PRESENTAZIONE Un incontro tra una donna e un Angelo, che viene sulla Terra, per aiutare a realizzare un sogno di lei. L’angelo ha il compito di facilitare l’incontro tra lei e un uomo. Ed è a lei che parlerà di un Lassù?! e delle realtà tragiche di madri e figli. Ognuno di noi ha o non ha dentro di sé un Lassù. Ma quanto ci piacerebbe saperlo.
Era un caldo tramonto di maggio.
Marta, finito di fare shopping, s’incamminò sul marciapiede. Dalle due borse fuoriuscivano due filoni di pane. Amava il sole, l’aria, i passanti, il frastuono caotico attorno a lei.
Adocchiò una panchina nel parco. Un gruppo di ragazzini giocava a pallone poco lontano. Marta, dando un gran respiro, appoggiò le due borse sulla panchina.
“Comincia a fare caldo” bisbigliò fra sé. Si sbottonò il giubbotto; respirò profondamente e poi si sedette.
“Ahi, cosa…” sobbalzò. Il pallone l’aveva colpita al ginocchio sinistro; schizzò in alto e, rotolando, finì sotto un albero.
Diede uno sguardo intorno mentre si massaggiava il ginocchio. Di fronte a lei era comparso un ragazzino: cingeva un pallone sul suo fianco sinistro.
“Ti sei fatta male?” chiese. Il sudore gli aveva appiccicato i capelli sulla fronte. “Scusami, anzi chiedo scusa anche per i miei amici” le disse con il fiato corto.
Marta minimizzò: ”Niente di grave. Nessun problema. Meno male che non mi avete preso al viso… gli occhiali, mi capisci?. Lo rimproverava senza rabbia. “Ma state un po’ attenti, ragazzi. Questo non è un campo di calcio.” Il ragazzino, guardandola serio, domandò: Scusami, so che non è educato chiedere l’età a una donna, e non te la chiedo, ma la voce…la tua voce…”
Marta ripeté: “La mia …cosa?”
“La tua voce, …sì…hai una bella voce… gradevole.” spiegò. Poi aggiunse: ”Ti ringiovanisce. Non ha molto volume, ma la tonalità e il timbro sono giovanili: direi che è carezzevole.”
Lei pensò subito: ”E’ poco più che un moccioso, ma parla come un adulto.” Si sentì però alquanto lusingata. Il ragazzino attaccò di nuovo: ”Se fossi un uomo, ti inviterei a parlare. Ti farei delle domande poi chiuderei gli occhi per ascoltare la tua voce.”
“E proprio così come dici?” chiese lei.
“Io non mento mai. La tua voce è giovanile , e se non ti avessi vista, ti avrei dato non più di diciotto anni.”
Marta si senti lusingata del complimento.
”Tu, al massimo, avrai quindici anni, vero?”
“Tredici anni” lui rispose.
“Stando a come parli, non mi sembra che tu ne abbia tredici ” obbiettò lei.
“Ne ho proprio tredici, appena compiuti” precisò.
Gli amici dal campo lo reclamavano. Il ragazzo levò la mano destra alla bocca e gridò:
“Ehi, ragazzi, eccovi il pallone, continuate pure senza di me.” Lanciò il pallone agli amici. Spiegò che a l calcio non era tanto bravo. Riconobbe che lui era il più scarso. Poi chiarì: ”Ma a scuola tutti chiedono di me.” Finì di parlare, strinse le labbra e lanciò il suo sguardo in quello di Marta. La guardò intensamente con le palpebre quasi socchiuse. Ogni tanto faceva delle pause. E lei, quantunque fosse un ragazzo, si sentiva a disagio.
“Come ti chiami” gli chiese.
“Saprai presto il mio nome. Devi solo avere fiducia.”
“Mi sembra di vivere una realtà strana. Non so se sono sveglia o sto sognando.”
Il ragazzo ammise: ”Comprendo il tuo stato d’animo, e che non riesci a decifrare i momenti che stati vivendo.”
“Dici che hai tredici anni, ma parli in modo strano, come se fossi più grande.”
“Hai ragione, è strano, insolito. Ma puoi stare tranquilla.”
Ma Marta non si arrendeva e voleva sapere: ”Non è che vuoi farmi del male, vero?”
“Assolutamente no, ti ripeto, devi solo avere fiducia. E’ giusto e doveroso che ti spieghi. Come ti ho già detto: ho tredici anni compiuti. Ma làssù non si usa contare gli anni.” lo interruppe: ”Un momento, hai detto ‘làssù’ non si usa contare gli anni. ‘là’ dove?”
Il ragazzo riprese: ”Lassù, dalle mie parti, il tempo non esiste. Non ha alcun significato parlare di tempo in senso cronologico. Un attimo e un secolo non hanno alcun senso.”
Lei ascoltava in silenzio. Immobile.
“Credo che tu abbia già capito da dove vengo” aggiunse lui.
“Dal Cielo? chiese lei. “E’ incredibile, incredibile!”
“Eppure è vero. E tu ti chiami Marta!”
“Come fai a sapere il mio nome? Non te l’ho mica detto.”
“Al bar, la cassiera ha pronunciato il tuo nome, ricordi?”
“No, non ricordo.”
“Un giorno qualcuno ti chiamerà con il nome di un grosso uccello! “ sentenziò lui.
“Non sei un modello di chiarezza. Sei misterioso!” Di colpo le venne un’idea. Pensò al Paradiso. E dedusse che quel ragazzo non era un cittadino di questa Terra. Con impeto ma decisa gli disse:
“Uno spirito, sei uno spirito …buono. Dal Paradiso… vieni da lì, vero?”
Il ragazzo annuì: Eh, sì. Direi proprio di sì.”
“Allora esiste, il Paradiso c’è, non è un’invenzione.” Ketty sentiva il cuore che la percuoteva per l’eccitazione.
“Si, vengo da Lassù. E ho un compito da svolgere. Devo compiere un atto di bontà a beneficio tuo.”
Marta “sentiva” che il ragazzo stava per svelargli qualcosa di straordinario.
Lo vide che tirava fuori dalla tasca dei pantaloncini azzurri un libretto.
Il ragazzo cominciò a leggere:”Sei Marta Poletti, sei qui, ma non sei canadese.” Marta era tutt’orecchi e lo fissava col fiato sospeso.
Il ragazzo riprese la lettura:”nata il 10 agosto 1940.
Esatto?
Marta ammise:”Si, è giusto!”
“Sposata, cinque figli. Il ragazzo, lentamente, chiuse il libretto, alzò gli occhi verso di lei e dichiarò:”Non ho bisogno di leggere. So tutto di te e della tua famiglia. Cinque ragazzi da tirar su.
Ci vuole coraggio, olio di gomito, e sacrifici a non finire…e un amore immenso di madre vera. E tu sei una madre vera. Da Lassù le madri vere sono seguite e tenute nella massima considerazione.” Il ragazzo si avvide che Marta si era commossa.
“Su, su, niente lacrime se no mi commuovo anch’io. Ah, voi donne, sempre le lacrime pronte. “ Di colpo comparve nella sua mano un fazzoletto. “Prenda questo, e col nasino tiri su per bene! E mentre lei soffiava, lui le sorrideva.
Marta si asciugò. Tirò su un paio di volte e si sentì un po’ tranquilla.
“Dunque, dicevo…hai cinque figli.… ognuno con un carattere tutto proprio.”
“Eh sì, ognuno è fatto in un certo modo. Mi sembra anche normale. Sono la mia vita tutti! Precisò lei.
E lui strinse le labbra in una piccola smorfia osservò:”Però, quel Gaetanino…che temperamento…io gli regalerei una stella da sceriffo…! E’ un po’ mammone… o mi sbaglio?” Marta gli balzò subito in difesa:”Ah, il piccolo. E’ fatto così, ma mi vuole tanto bene.”
“Dai, scherzavo!” esclamò e poi riprese:” Da un po’ di anni sei sola. Tuo marito, si ammalò e scomparve. E’ stata dura affrontare la vita da sola, ma coraggiosa come sei, li hai tirati su come una vera madre deve fare.”
Marta era sbalordita dinanzi a tanta precisione. Si ritrasse un po’ sulla panchina. Quel ragazzo la scombussolava, la stava disorientando, ma riuscì a esclamare.”Grazie, ti ringrazio, l’hai già detto… che sono una vera madre.”
“Ed io te lo ripeto:”Sei una vera madre.”
“ Mi stai rivelando un sacco di cose. Perché? Cosa vuoi da me? E tu chi sei?” Gli interrogativi erano legittimi.”
“Ti prego, calmati. E’ giusto. Hai ragione. Hai il diritto di sapere.”
E il ragazzino tranquillamente prese a raccontare:”Vengo da Lassù.” E così dicendo aveva indicato il cielo con l’indice. “Lì ci amiamo tutti. E se Lui ci ordina qualcosa e’ solo a fin di bene!”
Marta ora voleva sapere:”Vorrei chiederti tante cose. E tu …chi sei? Come ti chiami?”
“Il nome lo scoprirai più in là. Io sono un Angelo dei Sogni.” le rivela.
“Un Angelo dei Sogni” ripetè lei.
“Sì, un Angelo vero. Siamo divisi in due grandi gruppi o categorie. I Grandi, cioè gli Angeli Adulti, e noi Angeli Piccoli. I Grandi ci chiamano Angeli Iniziatori. Ma a noi Piccoli non piace esser chiamati così. Preferiamo essere chiamati Angeli dei Sogni.”
