aree dialettali

canzoni in dialetto

DIALETTO…

Sembra che sia un argomento che interessa molti di noi. Tra i commenti che sono stati inseriti nella “Bacheca-buca delle lettere-suggerimenti” ce ne sono diversi che affrontano quest’argomento.
Già molto più di un anno fa, proprio in Eldy, fu soggetto di discussione: dialetto sì, dialetto no. Possiamo usarlo o no?
Alfred per primo lo ripropone e poi Franco Muzzioli, Giuliano, Riccardo.

La ricchezza di Eldy è proprio questa: veniamo da tante aree geografiche differenti e tutti abbiamo parole nostre, legate alla nostra regione, allora vogliamo metterle in comune?
Ci potremmo scambiare di tutto, non solo frasi, o detti, o proverbi, o parole, o poesie, o canzoni, ma anche piatti tipici, il tutto legato alla nostra terra e volendo anche leggende.
 

Infine, una proposta suggerita da Giuliano: perché non scrivere anche di un determinato argomento (usando il dialetto, con traduzione) ed un altro eldyano risponde (usando il suo dialetto con traduzione). Per esempio qualcuno scrive in vicentino (con traduzione) e qualcun altro gli risponde in napoletano (con traduzione)
Bene a voi di “giocare” se vi va e buon divertimento!
Riporto qui, tra i commenti, gli ultimi vostri, postati in “bacheca” e che riguardano i dialetti. (pca)

59 Commenti a “Le nostre 6000 “lingue” italiane…”

  1. franco37 scrive:

    Pasquino…prova un pò ambiziosetta ,ma piacevole …almeno per la buona volontà . Il bolognese bazzotto (mezzo dialetto e mezzo italiano) è di difficile classficazione…un pò sorpassato è il socc’mel …ora contratto in un improbabile “soccia “.

  2. riccardo2.co scrive:

    In co seren l’e no, duman seren sarà?, se al sarà mia seren, al se rassarenerà.
    Oggi seren non è, domani seren sarà?, se non sarà seren si rasserenerà.

  3. edis.maria scrive:

    Chiedo scusa per il doppio commento : il primo non era apparso ed io ne ho scritto un secondo!

  4. edis.maria scrive:

    Pasquino sei un intenditor o uno studioso di dialetti? Hai scritto la versione di un dialogo in tutta la Penisola! Io, da buona piemontese ,ti posso dare un giudizio su quello svoltosi a Torino: 6/10. Un po’ ” miserello”? Pur parlando bene il piemontese, lo leggo, ma non lo so scrivere,e correggerti! Certo tu non cercavi la precisione, ma la tua solita ironia,e il tuo solito leggero sarcasmo! Ciao Pasquino! Mi sei molto simpatico!!!!

  5. edis.maria scrive:

    Pasquino, sei un inteditor e uno studioso di dialetti? Bravo veramente nel cimentarti in un elenco così lungo che percorre tutta la Penisola. Io, da buona torinese , posso darti un voto sul dialogo che presenti : 6/10! Un po’ ” miserello?” Purtroppo non so correggerlo ,perchè , pur parlando il piemontese, so leggerlo, ma non scriverlo! Salve Pasquino!!!!!Mi sei molto simpatico!

  6. pasquino scrive:

    DIALETTI D’ITALIA:
    Palermo, al bar…
    Cliente: “Ma che minchia di caffè è chistu? Amarissimo iè !”.
    Barista: “Mischino! Scusasse vossia, ce lo mittissi subito u zuccaro!”

    Bari, al bar…
    Cliente: “Mooo, e ‘ci ò? C’sort’ d’cafè ie cuss? Amar’com’u’fiel’! Chidd’e’mmurt!”.
    Barista: “Madonn’u’me’, ci’uò da me? E chiapp’ u’zucchr’! vafangul!”

    Napoli, al bar…
    Cliente: “Ue, Genna’, e cchess’e nu’:censored:’e cafè! Senz’o zuccher’rint’! Amar’ comm’a mort’! Maronn’!”.
    Barista: “Ne, Peppi’, e m’aggio sbagliat! Mittit’c o’zuccher’n copp’,ue, scusate, teng’che ‘ffa…”

    Salerno, al bar…
    Cliente: “We mannaggia a mort, e tu chist o chiamm cafè?? nun c’è mis manc o zuccher aint! ma stai nu poc a for stammatin???”
    Barista: “Ue, m’è propri passat pa capa!!ttiè ccà, tiè… mittangel stess tu! Statt buon uagliù, m chiaman allà!!!”

    Roma, al bar…
    Cliente: “Ma li mortacci tua! Nun ci’hai messo un c..zo de zucchero! E’ amaro arabbiato! Aho! Che, mme stai a cojonà?”.
    Barista: ” Aho, e qua me stanno a ffa’n’casino! Ecchelo, arimetticetelo lo zucchero e nun me rompe’ li’cojoni!”.

    Firenze, al bar…
    Cliente: “Icchè ti gira il boccino, oggi? ‘Un ti sei rihordato punto di zuccherare il caffè? L’e amaro boia, maremma !”.
    Barista: “Maiala bona! ‘E mi pareva ‘un ci facessi haso, l’e giusto qui la zuccheriera! Te tu metticelo tutto!”.

    Sassari, al bar…
    Cliente: “Pattagarrissa ‘e mama rua, su caffè amarrissimo è!”.
    Barista: “Butturrau, sa capra s’u mangiau! A comprarre lo vaddu!”

    Bologna, al bar…
    Cliente: “At’vegna un cancher, mo’ ti sei dimenticato lo zucchero?”.
    Barista: “Socc’mel, a’m sera brisa dè! To’ la zuccheriera!”

    Trento, al bar…
    Cliente: “Zio Cane, barista dall’ostia, te se desmentegà l’zucher, va’n mona và, n’dela la zuccheriera?”
    Barista: “Osti, me son desmentegà, toh eccola, vot anca n’ciccin de grappa ent’el cafès?”

    Bergamo, al bar…
    Cliente: “We cameriér, n’dolè ol socher? Ol café l’è amar!!!!”
    Barista: “Ma l’è le sol taol!!! Arda le, dogh’è ol socher, prope lè!!!”

    Milano, al bar…
    Cliente: “Ciula! t’el chi, crapun! Cuma l’e quel caffè lè? Sensa succaro?”.
    Barista: “Uh, bestia, ciapa chi la sucarera!”

    Torino, al bar…
    Cliente: “Cristu Bertù, alè en poc amer nè…”.
    Barista: “Oh basta là, l’avrà spustalu en tarun, el suker! Ka t’sterva pura, monsu”.

    Genova, al bar…
    Cliente: “Belin che caffè amaro, figgieu. Manca lo zucchero, besugo!”.
    Barista: “L’ha girato bene?”.

  7. pino1.sa scrive:

    Ecco alcuni proverbi napoletani:

    ‘O bene vallo a truvà ca pe ‘o male basta aspettà.
    Cerca il bene che il male viene da solo.

    A lavà a capa o’ cuccio se perde ‘o tiempo, l’acqua e ‘o sapone.
    A far cambiare opinione al testardo, perderai solo tempo.

    Astipa e miette ‘ncore, quanno è tiempo caccia fore.
    Conserva e tienilo in cuore, al momento opportuno tiralo fuori Commenti abilitati

  8. anna b scrive:

    Dialetto: Lombardia
    Nunch
    In d’on praa de roeus
    in mezz al bosch
    Tì e mì
    intònom la nòstra canzon.
    On parpaìn
    el se requia sora el tò didin
    per portatt la Rosada de mel.
    Gh’è on laghett d’emòzion
    ch’el speggia i nòster facc,
    e ‘l mond intorna el scarliga via…
    El zerbiatt el se fa pussee arent
    per scoltà insema a nunch
    i ridad di Fad e Folett.
    L’è Mader Natura
    che la ne toeu per man
    in d’ona brasciada d’Amor.
    ANAM ME’
    ME’ FIAA

    Traduzione in italiano
    Noi
    In un prato di rose
    in mezzo al bosco
    Tu ed io
    intoniamo il nostro canto.
    Una farfalla
    si posa sul tuo ditino
    per donarti la Rugiada di miele.
    C’è un laghetto di emozioni
    che riflette i nostri volti,
    e il mondo intorno scivola via …
    Il cerbiatto si fa sempre più vicino
    per ascoltare insieme a noi
    le risate di Fate e Folletti.
    E’ Madre Natura
    che ci prende per mano
    in un abbraccio d’Amore.
    ANAM ME’
    FIATO MIO

  9. GuglielmoCa scrive:

    TRAFFICO A FIRENZE Di (Beatrice faldi)

    A Firenze la mattina l’angoscia per chi guida
    e l’è continua,
    perchè i’ traffico s’annida.

