Oggi, domenica, prendiamoci il tempo per riflettere su questo scritto di Giulian, che tanto potrebbe toccare tutti noi.

La competizione com’è noto ha per oggetto… la vittoria.


È presente in tutti noi, di essere più intelligenti, più abili e più capaci degli altri; di saper fare le cose migliori di quanto siano state fatte finora.
Quante volte, con un interlocutore, il nostro pensiero e la nostra volontà sono di imporgli le nostre idee piuttosto che fare uno sforzo per cercare di capire il suo punto di vista e trovare dei punti di contatto che siano utili a entrambi. Molto probabilmente ci verrà spontaneo il dire che noi facciamo meglio, noi abbiamo, sicuramente, ragione.
Abbiamo mai pensato a come possiamo apparire noi a loro? Se gli altri non facciano, rispetto a noi lo stesso ragionamento che noi facciamo rispetto a loro?
Come avviene, allora, che vi siano persone che stimiamo, e che pure riescono a collaborare anche con quelle con cui noi non riusciamo a farlo?
Forse a questo punto ci potrà venire il dubbio che qualcosa nel nostro atteggiamento è sbagliato; che pur avendo le migliori intenzioni forse non abbiamo prestato sufficientemente attenzione alla ragione dell’altro, in modo da poter far diventare la competizione costruttiva, collaborativa, efficace…a vantaggio di tutti?
Proviamo ad analizzare il nostro comportamento e verifichiamo se sia meglio adottare un atteggiamento collaborativo anziché uno competitivo.

La competizione può portare all’invidia, alla gelosia, a un sacco di cose spregevoli, disgustose e … velenose.

Esercitare questi sentimenti costa “fatica”e non lascia tempo per il sorriso. Si può pensare che molti facciano e continuino a usarli più per ignoranza che per volontà. Usare invece la comprensione è semplice e gratificante.


La competizione “necessaria” non dovrebbe essere utilizzata per umiliare gli altri, ma solo un nostro buon esercizio di capacità, di conoscenza, perché necessari al risultato finale la…vittoria, meritata, riconosciuta e senza colpi bassi.

La competizione dovrebbe essere solo un piacere… ma sì un hobby, non un fine, perché spesso è un po’ troppo esagerata, esasperata.

Se poi competere, significa fare meglio del concorrente, se l’importante è il “fare meglio degli altri”, bisogna, anche e soprattutto, “saperlo fare”.

Ma è necessario competere sempre?
E’ errato vivere solo per competere?
E’ errato evitare sempre di competere?


C’è una vecchia barzelletta, due escursionisti che, dall’altra parte della valle, vedono un orso che corre verso di loro. Uno dei due comincia a scappare, l’altro si ferma, tira fuori le scarpe da ginnastica dallo zaino e se le mette. Il primo si volta e, sorpreso, dice: “Ma credi di correre più veloce dell’orso, con quelle?” “No”, risponde l’altro, “e neppure mi serve. Mi basta di correre più veloce di te”.
Il punto cruciale di questa storiella è: chi è che lotta? A che livello avviene la competizione?
La parola “competizione” è in realtà fuorviante, sarebbe più corretto parlare di “prevalenza”.

Per completare lo scritto di Giuliano, riporto un pensiero di Jorge Bucay che, secondo me, cade molto  a proposito in questo momento: <Credo che il mondo non sia un luogo per “competere”, ma per “condividere” ed una condizione necessaria è guardare se stesso (ed io aggiungo prima di giudicare)> (pca)

7 Commenti a “LA COMPETIZIONE scritto da giulian.rm”

  1. alfred-lollis scrive:

    Commenti abilitati
    hai ragione Guglielmo.
    sarebbe sufficiente osservare due bambini al parco che si rincorrono: uno avanti e l’altro dietro. Sudati. Corrono…..
    quello davanti fa scarti improvvisi per evitare di essere toccato (raggiuto), quello dietro corre ansimando nella speranza di arrivare a toccare l’avversario almeno con la punta delle dita. Gli sarebbe sufficiente: preso! Non hanno dimostato niente,a nessuno, solo a loro stessi. Sono felici cosi. Ricomiceranno nuovamente a rincorresi finche non……. impareranno altre competizioni.

