http://www.youtube.com/watch?v=WnT_95mRdyM

Il lavoro, oltre che una punizione divina, rappresenta per ognuno di noi una parte molto importante della vita, sino a diventarne parte integrante, sino ad essere identificabili con il lavoro che si svolge e, quando il lavoro cessa una parte di noi è cancellata e in tanti si finisce in uno stato che rasenta la depressione. Veniamo educati sin da piccoli a pensare al lavoro come qualcosa di utile e necessario. Non di rado ho letto sul quaderno di scolari figli di amici “bravo hai lavorato bene” o “oggi hai lavorato male”, e a un certo punto mi son chiesto “ma la maestra sa che i bambini vanno a scuola non per lavorare ma per imparare?”. Certo che lo sa, ma anche la maestra, e dai oggi e dai domani, finisce per usare i termini correnti delle relazioni sociali. E’ anche vero che i bambini si sentono entusiasti di fare qualcosa di utile: resta il fatto che sbagliamo noi grandi a chiamarlo lavoro. Perché sbagliato? Perché il lavoro è qualcosa che inizialmente è stato inflitto come castigo divino. Ecco già una contraddizione: a catechismo diciamo ai bambini della punizione di Adamo e poi, a nostra volta diciamo “bravo” al bambino che ha “lavorato” bene, è come dirgli “hai conquistato la benevolenza divina” , o l’opposto se non si è impegnato. Non mi risulta che Dio abbia detto che lavorando si sarebbe conquistato il paradiso, solo la sopravvivenza, per l’eden le cose da fare e non fare, sono altre. Quindi cresciamo con un’idea del lavoro staccata dalla realtà, pensando che il lavoro sia tutto nella vita e non una mera necessità. Difatti quanto è il tempo che durante la vita dedichiamo al lavoro “produttivo”? Se togliamo il tempo da dedicare al sonno e al tempo libero ne resta solo il 33%, un altro 10% è da eliminare per il riposo settimanale. Alla fine su 168 ore di vita a settimana, noi occidentali, ne dedichiamo al lavoro al massimo 40 (poco meno di ¼). Ora sembra fuor di dubbio che, settimanalmente, fatte salve le ore di sonno, le ore a disposizione sono almeno 86. Chi ci educa ad utilizzarle appieno queste ore? Cosa ne facciamo? Si le faccende domestiche, la cura dei figli, i lavori di riparazione casalinga, le cure mediche e tutto il resto, ma quando siamo in un letto di ospedale ad esempio che facciamo? Continuiamo a girare intorno ai nostri pensieri paranoicamente, poi alla fine apriamo un libro o un giornale e cerchiamo di dare vita al tempo “fermo”. Insomma o diamo vita all’ozio creativo o finiamo nello scoramento. Da quando ho rotto una caviglia, anni fa, porto sempre con me almeno un libro che, qualora finissi inaspettatamente all’ospedale, mi permetta di volare stando a letto. Nella vita di tutti i giorni ci sono altri modi per occupare il tempo libero, come suonare, scrivere, incontrare, viaggiare. Poi c’è il modo di prestare il proprio tempo a chi non può far da se, comunemente  chiamato “volontariato” e le possibilità sono tante visto il bisogno di chi non può far le cose elementari da solo. Oppure mettere a disposizione il proprio sapere, la propria conoscenza, a favore di chi si affaccia al mondo del lavoro. Insegnare a tenere un libro contabile, o a piallare o utilizzare un computer, riparare un ferro da stiro. Trovare la forza di guardare oltre l’uscio di casa per scoprire che i nostri vicini fanno fatica a portare i figli a scuola e poi correre in Ditta, che il signore del palazzo di fronte ancora non ha imparato a stirare i pantaloni da quando è vedovo. Che Maria deve andare a fare la spesa e non ha nessuno che la porti al discount dove   risparmierebbe qualcosa sulla povera pensione .  Che……                                                                                                  Bisogna reimparare a viversi dentro e fuori . Non dimentichiamo che due solitudini quando entrano in contatto diventano sempre una compagnia.   

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  Popof                   15luglio2009

8 Commenti a “DOPOLAVORO (scritto da Popof e inserito nel blog da Semplice)”

  1. lorenzo.RM scrive:

    Luciano, d’accordo al 100%. Ma d’accordo anche con Antonio.

  2. luciano3.RM scrive:

    La solitudine dei pensionati, quelli soli e sfortunati che non sono pochi,sono intrappolati nella fitta rete dei ricordi,come il contatto e le amicizie,che hanno trovato nell’ambiente di lavoro,per poi con delusione accorgersi che le amicizie molte volte finiscono,subito dopo che si va in pensione erano amicizie di lavoro,quelle che rimangono sono le vere amicizie.
    Solo frequentando dopolavori associazioni, e volontariati si può fare una scoperta illuminante,esiste vera amicizia tra i pensionati e ci può salvare dal baratro della solitudine.
    Quello che ognuno di noi ha fatto prima di andare in pensione, è lavorare,ritengo che la pensione debba godersela con la dignita dovuta.