    In un sol punto spesso si concentra,
    guai a chi in centro s’andentra
    se tu prendi Via Alamanni;
    sei avvisato! Saranno danni.

    Prima dell’arrivo alla Stazione
    ti sfugge a lavoro ogni occasione,
    ma tu c’hai i’ tempo per controllare ogni particolare,
    ogni striscia, ogni buca e ogni segnale.

    Non devi avere fretta,
    ad ogni semaforo immensa coda t’aspetta;
    hai passato lavavetri e ridondanti manifesti,
    arrivi lì e come per magia t’arresti.

    Almeno e tu c’hai i’ tempo di pensare,
    e tu pensi:”In quest’ora e potevo andare a ì’ mare”
    e ci son troppe presenze.

    Troppi permessi finti e troppe vecchiette,
    che parton per far la spesa già alle sette.
    Del resto, un ce lo dimentichiamo
    di Firenze è l’antichità che amiamo.
    Incredibile! Come per magia,
    passan camion, macchine e tranvia,
    e tutto ciò è concentrato nello soazio
    che sarebbe riservato ad una sola corsia.

    Passa l’ambulanza a sirene spiegate,
    inutile predersi a manate;
    “Perdete ogni speranza voi
    che l’ambulanza chiamate”.

    Ma c’è una cosa
    di Firenze particolare
    e gl’è i’ moderno che all’antico
    si va a mescolare

    Infatti la magia la unnè finita.
    Nella corsia preferenziale della Sita
    passa disperato un poero fiaccheraio,
    gli sembrerà d’entrare in un focolaio.

    Insomma fiorentini usiamo i’ cervello,
    di’ volante su le mani e ci sa i’ callo,
    poi se un vi interessa icchè penso,
    pensate almeno a qui’ poero cavallo.

  10. pasquino scrive:

    E’ quasi ora de cena allora beccateve questa del grande Aldo Fabrizi:

    SACRILEGIO

    Oggi se pranza in piedi in ogni sito;

    er vecchio tavolino apparecchiato,

    che pareva un artare consacrato

    nun s’usa più: la prescia l’ha abolito.

    ‘Na vorta er pranzo somijava a un rito,

    t’accommodavi pracido e beato,

    aprivi la sarvietta de bucato…

    un grazie a Cristo e poi… bon appetito!

    Nò nun c’è tempo de mettesse a sede,

    la gente ha perso la cristianità

    e magna senz’amore e senza fede.

    E’ proprio un sacrilegio: invece io,

    quanno me piazzo a sede pe’ magnà,

    sento ch’esiste veramente Dio!

  11. giulian.rm scrive:

    Poesia dedicata a Portovenere di Terenzio Del Chicca.
    Mi sembra utile farla conoscere, e per la freschezza marina dei versi, e perché dimostra l’amore e l’interesse che gli spezzini degli anni novanta nutrivano per l’ancor poco accessibile perla del lato occidentale:

    « En ter gorfo gh’è na perla
    ma l’è tanto ben ciantà
    che daa Speza ne gh’è verso
    de poteghe dae n’ocià.
    L’è là ‘n fondo passà e Grassie
    ente en specio de bellessa
    la gh’è ‘r mae chi la caéssa
    tuto ‘n zio de sà e de là.
    O Portivene! cao me posteto
    co’ e te cà aote tute a brasséto
    co’ e te fenestre sorve ae scogee,
    co’ i fioi che penda zu dae ringhee.
    Te, t’ei a perla che me a sospio
    e a me consolo quando a t’amìo
    o Portivene! me a voi cantàe
    che t’ei a perla d’ô nostro mae ».
    Proprio così: Porto Venere, nascosta alla vista del golfo, con le case alte, ” tutte a braccetto “, come il poeta spezzino la vedrebbe ancor oggi; ma un po’ più sofisticata nel suo sfondo pittorico e tutto particolare…

  12. edis.maria scrive:

    Maria1,poesia spiritosa come di solito sanno scrivere i poeti dialettali.Questa ha il pregio di essere compresa anche senza la traduzione ,il che non guasta.!

  13. maria1ap scrive:

    LLa mela (vincenzo Galiè)


    Miezze a piante, frutte e fiore
    sule sule l’ome era nu signore:
    ciavè tutte senza fiatà
    sapiè tutte senza stedià.
    ciaviè’n fusa pure la scienza
    ma ghiè venne lu delore de panza!
    Allora nostre Signore ghiè volle
    fà da dottore:
    ghiè levò na custatella
    e ce fece ‘na fantella!
    Ma ne’ lu fusce fatte maie,
    che subbite cheminciò li guaie!
    Essa se messe d’accuorde
    che lu serpente e lu fece
    aretrevà senza gnente!
    lu fece aretrevà iò nfunne,
    isse ch’era lu patrò du munne!
    L’ome se la vedde passà scura.
    E ancora oggi che seme a lu domila
    essa ghiè recaccia lla MELA.
    Ghiè la fa vedè,
    può ghiè la nasconne…..
    …..e l’ome ghiè corre arrete, peveritte
    pe fa ugne tante nu mezzechitte.
    Nquiste gioche tutt’addo se spassa
    intante……mattienne la vita passa!
    Passa l’anne, li staggiò, li ore,
    nquiste ch’è lu gioche dell’amore.
    Ma da ‘llu memente e finchè
    la terra gira …..
    essa se tè lla MELA pe bandiera…..
    e l’ome da segnore che petiè esse….
    pe lla MELA c’è diventate fesse.

  14. franco37 scrive:

    Vorrei uscire dalle auliche rime del “Sommo” e proporvi un dolce poesia di Valentina Cavazzuti (1912) sulla ” Fùntaneina”(fontanina). A pochi passi dal palazzo Ducale di Modena, a qualche decina di scalini sotto il piano stradale (questo ne attesta l’antichità) esiste la “fùntanei d’la besà) ,o fontanina dell’abisso, perchè si pensava che quest’acqua sgorgasse da “abissali profondità.”

    Fùntaneina – Fontanina

    Fùntaneina,fùntaneina – Fontanina , fontanina
    da la vèina ciacarèina – dal getto chiacchierino
    comè dàna inamùreda – come donna innamorata
    t’em vò fèr la sèreneda. – mi vuoi fare la serenata.
    E canta ,canta, canta – E canta , canta , canta
    che acqùa gìi bèin sò – che acqua dite ben sù
    lè fresca cèra e tanta – è fresca ,chiara e tanta
    che sèimper la vìn zò..vin zò – che sempre vien giù,vien giù
    T’em vò dir che tòt el sìr – mi vuoi dire che tutte le sere
    quand’al mànd al và a durmìr – quando il mondo va a dormire
    Ciro* l’eintra in dal’palaz – Ciro entra nel palazzo
    dove al Dòca* al fè un stràmaz. – dove il Duca stramazzò.
    E canta , canta ,canta – E canta , canta , canta
    che acqùa gìi bèin sò – che acqua dite ben sù
    lè frèsca cèra e tanta – è fresca chiara e tanta
    che sèimper la vin zò. – che sempre viene giù.

    * Ciro ..è Ciro Menotti che entra nel Palazzo Ducale per essere giudicato.
    * il Duca ,Borso d’Este “al fè un stramàz” stramazzò ,cadde dal trono del ducato.

    Chi vuol venire a Modena si può ancora abbeverare alle fresche acque della fontanina dell’abisso.

