono da noi “non può” essere trattato benissimo  perché, non giustificando ovviamente il razzismo d’ogni genere ma offrendo da fratelli tutto quello che possiamo dare, tuttavia non possiamo accoglierlo tutto?
Dobbiamo recuperare un ruolo internazionale, che è il vero problema dei paesi ricchi, dobbiamo darci traguardi importanti, saper fare sacrifici, non per noi ma per i popoli più bisognosi del mondo, per l’ambiente, ecc, ma il discorso porterebbe assai lontano.
E’ certo più comodo, ma non basta, protestare contro i tagli della Gelmini, ma certo non chiama a questo compito chi voglia proporre modelli di sinistra diversi dal capitalismo. Vorrei chiudere con due altre considerazioni.
La prima. La zona grigia delle menti attanaglia tutti, purtroppo anche i giovani, che parlano una lingua comune, giovani di destra, di centro, di sinistra: gioco, discoteca, piercing, droga, ecc. un tutto indiscriminato. Li puoi chiamare alle manifestazioni ma non applicano profondità di ragionamento, sacrificio per una causa, impegno reale e visibile. Certo, ci sono delle eccezioni, ma siamo in un campo minato.
La seconda. Dispiace che nelle spire del neocapitalismo siano caduti e cadano anche lavoratori, pensionati. Tutti con le stesse idee “capitaliste” in testa: il gioco, il guadagno, il maggior interesse da strappare, la maggiore convenienza da perseguire. Si tratta di clienti fedeli del capitalismo, o del neocapitalismo, e sono tanti sì da rendere ardua una decisa azione di recupero.
Perché, e Bertinotti lo sa bene e certamente condivide, se il breve termine può essere gestito anche dalle minoranze, il lungo termine è una chimera se non ci sono i grandi numeri capaci di dare la vittoria alle elezioni.

Lorenzo.rm         19 aprile 2009

Scrivi un commento
nota:  I COMMENTI DEVONO ESSERE PERTINENTI ALL ARGOMENTO A CUI SI RIFERISCONO E NON DEVONO ESSERE INSULTANTI PER CHI HA SCRITTO L'ARTICOLO O PER UN ALTRO COMMENTATORE