  2. GuglielmoCa scrive:

    Caro Alfred-Lollis E’ errato vivere solo per competere…E’ errato evitare sempre di competere. La competizione necessario è solo quella che ci spinge a raggiungere l’obbiettivo di una vita degna d’essere vissuta…ed evitandola invece si cadrebbe nell’ignavia…nell’abbandono…dise stessi…nel nichilismo…L’altra che va oltre il necessario, col suo permanente antagonismo, provoca continua insoddisfazione e sofferenze per eventuali ed ovviamente normali mancate vittorie.
    La compitizione “necessaria” comunque non deve essere utilizzata per umiliare gli altri competitori…nè sono consentiti mezzi fraudolenti ma sono buon esercizio di capacità… di conoscenze e approfondimenti in quanto necessaria alla… vittoria…
    In conclusioneIn concluione, a mio parere, una volta soddisfatti nel miglior modo possibile i nostri bisogni primari…eventuali altre comperizioni devono esser solo un opzional…un piacere…un hobby…ma non un fine…l’unico fine…della nostra vita…Guardandola in modo… planetario…sipotrebbe dire che la competizione è spesso troppo esasperata…esagerata…ne nostro mondo occidentale…mentre appare molto meno importante…meno assillante… nelle religioni, nelle culture e nelle filosofie orientali. Golgo l’occasine di salutarti con simpatia G.

  3. albamorsilli scrive:

    Purtroppo va di moda non lasciare parlare gli altri, sovrapporre la propia voce a quella altrui, e imporre il propio punto di vista, viviamo tempi di arroganza e maleducazione , si e’ persa la capacita’ di ascoltare, noi siamo animali sociali abbiamo bisogno di interfacciarci con i nostri simili altrimenti diventiamo bruti chiusi nelle proprie torri di avorio

  4. alfred-lollis scrive:

    La mente umana ha spesso al suo interno vie molto tortuose, difficili da seguire e da capire ed allora ci si ferma all’apparenza esteriore, al primo aspetto.
    Sappiamo tutti che se veniamo ripresi per un qualcosa che a giudizio di altri non avremmo dovuto fare sappiano scavare nel nostro interno andando a cercare tutti i possibili e immaginabili cavilli, motivi, giustificazioni per spiegare con quelli che “NOI RITENIAMO ” i motivi logici che ci hanno portati a fare quello che ci viene rimproverato.
    Ci sforziamo di spiegare, portiamo esempi, facciamo confronti. Ci meravigliamo se non siamo capiti.
    A noi sembra tutto cosi chiaro!
    Ecco: a questo punto ci convinciamo che il nostro interlocutore non capisca, non sia all’altezza di capire, gli stiamo portando argomentazioni lapalissiane e lui niente, non capisce!
    Non ci rendiamo conto che il nostro interlocutore sta facendo esattamente tutto quello che stiamo facendo noi e che in quel momento sta pensando di noi quello che noi stiamo pensando di lui.
    L’aspetto della competizione è ancora più subdolo: chi sa di essere davvero superiore, (in forza, in istruzione, in capacita manuale, in prestanza fisica, ecc.) non ha bisogno di dimostrare. Egli sa di essere considerato dagli altri il migliore. Lo ha già dimostrato, è riconosciuto come il migliore.
    La competizione scatta quando dentro di noi non c’è la certezza di essere il migliore ma il desiderio di esserlo e la convinzione nostra, intima, che gli altri vogliano che noi siamo i migliori. Dobbiamo dimostrare di essere ciò che noi crediamo che gli altri si aspettano da noi.
    E’ piuttosto un’esperienza di vita: si ha bisogno dell’altro, e tale necessità affettiva fa sì che ciò che si dà è in funzione dell’altro.
    il naufrago che vive da solo sull’isola non deve dimostrare niente a nessuno se non a stesso: non ha bisogno di essere competitivo.