  15. edis.maria scrive:

    Guglielmo siamo in Paradiso! Meravigloso Dante Alighieri con la sua “parlata” dolce , suadente e accattivante; splendida la sua Cantica. Mi hai invogliato a cercarla e a rileggerla totalmemte, piano piano, gustando questo stile unico: ti ringrazio e invito tutti a rileggere questi versi che solo il SOMMO POETA poteva regalarci

  16. edis.maria scrive:

    Franco, tu citi nel tuo commento Curzio Malaparte per quanto riguarda ” il maledetto toscano ” e Alessandro Manzoni per ” sciacquare i panni in Arno” . Ma ritengo che questi due grandi scrittori intendessero qualcosa che uscisse o entrasse dal cervello e non da una parte, senz’altro indispensabile,del nostro corpo. Io apprezzo Roberto Benigni , ma non sempre,: lo posso dire anche se è famoso? La canzone, proposta in uno spettacolo vario, può essere apprezzata dato il contesto ironico e piacevole. Qui in Eldy appare fuori luogo , perchè ” non c’entra nulla”!!!!!!!

  17. GuglielmoCa scrive:

    Canto XXXIII (solo pochi versi)

    <<Vergine madre,figlia del tuo figlio,
    umile e alta più che creatura,
    termine fisso d'etterno consiglio,
    tu sè colei che l'umana natura
    nobilitasti si, che'l suo fattore
    non disdegnò di farsi sua fattura.
    Nel ventre tuo si raccese l'amore,
    per lo cui caldo ne l'etterna pace
    così è germinato questo fiore.
    Qui se' a noi meridiana face
    di caritate, e giuso, intra' mortali
    sè di speranza fontana vivace.

    Vergine madre: ecco l'inno che San Bernardo rivolge a Maria:<>.
    Nel ventre tuo:nel ventre si riaccese l’amore (di Dio per gli uomini), per virtù del cui calore nella pace eterna (Nell’Empireo)è germinato questo fiore (la candida rosa).
    Qui sè a noi: quassù in Paradiso sei per noi fiaccola (face) di carità ardente come il sole di mezzogiorno (meridiana), e sulla terra fra i mortali sei inesauribile (vivace fonte di speranza.

  18. alfred-sandro.ge scrive:

    ‘a futta (la rabbia)
    E te me vegne, ün sciœppun de futta,
    quande mi veddo i ätri parcheggiæ
    sensa riguardo pe’ gente disagiæ:
    mi ghe mettieiva ünn-a bomba sötta.

    se poi in sce strisce, ti devi andà-a de là
    con attension ti chinn-i ö marciapê
    non te fià, che te sciacchian i pè.
    Sölö de nœtte ti arriesci a traversä

    Non ghè nisciun, no ghe ciù un cantonê,
    e tutti quanti fan quello che ghe pä,
    manco i spassin ti veddi ciù spassä:
    pin de rumenta son tütti i marciapê.

    E poi ogni votta che cazze e’votasuin,
    te se appresentan, davanti con ün mürö!!!
    SE MI DA’ IL VOTO PROMETTO DI SICURO…..
    Ma creddan sempre che semmö belinuin?.

    Ascì ‘o san, che quande e balle en pinn-e,
    ‘a gente tütta, cian cianin ä s’addescia,
    a quello punto andæ, scappæ de sprescia
    quande capian che sei tutti belinn-e.

    ö popolö o sei, ö l’è cömme ê pegöe,
    e cömme pegöe li bravo ö se ne stà.
    Ma se ghè ün can, che un po’o ghe sa fa’
    puoei stä tranquilli, che poi ö ve liscia ‘e oegge.

    No stæve ascordä mai di françeixi,
    e no ascordeve mai dö Balilla,
    nö serve tantö, basta ‘na scintilla:
    pe’ veddive poi la, tütti la appeixi!.

    TRADUZIONE
    Mi prende una rabbia improvvisa
    quando vedo gli altri parcheggiare
    senza riguardo per gente disagiata
    gli metterei una bomba sotto

    Se sulle strisce devi andar di la
    con attenzione tu scendi il marciapiedi
    non ti fidare, ti schiacceranno i piedi
    solo di notte tu puoi attraversare

    non c’è nessuno, non c’è più un Vigile
    e tutti fanno quello che gli pare
    neppure i netturbini vedi più spazzare
    pieni di spazzatura sono i marciapiedi

    ed ogni volta che ci son le elezioni
    ti si presentano con la faccia tosta
    se mi dai il voto prometto di sicuro….
    ma credono che siamo davero scemi?

    eppur lo sanno che quando le palle son piene
    la gente tutta,pian pianino si sveglia
    a quel punto andate, andate di corsa
    quando capiranno che siete dei disonesti

    il popolo lo sapete è come le pecore
    e come pecore li bravo se ne sta
    ma se c’è un cane che un po’ ci sa fare
    state tranquilli che vi “lisceranno le orecchie”( modo di dire genovese)

    non dimenticatevi dei francesi
    non dimenticate Balilla
    non serve tanto, basta una scintilla
    per vedervi poi tutti la appesi.

    sandro

  19. franco37 scrive:

    Benigni, come altri a noi cari..è “un maledetto toscano” …forse “nell’inno del corpo sciolto “….si avverte solo in quel..”.chi càca di molto.”..dove le c son quasi aspirate……e se no nessuno adava a sciacquar panni in Arno.

  20. sandra .vi scrive:

    La curiosita’ e femmina ,percio’ mi sento assolta in partenza ,ma ti chiedo GUGLIELMO che ci sta a fare quello che hai messo di BENIGNI fra i dialetti? Non lo capisco e non mi piace………….

  21. edis.maria scrive:

    Guglielmo, con tutto il rispetto per te e per Benigni, non capisco cosa c’entra con i dialetti!!!!! E stop!!!!!

  22. edis.maria scrive:

    Sandra, molto interessante la provenienza del milanese. Penso che lo scopo dell’ argomento di questo blog, sia proprio approfondire la conoscenza dei dialetti e, non solo, leggere poesie che, siamo sinceri, leggiamo più in italiano che la parte in vernacolo.

  23. GuglielmoCa scrive:

    L’inno del corpo sciolto
    Roberto Benigni.

    E questo è l’inno-o
    del corpo sciolto
    lo può cantare solo chi caca dimorto
    se vi stupite
    la reazione è strana
    perchè cacare sopratutto è cosa umana.

    Noi ci svegliamo e
    dalla mattina
    i’ corpo sogna sulla latrina
    le membra riposano
    ni’ mezzo all’orto
    che quest’è l’inno
    l’inno si del corpo sciolto.

    C’hanno detto vili
    brutti e schifosi
    ma sono soltanto degli stitici gelosi
    i’ corpo è sano
    lo sguardo è puro
    noi siamo quelli che han cacato di sicuro.

    P’ulissi i’culo dà gioie infinite
    con foglie di zucca di bietola o di vite
    quindi cacate
    perch’è è dimostrato
    ci si pulisce i’culo dopo avè cacato.

    Evviva i cessi
    sian benedetti
    evviva i bagni, le tualet e gabinetti
    evviva i campi
    da concimare
    viva la merda
    e chi ha voglia di cacare.

    L’bello nostro è che ci si incazza parecchio
    e ci si calma solo dopo averne fatta un secchio
    la vogl’arreggere
    per una stagione
    e con la merda poi far la rivoluzione!

    Pieni di merda andremo a lavorare
    e tutt’a un tratto si fa quello che ci pare
    e a chi ci dice, dice
    te fà questo o quello
    noi gli cachiam addosso e lo riempiam fino al cervello:
    cacone!
    puzzone!
    merdone!
    stronzone!
    la merda che mi scappa
    si spappa su di te!

  24. sandra .vi scrive:

    LA NASCITA DEL PANETTONE

    La nascita del famoso dolce Milanese “il panettone” e’ avvolto nel più fitto mistero.
    Diverse sono le leggende che ne raccontano le origini ‘Una attribuisce il merito allo sguattero del cuoco degli SFORZA. Il cuoco, al termine di un lauto pranzo, bruciati tutti i dolci, presentò il dolce fatto dal suo sguattero con tutti gli avanzi ed ebbe un tale successo che tutti richiesereo il dolce. Il cuoco disse è ‘IL PANE di TONI “ .
    Un’ altra leggenda racconta di due fornai ,ad uno gli affari andavano bene, l’altro vedeva diminuire i clienti. Aveva una bella figlia, il suo innamorato voleva aiutarli.
    S’avvicinava Natale, comperò burro, uova, uvette e canditi e buttò tutto nell’impasto del pane. Fece delle forme che vendette il giorno di Natale. Quel pane piacque molto e fu richiesto, tutti volevano “il PANE di TONI “. Il forno fu salvo, Toni sposò la sua ragazza e il suo pane andò lontano come ‘”PANETTONE DI MILANO”

  25. sandra .vi scrive:

    RADICI DEL DIALETTO MILANESE

    Il dialetto a Milano e dintorni è solo la lingua di chi lavora, di chi è sottomesso, e non come altrove la lingua di tutti gli abitanti di una zona.
    Si hanno quindi parole di chiara origine prima gallica poi latina, germanica, francese, spagnola, tedesca, inglese oltre ad altre che sembrano nate spontaneamente non riuscendo a scoprirvi radici straniere.