Marta ora si sentiva più tranquilla. Chiese:”Come mai siete…Angeli…piccoli?”
L’Angelo diventò triste, abbassò gli occhi. La sua voce diventò fievole:”Siamo tutti deceduti per mancanza d’amore, per malattie, incidenti. Molti di noi hanno perso la vita per mano di uomini malvagi.”
Marta sentì la gola che stringeva per l’emozione. Deglutì.
L’Angelo riprese a spiegare:”Noi Angeli Piccoli ci vogliamo tutti bene, siamo affiatatissimi, ma quelli che ci inteneriscono di più sono i bambini, i piccolissimi: quelli che furono partoriti da madri che non hanno mai meritato di essere chiamate ‘Madri’: perché, e mi addolora dirlo, furono proprio loro ad abbandonarli o ad ucciderli.” Il volto dell’Angelo era molto triste. Marta non riuscì a trattenere la commozione. Una lacrima le rigò il volto. Con gli occhi lucidi non riusciva più a distinguerlo.
Ma l’Angelo riprese le sue rivelazioni:”Non tutte le madri sono…snaturate. Noi monelli del Paradiso nutriamo una predilezione particolare per tutte le madri che sono Lassù…che lasciarono la Terra, persero la vita lasciando i loro figli quaggiù. Hanno una grande pena nel cuore, perché attendono i loro orfanelli che vivono qui sulla Terra.”
Marta continuava ad asciugarsi gli occhi per le lacrime. Il ragazzo la rincuorò. Le poggiò una mano sulla guancia sinistra, le fece delle carezze sui capelli. Poi le portò le dita sotto il mento e le sollevò il viso.
Un po’ sollevata Marta esclamò:”Ma Lassù nessuno dovrebbe soffrire.”
“Ma i figli tuoi sono tutti con te. Li vedi, li vivi. se volessi fargli una carezza, non hai alcun problema. Ma quelle madri non ebbero mai la possibilità di farlo. Sono arrivate da noi, lassù, molto presto, quando i loro bambini erano ‘cuccioli’.”
Marta insisteva che quelle madri continuavano a soffrire…anche in Paradiso.
“E’ vero. Ma il loro dolore è una tristezza particolare. Esse si consolano con la certezza che un giorno potranno riabbracciare di nuovo i loro figli.”
Ormai la curiosità di Marta dilagava:”E i sogni? Cosa c’entrano i sogni , perché vi chiamate Angeli dei sogni?”
Ti ho già detto che gli Adulti ci chiamano Angeli Iniziatori.”
“Iniziatori! In che senso?”
“Perché gli uomini vogliono sognare, sognare è fondamentale; se ci priviamo dei sogni la nostra vita diventa scialba, triste.”
“Capisco. Perché sei qui? Perché hai voluto incontrarmi? Qual è il tuo compito?”
“Calmati, Marta! Ora te lo rivelerò. Gli Angeli dei Sogni o Angeli Iniziatori aiutano le persone a realizzare i loro sogni. Gli danno una mano, cioè iniziano i sogni, li cominciano, ma continuare a viverli spetta ai sognatori. Gestire un sogno è come accendere un falò, che ha bisogno di essere alimentato con altro legno, giorno dopo giorno.”
Un sorriso illuminò il volto di Marta:”Oh Dio, è meraviglioso. Ma, come fate a scegliere la persona che vuole vivere un sogno?”
L’Angelo dei Sogni rispose:”Ottima domanda. Ognuno di noi, noi piccoli intendo, ha la facoltà di leggere nel cuore di ogni persona che vive sulla Terra. Una volta fatta la scelta, non possiamo più ripensarci. La persona, o le persone, avrà la possibilità di sognare.”
Marta voleva comprendere meglio e chiese:”In concreto, cosa fate?”
E il ragazzo-Angelo l’ammirò per l’ennesima volta. Le sorrise teneramente e chiarì:”Ho il compito di creare le circostanze favorevoli al contatto, all’incontro.” Fece una pausa, le inviò uno sguardo profondo, dolce, carezzevole, e le sussurrò lentamente: “Ho il compito di farti incontrare una persona speciale , una persona che ti colpirà in modo straordinario. Insomma qualcuno che ti farà battere il cuore e ti farà vibrare l’anima.”
Marta era senza parole, ma era felice della rivelazione. Pensò che non era possibile che potesse accadere a lei una cosa così straordinaria. Come se avesse compreso il dubbio di lei, l’Angelo esclamò:”Sarà come ti ho detto. Leggevo nel tuo cuore da lungo tempo. Hai sempre desiderato vivere un sogno. Bene! Ed io ti aiuterò a sognare. Ne vivrai uno. Ma ricordati, Marta, non ho la responsabilità del prosieguo. Sarete in due a viverlo e a gestirlo come credete.”
Il sole si inabissava in una grossa nuvola. Il tramonto rosso sfuggiva ad ogni immaginazione. Le ombre cominciavano a dominare il quadro.
Marta si sentiva strana e felice. “Non so come ringraziarti. Ma …io…”
“Cosa hai? Sei perplessa, …hai paura? “
“No, mi sento nervosa, turbata.. e sono certa che tu sei un’anima …buona. Ti prego, dimmi un’ultima cosa.”
“Coraggio, chiedi pure.”
“Quando comincerà il sogno?”
E il ragazzo, con il pollice e l’indice, sollevò il mento di Marta e le bisbigliò all’orecchio:”E’ già cominciato! Stai già sognando.!”
Poi si rimise dritto di fronte a lei e dichiarò: “Il mio tempo è finito. Devo andare. Non dimenticare…io ti ho dato l’input…come dite qua sulla Terra, tocca poi ai sognatori continuare a sognare…Addio!”
D’improvviso il clacson di un furgone la svegliò. Marta aprì gli occhi e balbettò:” Oh Dio, …il ragazzino, l’angelo… l’Angelo dei Sogni…non era un ragazzo…un angelo …era un angelo.” Marta si stropicciò le mani sul viso. “Mi sono addormentata…ho sognato…era un sogno. Non mi ha detto che sognerò…ma che …vivrò un sogno. Mai fatto un sogno così strano… così vero.”
Marta, incredula e confusa, si alzò, prese le borse e diede un occhiata in giro: nessun ragazzo giocava a pallone, nemmeno l’ombra di un ragazzino. Le prime ombre del tramonto calavano. E Marta frettolosamente, si avviò al parcheggio.
Ore 8.00. Il mattino dopo. Cielo terso, azzurrissimo.
Dring, Dring, Dring!
“Vado io ad aprire, Ma!”
Giovanna, la figlia di Marta, aprì e si trovò lì davanti un ragazzino. Teneva fra le mani una scatoletta lunga poco più di mezzo metro e stretta quasi una ventina di centimetri.
“Si!” gli chiese squadrandolo dalla testa ai piedi.
“Per la Signora Marta Poletti, esclamò lui dando un’occhiata alla piccola busta.
Giovanna le diede una mancia e ritirò la scatola. Chiuse la porta e chiamò: “Maaa…! c’è un omaggio per te. Metto sul tavolo…fiori!”
“Chi li manda?”
“Non so, vedi tu! E’ scritto solo il tuo nome.”
Marta arrivò:”Stupendo, che bello, un bocciolo di rosa…Chi lo manda?”
Curiosa, aprì la busta, estrasse il biglietto e lesse:
Il bocciolo di rosa è per te!
Perché sei vera, amorevole e appassionata.
Per l’amore e la passione che saprai esprimere
E poiché siamo in Primavera,
la stagione del risveglio della Natura,
che si offre con i suoi primi splendidi fiori,
dovrai abbellire la tua casa.
Perciò, ti soffermerai davanti ad un fioraio alcuni attimi.
Poi entrerai e chiederai “un vaso di violette”.
DUCKY
Angelo dei Sogni
Marta era commossa, e il cuore che cominciava a percuoterla di nuovo le creò ansia.
“Non è possibile, non è possibile!” ripeté. “Il sogno, il sogno che ho fatto ieri…sulla panchina. Il ragazzino…l’Angelo dei Sogni.” Rilesse il biglietto e borbottò: “Il bocciolo …è un segno suo, allora si chiama …DUCKY…l’Angelo dei Sogni. E’ tutto vero allora. Mi ha detto la verità…era un Angelo dei Sogni…che veniva dal Paradiso.” Marta era in piena eccitazione. Diede ancora una rilettura al biglietto e lentamente levò lo sguardo nel vuoto. Frugò nella memoria quell’esperienza ‘strana e inconsueta’. E continuava a ripetere seria:”L’Angelo dei Sogni…si chiama DUCKY. Le prese il timore che le stesse per accadere qualcosa di male. Era di nuovo turbata. Ma si rammentò che “lui”
le aveva detto di stare tranquilla. Si ricordò, eccome… che avrebbe vissuto un sogno… che il sogno aveva già avuto inizio. Questi pensieri la tranquillizzarono.
Si sentì nervosa tutto il giorno.
Faticò non poco ad addormentarsi. Nelle prime ore della notte, si girò, si rigirò, si girò di nuovo e poi ancora. Infine cadde in un sonno profondo. Si svegliò pochi minuti prima delle sette. Un fascio di luce aveva invaso la camera. Marta si sedette sul bordo del letto. Diede una sbirciata intorno. Sbadiglio pigramente. Si assestò i capelli grigi e lentamente si piazzò davanti alla finestra. Alzò il viso per lasciarsi accarezzare dai tiepidi raggi del sole. Chiuse lentamente gli occhi, e il tempo lentamente si fermò.