    Vittorino Andreoli, famoso psichiatra, afferma: “Non è la stessa cosa che rimanere isolati su di una montagna: vuol dire non essere percepiti, non avere un senso in mezzo alla gente, sentirsi soli tra tante persone. Si ritrova solo colui a cui nessuno attribuisce un significato, colui che vive ma è inutile”.
    Ecco la sensazione intima, quello che crediamo di percepire.
    Ancora domanda rivolta da uno studente allo psichiatra:
    “STUDENTE: L’affermazione esasperata di se stessi può spingere l’individuo a voler annullare l’altro. Da un punto di vista etico come possiamo dare una spiegazione a questo problema?

    ANDREOLI: Hai ragione: se una persona ha un forte bisogno di affermarsi, allora si concentra totalmente sul proprio nemico. E’ ciò che chiamiamo la “cultura del nemico“: il mio scopo è quello di essere il più bravo, quindi devo tener d’occhio colui che mi sta immediatamente dietro per poterlo eliminare, perché è la persona che potrebbe portarmi via il primato. Ritengo che tale agonismo possa avere delle regole: nello sport, per esempio – nei casi in cui non si ricorra a doping o ad altri imbrogli – vige un codice che non è possibile definire “non etico”. Se, al contrario, l’agonismo risulta privo di regole e ci si ritrova a sopraffare l’altro imbrogliandolo, allora siamo in presenza di un vero e proprio comportamento “non etico”…

    tratto dal sito “http://www.emsf.rai.it/grillo/......asp?d=138
    nel caso voleste approfondire
    Naturalmente ognuno poi la vede e giudica a modo suo.

  5. Lorenzo.rm scrive:

    C’è una competizione “buona” e una “cattiva”. La prima è intesa ad offrire a sé e agli altri il meglio di sé. La seconda a “comandare” sempre e comunque sugli altri e prevaricarli. Non si tratta di concetti nominalistici ma reali. Quindi la risposta che verrebbe spontanea, cioé quella di rifiutare la competizione, facendola coincidere addirittura con “prevalenza”, non va bene. Dalle mie parti si dice, in un vecchio proverbio, che il medico pietoso, cioé empatico, comprensivo, “amichevole”, porta l’uomo alla sepoltura. Forse non c’entra molto ma dà l’idea. Quindi, sana competizione sempre, ovviamente nel rispetto e nella considerazione di tutti. Quando, poi, addirittura, si applica il principio della competizione, ripeto sempre sana e rispettosa, a gruppi, società o nazioni, si possono fare miracoli perché, in questo caso, si può applicare il principio che “l’unione fa la forza”.

  6. GuglielmoCa scrive:

    Caro Giuliano. la competizione nel mondo moderno ha avuto un’evoluzione verso un significato negativo per alcuni… per la percisione…per quelli che danno maggior valore al benessere interiore…e che dunque non danno un eccessivo valore al primeggiare.
    Per altri invece essa ha un enorme significato positivo…e cioè per quelli che danno un enorme volore all’esser primi…in qualunque situazione e dunque ritengono che nella vita bisogna assolutamente e continuamente raggiungere risultati che soddisfino il proprio io.
    La competizione come è noto ha per oggetto…la meta…la vittoria…Ma è necessario competere sempre o è forse meglio godersi quel che si ha….quel che si è raggiunto.
    Come sempre, a mio avviso, la cosa migliore sta nel mezzo… In medio stat virtus.

  7. franco muzzioli scrive:

    Non so a che ambito vuol rivolgersi Giuliano ,ma nella vita c’è sempre competizione.
    La massima de Coupertiniana ….”l’importante non è vincere ma partecipare”…vale solo per le Olimpiadi e poi ho qualche dubbio in proposito. La competitività è il livello concorrenziale di un sistema economico, quindi è un valore positivo in tempi moderni.
    Anche nell’ambito dialettico ,se vuoi esprimere un concetto al quale credi lo fai con la pretesa di convincere (con-vincere),anche se è giusto ascoltare gli altri ovviamente.
    Anche il pensiero di Bucay citato è certamente condivisibile ,ma nella realtà è difficilmente realizzabile ed un pò retorico.
    Se Giuliano avesse scelto termini come aggressività, prevaricazione gli avrei dato ragione al 100%.
    Per la barzelletta dei due escursionisti ,quello che si mette le scarpe da ginnastica non voleva “vincere” ,ma solo salvare la pelle perchè era più furbo.

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