    Si veda ad esempio:
    Dal latino
    tos e tosa [tonsum e tonsam] = ragazzo e ragazza
    micheta [micam] = panino
    quadrell [quadrellum] = mattone
    nagott [ne gutta quidem] = nemmeno una goccia, niente
    Dal germanico:
    ruff [hurf] = spazzatura
    busèca [butze] = trippa
    ganìvell [gannev] = giovincello
    Dal francese:
    sacranon [Sacrè nom de Dieu] = imprecazione usata come sinomino di accidenti
    clèr [éclair] = saracinesca
    buscion [bouchon] = tappo
    Dallo spagnolo:
    infescià [infecar] = imbrattare
    rognà [rosnar] = brontolare
    fà maron [marro] = sbaglio, sbagliare
    Dal tedesco:
    slandra [schlendern] = prostituta o bighellonare
    sgnappa [schnaps] = grappa
    toder [Deutscher] = tedesco
    Dall’inglese:
    folber o folbal [footbal] = gioco del calcio
    sgùangia [sgweng] = sgualdrina
    sanguis [sandwich] = panino imbottito

  26. edis.maria scrive:

    Gioie materne? No anche paterne!!!!!! Successe a mio marito: gli affidai il bambino un attimo per andare a prendere il borotalco, lo sentii gridare, poi ridere ( non troppo convinto, ma solo per non imprecare)e mi disse: ” Meno male che sei arrivata!” Poi andò ad asciugarsi! Questo episodio era raccontato frequentemente nei momenti gai!

  27. franco37 scrive:

    Propongo una “piccola” poesia ironica del grande Enrico Stuffler,che individua bene lo “spirito modenese”.

    Gioie materne

    Sìntìi sìntìi al mè anzlèin – sentite sentite il mio angelo
    adès ch’a l’ho sfasè – ora che l’ho sfasciato
    cl’ha tòlt al so titèin – che ha preso il suo latte
    e l’ha fat…cuve , cuve – e ha fatto cue cue
    mò a-n vdìi al so bèl panzèin – ma non vedete il suo bel pancino
    che spal,che cul guardèe – che spalle, che culo guardate
    Dio! Dergh’un bel basein – Dio! Dargli un bel bacino
    chè indòva l’ho lavèe – qui dove l’ho lavato
    tra por al gambi a l’aria – tira pure le gambe per aria
    e mòstra al tòo bèlez – e mostra le tue bellezze
    acsè tot nud ,là pr’aria. – così tutto nudo , là in aria.
    Quand’lèe l’am resta màcca – quando lei rimane di stucco
    perchè lò in tant smanèzz – perchè lui in tanti smaneggi
    al gl’à mùleda in bàca. – “gli ha fatto pipì in faccia”
    (gliela mollata in bocca)

  28. sandra .vi scrive:

    Dal Dialetto milanese…
    O ravetton fiorii, s’giaffa de giald
    sul verdesin stremii di camp, di praa
    mezz inranghii, l’inverno l’è passaa
    l’è mort e sotterraa, prest riva el cald.

    Foeura in su l’era, assee stà rintanaa
    arent al fogoraa! L’è chì el ruffald
    de primavera. Daj, tegniv bel sald
    ch’el porta el temp d’april despettenaa.

    Se derva el coeur, rinassen i speranz
    scampana l’allegria in l’aria ciara.
    Via despiasè, rangogn, magon, via, via!

    Se sent da la cassina a muggì on manz
    ziffola el vent, vola on pattell, se sara
    on uss, se increspa el foss… Oh, Lombardia!

    Traduzione…
    Iravizzone e’fiorito,colora di giallo sul verde striminzito dei campi,dei prati mezzi racchitici,l’inverno e’ passato ,morto e sotterrato resto arriva il caldo.
    Fuori sull’aia assaai siete stati rintanati vicino al focolare ,e’ qui un soffio di primavera.
    Dai tenetevi ben saldi ,che porta tempo d’aprile lo spettinarvi
    S’apre il cuore,rinasce la speranza ,scampana l,allegria nell’aria chiara.
    Via dispiaceri, dolori ,magoni via via……..
    Si sente dalla cascina muggire le mucche,fischia il vento ,vola il pannolino
    Si chiude un uscio ,si increspa il fosso….. Oh Lombardia,,,,,
    Segnalato da Poesia di Cesare Mainardi.

  29. francesca (franci) scrive:

    LA BALILLA è una canzone scritta dal grandissimo Giorgio Gaber, milanese d.o.c. Cercherò di tradurla.

    Vorí savé el mestee che fo mi
    cominci ai dodes finissi a mezzdì
    vendi lisciva, soda e savòn
    l’acqua bugàda col motoforgòn….
    col motoforgòn.
    Mi vo in gir de chi e de là
    mi vo in gir per lavora
    troeuvi tanti bigliètt de milla
    m’ è vegnùu in mént de comprà ona balilla,
    ona balilla.
    El Carnera ch’el tira de dèster
    cont on bôff el me s’céppa i balèster
    la mia sorèlla pussée piscinìna
    la ciàppa la ciòcca con la benzina,
    con la benzina.
    L’é stàda la ràbbia di me fredej
    che m’han mangiàa anca i budej,
    la mia cusìna che la stà in la mia porta
    la m’ha mangiàa anca la roeùda de scorta,
    la roeùda de scorta.
    El Tonino trìchete slòfeten
    l’é lì anc’mò ch’el pìssa in del còfen
    sont còrs lì a ciàma el dottòr
    el gh’aveva in bocca el radiatòr-
    el radiatòr.
    I me nevoìt pusée piscinìt
    sàlten dénter e màngen i vit
    in d’on cantòn ch’é la mia zia
    cont in bocca la carrozzeria-
    la carrozzeria.

    Volete sapere il mestiere che faccio?
    Comincio alle dodici, finisco a mezzogiorno.
    Vendo lisciva, soda e sapone
    acqua da bucato col motofurgone. (…acqua con la cenere)
    Io vado in giro di qui e di là,
    vado in giro per lavorar,
    ho trovato tanti biglietti da mille
    e ho pensato di comprare una Balilla.
    Il Carnera, che tira di destro (…fa il pugile)
    con un pugno mi spacca le balestre,
    la mia sorella più piccola
    si è ubriacata con la benzina.
    E’ stata la rabbia dei miei fratelli
    che mi hanno mangiato anche le budella,
    e mia cugina, che sta vicino alla mia porta,
    mi ha mangiato anche la ruota di scorta.
    Il Tonino ….(trichète slofèten….non so tradurre..)
    è ancora lì che fa pipì nel cofano,
    son corso a chiamare il dottore
    perchè aveva in bocca il radiatore.
    I miei nipoti più piccoli
    saltan dentro e mangiano le viti,
    in un angolo c’è mia zia
    con in bocca la carrozzeria.

  30. giulian.rm scrive:

    In occasione del 1° maggio appare opportuno innanzitutto rivolgere il nostro pensiero
    alla Festa del Lavoro e a tutti quelli che si sono battuti perché esistesse…
    In varie parti d’Europa c’è anche un’altra tradizione…regalare dei mughetti alle signore…
    https://encrypted-tbn2.google.com/images?q=tbn:ANd9GcSugKYUWdmdqRV7Gjfjou5yzfhGZItpuX94vrXbK9lDAZ-NIPEO
    Il Mughetto è considerato sinonimo di felicità che ritorna e di portafortuna.
    Trasmette un messaggio d’amore perché fiorisce all’inizio della primavera e l’atto di cercarlo nelle foreste ombreggiate è un’opportunità per le prime passeggiate per i boschi e all’aperto.
    Ha un profumo così delizioso che è anche usato per creare profumi.
    Con l’occasione del 1° Maggio, non posso che offrire un bel mazzo di mughetti, benché virtuali… a tutte le signore…

    La formica e l’omo.
    So proprio sfortunata
    diceva’na formica:
    che,da quanno per bacco,che so nata
    nun conosco che ar monno,la fatica.
    Vivo senza peccato.
    So onesta,e laboriosa
    eppure la natura,m’ha castigato
    a lavorà percrilla,senza posa.
    Lo so,rispose subbito un villano:
    che stava seminanno
    ad una terra sterile,der grano,
    co’ ‘na voce sforzata da l’affanno.
    Tu fiotti,e ci hai raggione,
    ma…chi dei due,dovrebbe lamentasse de più?…
    Tu,armeno nun conoschi l’ Imu .
    E cosa rappresentano le tasse.