Aggrottò le ciglia e i pensieri di nuovo l’avvolsero. L’immagine del ragazzino spuntò nella sua mente. Le sembrò di sentire il tono della sua voce.
“Un fioraio, devo andare da un fioraio”, mormorò fra sé. “Devo prepararmi.”
Si preparò. Consumò una frugale colazione. Alle 8.30 con la sua auto imboccò il cancello e si immise nel traffico.
Il primo fioraio era sulla grande strada, dall’altro lato.. Dovette raggiungere l’incrocio e tornare.
Parcheggiò l’auto e fece una cinquantina di metri a piedi. A pochi passi dal negozio avvertì dei tuffi al cuore. Stette immobile davanti alla porta di vetro. Poi entrò.
“Buongiorno, Signora! Posso essere utile?”
Il ragazzo aveva appena sistemato un vaso su uno scaffale. Indossava pantaloni lunghi, camicia bianca a maniche lunghe e un gilet smanicato dello stesso colore azzurro dei pantaloni.
Chiese:”Scusi, …la commessa, a parte lei, non vedo nessuno.”
“Ah, sì, ha ragione. Non ci sono commesse. Di norma c’è il mio papà. Ma oggi ha dovuto accompagnare la mia sorellina a scuola.”
“E la mamma?”
“Mia mamma non sta tanto bene. Aveva la febbre stamattina. E’ rimasta a casa. Così ho aperto io. Il mio papà sarà qui al massimo tra una mezz’ora.”
Il ragazzo guardava Marta senza batter ciglio e lei subito ebbe la sensazione che sul suo volto fosse stampato un lieve sorriso. D’improvviso il telefonino di Marta squillò.
“Mi scusi! Pronto, ciao Giovanna…dimmi…no…sì. Eh no… non posso ora. Sono …appena posso ti chiamo. Ok ciao.” Ripose il telefonino. Il ragazzo le chiese di che cosa aveva bisogno.
“Violette, vorrei un vaso di violette.”
Marta appoggiò le chiavi della macchina sul banco e armeggiò nella borsetta per prendere il portafoglio.
Il ragazzo cercò in giro. Infine appoggiò sul banco un grazioso vaso con stupende violette multicolori.
“Che belle, queste violette, vero?” dichiarò orgoglioso.
“Ok, le prendo.”
Il ragazzo chinò la testa da un lato e la fissò dicendo:”Il tutto fa 10 euro. Oggi è un giorno fortunato per lei. Il nostro negozio compie dieci anni di attività. E al primo cliente, diamo in omaggio l’acquisto che fa. Lei è la prima cliente…Contenta.?”
E Marta, contenta della lieta sorpresa, ringraziò:”Oh, grazie, grazie davvero!”
Ripose il portafoglio nella sua borsetta che infilò nel braccio; agganciò con la mano la borsa con le violette e si accinse a uscire.
Si senti chiamare:”Signora!” Lei si girò e vide il ragazzo che le porgeva un bocciolo di rosa.
“Questo lo aggiungo io. Le violette sono per abbellire la casa. Il bocciolo è per lei.”
Marta era raggiante: ”Oh, molte grazie, grazie ancora.” Uscì contenta e pensò che la giornata era iniziata sotto un buon auspicio.
“Le chiavi della macchina…dove sono” mormorò sottovoce. Appoggiò le borse sul cofano e frugò nella borsetta, poi nelle tasche tasche: nulla.
“Signora, Signora Marta!” era il ragazzo del negozio. “Credo che queste siano sue.” Le porgeva le chiavi dell’auto. “Le ha lasciate sul banco.” Lei prese le chiavi e, un po’ perplessa,accennò a un sorriso dicendo:”Che sbadata. Grazie ancora. E’ la terza volta che la ringrazio. Poi si fece seria e gli chiese:”Mi ha chiamata per nome…ha detto Signora Marta!”
“L’ha detto Lei quando ha telefonato sua figlia.”
“Non mi pare di aver pronunciato il mio nome!” aveva ribadito lei. “Strano! “ Era sicura di non aver pronunciato il proprio nome.”
Erano l’uno di fronte all’altra.
Il ragazzo abbassò leggermente la testa e affondò il suo sguardo negli occhi della donna. Era serio e tranquillo, ma lei intravide come un misterioso sorriso sul suo volto.
”Che cosa strana!” pensò Marta.”Quando mi guarda è come se il suo viso nascondesse un sorriso…come se i suoi occhi volessero dirmi qualcosa.”
Il ragazzo la riportò alla realtà:”Si ricordi, Signora! Le violette abbelliranno un angolo della sua casa. La prego, abbia una particolare cura del bocciolo. Ogni volta che il suo sguardo si poserà su di esso, Lei si sentirà meno sola…come se avvertisse la presenza ’invisibile1 di qualcuno che le sta accanto . ” Marta pensò:
“Strano, la stessa sensazione di ieri…pomeriggio…la sua voce …diventa a tratti…molto gradevole” Poi la giudicò – ma senza dirlo – …”carezzevole…così seducente.”
Lo sguardo del ragazzo si posò sui capelli grigi di Marta, poi sugli gli occhi, poi sul naso, sulla fronte e finì per incontrare le sue pupille.
Con tono sicuro le sussurrò:”Sono fortunato di aver incontrato una donna vera. Parola di Duc!”
Lei ripetè piano:”Duc? Questo nome …che strano… mi sembra di averlo già sentito. Qual è il suo vero nome?”
E lui, chiuse un attimo gli occhi, lentamente li aprì e col solito sguardo dolce e malizioso, le disse :”I miei mi chiamano ‘Duc’! Poi, avvicinandosi le sussurrò all’orecchio:”Ma il mio nome è DUCKY!”
Poi si ritrasse ed esclamò:”Ora devo rientrare.”
Lo vide correre e poi sparire nel negozio.
Marta si girò lentamente e si diresse verso il parcheggiò. Raggiunse l’auto. Aprì lo sportello. Poggiò le borse e il bocciolo sul sedile destro. Si sedette al posto di guida dando un gran respiro. Infilò la chiave nel cruscotto e, prima di mettere in moto, si girò ad ammirare il bocciolo di rosa. Lo prese, lo portò alle labbra e, chiusi gli occhi, lo baciò appassionatamente.
L’ANGELO DEI SOGNI:
– PENSI ANCHE TU DI AVERE UN ANGELO PROTETTORE?
– VORRESTI FARE UNA ESPERIENZA DEL GENERE?
– HAI MAI AVUTO LA “SENSAZIONE” DI UNA “PRESENZA INVISIBILE”?
– CREDI CHE CI SIA UN “LASSU’ AD ATTENDERTI?
Ducky 02/ 10/ 2009
Cari amici di eldy, visti i recenti fatti di cronaca che hanno investito l’omosessualità, attraversando l’Italia da nord a sud, o quasi, in un momento di relax, mi viene da riflettere, e come un bambino… usando i perché mi chiedo: perché questa intolleranza verso persone che nel privato, nella loro intimità, manifestano un’attrazione per una persona dello stesso sesso? Perché omosessuali che hanno saputo dare cosi tanto alla storia Giulio Cesare, Alessandro Magno, all’arte: Michelangelo, Leonardo da Vinci, alla cultura Oscar Wilde (finito in prigione per questa sua colpa) ect. Alla poesia, Garcia Lorca, Apollinaiere, etc. alla musica Elton John, Freddy Mercury Lucio Dalla la Nannini etc. nel cinema come Greta Garbo, Marlene Dietrich, Rock Hudson e tanti altri, nella moda , vedi gli stilisti più noti, Dolce&Gabbana, Valentino etc. , che poi vestono le donne di tutto il mondo, perché queste persone vengono giudicate, in questo caso, per quello che hanno dato, e non per quello che è la loro intimità personale? Perché l’omosessuale della strada l’uomo comune per intenderci.. no! perché il potere ecclesiastico e politico li condanna all’esterno, e fa eccezioni per uomini all’interno di esso. Perseguitati e imprigionati nei lager nazisti, perseguitati da ogni dittatura e potere religioso. Eppure nell’antica Grecia non era cosi! Nell’antica Roma non era cosi! Perché anche nel mondo animale esiste l’omosessualità? Perché la normalità è dettata dalla maggioranza? Se la società è fatta da eterosessuali la minoranza è anormalità? Eppure viene calcolato che il 10% della popolazione è omosessuale, ciò vuol dire che in una fabbrica di 100 operai 10 sono gay: perché l’uomo comune, andando sul privato ne ha cosi paura? Per l’educazione? per il timore della femminilità? Che poi è provato che ogni uomo ha la sua parte di femminilità, come ogni donna, ha la sua parte di mascolinità. Infatti molto spesso in età di pubertà i ragazzi arrivano ad avere interesse e in alcuni casi esperienze omosessuali. Perché l’omosessualità maschile è più condannata? Perché viviamo in una società maschilista? e mascolinizzata?
Una volta l’omosessuale veniva considerato una persona malata, perversa, la psichiatria moderna , con qualche eccezione, ha tolto questa infame patologia. E’ pur vero che l’omosessuale ha una vita sessuale molto intensa. Che in alcuni casi fa ridere par la sua spiccata effeminatezza. E allora? Cosa ci toglie! molto spesso l’omosessualità è nascosta in uomini palestrati, virili, sposati. Perché alcune persone nel arco della loro vita eterosessuale hanno avuto e hanno esperienze omosessuali? Allora! Perché essere intolleranti vero persone che nella loro vita sociale non ci disturbano. Perché demonizzare una cosa, che è intrinseca nel genere umano e animale. Allora ai miei perché mi sono risposto!!! Perché è una normale diversità!
