Vi propongo due articoli: un racconto di Giulio e uno scritto verità di Alfred su come eravamo noi italiani

Riflettiamoci su, perché  non dovremmo mai dimenticarcelo.

Premessa:
-Questo episodio, più volte mi è stato raccontato da mio padre. Anche se scritto in una forma di –Racconto Lungo-, riporta fatti veramente accaduti. Potevo limitarmi a fare una ricerca storica dettagliata, ma ho preferito questo sistema, sperando che sia di vostro gradimento. Ma soprattutto, un doveroso pensiero a tutti coloro che lasciarono la vita nelle miniere di Pola. Sapete, quell’allievo picconiere, era mio padre. Conservo ancora il libretto di lavoro.


Giovanni, quella sera, non riusciva a dormire, si alzò dal letto e aperse la finestra. Un cielo con pochissime stelle cullava una fetta di luna sbiadita. Dalla posizione di questa capì che l’alba era vicina. Il paese dormiva, solo qualche gatto miagolava, imprimendo tristezza nel cuore di Giovanni. Chiuse senza far rumore la finestra: la moglie dormiva. Un fischio acuto che riconobbe subito, era  Ilio, l’amico d’avventura. Scese le scale seguito dalla moglie, sopra il tavolo una valigia di cartone. La moglie la prese e con le lacrime agli occhi la porse al marito. Seguì un abbraccio frettoloso dal quale si staccò per non cedere alla debolezza dei sentimenti.
Ilio e Gianni s’incamminarono verso la mulattiera che conduceva alla carrozzabile. Quando la stradina cominciò a tuffarsi nelle selve, diedero un ultimo sguardo al paese. Il campanile emergeva sopra i tetti delle case possente e severo. I finestroni sembravano due enormi occhi neri che seguivano l’allontanarsi dei due uomini. Poi il bosco li accolse e solo il rumore dei passi rompeva il silenzio. Giù alla carrozzabile, salirono sopra un camion, dove altri operai attendevano muti.
Alla stazione ferroviaria di Querceta, salirono sul treno che li portò verso luoghi a loro sconosciuti. Gallerie, pianure immense, e di nuovo colline. Quando incominciò ad imbrunire, il treno si fermò in una località dal nome strano: Pisino. Scesero, e si avvicinarono ad un autobus col muso da ippopotamo, brutto e sgangherato. Salirono assieme ad altri compagni di lavoro. Inutile guardare fuori: il buio avvolgeva tutto. Solo i fanali del veicolo illuminavano la strada di una luce fioca. Si fermò finalmente in un piazzale squallido e, appiccicata al muro una scritta:- MINIERE DI ARZIA- POLA  –
Furono accompagnati ad una fila di baracche, entrarono: un fetore di sudore e di sporco li accompagnò per tutta la lunghezza della camerata. Si sdraiarono sui duri materassi di vegetale e caddero in un sonno pesante. Al mattino presto,  furono chiamati all’ufficio manodopera, sulla porta di ingresso una scritta:- ARSA- SOCIETA’ ANONIMA CARBONIFERA –GRUPPO MINIERE ISTRIANE –MINIERE DI ARZIA – POLA-


Svolte le formalità, ad entrambi fu data la qualifica di –Allievi Picconieri- con una paga di lire 27 al giorno. Nel piazzale circostante, enormi mucchi di carbone. Anche le piante  erano ricoperte di un colore nero. Ebbero il tempo per visitare Pozzo Littorio, era il villaggio dei baraccati. Da lì, iniziava il pozzo centrale che, per mezzo di un grande ascensore si raggiungeva il profondo della miniera.
Il primo giorno di lavoro, salirono sul gabbione (così lo chiamavano)  a tre piani, che appiccato ad una corda di acciaio, carico di uomini, li portò nella pancia della terra. La luce del sole si spense sopra le loro teste sostituita dall’illuminazione artificiale. Il gabbione si fermò alla profondità di 800 metri. Li attendeva il capoturno che consegnò loro i picconi. S’incamminarono lungo una galleria: un vecchio minatore  s’accorse del loro smarrimento e li incoraggiò .
Col passare del tempo, si abituarono alle otto ore di sepoltura giornaliera. Ma quando il gabbione risaliva in superficie, guadavano il cielo e ringraziavano Colui, nel quale non avevano mai creduto.
La galleria si faceva sempre più bassa: i picconieri seguivano il filone del carbone. Spesso si ritrovavano ricoperti per l’improvviso crollo dello strato nero. Le infiltrazioni d’acqua inzuppavano le tute rendendo ancor più faticoso il lavoro. Dietro di loro, i manovali caricavano i carrelli del fossile estratto, mentre gli armatori puntellavano con grossi tronchi la volta della galleria. Gianni maledì il giorno in cui decise di partire per Pola. Guardò per un attimo i compagni di lavoro, non avevano nulla di umano. Solo gli occhi riflettevano la scarna luce delle lanterne, come quelli  d’un gatto nella notte.