  31. pasquino scrive:

    Situazione Meteo: Oggi e domani due perturbazioni al centronord. Temporali in Piemonte, Liguria, Lombardia, maltempo al nordovest, piogge su gran parte del nord, Sardegna e al centro tutto nel pomeriggio! 1 Maggio nuove perturbazioni con piogge e temporali…

    Er tempo è diventato pazzerello
    esci cor sole, ma portete l’ombrello!
    Defatti primavera s’annisconne
    e gioca a moscaceca fra le frònne.
    Dar monte s’avvicina ‘no sgrullone,
    ma subbito ritorna er solleone!
    Inzomma nun ce pij proprio più patta
    è ‘na stagione che pare mezza matta.
    Sarà corpa der buco nell’ozzòno…
    ner cèlo ce stà er sole e romba er tòno!

    Asciutto o bagnato auguro a tutti un buon primo maggio.

  32. alfred-sandro.ge scrive:

    Ho trovato in rete questa curiosa traduzione
    di MA SE GHE PENSO già pubblicata dalla bravissima Alba.
    La sua particolarità è di essere tradotta in bergamsco.
    Anche i bergamschi come i genovesi hanno
    una lunga tradizione di emigrazione
    per cui ho pensato che potesse piacere
    ai tanti amici bergamaschi presenti in Eldy.

    Se però pènse

    L’era partit, ma sensa gna ü ghèlì,
    zamo dè trenta-agn, forsach dè piö.
    ‘L gh’ia lutat per met i sol-c in banca
    per püdì ‘n dé vegn amò ‘m po ‘n sö
    per pödì fas öna caseta col giardì,
    coi rampicanc, öna cantina e ol vi,
    ön’amaca tacada ai ram, scus de lecì,
    per posìnà la sira e po ach del de.
    Però ‘l so s-cett gh’ia dicc: “Pensega mia
    a Berghen cosa völet riturnà?!”

    Se però pènse…me riguarde ol mar, (sarà un po’ difficile?)
    vède i muntagne e la piasa dicc Nunsiada, ( è a Genova .C’è un bellisima chiesa dedicata all’Annunziata))
    vède amò ol Righi e ‘l cör al ma sa strens, (il Righi è un’altura panoramica su Genova)
    vède ol faro, la cava, ‘n font ol möl… ( il faro è la Lanterna, la cava non esiste più)
    Vède amò Berghem dè sira iluminada,
    vède ach la Foce e sente sbatt ol mar
    per chèsto pensé amò de tornà là
    per sotrà i oss in doe gh’o mama e nona.

    Gh’era passat del tép, forse ‘n po tropp,
    ol s-cett al robatia: “Ma che ‘n stà bé,
    ndo vöt indà pàpà?.. ‘n ga pènsa dopo,
    ol viass, ol mar, set vècc, ta convé mia!” –
    “Ma va, ma va! se sènte prope ‘n gamba,
    so stracc e stöff, an pöde prope piö,
    so stöff amò dè sènt señor carramba,
    me vöre amò na ölta turnà ‘n sö…
    Té sét nassit e ghét parlat spagnöl,
    me ‘nvece genués e… de ché mia s’möe!”

    Se però pènse…me riguarde ol mar,
    vède i muntagne e la piasa dicc Nunsiada,
    vède amò ol Righi e ‘l cör al ma sa strens,
    vède ol faro, la cava, ‘n font ol möl…
    Vède amò Gènua dè sira iluminada,
    vède ach la Foce e sente sbatt ol mar
    per chèsto pensé amò de tornà là
    per sotrà i oss in doe gh’o mama e nona.

    E sènsa tate bale lè partito
    e a Berghem l’a rifacc amò ol so nì.

    Spero di aver fatto cosa gradita.
    sandro

  33. armida ve scrive:

    Commenti abilitati
    LA VIA (diG. Varagnolo, venessian)
    La vita
    ,cossa zela, un pontesel,
    che tuti gavèmo da passar ‘na volta sola..
    Cò se zè in alto se vede tuto bèo..
    Ma zè un beo che poco me consola.
    ‘Sti ponte no ga bande
    e basta un pèo parchè nei oci
    ne vegna l’orbariola..
    Gh’é chi resiste un toco..
    ma gh’è queo che fa do, tre scaìni
    e pò el ghe mola.
    Andando su.. siccome semo tanti
    par rivàr più presto in sima
    se lavora de pugni sacrosanti..
    andando zozo invesse.. tuti quanti
    se dirave a quei che urtava prima..
    I se Comoda pur.. i passa vanti!!!!
    LA VITA CHE COS’è.. UN PONTICELLO
    che tutti dobbiamo passare una volta sola.
    dall’alto si vede tutto bello
    ma è un bello che poco ci consola..
    questo ponte non ha sponde
    e basta poco,per accecarsi
    c’è chi resiste un pezzo.. ma c’è quello
    che fatti pochi gradini ci rinuncia..
    andando su, siccome siamo tanti
    per arrivare prima in alto si lavora
    di pugni.. sacrosanti
    andando giù invece.. tutti quanti
    diremo a quelli che spingevano prima..
    si accomodi pure…PASSI AVANTI

  34. Giuseppe3.ca scrive:

    Chin’è chin’à chi no?
    è tottu bonu
    su chi fairi Paola
    a si biri prestu
    in saludi.

    Chi è che dice di no?
    e tutto buono
    ciò che fa Paola
    arrivederci presto
    in salute.

    giuseppe.pau@tin.it

  35. paolacon scrive:

    Grazie Alba, questa è una delle più belle canzoni degli esiliati che esistano

  36. anna b scrive:

    Ogni regione chi più e chi meno, ha il proprio dialetto, delle volte comprensibile in altri casi indecifrabile, delle volte divertente o significativo tanto che alcune parole di vari dialetti sono diventate di uso popolare nella lingua italiana ufficiale.
    Il dialetto è bellissimo, peccato sia poco usato.

  37. edis.maria scrive:

    LA VITA
    Ti ch’it fase cite barchëtte d’or, fa për noi la pì cita.
    A sarà la barchëtta dij nòst seugn
    an cost mar nen sempe asur ch’a l’é la vita.
    C.Pich

    La vita
    Tu che fai piccole barchette d’oro, fai per noi la più piccola
    Sarà la barchetta dei nostri sogni
    in questo mare non sempre azzurro che è la vita.

    Nino Costa poeta e pittore piemontese. C. Pich è lo pseudonimo in poesia

  38. alba morsilli scrive:

    Parole di M. Cappello
    Ma se ghe penso

    O l’ëa partio sensa ûn-a palanca,
    l’ëa zâ trent’anni, forse anche ciû.
    O l’aveiva lottou pe mette i dinæ a-a banca
    e poèisene ûn giorno vegnî in zû
    e fäse a palassinn-a e o giardinetto,
    co-o rampicante, co-a cantinn-a e o vin,
    a branda attaccâ a-i ærboi, a ûso letto,
    pe daghe ‘na schenâ séia e mattin.
    Ma o figgio o ghe dixeiva: “No ghe pensâ
    a Zena, cöse ti ghe vêu tornâ?!”

    Ma se ghe penso alloa mi veddo o mâ,
    veddo i mæ monti e a ciassa da Nonsiâ,
    riveddo o Righi e me s’astrenze o chêu,
    veddo a lanterna, a cava, lazzû o mêu…
    Riveddo a séia Zena illûminâ,
    veddo là a Foxe e sento franze o mâ
    e alloa mi penso ancon de ritornâ
    a pösâ e osse dov’ò mæ madonnâ.