Voi, cosa ne pensate?
Marc52 01/10/ 2009
Ho letto un piccolo articolo sul Corriere della Sera del 22 settembre 2009, alla pagina 44 (quella della cultura).
L’articolo, di Armando Torno, si riferiva alla nostalgia di Umberto Eco per la bella scrittura. Ve lo propongo in gran parte, praticamente tutto.
Scrive Torno:
“Ieri sul “Guardian” Umberto Eco ha ricordato che i bambini non sanno più scrivere a mano. Un buon cinquanta per cento dei ragazzi italiani ha problemi con la grafia, per non parlare degli errori di ortografia, anche se questi ultimi caratterizzano ormai le comunicazioni scritte di chi è in là con gli anni. Il computer e gli sms del cellulare non sono i grandi colpevoli: la tragedia è cominciata prima, con l’avvento della penna a sfera. Tuttavia –confessiamolo senza infingimenti- essa è stata favorita dalle riforme scolastiche:spariti dalla pagella i voti alla bella scrittura, ridimensionati quegli insegnanti che facevano compilare due o tre pagine di una lettera dell’alfabeto agli scolari che presentavano degli sgorbi nel dettato.
Certo, parlare di siffatto argomento nell’epoca delle tastiere potrà sembrare stravagante; ma la calligrafia, da non confondersi con l’intelligenza, insegnava un esercizio al polso e un controllo alle dita che sarebbero diventati utili nel tempo.
Nessuno desidera tentare l’apologia reazionaria del pennino e del calamaio, ma tutti sono stati privati di una microginnastica che favoriva una pagina più meditata. Nabokov, pescando da Nikolaj Zukovskij, ricordò che <quel che si scrive con fatica, si legge con facilità>: è un pensiero che si può estendere anche alla calligrafia”.
A me l’articolo è piaciuto molto, soprattutto in relazione al garbo con cui è stato espresso.
Quanto al contenuto, ritengo che il tempo attuale non ci permetta di combattere battaglie su questo tipo di argomenti. Rimane il fatto che un testo profondo sarebbe più gradevole se fosse molto pensato, limato, scritto e riscritto con bella calligrafia e non appuntato alla meno peggio, senza particolare impegno, sulla carta o sui tasti.
Sono in realtà battaglie di retroguardia quelle che si riferiscono alla necessità di un bello scrivere?
Lorenzo.rm 27/ 09/ 2009
Una storiellina spensierata ce la propone ducky:
due fratelli, uno non ha mai conosciuto una donna, l’altro è uno che ha avuto tante esperienze, un abile tombeur de femmes. Il primo, profano, senza esperienza in amore, s’innamora o crede di innamorarsi e chiede lumi al fratello. E il fratello “lo illumina” sul concetto di “innamoramento” e lo fa in modo abbastanza esauriente.
Per la fretta Valerio era inciampato sul minuscolo gradino del bagno. Il secchio che aveva tra le mani si era tutto rovesciato sui pantaloni e sulle scarpe del fratello Aristide. Valerio a pecoroni imprecò: “Per la miseria, è la terza volta, la terza volta…vi scongiuro, aggiustate questo maledetto gradino…maledizione!” Aristide, col pennello da barba in mano e il viso insaponato, gli digrignò: “Oh Dio, visto?! Hai solo rovinato un paio di pantaloni di marca, e per giunta proprio stasera che ho un appunt…meglio che mi sto zitto”
“Scusa, Ari, Non l’ho mica fatto apposta. Mi sono sbucciato un ginocchio e mi fa male l’alluce.” Aggrottò le sopracciglia ed esclamò:
“Un che…un appuntamento?!…ho capito bene?” E Aristide pronto:
“Non fare il finto tonto…hai capito bene…ho un appuntamento…ma non d’affari, se proprio ci tieni a saperlo.”
“No, dai, dimmi che non è vero.”
“E’ sì, è proprio vero…mannaggia a te e alla tua sbadataggine.”
“Non, non è possibile, non dire stro…” si corresse “bugie, non è possibile, sei sempre stato un osso duro…un refrattario insomma. Tutto ad un tratto…ora!
Aristide sbuffò, strinse le labbra e uscì dal bagno; indossò un altro paio di pantaloni continuando a imprecare fra sé. Poi continuò a insaponarsi. Valerio gli si avvicinò e gli chiese:
“Ari, che ti è successo? Le donne non sono mai state una cosa importante per te…” dopo una breve pausa Valerio aggiunse “il lavoro, sempre a lavorare…si sì, sei tutto d’un pezzo, riconosco che sei un ‘uomo fatte da sé’, un self-made man, logico, razionale…!”
Aristide ne convenne, era proprio così e subito si ricordò che gli amici gli rimproveravano, scherzando, che lui era instancabile-crumiro-impegnato, che aveva fatto del ‘lavoro la sua religione’. Poi assunse l’atteggiamento di una persona rapita da un’improvvisa estasi: “Vale, appena l’ho vista… un tonfo qui al cuore…un specie di malessere allo stomaco che non avevo mai provato prima.”
“Davvero!?”
“Mi devi credere.”
“E dove l’hai incontrata?”
“In autobus, mentre mi tenevo al sostegno, ho visto il suo viso, mi ha offerto il posto, naturalmente ho rifiutato, i nostri sguardi si sono incrociati: non mi crederai, ma ad un certo punto…mi è mancato il respiro. Un viso incantevole e un paio di pupille castane…”
“I pantaloni di marca erano per stasera, è così, fratelline mio” così dicendo gli pizzica la guancia con indice e medio.
“Si, andrò a prenderla alla stazione alle 9.00 stasera, esattamente fra un’ora.”
“Si chiama?”
“Angela!”
Valerio gli mise una mano sulla spalla e gli disse piano: “ Stai attento, Ari, le curve mozzafiato piacciono a tutti gli uomini. Ma quello che soprattutto conta è l’Invisibile.”
“Cosa?”
“Quello che non si vede. Quello che devi cercare in una donna è proprio questo”, e ripetè sillabando, l’Invisibile.
Aristide si fece serio: “Sembra un discorso metafisico, ma credo di aver capito cosa intendi. Ora continua a fare ‘il professore’ e dimmi di questo Invisibile.”
E Valerio, spostando il corpo sul piede sinistro, puntò lo sguardo dritto nei suoi occhi, e lentamente statuì:
E’ l’Anima, l’Invisibile è l’Anima, la parte occulta di ogni essere umano, la parte sconosciuta di me, di te, di ogni essere umano.” Fece una breve pausa, poi serrò le labbra, alzò le sopracciglia e riprese compiaciuto a spiegare: “E’ quella parte che ti fa pensare e agire durante la vita…”
“E che agisce nei sentimenti” aggiunse Aristide.
“Esatto…e che quando si manifesta ti fa amare il prossimo, e ti fa desiderare una persona fino alle lacrime.”
Aristide stava ad ascoltare muto e attento, mentre con tre dita si reggeva il mento. Esclamò:
“Però, sembri uno psicologo, non ti avevo mai sentito discutere di queste cose, d’amore…voglio dire. A pensarci bene non sei tanto matto. Gli borbottò che aveva capito e che le cose importanti erano le invisibili virtù, gli invisibili pregi che ognuno possiede.
Riprese a chiedere dopo un colpettino di tosse: “Vale, giacchè ci siamo, dimmi delle donne, dimmi…che mi sta succedendo…insomma da quando l’ho incontrata mi sento strano. Mi compare nella mente così all’improvviso; appena mi sveglio, mentre sto guidando, mentre lavoro. Pensa un po’, sto scrivendo al computer e d’improvviso chi mi compare sul desktop?…lei…e tutto si ferma.”
“Bene, bene! Lo interruppe Valerio accennando un sorriso.
“Bene un corno!” sbottò Aristide. Poi abbassando il tono della voce invocò:
“Vale, insomma, sono innamorato? Dico…veramente?!”
Valerio non se lo fece ripetere: “Devi capire se il suo bel visino, come tu l’hai vista, si è insediato nei tre punti fondamentali.”
Aristide incalzò, curioso: “Cos’è questa storia dei tre punti. Mi prendi in giro?”
Valerio con il suo self-control riprese:
“Calma, Ari, calma, Ti dirò, Il primo punto è la ‘Mente’, il secondo punto è il una “forte sensazione di desiderio fisico” …sì, hai capito bene, proprio lì. Sorrisero entrambi. Aristide chiese del terzo punto.
“E’ il Cuore, il cuore!” ripeté Valerio con enfasi. Questi tre punti devono essere coinvolti e coesistere SEMPRE CONTEMPORANEAMENTE, altrimenti non c’è amore.” Valerio era deciso a completare la ‘docenza’:
L’immagine di lei te la ritrovi nel cervello ovunque tu sia, ti fa sobbalzare il cuore ogni volta che la incontri, e non vedi l’ora di far l’amore con lei.”
Suppongo che questo valga anche per la donna, intervenne Aristide. Vale ne convenne e aggiunse:… “E…un’altra cosa!”
“Cosa?”
“Avrai la certezza che sei rincretinito per lei!”
A questo punto Aristide ebbe la sensazione di come quando si subisce all’improvviso un pizzicotto. Farfugliò: “Come, rincretinito?”
