Giovanna, con la sua consueta bravura, ci presenta un altro “grande” della pittura mondiale moderna.
Tra i grandi della pittura contemporanea vi sono molti artisti spagnoli. Picasso prima di tutti, poi Dalì e Gris. Joan Mirò, pittore di grande talento, nacque anche lui a Barcellona (1893-1983).
Nel 1912 l’artista decise di dedicarsi esclusivamente alla pittura, interessandosi tuttavia anche di musica e di letteratura. Lesse molti libri di Verne nei quali trovò valori analoghi a quelli che arricchirono nel profondo la sua natura di artista: la flessibile libertà dell’immaginazione e la capacità di stabilire un equilibrio reale nello stesso fluire delirante dell’invenzione.
“Bach e Mozart – dirà più tardi – mi hanno aiutato a capire il profondo significato della linea”.
La solidità delle strutture aeree di certi quadri di Mirò, nel corso della sua lunga carriera, dimostrò che quell’insegnamento non fu vano. L’artista non ha mai ammucchiato disordinatamente segni e colori. Ha inventato delle forme.
Dopo alcune esperienze dadaiste, Mirò ebbe un incontro decisivo con il surrealismo. Questa corrente pittorica incitò gli artisti a liberarsi da ogni schema visivo superficiale, a cogliere la vitalità che scaturisce ed agisce nascosta sotto le illusioni della verosimiglianza, nell’inconscio.
Ma proprio perché quella del surrealismo fu per lui una lezione di libertà e di ricerca, Mirò rifiutò d’istinto ogni immagine surrealista per definizione, ogni canone iconografico. Il surrealismo non fu per lui una maniera figurativa ma un atteggiamento morale. Scoperta la libertà non poté più farne a meno. Come disse Alice, basta un passo, un semplice passo per entrare nel paese delle meraviglie, così Mirò entrò senza fatica nella totale libertà del suo mondo favoloso.
Mentre per altri artisti, fare del surrealismo significa inserire nello spazio della tela una congerie di immagini inconsuete e bizzarre, saccheggiando solai e libri dei sogni, per Mirò dipingere significava abbandonarsi diligentemente a raccontare una favola concisa e scintillante in cui agiscono, inesausti, i suoi personaggi fragili e vulnerabili. L’artista non complicava le cose, le trasformava liricamente. Il sole, le stelle, i fiori, gli uomini e le donne stabiliscono fra loro rapporti molto semplici e molto avventurosi. Mirò non trascurò la realtà: la esaltò, coronandola di immagini. Ribermont-Dessaignes disse: “Il suo segno ha qualcosa del bel canto”.
La pittura di Mirò fu il frutto di una graduale negazione del realismo e la semplificazione dell’immagine.
Il processo si completò dopo gli anni ’20, quando avvenne l’adesione dell’artista al surrealismo. Le prime sue opere erano strettamente legate alla terra e alle tradizioni catalane. Nel suo modo di stendere il colore e nella struttura compositiva si avvertì chiaramente l’interesse per l’arte francese in generale (impressionismo, i fauves, cubismo, futurismo), ma soprattutto per la pittura di van Gogh, Cézanne, Renoir.
A partire dal 1912, Mirò impresse una svolta radicale al proprio stile pittorico. Semplificò le forme, prestò maggior attenzione ai dettagli. Realizzò paesaggi che richiamano l’arte popolare e un po’ naif. Si parlò, a questo proposito, di periodo particolarista”.
Mirò entrò poi nel’orbita del surrealismo. In numerosi scritti e interviste egli espresse il suo disprezzo per la pittura convenzionale e il desiderio di “ucciderla”, “assassinarla” o “stuprarla”, per giungere a nuovi mezzi di espressione.
Le immagini si caricarono di allusioni simboliche. Le sue opere cominciarono a popolarsi di segni ambigui, forme embrionali, figure cosmiche e vegetali. Rappresentazioni ironiche e semplificate di personaggi, animali, cose, vengono rese attraverso una grafia infantile, attorniate da stelle, lune, soli. Queste forme non lo abbandonarono più.
Sul piano strettamente stilistico, la pittura di Mirò è fatta di linee e forme leggere, prive di volume, che si dispiegano su vasti scenari di colore omogeneo.