    E l’ëa passou do tempo, forse troppo,
    o figgio o l’inscisteiva: “Stemmo ben,
    dove ti vêu andâ, papà?.. pensiemo doppo,
    o viägio, o mâ, t’é vëgio, no conven!” –
    “Oh no, oh no! me sento ancon in gamba,
    son stûffo e no ne posso pròprio ciû,
    son stanco de sentî señor caramba,
    mi vêuggio ritornamene ancon in zû…
    Ti t’é nasciûo e t’æ parlou spagnollo,
    mi son nasciûo zeneize e… no me mollo!”

    Ma se ghe penso alloa mi veddo o mâ,
    veddo i mæ monti e a ciassa da Nonsiâ,
    riveddo o Righi e me s’astrenze o chêu,
    veddo a lanterna, a cava, lazzû o mêu…
    Riveddo a séia Zena illûminâ,
    veddo là a Foxe e sento franze o mâ
    e alloa mi penso ancon de ritornâ
    a pösâ e osse dov’ò mæ madonnâ.

    E sensa tante cöse o l’è partïo
    e a Zena o gh’à formóu torna o so nïo.
    – Lëzi o têsto originale

    Canto degli emigranti liguri
    Ma se ci penso

    Era partito senza un soldo,
    erano già trent’anni, forse anche più.
    Aveva lottato per mettere i denari in banca
    e potersene un giorno venire in giù
    e farsi la palazzina e il giardinetto,
    con il rampicante, con la cantina e il vino,
    la branda attaccata agli alberi a uso letto,
    per darci una schienata sera e mattina.
    Ma il figlio gli diceva: “Non ci pensare
    a Genova, cosa ci vuoi tornare?!”

    Ma se ci penso allora io vedo il mare,
    vedo i miei monti e piazza della Nunziata,
    rivedo Righi e mi si stringe il cuore,
    vedo la lanterna, la cava, laggiù il molo…
    Rivedo la sera Genova illuminata,
    vedo là la Foce e sento frangere il mare
    e allora io penso ancora di ritornare
    a posare le ossa dalla mia nonna.

    Ed era passato del tempo, forse troppo,
    il figlio insisteva: “Stiamo bene,
    dove vuoi andare, papà?.. penseremo dopo,
    il viaggio, il mare, sei vecchio, non conviene!” –
    “Oh no, oh no! mi sento ancora in gamba,
    sono stufo e non ne posso proprio più,
    sono stanco di sentire señor carramba,
    io voglio ritornarmene ancora in giù…
    Tu sei nato e hai parlato spagnolo,
    io sono nato genovese e… non mi mollo!”

    Ma se ci penso allora io vedo il mare,
    vedo i miei monti e piazza della Nunziata,
    rivedo Righi e mi si stringe il cuore,
    vedo la lanterna, la cava, laggiù il molo…
    Rivedo la sera Genova illuminata,
    vedo là la Foce e sento frangere il mare
    e allora io penso ancora di ritornare
    a posare le ossa dalla mia nonna.

    E senza tante cose è partito
    e a Genova a formato dinuovo il suo nido

  39. Lorenzo.rm scrive:

    Riso siculo

    In una città della Sicilia, diciamo la mia, seduto ad un gradino della sua casa, un uomo piangeva disperatamente.
    Si ferma uno e gli domanda: Chi vi successi, cumpari? (che vi è capitato)
    L’altro risponde: Murìu me’ frati (è morto mio fratello)
    Bì, e comu murìu? (come è morto)
    ‘A so casa, ddassupra, s’incendiau (la sua casa si è incendiata, lassù)
    Allura murìu abbruciatu (è morto bruciato)
    No, picchì si ittau di ddassupra (si è buttato da lassù, quarto piano)
    Allura murìu sfracellatu (si è sfracellato)
    No picchi c’era ‘u tiluni do negoziu ddassutta e turnau ‘no baccuni da so’ casa (rimbalzò sotto e tornò sopra)
    Allura murìu abbruciatu (morì bruciato)
    No picchì si ittau n’autra vota do’ baccuni (si buttò di nuovo)
    Allura murìu sfracellatu
    No picchì no frattempu arrivanu i pumperi e ci misuru u’ tiluni accussì rimbalzau ‘nautra vota no baccuni (rimbalzò di nuovo)
    E così via dicendo, con il fratello che sistematicamente si buttava e rimbalzava.
    A un certo punto il passante domanda:
    Ma ‘nsumma comu murìu allura vostru frati? (come è morto vostro fratello)
    Bì bì, c’iappumu a sparari (abbiamo dovuto sparargli), continuando a piangere disperatamente.

    Lorenzo.rm

  40. fernando Garda scrive:

    Commenti abilitati Vorrei saper scrivere in dialetto veneziano
    per citare una frase scritta da Goldoni- (scusate ci provo )
    Diceva- Porta aperta per chi porta, per chi non porta chiusa rimarrà la porta , chi in amor el vol aver fortuna ghe vol dei besy (soldi) in quantità ,Perchè le done le ga sta luna che le ama solo chi ghe ne da !
    Spero che qualche anima buona la scriva in vero veneziano. Grazie.

  41. edis.maria scrive:

    Pasquino, ben ritrovato, con i tuoi versi scanzonati ed ironici ,riesci sempre a rispondere a tono e inserire ” tocchi ” attuali! Certo questo si può ottenere solo in perfetto romanesco come sai fare tu!!!!!

  42. ANGELOM scrive:

    RICÒRDETE ! RICORDATI !
    Ricòrdete : la vita è sufferènza—.

    Ricordatevi che la vita è sofferenza………

    dicìa Giòbbe, ‘na spèce de profèta —

    diceva Giacobbe, una specie di profeta…….

    Ricòrdete — arfacìa – che passa senza

    Ricordati,replicava,che passa senza ..

    che te n’accórghj, come ‘na comèta,

    che te accorgi, come passa una cometa……..
    come la sabbia stretta fra le déta
    come la sabbia stretta fra le dita …………
    E allora ? Allora gnente, guai a chi pénza
    e allora? Allora gente guai a chi pensa……
    fà la vita vòna e s’accommèta
    chi fa la vita buona e si accomoda………..
    a sta a trippa per aria. È ‘n’incoscénza.
    a essere a pancia all’aria. E’ un incoscienza……
    Per prima còsa tócca un po’ appenasse
    Per prima cosa bisogna un po’ prendersela……..

    secónna fatica matìna e sera

    secondo il lavoro mattina e sera ………

    e tèrza, la più dura, tócca amasse

    e la terza, è la più dura, bisogna amarsi………
    E dòpo ? Abbi fitùcia, aspetta e spèra,
    E dopo? Devi avere fiducia,aspetta e spera…….

    ma de ‘sta vita non tócca lagnasse

    ma di questa vita non bisogna lamentarsi……….
    tanto per Giòbbe è tutta ‘na chimèra
    tanto per Giacobbe tutta una chimera. Scritta da mio carissimo amico, prof. Luigi Gambacurta
    Questa poesia è segnalata dalla Giuria della XXII Rassegna Regionale della Poesia Dialettale Umbra con la seguente motivazione: “Una disillusa e pessimistica filosofia della vita si strempera nell’ironia interpretativa di un detto profetico commentato in schiette forme dialettali.”

  43. armida ve scrive:

    Commenti abilitati
    dedicati ai rubacuori( di anonimo)
    Sia a la Nina che a la Cate, cari mii, ghe vogio ben..
    se par à prima el cor me bate, par à seconda nol sta in fren..
    Una gà le drezze d’oro,, st’altra i oci de carbòn.. Se la prima zè un tesoro, la seconda eà zè ,, un bombon!
    Una brila come zogia da incantar parfìn un re,,
    St’altra fa morir de vogia anca un santo.. se ghe n’è..
    Mi no son un cativo toso.. ma siccome, ve dirò.. sò un fià
    avaro e un fià goloso,, . Me le tegno….
    Tute dò!!