Eh, sì, proprio. Mettitelo bene in testa che quando ci s’innamora di qualcuno, si diventa un po’ cretini, insomma, un po’ irresponsabili. Ma, tu non ti devi preoccupare, tu non corri questo rischio perché sei già un po’ cretino!” concluse Valerio, sorridendo.
La pacca sulla spalla fece barcollare Valerio.
“Non ti va proprio di essere serio fino in fondo, prof del cavolo!” borbottò Aristide, leggermente alterato.
Valerio si scusò e riprese, dopo aver messo una mano in tasca e l’altra sulla spalla del fratello:
“Ti accorgerai di essere innamorato, quando un’ora prima d’incontrarla, comincerai a sentire una strana agitazione: essa è la soglia della felicità.”
I due fratelli furono avvolti dal silenzio. Poi Aristide respirò profondamente, si chinò tenendo una mano all’altezza dell’addome e pronunciò con finto sussiego:
“Sua maestà gradirebbe un ‘espresso’ fatto con amore ??
“Con grande piacere!” aggiunse Valerio, con finta aria di superiorità
Aristide si girò, infilò la cucina, agguantò la moka e cominciò a svitare…continuando a borbottare piano:
“Farò due caffè amorevoli , ma invece dello zucchero ci metterò il sorriso di Angela.”
– E tu ti sei mai innamorato/a?
– Vorresti innamorarti di un uomo come il “profano” Aristide o come l’esperto Valerio?
– Credi nell’amore eterno?
ducky 24 settembre 2009
Cari amici di Eldy seguiamo e riflettiamo sul discorso di Obama all’ONU: un discorso, a mio modesto parere, umile, forte, sincero e chiaro. Di un uomo che vuole dialogare e tende la mano a tutti. Un presidente che per la prima volta si presenta all’ONU dopo la sua elezione, dichiarando che l’America non può da sola risolvere i problemi del mondo, che ha bisogno della collaborazione di tutti. Scendendo da un piedistallo dove l’America di Bush era salito. Un Obama che ci dà speranza.
Articolo ripreso da Il sole 24 ore on line del 23/09/2009.
Nel suo discorso Obama , ha rilanciato il ruolo delle Nazioni Unite , con una svolta rispetto all’unilateralismo dell’era Bush. «Questo organismo è stato creato sul principio che le nazioni del mondo possono risolvere i loro problemi lavorando insieme – ha detto Obama, che vuole aprire -una nuova era di cooperazione multilaterale». Ha citato anche Franklin Roosevelt, il presidente americano: «La pace non è il lavoro di un uomo solo di un partito, di una Nazione. Non c’è una pace delle nazioni grandi o piccole, la pace è il frutto della cooperazione di tutto il mondo. Sono parole vere particolarmente oggi che la cooperazione serve ad affrontare problemi di portata planetaria, dall’economia al clima». L’Onu – ha continuato Obama – «è fatta di Stati sovrani e putroppo questo organismo troppo spesso diventa un forum di discordia, piuttosto che di consenso, è un teatro per giochi politici e per fare sfogo a tensioni piuttosto che risolvere problemi. Dopo tutto, è facile salire su questo podio e puntare il dito contro gli altri, alimentare divisioni. Quello sono capaci tutti a farlo».
La democrazia non può essere imposta a una nazione dall’esterno. Con queste parole Barack Obama ha definitivamente accantonato otto anni di politica americana che, sotto i dettami dei neoconservatori, avevano fatto dell’esportazione dei sistemi democratici uno dei cavalli di battaglia dell’amministrazione Bush. «Ogni società» ha detto Obama all’Assemblea generale dell’Onu, «deve cercare la propria strada, ma gli Stati Uniti non rinunceranno mai ad essere al fianco di chi lotta per la libertà del proprio popolo». Il presidente Barack Obama ha detto anche che «sono finiti i giorni quando l’America faceva resistenza» a combattere il problema del clima. «Stiamo procedendo ad investimenti per trasformare la nostra politica energetica con enfasi sulla energia pulita e rinnovabile. Inoltre intendiamo procedere con profondi tagli alle emissioni per raggiungere le mete che abbiamo fissato per il 2020 ed anche per il 2050».
marc52 24 settembre 2009
Racconto di Giulio Salvatori, che dedicò, molto tempo fa, ad un amico infelice
Il Titolo è – Spazio avaro-
Faceva caldo. Era tanto che non pioveva. L’erba dei campi, se così si poteva ancora chiamare, era secca e d’un colore ocra. I rami delle piante ciondolavano appassiti. Poi, qualche nube apparve, lassù nel mezzo al cielo e lasciò cadere qualche goccia d’acqua. Sembravano i capricci di marzo
invece era agosto inoltrato. Ognuno guardava il proprio orticello scrollando il capo. Eppure il prete aveva celebrato le erogazioni benedicendo i campi, le vigne, le selve di castagni. < si vede che le
preghiere della povera gente non arrivano lassù> brontolavano i vecchi.
Dopo quella spruzzatina, il sole era ancora più caldo e sembrava che da un momento all’altro incendiasse il bosco. La leggera innaffiatina aveva inciso sulle frasche delle striature più verdi. Le foglie apparivano rigate come la faccia di un bimbo che piange dopo aver giocato con la terra. Poi,
d’improvviso, qualcuno aprì le cataratte ai nuvoloni che erano apparsi dalla Foce del Lupo e si dirigevano veloci verso il paese. I goccioloni battevano sulla terra arsa come se qualcuno dal tetto si
divertisse a rovesciare barili d’acqua. Rivoli contorti si rincorrevano verso la cunetta della strada portando verso la fogna stecchi, foglie, cartacce.
Carlo dalla finestra guardava galleggiare la carta e si rivedeva bimbetto, quando, insieme ai compagni, giocava allegro. La piazza del paese, dopo la pioggia diventava un piccolo lago, ma per loro era l’oceano. Ma durava poco, perché qualcuno liberava sempre lo scarico dai detriti e il gioco finiva.
I nuvoloni ormai sgonfi, se ne andarono e il sole riprese il suo posto al centro dell’universo.
Gli alberi si scuotevano di dosso gli ultimi residui di sporco, dal vicino boschetto saliva un leggero odore di muschio. Carlo pensò che la terra avesse ricominciato a respirare; una leggera nube saliva verso l’alto: era l’alito del bosco represso dall’arsura. Non riusciva a staccarsi dalla finestra, il vetro s’appannava ma subito lo ripuliva col dorso della mano. Lo sguardo correva ai tetti delle case, alle viuzze del paese, i monti, le piante. E osservava quei ventagli centenari dei castagni muoversi dolcemente, aprirsi, inchinarsi alla carezza della brezza, ripensò ai giorni più belli della sua vita: alla sua donna, ai suoi lunghi capelli. Gli piaceva affondare le mani nei riccioli ribelli e li faceva cadere sulle spalle nettandoli piano piano. A volte li univa tutti sopra la testa come uno sparuto cespuglio. Ma a lei piaceva: iniziava la metafora dell’amore.
La sete della campagna e del bosco sembrava placata. Lì proprio sul portico, alcuni passerotti facevano il bagno in un pozzetto d’acqua. Quella finestra, per Carlo, era il posto preferito. Seduto sulla sedia a rotelle, allungava lo sguardo sfruttando lo spazio avaro degli stipiti. Al tramonto, seguiva il sole fin dietro la Pania della Croce finché non spariva e le ombre calavano sul paese.
Quel giorno per lui, fu un giorno diverso.
Giulio Salvatori 22 settembre 2009
L’ex leader di An attacca Berlusconi, apre sui temi bioetici, contrasta la Lega sull’immigrazione. E’ davvero alla ricerca di una nuova maggioranza o alla fine “rientrerà nei ranghi”?
Cari amici di Eldy, mi sono permesso di riprendere dall’Espresso on line del 17/09 questo articolo, apparso sul settimanale con tanto di commento per i lettori. Io con il copia/incolla lo ripropongo, a voi, per una riflessione e commento, cosa ne pensate? quali sono gli scenari (se ci sono) possibili futuri? grazie.
Da ragazzo faceva il saluto romano. Era il delfino di Almirante, l’ex ufficiale della Repubblica sociale Italiana che aveva creato il Msi. E proprio Almirante l’aveva di fatto imposto come suo erede, delfino designato. Così a poco più di trent’anni Fini ha preso in mano il Msi, ancora un partito al di fuori dei giochi, considerato erede residuale del Ventennio.
Invece, poi le cose sono cambiate. Con la caduta della Prima Repubblica, Fini viene “sdoganato”, cioè accettato nel gioco democratico. Si candida a sindaco di Roma, nel ’93. Poi si allea con la nascente Forza Italia, trasforma il Msi in Alleanza Nazionale, che è ormai forza di governo. Ma Fini si porta ancora addosso l’eredità fascista e una sua dichiarazione su Mussolini “grande statista” lo tiene inchiodato per anni a quell’origine. Ma è proprio da quel punto che l’ex leader del Msi parte per la sua lunga marcia: fino al viaggio in Israele, con la definizione del fascismo come “male assoluto”. Da allora, altri passi verso la difficile individuazione di un centro destra alla francese: democratico, civile, perfino solidaristico. Saldamente ancora al concetto di patria e di nazione, ma lontano tanto dall’eredità fascista quanto dal demagogismo berlusconiano.
Ed è proprio su quest’ultimo scoglio che si va scontrando in queste settimane il progetto di Fini. Centrodestra in Italia vuole dire soprattutto il Cavaliere, con la sua china autocratica, televisiva e secondo alcuni al limite della patologia psichica. Fini non ci sta, e prova a smarcarsi. Viene brutalmente attaccato dal quotidiano della famiglia Berlusconi, il Giornale: che Fini querela.