Mentre picconavano puntando i piedi in quel budello umido e nero, ripensavano al lavoro della cava. Il vento che fischiava fra i blocchi e pungeva la faccia, era l’alito di un bimbo in confronto al grisou della miniera. L’acqua che lavava il fianco del monte e che a rivoli scendeva lungo la schiena, era un bagno tonico in confronto al fango nero della miniera. E il sole  che batteva sui blocchi e nelle pareti di statuario in un reberbero accecante, bruciando la pelle, era una benedizione in confronto al semibuio della miniera.
Alle ore dieci del 28 febbraio del 1940, il turno finì e il gabbione riportò gli uomini alla luce del sole. Ilio e Gianni, mentre s’incamminavano verso le baracche delle docce, si udì un grosso boato. Le sirene e campanelli d’allarme cominciarono a suonare, le squadre di soccorso scesero nelle profondità della terra alla ricerca dei sepolti vivi. Ilio e Gianni si calarono per l’ennesima volta in quell’inferno alla ricerca del figlio di Oscar. Ma furono costretti a risalire: non si respirava. Dopo alcuni giorni, lo ritrovarono dentro un pozzo d’acqua, con la testa appoggiata sopra un masso. Svenuto, ma vivo. Riuscirono a riportarlo in superficie .
Dopo diversi giorni, la Società Carbonifera  del gruppo Miniere di Pola, esponeva un lungo elenco di uomini, che ormai giacevano in una fossa comune, nel camposanto di Albona, a 47 km da Pola. Il numero dei morti salì a 350, tra i quali, 4 dell’alta Versilia. Nel cimitero di Basati, il mio paese, in una lapide  si legge:- Generosi figli della nostra terra, per l’indipendenza economica della nostra Patria, caddero nelle miniere di  Arsia , Pola , il 28-02- del 1940. All’età di 29 anni.


Ilio e Gianni ritornarono al loro paese. Tanta gente li attendeva e il campanile suonava a distesa. Riabbracciarono le mogli, amici e parenti. Un po’ appartate, due giovani vedove vestite di nero. Erano le mogli di due amici morti nella miniera. Ci fu un lungo abbraccio e le lacrime solcarono i volti di tutta la comunità.
Ognuno si avviò  verso la propria casa. Ilio teneva appiccicata alle mani la valigia di cartapesta. Prima di entrare in casa, la posò sul muretto  della via. La guardò scuotendo la testa bisbigliando a mezza voce:- Ecco tutto quello che ho portato, una valigia di cartapesta . -Non dire così – gli disse la moglie abbracciandolo, – Hai riportato la vita-

Giulio.lu    22 luglio 2010

segue l’articolo verità in ricordo di Marcinelle scritto da Alfred

9 Commenti a “LA VALIGIA DI CARTAPESTA scritto da Giulio.lu”

  1. titna.is scrive:

    Giulio, sai che ti seguo e mi appassiono a leggere i tuoi scritti, li sento vicini al mio mondo, come te sono cresciuta in un ambiente che ha sempre presentato problematiche esistenziali difficili da affrontare, in primo luogo l’emigrazione che ha privato i nostri piccoli borghi di tanto materiale umano. Quello dei minatori, poi è stato uno dei lavori più difficili e rischiosi svolto dai nostri emigranti; chi di noi non ha nella mente l’immagine di quei volti anneriti dal carbone che, come tu dici, sembrano non avere nulla di umano a parte gli occhi? Vorrei tanto che le nuove generazioni possano capire quanto è costato ai loro “padri” il benessere di cui godono anche con tutte le contraddizioni e le necessità della vita di oggi. Grazie Giulio, come sempre, sei stato veramente bravo!

  2. giulia4.mi scrive:

    Toccante il tuo racconto Giulio, grazie per averlo condiviso con moi, credo che lo conserverò e che lo leggerò in classe, sai a scuola quando parliamo di fonti energetiche, parliamo spesso di dati tecnici, di come funziona una miniera, poco ci soffermiamo sull’aspetto umano, magari ne parla di più l’insegnante delle materie letterarie, quando parla della rivoluzione industriale e dello sfuttamento dei minori nelle miniere, credo che queste memorie non dovrebbero andare perse, come tante altre.
    Complimenti per i tuoi scritti.

  3. Giulio Salvatori scrive:

    Grazie a te Antonio…fra noi toscanacci non servono tanti fronzoli:ci si capisce al volo .E grazie a coloro che hanno commentato e arricchito l’elaborato. Grazie a coloro che hanno letto o leggerano.Non ho fatto nulla di ezzezionale, è mio padre che parla, sono quei genitori che non hanno rivisto la luce del sole.Come dico nel commento fatto ad Alfred,i fatti di Pola e Marsinel non vanno dimenticati , non si possono mettere nel dimenticatoio.E’ un tassello della nostra storia scritto col sangue della sofferenza .