  44. franco37 scrive:

    Bellissima poesia Pasquino,ma non tornare di pietra …c’è un esercito di congiurati che combatterà strenuamente contro “kebab” “shuzi” “old dogs”…torna pure a respirare profumi..come in questa poesia di Marisa Zoboli in dialetto Nonatolano(Modenese):

    I bòun ùus e la tradiaiòn – (I buoni usi e la tradizione)

    La canèla ed drèe da l’òss – Il matterello dietro l’uscio
    al tulèer lòngh e rubòst – il tagliere lungo e robusto
    zinch o sèe òov ed faravòuna – cinque o sei uova di faraona
    dla farina ed cla piò bouna – della farina di quella più
    buona
    vìin mesdèe incòosa insèmm – viene mescolata ogni cosa insieme
    e seguènd la tradiziòun – e seguendo la tradizione
    dal zezdòori d’una vòlta – delle reggitore di una volta
    famm acsè di gràn pastòun. – facciamo così dei grandi
    “pastoni”.
    I turtlèin, al taiadelì – I tortellini, le tagliatelle
    i quadrètt e i scaplazòun – i quadretti e i tortelloni
    i-an fàt cgnosèr – hanno fatto conoscere
    in tòot el mònd – in tutto il mondo
    i bòun ùs ed’sta regiòun – i buoni costumi di questa
    regione.
    Zinch sèe òov ed faravòuna – Cinque o sei uova di
    faraona
    dla farèina ed cla piò bòuna – della farina di quella più
    buona
    na butèglia ed bòun Lambròsch – una bottiglia di buon
    Lambrusco
    ed Giacòbazi per chi al cgnòs – di Giacobazzi per chi lo
    conosce
    e pò al gràna ,al bòun persòt – poi il “grana ed il buon
    prosciutto
    e chi pasà per da Mòdna – e chi passa per Modena
    seìnza vlèr esagerèr senza volere esagerare
    l’è ublighè’na volta o cl’etra- è obbligato una volta o
    l’altra
    a duvèrgh pròpria turnèer – a doverci proprio ritornare.
    A speràmm che i nòster zòven – Speriamo che i nostri giovani
    i tègnen sò la tradiziòun tengono alta la tradizione
    e che sèimper in tòtt al mònd – e che sempre in tutto il
    mondo
    as dèscàra ed’sta règioun. – si parli di questa
    regione.

    Amen

  45. novella scrive:

    spazeca’=solaio

  46. nikodireggio scrive:

    buongiorno non sono di troppe parole
    ma dico che i dialetti sono affascinanti…..l’apertura mentale
    è affascinante, le differenze sono affascinanti, gli stimolisono affascinanti. evviva la multiculturità
    evvivoa chi sente cittadino del mondo…..hasta siempre

  47. pasquino scrive:

    E mò m’envitate a nozze!
    E tu Edise Maria nun te preoccupà de li punti e virgole,fatte sentì e arisponni a questa mia:

    Di giorno son di sasso,
    di notte sento e penso
    non posso mover passo,
    comunque acquisto senso:
    e quel ch’avviene ascolto
    e pur m’incazzo molto.
    “Kebab” io vedo scritto:
    che vuol significare?
    Non sa di buon soffritto:
    l’odor fa vomitare.
    Che tempi di sciagura:
    lor mangian segatura.
    Sorgeva qui vicino
    un’ottima osteria!
    Or vendono un panino
    che par dissenteria!
    Nel fast food il banchetto
    è fallimento, inetto!
    S’è fatta già mattina
    di pietra ridivento
    la testa non più china
    rialzo, e nel cemento
    io torno, ahimè, tapino,
    ad essere Pasquino!

  48. riccardo2.co scrive:

    Essendo molto legato alla mia terra, e avendo avuto la fortuna di girare tutte le regioni del nostro paese, le prime cose che mi incuriosivano erano, da buon mangione la cucina, alla pari del dialetto.
    Avevo scritto in un commento tempo addietro che ogni uno di noi appassionati della nostra lingua, creasse una specie di piccolo dizionario con le parole che vanno scomparendo dal nostro dialetto.
    Un modo semplice per creare delle memorie storiche delle parole dialettali ormai in disuso.
    Un caro saluto a titti lettrici e lettori.

  49. edis.maria scrive:

    Sono d’accordo con tutti coloro che mi hanno preceduto nel difendere l’importanza dei dialetti che sono le nostre radici. Ben vengano belle pagine in vernacolo con la traduzione a fianco, in modo da gustare completamente ciò che i nostri avi hanno scritto nella loro LINGUA originale.Posso esprimere un mio dubbio però? I dialetti hsnno, come la lingua italiana delle regole ben precise, delle punteggiature particolari, una sintassi. Io, per esempio, parlo piemontese, lo leggo lentamente, ma non lo saprei scrivere in modo corretto: allora me ne astengo. Chi vorrà cimentarsi nello scrivere in dialetto,deve conoscere queste regole o limitarsi a riportare scritti di autori già ben definiti. Per questo mi pare che la proposta di Giulian sia difficile da realizzare.

  50. paolacon scrive:

    COMMENTI GIà POSTATI IN BACHECA E CHE RIGUARDANO I DIALETTI

    alfred-sandro.ge scrive:
    30 marzo 2012 alle 09:27
    Tempo fa, nei commenti, si era parlato anche di dialetti.
    Ieri, al tg regionale della Liguria è stato riproposto l’argomento come materia di insegnamento nelle scuole affinchè il dialetto stesso non vada perduto.
    L’uso dei dialetti è materia controversa da anni.
    Se abbandonarne l’uso poteva essere giustificato dalle condizioni sociali dell’Italia dell’immediato dopoguerra, oggi potrebbe ancora essere un valido motivo per non usarlo, perdendone definitivamente il ricordo?

    franco37 scrive:
    30 marzo 2012 alle 12:53
    Come solito Alfred ha colto un aspetto del “vivere insieme in Eldy” interessantissimo….. quella dei dialetti…
    Però sarebbe opportuna una “pagina” specifica, dove si possono mettere poesie, massime, ricette, particolarità, racconti ecc.(sempre leggibili o tradotti).
    In questa “buca delle lettere” ho l’impressione che diventi estremamente dispersivo.

    alfred-sandro.ge scrive:
    30 marzo 2012 alle 17:25
    non credo affatto che questa “buca delle lettere” possa diventare dispersiva trattando l’argomento “dialetti”: spesso gli aneddoti, storielle, poesie, note di vita, hanno molta più valenza ed efficacia raccontate in dialetto che non in lingua.
    Per esempio: chi sà che nel dialetto genovese molte parole sono di derivazione araba come “mandillo” (fazzoletto) o “cammallo” il tipico scaricatare del porto o la più famosa “gabibbo” (intesa ironicamente ad indicare il “meridionale”).
    Speriamo che l’argomento abbia davvero tanto successo da richiedere l’apertura di nuovi spazi.

    giulian.rm scrive:
    1 aprile 2012 alle 14:14
    Caro Alfred, i dialetti sono una ricchezza culturale che si sta perdendo con le nuove generazioni… e questo è triste perché secondo me i dialetti sono molto importanti nella nostra cultura.
    Dialetti e non solo, alcuni sono considerati delle vere e proprie lingue per esempio il piemontese è una lingua franco-provenzale, e ha delle regole grammaticali ben precise.
    Nel mondo globalizzato di oggi e ancor più in quello di domani tutti i rapporti saranno verosimilmente destinati ad aumentare e gli idiomi ne risentiranno sempre più nella direzione della “contaminazione”.
    Quindi perché non scrivere, in questa rubrica, magari dei saluti o un detto in dialetto?
    A chi è lontano dal proprio paese,credo,che farebbe piacere.
    Da wikipedia
    Talvolta, in certe situazioni, per risolvere contenziosi di poco conto o nel comune parlare, è più agevole, tra dialettofoni, sostenere le proprie ragioni, o comunque esprimersi, nel dialetto locale. In altri contesti, l’accorto uso di lingua e dialetto locale può costituire un abile strumento retorico nelle arti della diplomazia e dell’eloquenza.

    riccardo2.co scrive:
    2 aprile 2012 alle 07:07
    Concordo con Alfred, per quanto riguarda i dialetti, vorrei proporre che anche tutti noi, postassimo quì un articolo con parole o modi di dire nel proprio dialetto con relativa traduzione che non si usano più, visto che gente come me si diverte ogni tanto a leggere e tenta di capire più dialetti possibile, perché oltre che essere vere e proprie lingue, sono anche memoria storica del nostro passato.