Berlusconi continua a dire che “è solo un fraintendimento”, ma Fini va avanti. E “conta” i deputati che stanno con lui: almeno cinquanta, in grado di far cadere il governo quando vogliono.
Chi lo conosce dice che questa volta vuole andare fino in fondo, che non “rientrerà nei ranghi”. Fino a dove? E con quali intenzioni?
Ottenere solo uno smarcamento mediatico per puntare al Quirinale con il consenso dell’opposizione? Aspettare che il premier continui a cuocere a fuoco lento per poi prenderne il posto alla guida del Pdl? O lavorare per una rottura dell’attuale maggioranza, in vista di un “governo di salvezza nazionale” di centro appoggiato dall’esterno dal Pd?
Agli Eldyani la parola se ne hanno voglia.
Marc52 22 settembre 2009
Ho letto sui Tempi n. 38 del 17 settembre pag. 66 un articolo di Marina Corradi di cui riporto ampi stralci.
Scrive la Corradi:
“Alle due di una notte d’estate in un albergo delle Cinque Terre svegliarsi, e non riuscire più a dormire. Affacciarsi allora al balcone che dà sul mare. C’è vento, rumoreggiano le onde. Sbattono le sartie delle barche ormeggiate nel porticciolo, cigolano come in un gemito. Il cielo senza stelle, ma il mare più grande e più nero. La spiaggia deserta nella luce giallastra dei lampioni sul lungomare.
Ma dal porticciolo sulla riva sbuca una figura d’uomo. Cammina adagio, le mani dietro la schiena. Ha i capelli bianchi. E’ un vecchio. Procede a capo chino, assorto. In lontananza, verso sud, da un promontorio un faro lancia a intermittenza la sua luce. Il fascio lucente taglia le tenebre sul mare e poi si spegne. Pare lunga l’attesa di un nuovo raggio, nel buio. L’uomo cammina curvo, indifferente.
E tu dal tuo balcone segui con gli occhi il vecchio, il faro e quel silenzio fondo che emana dalla distesa oscura del mare. Fa quasi freddo stanotte, rabbrividisci eppure resti a guardare. Che cosa? Non c’è niente da vedere. Quello è un estraneo, cui di giorno non baderesti nemmeno. E allora perché quel suo camminare solitario, colto per caso in una notte insonne, ora ti torna in mente? Perché in realtà per un istante avresti voluto scendere sulla spiaggia, e fermare il vecchio, e domandare, per favore, quali pensieri lo portavano ad andarsene così solo, nel fondo della notte……….
….perché non rientravi, e te ne restavi infreddolita e incantata a fissare i passi di un uomo mai visto? Con quella strana voglia di fermarlo, e ascoltare…………
….Nella folla non l’avresti neanche visto. E invece in quel silenzio, l’evidenza: ogni uomo ti riguarda, ognuno è lì col suo mistero, che aspetta di dirsi. Di violare l’educata omertà con cui taciamo ciò che è più vero, con una strana vergogna. Il passo del viandante sulla riva, la linea del capo inclinato, ti hanno svegliato una inconsueta misericordia……..”
Io non so che cosa ne pensiate voi. A me sembra una bellissima favola in cui l’individuo, naturalmente, senza alcuna costrizione, si avvicina, almeno a livello ideale, ad un suo simile e prova se non altro la curiosità di conoscerlo.
Certo, la curiosità non è ancora solidarietà. Ma è un principio che forse proseguirà. Io lo chiamo il principio dello “sguardo fuori”. E non dello sguardo rivolto a se stessi. E’ vero, come dicono, che non si può fare alcunché di positivo se non ci si vuol bene. Ma è anche vero che l’autostima potrebbe assumere forme egoistiche in misura tale da renderci difficile se non impossibile la proiezione esterna di un nostro impegno.
Penso che possa essere materia di dibattito se siete d’accordo.
Lorenzo.rm 20 settembre 2009
Fra gli artisti che sono vissuti o hanno comunque maturato la loro vocazione a Parigi, Paul Klee, il poeta per eccellenza nella pittura del Novecento, con la cultura francese ha agganci solo secondari, mentre la sua formazione si è compiuta soprattutto a Monaco di Baviera.
Nativo di Berna (1879), ma cittadino tedesco, Klee trascorse la sua prima giovinezza fra viaggi e studi, occupandosi di musica e di disegno.
Giungerà ai primi risultati interessanti, sotto lo stimolo di grandi maestri del suo tempo, da Ensor a Matisse. Fino a quel momento Klee fu soprattutto un disegnatore, che sperimentò raramente il colore; ma, dopo un suo soggiorno a Parigi nel 1913, seguìto da un viaggio in Tunisia, sboccia, improvvisamente matura, la sua vocazione di pittore.
Ciò che fino ad allora aveva tentato di esprimere in bianco e nero – frammenti di realtà, legati fra loro da rispondenze interiori, gli esseri nel loro incessante divenire, le misteriose relazioni fra le presenze concrete della realtà visibile a quelle impalpabili, ma altrettanto vere, della realtà invisibile – trovò una forma poeticamente compiuta quando agli effetti lineari si aggiunsero quelli cromatici espressi in delicatissime e squisite armonie.
Klee è padrone di un mondo che lui solo ha potuto penetrare e portare alla luce nella sua interezza: il mondo delle sensazioni fuggevoli e di quelle durature, delle cose che si sciolgono e si ricompongono, del germoglio che si apre e del fiore che appassisce, del fumo che ondeggia e si trasforma in nuvola, dalla vita che scorre, passa e non ha fine.
Il più sensibile, il più intuitivo fra tutti, Klee estrae dalla tastiera della sua anima note sempre diverse che, insieme, compongono l’armonia del mondo.
In certe sue tele tali note appaiono a prima vista astratte o di ispirazione infantile ma, a un esame più approfondito, esse si rivelano ricche di significati reconditi, rivelazioni sorprendenti di una realtà ritrovata nella totalità delle sue molteplici sfaccettature.
Non è una scelta filosofica o letteraria che guida il pennello di Klee, ma l’ispirazione fresca del poeta e l’ingenua spontaneità del fanciullo che “vede” per la prima volta il miracolo del mondo e della vita.
Simboli e formule egli li trova sempre in sé, nella miniera inesauribile dell’immaginazione e della sua sensibilità, così come solo sue sono le invenzioni di squisiti arabeschi, di ritmi geometrici, esaltati dal colore.
Un esempio emblematico della particolare espressività di Klee, si ritrova nel dipinto: “Via principale e vie laterali”.
Accanto a una serie di rettangolini colorati, inseriti entro due linee convergenti, innumerevoli altri rettangolini di tutte le dimensioni e di tutte le sfumature di colore avanzano verso l’osservatore, poi retrocedono, poi si innalzano in verticale, richiamandosi vagamente alla struttura esterna delle piramidi delle antiche civiltà messicane.
L’effetto d’insieme è ampio e grandioso, in cui la musicalità delicata è arricchita di richiami, di ritorni, di approfondimenti continui.
Non per nulla la musica contese per lungo tempo alla pittura il primo posto nel cuore di Paul Klee.
Un’altra sua opera, dal significato intenso è: “Notte di luna”. E’ la rappresentazione magica di una chiara notte lunare: ogni particolare, il grande fiore spalancato, gli alberi ritti sullo sfondo, la casetta fiabesca con l’alto tetto a cono e le tendine bianche e gonfie; singolare il grande tondo della luna, in una immobilità silenziosa, ma vivida di risonanze poetiche: ogni singolo particolare è immerso in un’atmosfera di sogno.
Professore al Bauhaus di Weimar – Dessau (Germania), nel 1920 Klee iniziò la sua carriera di insegnante, che si protrasse sino all’avvento del nazismo.
A partire dal 1935, nelle opere di Klee prevalsero forme caratteristiche di pittura a quadratini, quasi a richiamare un certo divisionismo. In seguito, si alternarono un disegno minuto, sottile ad un’attenzione per il dettaglio, forme e composizioni fortemente influenzate dalla grave malattia che lo colpì (la sclerodermia). Il suo stile assunse toni piuttosto cupi: sfondi monocromi e pennellate scure, che riflettevano un profondo stato di depressione e di angoscia anche per le vicende della Germania nazista.
Il nazismo, infatti, giudicava la sua produzione, insieme a quelle di altri artisti suoi contemporanei, come “arte degenerata” e fu costretto a rifugiarsi in Svizzera.
Morì nel 1940, vicino Locarno. Sulla sua lapide sono incise le seguenti parole:
“Non appartengo solo a questa vita. Vivo bene con la morte, come con coloro che non sono mai nati. Più vicini di altri al cuore della Creazione”.
AFORISMI DI PAUL KLEE
“L’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è”.
“Un solo giorno basta a farci un po’ più grandi, un’altra volta, un po’ più piccoli”.
“Il colore mi possiede. Non ho bisogno di tentare di afferrarlo. Mi possiede per sempre, lo sento. Questo è il senso dell’ora felice: io e il colore siamo tutt’uno. Sono pittore”.
giovanna3.rm 17.09.2009
Riprendo parzialmente il titolo di un articolo a firma di Pietro Calabrese comparso sul Corriere della Sera Magazine n. 37 del 17 settembre 2009, pag. 16.