  4. antonio2.li scrive:

    Bravo Giulio
    Come sempre hai colto i due bersagli, quello del sentimento e quello della realtà che in questo caso racchiude la rabbia tipica per noi toscani per l’ingiustizia che da sempre ci contraddistingue.
    A questo proposito vengo meno a una mia abitudine di non presentare articoli ma solo inseriro un titolo di giornale.
    Non spaventatevi è corto ma vi farà capire sia il carattere di Giulio sia il mio,Questi sono i maledetti toscani:
    Immigrati, la Toscana batte il governo
    “Sanità gratis anche ai clandestini”
    La Consulta boccia il ricorso. La legge regionale consente agli immigrati il trattamento sanitario gratuito. Rossi: fatta giustizia. La Lega: vergogna. Il governatore rilancia: ora al lavoro per i diritti di cittadinanza e quelli politici.grazie dell’attenzione

  5. lucy.tr scrive:

    Come sempre Giulio ci propone con questo brano una storia di uomini, che con il loro duro lavoro e con il sacrificio della loro vita hanno fatto grande l’Italia. Sicuramente la sua storia personale fa si che questa scrittura risulti attenta e soprattutto coinvolgente, traspare in ogni frase la fatica e il sacrificio di uomini abbrutiti dal duro lavoro, bello il parallelo che fa tra il lavoro dei cavatori e quello dei minatori. Il sole, il bianco accecante del marmo delle Apuane in contrasto con il buio della miniera e il nero del carbone. Forse tra la vita e la morte? Importantissima è la frase con cui chiude il racconto, la moglie di Ilio dice:” Hai riportato la vita”, rimarcando ancora una volta la sacralità della vita che va vissuta malgrado tutto. Vorrei aggiungere che anche la sua scrittura semplice e non semplicistica è da apprezzare per una comprensione facile e totale del testo, oggi abbastanza difficile da trovare.

  6. alba morsilli scrive:

    bravo giulio hai fatto molto bene a metterlo come racconto, senti dentro l’umanità la sofferenza e l’indiferenza padronale.
    poveri uomini, dicono che il pane ha sette croste ma per i minatori ne aveva 10, el il loro companatico era la polvere sottile che respiravano.
    dove in maggioranza chi non moriva dentro ad una galleria moriva di silicosi ancora giovane,i soppravisuti sono eroi hanno portato a casa la pelle, come nei campi di concentramento
    Solo che qui era lavorare come i neri schiavi del padrone.
    sperando che per nessuno esserwe umano di qualsiasi colore è la pelle avvengano più queste cose

  7. marc52 scrive:

    Commenti abilitati
    Racconto molto bello e triste! che ti riempie di rabbia!!!! Quanta povera gente morta per poter portare a casa di che mangiare per le mogli ed i figli, per un avvenire migliore, uomini morti e dimenticati, numeri per un governo sfruttatore. Persone che hanno permesso all’Italia di arricchirsi con il loro sacrificio ed il loro lavoro !!!!! non i colletti bianchi, o i corrotti politici senza un minimo di ripensamento o di rammarico. Figli del popolo senza diritti, solo… doveri. Lo già ribadito, non sono credente! ma mi domando molto spesso d’avanti a questi fatti : “ma Dio dove stai? dove sei?” Poi propongono di intestare quella via ,quella piazza, ad un politico (vedi Craxi) a loro vanno intestate le vie, le piazze! Almeno quello glie lo devono. Ma brutti stronzi di politici ,di imprenditori, mangiatori ingordi a tradimento! Ma non vi vergognate ? Maledetti 1,000 volte. Attenzione stanno e stiamo facendo la stessa cosa con gli extracomunitari, pensiamoci su bene! La storia si ripete!
    PS questi poveri lavoratori fanno la storia.

  8. pino1.sa scrive:

    Giulio, ogni volta che ci sottoponi un tuo scritto, a me vengono in mente i racconti del Verga che oggettivamente riportano la realtà sociale e umana, specie quella più umile; in ogni situazione presentata anche sgradevole vengono analizzati gli aspetti concreti della vita, senza fronzoli e/o ombre di vanità. Dai tuoi racconti di vita vissuta, anche quando sembrano evidenziarsi sconfitte, restano spiragli per evidenziare valori alti e nascosti che sottendono a molte azioni umane. In uno dei racconti tali valori erano nascosti nel bastone che come testimone passava di mano come nella staffetta ora li hai nascosti nella valigia di cartone, ricordo amaro per molti emigranti. Giulio io mi inserisco in quegli spiragli che lasci nei tuoi racconti per risorgere e prendere forza per affrontare le difficoltà che la vita ci presenta. Complimenti sinceri Giulio!

  9. lieta scrive:

    giulio non ti ho ancora letto tutto bene, la cronaca racconto, quando so di corsa vado verso il finale, cmq lo farò tranquillamente altro momento, ma mi hai fatto rinfresca’ mi so venuti brividi emozione sentimenti universali espressi da te così magistralmente, che ne dici se andassero in miniera un po’ certi soloni riccastri politici persone dall’animo corrotto marcio sarebbe na terapia ad hoc choc me fermo ciao giulio

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