    alfred-sandro.ge scrive:
    3 aprile 2012 alle 00:36
    I proverbi è noto sono la saggezza dei popoli ma purtroppo molti sono superati dalle cose e dagli eventi: per esempio dire che “Chi va piano va sano e va lontano ” metterlo in pratica su un’autostrada oggi sarebbe davvero difficile, oppure il detto genovese ”Chi lava ‘a tésta all’aze ‘o perde lescîa, tempo e savon” (chi lava la testa dell’asino, perde ”liscivia”,tempo e sapone) diventa difficile da spiegare perché molti giovani non sanno cosa è la liscivia e a che cosa serviva e purtroppo non hanno neppure visto un asino (vero!).
    Mentre questo, purtroppo ritorna tristemente d’attualità: “Chi à famme ‘o pan ghe pä lazagne”.
    Come d’altronde questo: “O meize de çioule o ven pe’ tütti” ( il mese delle cipolle viene per tutti nel senso che per tutti viene il momento di piangere).

    sandra.vi scrive:
    3 aprile 2012 alle 14:40
    Lascio un piccolo scioglilingua in dialetto milanese, vale detto rapidamente “TI CHE TACCHET I TAC TACUM I TAC,MI TACAT I TAC A TI CHE TACCHET I TAC ? TACHETET TI I TO TAC TI CHE TE TACHET I TAC“.traduco “tu che attacchi i tacchi ,mi attacchi i tacchi?io attaccarti i tacchi a te che attacchi i tacchi,taccacateli tu i tuoi tacchi ,tu che ettacchi i tacchi.

    franco37 scrive:
    3 aprile 2012 alle 15:29
    Ariatta ed premavèra

    Vintaròla ed premavèra
    che t’vìn zò dai mòunt luntan
    dap desfàt la nèva egh gh’era
    an t’fermèr mo dam ‘na man
    a desfèr cal bianch ed nèva
    ch’a gh’o in testa da tant an!

    Aretta di primavera

    Venticello di primavera
    che vieni giù dai monti lontani
    dopo aver sciolto la neve che c’era
    non ti fermare ,ma dammi una mano
    a sciogliere quel bianco di neve
    che ho in testa da tanti anni!
    Poesia di Battista Rompianesi (poeta dialettale modenese)

    alfred.sandro.ge scrive:
    11 aprile 2012 alle 13:25
    Questa è l’ironia che accompagna i genovesi tradizionalmente considerati musoni e
    saverghi”(selvatici)

    o Màducôu (il maleducato) poesia di Lorenzo Disma Rivara

    Intrando in casa o l’à o sigaro azzeizo,
    (entrando in casa ha il sigaro acceso)
    O te saluta con ‘na man in ta stacca,
    (e ti saluta con la mano in tasca)
    Bonn-a norma o no sà d’avei offeizo
    ( buona norma non sà di aver offeso)
    Con ‘a grazia o’ s’assetta de unn-a vacca. ( Genova marinara ma anche prettamente contadina)
    ( con la grazia si siede , di una mucca)
    Quande ‘o te porze a man ‘o te dà a mançinn-a
    (quando porge la mano dà la sinistra)
    ‘o se stia, ‘o se gratta in to parlàa,
    …si stira e si gratta nel parlare)
    ‘a cosa brutta ‘o preferisce a finn-a
    (la cosa brutta preferisce alla fine)
    ‘O fa coscì perchè ãtro ‘o no sa fàa.
    (fa così perchè altro non sa fare)
    Se a caxio o fumme o to respio ‘o l’offende
    (se per caso il fumo il tuo respiro offende)
    e ti ghe ‘o dixi in moddo ciù elegante
    e glielo dici nel modo più elegante)
    sperando de riuscì con fàte intende
    (sperando di riuscire a farti capire)
    O’ no te sente e ‘o fa oege da mercante.
    (non ti ascolta, fà orecchie da mercante) ( qui il riferimento è alla Genova marinara)
    O’ l’amia dappertutto e ogni cosa o tocca,
    (curiosa tutto attorno e tutto tocca)
    o’ te domanda de cose riservèe
    (e ti chiede cose riservate) ( ecco la scontrosità dei genovesi)
    pa’ quæxi a falo apposta che a so bocca
    (sembra quasi faccia apposta la sua bocca)
    solo a prononzie cose maduchèe.
    (pronunci solo cose maleducate)
    Se o’ parla o’ no s’accorze che ‘o l’offende,
    (se parla non si accorge di offendere)
    o’ bãgia forte, o’ fà scroscì a carréga
    (sbadiglia forte, trascina la sedia),
    Ognidun che pe’ poco o’ se ne intende
    (chiunque che appena se ne intenda)
    O’ vedde che de tutto o’ se ne frega.
    (capisce che di tutto non gli importa)
    Comme se fœa de le ãtri no stessan,
    (come se gli altri non esistessero)
    che i so commodi o’ fasse indisturbôu,
    ( che i suoi comodi facesse indisturbato)
    Co’ no l’è atro che un aze maducôu,
    (perchè non è altro che un somaro maleducato)
    Scià me perdonn-e, o’ fumme o me fa màa
    (la signoria vostra mi scusai sa! ma il fumo mi fa male)
    grato ghe son, sè stando in tà saletta
    (grato le sarei se stando nella saletta…)
    Scia poesse sta un pittin senza fummàa……….
    (la signoria vostra potesse stare un pochino senza fumare)
    Ma lè o’ s’assende un’ätra sigaretta!.
    ma quello si accende un’altra sigaretta)
    nb.
    Il “voscià” a Genova era riservato alle persone di grande rispetto e il suo uso non era affatto facile perchè era nacessario conoscere a fondo la lingua ed era molto impegnativo, per cui era usato abitualmente dai “signori” e qualche volta i signori rivolgendosi alla plebaglia in tono sarcastico dovendo sempre parlare in terza persona se ne esaltava il distacco e la superiorità.
    Tra le persone comuni invece si usava il “Vuì” (voi) quando non c’era la confidenza per usare il tu.
    Mussolini estese poi l’uso del “VOI” obbligatoriamente all’italiano parlato.

    Titina scrive:
    13 aprile 2012 alle 19:45
    A vije du molise

    Dialetto: Molise
    A vije du molise
    Quanne t’èzzicche a i vitre du penziere
    e fòre chiagne ‘u sole, zè fa’ notte,
    ‘u sanghe te ze chàtre, siè strèniere:
    a vie da terre tije donde stà?
    Chiàne te fiè ‘li cunte: dundulèje
    ‘u tiempe ch’è pèssate ‘nnanze ll’uocchie;
    n’gànne te zomp”u core:nàzzèchèje
    ‘a ddore du Molise, che vuo’fa’?
    ‘A vije du Molise è doce doce,
    z’èllonghe pè li munti e ‘ngopp’i hiume.
    Ze vèdène i pèjshe fatt’è croce
    e ‘u core z’èddècrèje, vò chèntà.
    Siènte ‘nè vecchie voce che te chiame
    dù’ scurdèle da fonte, da li frunne.
    ‘U suònn’è state luònghe,’nu strèfunne,
    mè mò siè rémènute pè restà?
    Molise,Molise: siè càrde e surrise;
    me so”mbambalite de càlle, de fridde.
    Molise,Molise: siè hiure e surrise,
    ‘stu core me vàtte, te viènghe a vèscià.

    Traduzione in italiano
    La via del molise
    Quando ti accosti ai vetri del pensiero
    e fuori piange il sole,si fa notte
    il sangue ti si ghiaccia,sei straniero:
    la via della tua terra dove sta?
    Piano ti fai i conti:dondola
    il tempo ch’è passato innanzi agli occhi.
    In gola ti salta il cuore ndeggia
    l’odore del Molise,che vuoi fare?
    La via del Molise è dolce dolce
    s’allunga per i monti e sopra i fiumi
    Si vedono i paesi fatti a croce
    e il cuore ti si inebria,vuol cantare
    Senti una vecchia voce che ti chiama
    dal buio della fonte,dalle fronde
    Il sonno è stato lungo,uno sprofondo,
    ma adesso sei tornato per restare?
    Molise Molise:sei cardo e sorriso
    mi sono stordito di caldo,di freddo
    Molise molise: sei fiore e sorriso
    Questo cuore mi batte, vengo a baciarti.
    Giose Romanelli

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