Dice Calabrese:” Come si vive in un Paese avvelenato? La risposta è facile: molto male. Alla maggior parte della gente non interessa nulla sapere chi sia stato a iniziare la guerra o a spargere per primo liquami e veleni. Paradossalmente alla maggior parte della gente non interessa sapere nemmeno chi abbia torto e chi ragione. Le persone normali sanno soltanto che non vogliono continuare a vivere in uno stato di guerra permanente. Per gente “normale” intendo tutti quei milioni di persone che fanno un lavoro qualunque, non vanno in tivvù a pavoneggiarsi, non sono parte di clan o di cordate, che tornano la sera a casa stanchi e spesso infelici (perché non sempre il loro lavoro è quello che sognavano di fare), che mangiano, vedono un po’ di televisione e vanno a letto. Un’immagine non certo scintillante, ma è questa la fotografia della maggioranza silenziosa di tutti i Paesi del mondo. Gli altri, quelli che invece decidono per questi milioni, che danno i voti, assegnano i posti in prima, in seconda o in terza fila, tutti questi non arrivano alla decina di migliaia, ma continuano a parlare e a prendere decisioni per la massa.
Si sentono tutti hombres vertical, che aspirano a dirigere e plasmare le coscienze delle masse, una categoria di privilegiati e supponenti. Dico “supponenti” a ragion veduta, perché non è possibile per coloro che detengono il potere sottrarsi all’impressione che il mondo giusto è quello che vedono loro, che l’analisi capace di racchiudere in due paginette la summa del pensiero nobile è quella compilata alla fine delle loro geniali (così pensano) elucubrazioni. In breve, detenere una fetta, non importa quanto grande di potere sugli altri, comporta un cambiamento su se stessi, e sempre al peggio.
Il Paese si avvelena per lo scontro di chi vuole comandare. Non sempre volontariamente magari, ma il risultato finale è lo stesso: si rompe, ci si spacca, ci si insulta, si utilizzano i giornali e la televisione per farsi del male a vicenda, e non importa se gettando tante piccole bombe atomiche, il fall out ricade su tutti, colpevoli e innocenti, assassini presunti o poveri cristi che passano lì per caso.
Tutti diranno la stessa cosa: sono stati loro a iniziare la guerra e io non potevo fare altro che reagire per difendermi. Se ci pensate è la medesima costruzione che mettevamo in atto quando eravamo ragazzi. L’adolescenza è una stagione terribile di violenza, sopraffazione e veleni. Quello stesso meccanismo lo riproponiamo da grandi con mezzi sempre più sofisticati.
Alla fine, nei Paesi massacrati dai miasmi, l’aria si fa sempre più irrespirabile, le situazioni si complicano, gli individui si trovano costretti a schierarsi con l’una o l’altra parte. Ma succede qualcosa di ancora più pericoloso. A forza di alzare la posta e di spararle sempre più grosse, accade che le persone fuori dai giochi, spaventate, si abituano al fall out, e alla fine pensano che sia del tutto normale vivere nell’orrore quotidiano. Non li meraviglia perdere giorno dopo giorno pezzi di valori. Anzi, trovano più comodo adattare i nuovi parametri a ciò che li circonda e pensare che in fondo è sempre stato così, siamo sempre stati un Paese senza dignità e senza onore. Non è vero, io me lo ricordo bene quando non era così”.
E’ difficile aggiungere qualcosa ad un articolo così ispirato ed impegnato. Personalmente sono stato sempre contro il manicheismo in politica. Tutto il bene di qua, tutto il male di là. Oggi tutti dicono che la situazione è difficile, e non soltanto gli uomini “normali” di Calabrese. Anche quelli che ragionano non facendosi invischiare nelle logiche di gruppo o di clan.
Ma sembra che, alla fine, tutto debba andare così come va. Che possiamo fare? Parliamone, almeno fra noi. L’interesse generale vorrebbe forse collaborazioni, sintesi fra le diverse posizioni senza il gusto lacerante di divisioni inopportune. Ma il meccanismo prevalente è quello che denuncia il nostro autore.
Come ne possiamo uscire?
Lorenzo.rm 17 settembre 2009
Semplice ha deciso di lasciare la chat, ci ha scritto una lettera piena di emozioni per salutarci e spiegare le sue motivazioni. Io sono molto addolorata di questa sua decisione, come amica e come collaboratrice del blog “riflettiamo”. Capisco gran parte delle sue ragioni, altre non le condivido, ma penso che sia arrivato il momento di fare il punto sulla chat e la sua dinamica.
Già da qualche giorno, ed anche ieri, si sono aperti dei dibattiti nelle stanze sul perché tante persone non partecipano al dialogo, ma restano in disparte solo ad osservare senza parlare. Si è anche parlato molto e ci si è chiesti perché in chat si litighi tanto, quando dovrebbe essere un luogo di distensione, allegria e compagnia per chi ne ha desiderio.
Prendo lo spunto dalla lettera di Semplice, apparsa oggi in riflettiamo, per parlarne e riportare alcuni commenti. Sarebbe molto interessante e utile se una buona parte di noi esprimesse il suo parere e si potesse così migliorare. Potrebbe essere uno stimolo a persuadere Semplice a tornare?
Ci siamo ritrovati in un gruppo molto eterogeneo, ma con una finalità chiara in testa credo: quella di tenersi compagnia e di condividere pensieri ed esperienze; è un gruppo frequentato da persone di ogni tipo dove il fattore aggregante può essere l’età, ma non tutti sono coetanei, veniamo da esperienze di vita diverse e da regioni d’Italia differenti. È chiaro che ci vuole una buona dose di pazienza e di umiltà.
Come mai però, se questo è lo spirito che ci dovrebbe unire ci sono tante incomprensioni, tanta poca volontà di superare i disguidi e tanta voglia invece di primeggiare? Che cosa ci spinge a questo? Ve lo domando per cercare di chiarire e trovare una strada per migliorare e non fare sì che questo “splendido giocattolo” si deteriori a tal punto da doverlo buttare.
Tra i commenti alla lettera di Semplice, Antonio2.li ci fa notare che “La frase più giusta a mio parere l’ha scritta Nadia.rm: le migliori persone se ne vanno via. Forse una ragione c’è ed è questa ragione che ci dovrebbe far pensare”
Per molte persone la chat è diventata una specie di droga e per altre un trampolino per superare frustrazioni o insoddisfazioni e questo non dovrebbe essere, nessuno ci guadagna e anche quelle persone che entrano con leggerezza, nota bene, non superficialità, rimangono scontente e non trovano quell’atmosfera rilassata e rilassante che cercano.
Vogliamo dare tutti una mano e cercare di capire? Vogliamo trarre tesoro dalle osservazioni di tutti e migliorare? Penso sia nell’interesse di tutti noi.
paolacon 14/ 09/ 2009
Amici ciao, vi scrivo dopo un periodo di riflessione. Le vacanze sono finite e di regola sarei dovuta rientrare al mio posto nelle attività di Eldy e invece sono giorni che mi dibatto in pensieri e decisioni da prendere.
Mi prendo una pausa da Eldy, nonostante la mia affezione e l’impegno sempre profuso, perchè non mi ci rispecchio più; la grande famiglia o il gruppo che doveva essere non riesco a vederli, al loro posto gruppetti l’un contro l’altro armati, la solidarietà sopraffatta dall’arrivismo, dalla conquista di un posto al sole in prima fila, quasi come su una spiaggia affollatissima di Rimini.
Lo spirito di stare insieme per condividere, partecipare,esorcizzare la solitudine,creare, conoscere, consolare,sostenere,divertire,informare,emozionare è rimasto solo nelle intenzioni degli ideatori della chat.
Adesso si misura, si pesa, si valuta, si giudica gli altri. E questo non mi piace.
Eldy, o la chat in genere, deve essere e rimanere solo un momento della nostra vita, un momento da vivere in serenità, un piacere insomma,e come tutti i piaceri và assunto in giuste dosi per non farlo diventare routine con l’ulteriore rischio di vivere solo virtualmente stravolgendo realtà, fatti, comportamenti, situazioni.
Eldy non è la fiera della vanità, né un concorso a premi, non ci sono alla fine coppe, oscar, medaglie…c’è, o dovrebbe esserci, solo il piacere di stare insieme con semplicità di cuore e di intenti e…il piacere genera benessere.
Dalla semplice chat si è pian piano passati alla creazione di piccole e vere lobbies dove impazzano schiere di “specialisti”saccenti e arroganti con la pretesa di essere migliori degli altri; si sfoderano titoli, conoscenze,esperienze non per condividere e avvicinare ma per creare distanze e altezze.
Personaggi oscuri passano in auge perché godono della benevolenza di taluni/e arrogandosi il diritto di sentenziare o erigersi a giudici o censori dei pensieri altrui… chissà qual’è il denominatore comune che li unisce e li sostiene?
Sono stata io a volere Riflettiamo come un’opportunità in più per crescere, ma nelle mie intenzioni era come un grande giardino aperto a tutti, dove ognuno poteva seminare o piantare i propri fiori e gioire nel vederli crescere condividendone il profumo. L’orchidea non offusca la pratolina spontanea. E i fiori crescono in libertà…obbedendo alle sole regole della natura. Non c’è proprietà privata in un giardino pubblico!
E fa male al cuore vedere catenacci ai cancelli o omini spruzzare con la pompa veleni e pesticidi e seminare enormi quantità dell’erbaccia più malefica: la zizzania.