  3. antonio2.LI scrive:

    Luciano hai indubbiamente ragione sulla validità di tutti gli organismi che hai rammentato.Ma non dimenticare che molto dobbiamo fare anche noi.La pensione e l’inazione che ne deriva ciascuno di noi la deve conoscere e si deve costruire costruire per tempo degli interessi che lo aiutino a combatterla certo ci sono casi particolari ma non credo che siano la maggioranza. C’è sicuramente il problema delle persone sole che hanno piu difficoltà delle persone con famiglia che tra figli e nipoti e amici riescono a passare il tempo anche picevolmente.

  4. luciano3.RM scrive:

    Non mi trova daccordo su come viene data l’interpretazione del lavoro.
    Un mio pensiero sul ruolo importante del dopolavoro.
    Frequentare dopolavori,volontariati e associazioni,per i pensionati può migliorare la loro vita, sono stumenti adeguati per non cadere nella triste solidutine e disperazione,che a volte li vedono costretti ad andare in giro nei giardinetti pubblici,senza amicizie e luoghi da freguentare e abbandonati a se stessi.

  5. antonio2.LI scrive:

    LAVORO parola complessache richiederebbe pagine e pagine sia per definirlo che per descriverlo compiutamente.Io tratterò solo un aspetto del lavoro.
    La casualità.
    Tutti da piccini abbiamo sognato di fare il pompiere,il medico, l’aviatore, il pasticcere; poi siamo cresciuti e le diverse situazioni ci hanno avviato per una strada diversa.Ma quello che si può dire e che volevo sottolineare è che non tutti riescono a esercitare nel lavoro le esperienze di studio che hanno accumulato o i sogni che hanno sempre avuto.Ho conosciuto geometri che si occupavano di alimentari,ragionieri che hanno finito per fare gli idraulici,avvocati che si son messi ad insegnare lettere e cosi via.Ma se uno riesce a fare il lavoro per cui è veramente portato e che ha sognato da sempre ecco che il lavoro non è più “un male necessario” ma un vero piacere.Oggi con la crisi dell’occupazione questo fatto è più evidente che mai e moltissimi giovani che avrebbero una professione davanti si devono accontentare di lavorare in un call center o in un supermarket sprecando cosi anni di studio.Ancora peggio capita a chi non ha havuto la possibilità di studiare perchè la carenza di posti di lavoro crea un disagio anche nel settore del lavoro non specializzato.Resta solo la speranza di una ripresa economica che apra la via sia pur lentamente a una piena occupazione

  6. rosaria3.NA scrive:

    Ecco l’articolo che nel precedente commento non è venuto:
    “L’articolo opera una riflessione sul rapporto tra uomo e lavoro così come trattato nel Libro della Genesi. In particolare, viene proposta una rilettura del testo biblico che intende far risalire la ‘fatica nel lavoro’ di Adamo, dopo il peccato originale, non ad una punizione inflitta da Dio, ma ad un mutato atteggiamento dell’uomo nei confronti dell’Agire. Il testo biblico offre infatti una prospettiva che vede
    l’ Agire lavorativo non come sofferenza, ma anzi, come elemento fondante dell’Esistere.
    Si entra così nella simbologia dell’Antico Testamento come in una rappresentazione da cui carpire i significati che interessano l’argomento trattato, al di là di ogni questione teologica, di ogni verità rivelata e di ogni personale posizione religiosa.

  7. rosaria3.NA scrive:

    Popoff, come dice Lorenzo, si può essere d’accordo, o non, su tutto il discorso, ma quello che, in qualità di persona “addetta ai lavori” (e uso ancora la parola “lavoro”) non condivido, è la critica alla dicitura degli insegnanti “hai lavorato bene o non hai lavorato bene” rivolta ai bambini a scuola. La parola “lavoro” viene definita come impiego di energia per raggiungere uno scopo determinato ed ha, quindi, un’accezione molto ampia. Esiste il lavoro fisico, mentale, muscolare, intellettuale, manuale, quello applicato alle macchine nel campo della fisica ( ad esempio le leve) ed esiste anche il “lavoro scolastico”, inteso come compito scolastico da svolgere (è usato in molti testi scolastici e pedagogici). Il lavoro è costituito da quello che si produce e quindi anche l’alunno a scuola produce (il suo compito).
    Riguardo, poi, al fatto che “il lavoro è qualcosa che inizialmente è stato inflitto come castigo divino” riporto copia di un articolo tratto da “La rivista on line di filosofia applicata ai mondi del lavoro” intitolato proprio “Il lavoro non è un castigo divino” di Mattia Capitini (riferendosi, forse,a quanto detto in precedenza con altro articolo che non ho trovato).
    <>.

  8. lorenzo.RM scrive:

    I pensieri di Popof, stavolta concentrati sul lavoro, con la solita bravura. Si può essere o no d’accordo ma la scrittura è avvincente. Bravo.

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