Potrete ammirare, nel corso dell’articolo, una serie interessante delle sue opere. Ne descriverò solo due, in maniera estesa, ma emblematica della sua produzione.
Terra arata.
In questo dipinto Mirò ci presenta uno scenario surreale, che sembra essere la fase precedente di quello elaborato nel Paesaggio catalano, opera realizzata negli stessi anni, come se le cose reali osservate nella campagna di Montroig qui non si fossero ancora del tutto trasformate in quel mondo di segni indipendenti e astratti, conservando ancora un’identità naturale. Si riconoscono, dunque, molti elementi che hanno subìto una metamorfosi nell’immaginazione e nella realizzazione artistica dei due dipinti, così la lucertola, in primo piano, con il cappello da mago o la gigantesca pianta grassa che gesticola, li ritroveremo in Paesaggio catalano nelle vesti di Sardinia con i baffi e del cacciatore col fucile. In uno spazio suddiviso da una semplice linea di orizzonte, riconosciamo altri elementi tipici di Mirò: la fattoria, al centro della composizione, poi l’albero, l’occhio, l’orecchio, uccelli in cielo, bandiere che sventolano e animali di ogni specie. Si scatena, poi, un universo di segni e figure che, trascendendo qualsiasi principio di unità di tempo, di spazio, di azione, vengono accostati in un contrasto bizzarro che, indubbiamente, ci trasporta in una dimensione onirica e metaforica, che potrebbe richiamare alla mente certi quadri di Hyeronimus Bosch o dei manieristi italiani del tardo Rinascimento.
La stella mattutina.
Il tratto è sottile, quasi impercettibile. La delicatezza in luogo della forza. L’estrema semplicità delle forme e dei contorni, quasi elementari, a tratti primitiva, per certi versi ridotta ai minimi termini, tre o quattro al massimo, più le tonalità di nero usate.
Gli elementi raffigurati, in fondo, sono sempre gli stessi. Uccelli, donne, uomini stilizzati, stelle, terra, sole e luna. Nulla di più, nulla di meno. Poi, naturalmente, c’è tutta la straordinaria potenza visiva, la capacità di essere trasportati in un’altra dimensione, onirica, surreale, immaginifica; fatta di sogni, per lo più di visioni, in alcuni casi di incubi. Un’opera immensamente lirica, aperta.
La sensazione che si percepisce dai dipinti di Mirò è unica e irripetibile. Sembra di camminare sospesi nell’aria, sereni, riappacificati con la vita e con i sensi.
Nel suo persistente tentativo di “assassinare la pittura”, egli adottò anche la tecnica del collage.
Mirò morì a novant’anni, nel 1983, a Palma de Mallorca.
Giovanna3.rm 13. 01. 2010
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Cara Giovanna, tu con i tuoi artisti ci purifichi l’anima, ci dai nutrimento e pace, ci lubrifichi la mente. Mirò il “pittore bambino” grande !!!!Uno dei miei preferiti con Kandisky e Picasso, ho una stampa del manifesto della mostra di Parigi del 83 di Mirò nell’anticamera giorno. Ho visto recentemente una mostra fatta a Como con le sue ceramiche, molto bella! “pittore bambino” nella Grafica e nell’anima! essenziale, schematico e profondo.
Grazie cari amici: è un piacere sapere che leggete con interesse anche le notizie di artisti che non sono tra i vostri preferiti e ne ammirate anche le opere. Ciò ci stimola e incoraggia ad approfondire i vari stili e i diversi modi attraverso i quali molti pittori si esprimono.
Se ne saremo all’altezza, proveremo anche a visitare i vari artisti sia del pre-Rinascimento che i seguenti, forse con vostro maggiore gradimento. Ce la metteremo tutta, ve lo prometto.
Per ora, un caro saluto a tutti.
Giovanna, non è il tipo di pittura che piace a me, ma ti ringrazio per la presentazione precisa he fai di questo Artista.Credo che non sia facile dare una lettura così attenta delle sue opere, se non ci s’addentra nelle sue tele con amore come sai fare tu. Ti ringrazio
Come l’amico Pino. Brava.
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Giovanna, anche se non sono particolarmente attratto dall’arte moderna ti faccio comunque i complimenti per il lavoro di ricerca svolto e la cura posta nella presentazione delle opere dell’artista.