Mi allontano da Eldy con dispiacere e amarezza perché io in Eldy mi divertivo come una pazza, ci stavo bene, ho avuto la possibilità di conoscere bellissime persone, mi ha fatto compagnia in molti momenti difficili della mia vita; l’alternanza di momenti di leggerezza e profondità di molte relazioni interpersonali sono stati un mixer perfetto in un anno e mezzo di mia permanenza e ci sono rimasta fino a quando è stato così…
Io amo le atmosfere libere, l’aria fresca di montagna o in riva al mare, voglio il mio pensiero privo di briglie… e vivere il mio tempo in positivo per trovare soluzioni e gioia.
Ecco perché intrighi di corte, veleni, congiure, cospirazioni,strategie, discussioni paranoiche o fumose non possono piacermi…non mi piacciono e li abbandono.
Le battaglie, le lotte, le faccio nel mio quotidiano ma per motivi seri!
Certamente Eldy non è solo questo! E’ la più bella e seria chat che io abbia conosciuto; c’è tutto un universo di persone semplici,leali,corrette. A loro dico: continuate come sempre, siate custodi dei bisogni altrui,dei diritti sacrosanti come la libertà,la condivisione, l’amicizia, le pari opportunità, il rispetto.
Spero di lasciare in molti un pensiero felice nell’avermi conosciuta…molti di voi li tengo caramente tra i miei ricordi..se così non fosse …pazienza! Non posso piacere a tutti, non tutti possono piacermi e…nemmeno lo vorrei.
Grazie della bella esperienza che attraverso voi è stata possibile e …buon viaggio a tutti.
Questo è quanto ed era doveroso dirvelo, quando si va via c’è sempre un perché.
A volte, succede che un’irrefrenabile bisogno di andar via mi prende, ebbene, io non lo contrasto, mi faccio attraversare in tutta tranquillità, seguo il suo corso,
perché domani chissà…chissà…
Semplice 05settembre2009
Sul Corriere della Sera Magazine n. 36 del 10 settembre 2009, alla pagina 110, trovate un articolo di Pierluigi Battista intitolato “Messale politico”, che ritengo assai intelligente e stimolante. Ecco perché ve lo propongo per intero, aggiungendo piccoli quesiti finali.
Scrive dunque Battista.
“Il gran caldo d’agosto, complici alcune baruffe giornalistiche a tutti note, ha provocato un gran cambiamento. A luglio la sinistra accusava la destra di essere clericale, baciapile, succube dei preti, bigotta, beghina, devota. E la destra accusava la sinistra di essere laicista, mangiapreti, anticristiana, giacobina, attardata su vecchi schemi ottocenteschi.
Dietrofront. Ora è cambiato tutto. Nel giro di pochi giorni il bianco è diventato nero e il nero bianco, l’anti è pro e il pro anti. Ecco il manuale per orientarsi nella nuova mappa politico-religiosa.
Quello di destra d’ora in poi (fino a ordine contrario e opposto) dovrà dire: la Chiesa si occupi delle sue cose invece di invadere gli affari dello Stato italiano; ci provi il Vaticano a fare entrare nel suo territorio tutti i clandestini; non facciano troppo i moralisti, non scaglino la prima pietra; i preti la devono smettere di attaccare il governo; predicano bene e razzolano male; si facciano gli affari loro; pensassero alle loro finanze; fanno così perché vogliono favori sulle scuole private; fanno così per strappare una legge sul testamento biologico in linea con le posizioni cattoliche; fanno così per avere gli aiuti dello Stato; la pietà cristiana ce l’abbiamo tutti, ma le leggi sono leggi; sepolcri imbiancati; si coprono tra di loro; vogliono fare un piacere alla sinistra; deve essere una guerra interna al Vaticano; i preti sono furbi, altrimenti la Chiesa non sarebbe durata duemila anni; cattocomunisti; comunistelli da sacrestia; chi è senza peccato; moralisti da quattro soldi; la devono smettere di ingerirsi; la devono smettere di interferire; la devono smettere; stavolta vado a festeggiare a Porta Pia; quante divisioni ha il Papa?; tutto un frusciar di tonache; bisogna essere più laici.
Quello di sinistra d’ora in poi (fino a ordine contrario e opposto): vogliono intimidire la Chiesa; la Chiesa ha le risorse morali per opporsi all’immoralità dilagante; vogliono somministrare l’olio di ricino ai cattolici che si oppongono; le ragioni dei cattolici; sull’immigrazione la Chiesa dice cose indubbiamente sensate; questa è la Chiesa che mi piace, non quella che fa le battaglie sulla bioetica; le parrocchie sono una grande risorsa per l’opposizione democratica; via la sana ipocrisia di una volta; come fa un cattolico ad avere ancora fiducia nel centrodestra?; la Chiesa è nostra alleata nella battaglia contro queste leggi razziali e razziste; anche la Chiesa non ne può più; la battaglia in difesa dei valori; i valori calpestati dal Caimano non possono non far insorgere le istituzioni ecclesiastiche; la strategia dell’attenzione verso il mondo cattolico; cogliere il senso del disagio della Chiesa; la giusta diffidenza della Chiesa verso questa forma di neo-libertinaggio; basta con il modello delle veline; rivalutare Santa Maria Goretti; abbonarsi a Famiglia Cristiana; De Gasperi si sta rivoltando nella tomba; Sturzo si sta rivoltando nella tomba; Moro si sta rivoltando nella tomba; basta con il vecchio anticlericalismo ottocentesco”.
Ho voluto mettere tutto il testo perché è un vero gioiello di esemplificazioni. Naturalmente c’è chi si riconoscerà “in toto” di qua o di là. C’è chi si riconoscerà parzialmente. C’è chi sarà d’accordo e chi in disaccordo con l’impostazione di Battista.
Io penso che, tutto sommato, non sia importante dire con chi si sta ma ragionare sulle diverse proposizioni per farsi delle idee proprie. Rispondendo, naturalmente, se si hanno idee chiare, anche in merito ai quesiti di fondo formulati. E’ vero che c’è stato, che c’è, un curioso scambio di panni fra destra e sinistra in merito ai rapporti con la Chiesa? E se sì, dipende da un mero calcolo elettoralistico o ha motivazioni più profonde? E poi, durerà o non durerà?
Tutte le prese di posizioni, le domande, le risposte, i distinguo, ecc., sono bene accetti.
Lorenzo.rm 13 09 2009
È ritornato Erasmus con un suo articolo di vita vissuta
Non voglio essere chiamato Maestro. Ma nemmeno Amico. Anzi, fra i due termini, preferisco il primo perché, in una certa misura, Maestro lo sono davvero. Pur se un po’ particolare.
Vengono a chiedermi pareri, consigli, a volte anche l’interpretazione di un sogno.
“Che vuol dire, Maestro, un leone che mi inseguiva?”.
“Un asino che ragliava alle mie parole?”.
“Una casa, la mia casa, che crollava?”.
“Tutta insicurezza, mio caro, cerca di avere più fiducia in te stesso”.
“Ma sono malato, Maestro”. “Non aver paura, guarirai”.
Non posso spingermi oltre perché non sono un medico e, d’altra parte, non mi viene richiesto.
E i consigli:
“Mia figlia si è lasciata per l’ennesima volta con il suo ragazzo. Che ne pensa, Maestro?”. “Insicurezza”, rispondo.
“Mio figlio vuole andare all’estero, a studiare. Dice che i cervelli, in Italia, non hanno sbocchi”.
“E’ l’insicurezza, amico mio, ma lascialo andare. Imparerà ad essere autonomo”.
E poi la denuncia di fatti:
“Mi è successo questo, questo e quest’altro”.
“E tu fa’ questo, questo e quest’altro”.
Non voglio farla lunga. Sono un filosofo, anche se un po’ matto. E devo essere chiaro con me stesso. In fondo, nella mia attività di interprete e consigliere, applico sì la mia scienza (faccio per dire), ma soprattutto il senso comune che ho incorporato. Certo, è un concetto mobile, soggetto a cambiamenti. Ma presenta una certa stabilità e si manifesta con un’espressione di sicurezza che fa bene alla gente.
Sono perciò una persona sicura, tranquilla, a cui raccontare ed esprimere. Chi mi toglierà mai questo ruolo?
Erasmus 10 / 09 / 2009
L’avventura la sta correndo, ma non è ancora finita, una giornalista in Sudan.
La Repubblica del 9 settembre 2009 ha indicato le tappe della vicenda. La protagonista è Lubna Ahmed Hussein.
Ed ecco le tappe.
L’arresto
Lubna viene arrestata il 3 luglio in un ristorante insieme ad altre 9 donne. In commissariato ne trova altre 4. Portano tutte i pantaloni.
L’accusa
Le 13 donne sono accusate d’indossare un capo “indecente” in base all’art. 152 del codice penale. La pena: una multa o 40 frustate o entrambe.
La battaglia
In 10 si dichiarano colpevoli. Lubna no: si dimette da un incarico all’ONU per rinunciare all’immunità e manda 500 inviti al suo processo.
Un giorno in cella
Alla condanna a 140 euro di multa, Lubna preferisce il carcere ma, dopo un giorno di galera, il sindacato dei giornalisti paga per lei la multa e viene liberata.
Non finisce qui, come dicevo.
La giornalista è furiosa, riferiscono i suoi colleghi giornalisti, “restituirà i soldi versati dal sindacato contro la sua volontà e chiederà di essere riportata in prigione. In ogni caso presenterà ricorso, anche dinanzi alla Corte Costituzionale se necessario”.
Questi i fatti, nudi e crudi. Ne facciamo un argomento di nostre valutazioni?
Lorenzo.rm 11/ 09/ 200