Ho imparato che la vita e’ una grande metafora.
Nel senso che i significati più profondi si possono
raggiungere attraverso le letture più elementari.
Un esempio, …parlando della casa: “Mi piacerebbe mettere
ordine nell’armadio ma trovo difficile buttare le cose vecchie!”.
Elementare metafora: …nella vita bisogna fare delle scelte
e liberarsi del passato!.
Altro esempio parlando di politica: “Oggi, a casa mia,
ho urtato contro un tavolo che sta da più di quindici anni al centro del salotto
(BERLUSCONI), ormai sembra far parte della casa e non riesco a immaginare
di stare senza. Eppure diverse volte l’ho urtato, tanto che ho i lividi sulle gambe;
ma non so che farci, e’ come se lo cacciassi dalla porta e mi rientra dalla finestra.
Una mattina per evitare gli spigoli, i lividi …ne ho preso uno tondo
(VELTRONI), dopo un po’ci giravo intorno e anche se non mi faceva male
ho creduto quasi che fosse inutile lì, …in quel posto; chissà forse da qualche parte
e in un altro momento …
Infatti quando lo hanno portato via non me ne sono quasi accorto.
Adesso vicino a quello con gli spigoli ne ho messo uno piccolino
(FRANCESCHINI) ma non so se questa e’ la soluzione giusta …
Intanto e’ faticoso portare via il grande; e poi …il piccolino riuscirà
ad assolvere alla funzione del tavolo? …Mah!”.

Chissà …forse potremmo usare le metafore quando ci viene voglia di parlare di politica così
nessuno si offenderebbe più. A parte i mobili!!.

Che ne dite amici di Eldy! Calcio2.CE

scritto da admin il 7 05 2009

Sono una grandissima fan di Rosario Fiorello che seguo da sempre ,oltre ad essere un grande showman è un mio conterranno e il suo umorismo è nelle mie corde. Stamattina ho letto sul corriere come vede lui questo divorzio del secolo nei panni di Fioretto Rosello, sedicente giornalista di Sky Tg24. Chi di voi ha sky lo vedrà stasera. Seduto dietro la scrivania del Tg, Fiorello ha letto un testo con passaggi di una fantomatica ‘Ultim’ora’ sulla separazione dei beni fra i due coniugi. «A Veronica – ha detto – rimane l’Umbria, il Regno delle Due Sicilie e un terzo continente a scelta. Inoltre a lei va la custodia del trofeo della Mitropa Cup, dei Telegatti e dell’opera omnia di Apicella. Sandro Bondi verrà affidato a Veronica con la possibilità di visita da parte di Silvio ogni due week end…».

Il ‘giornalista’ Fiorello, con aria contrita ha letto: «Buonasera, questa edizione del Fiorello Show andrà in onda in versione sobria per rispetto ai fatti di Arcore. Noi non vogliamo unirci al coro degli altri programmi con commenti ironici o critici nei confronti dei coniugi Berlusconi… anzi, noi vogliamo rispettare la fine di un amore. La fine di una coppia così discreta, riservata, che ha sempre tutelato la propria privacy… si parlavano come tutte le coppie del mondo: lei scriveva all’Ansa, lui rispondeva con una conferenza stampa… loro non hanno mai messo in piazza quello che succede tra le 508 mura di Arcore… e nulla, assolutamente nulla, faceva presagire la fine di quell’amore: lui sempre innamorato, magari non di lei ma sempre innamorato. Lei, madre perfetta, lo attendeva per giorni e giorni, e giorni e giorni e giorni e giorni con i suoi bambini, in quella modesta villetta a schiera nel cuore della Brianza. A nome della redazione del Fiorello Show, permettetemi un consiglio. Caro Silvio, cara Veronica, mi raccomando: vogliatevi bene. In questi momenti c’è chi soffre: voi, i vostri figli, Sandro Bondi… ora dovrete affrontare anche il doloroso problema della separazione di quei pochi beni che permetteranno ai vostri figli un modesto ma onorevole futuro… cercate di farlo in modo sereno e pacifico e con la riservatezza che vi ha sempre distinti. Ci piace immaginarvi ad Arcore seduti al tavolo di cucina che vi spartite fraternamente le vostre poche cose. Scusate – si è interrotto Fiorello – è arrivata un’Ansa. Ecco, abbiamo in anteprima esclusiva il documento della divisione dei beni tra Veronica Lario e Silvio Berlusconi. A Veronica rimane l’Umbria, il Regno delle due Sicilie e un terzo continente a scelta. Inoltre a lei va la custodia del trofeo Mitropa Cup, dei Telegatti e dell’opera omnia di Apicella. Sandro Bondi verrà affidato a Veronica, con la possibilità di visita da parte di Silvio ogni due week end. A Silvio rimane quel poco che resta. Ma si sa, nelle separazioni sono sempre gli uomini ad avere la peggio». Ho voluto inserire questo articolo giusto per sorridere un po’ e non essere sempre seriosi, segue il video;brava alla cinquantenne Veronica,era ora..

Carissime amiche ed amici di Eldy,

ciò di cui oggi tenterò di occuparmi è intimamente connesso con la celebrazione fatta, anche da queste pagine, nella giornata del 25 aprile: la Resistenza. La mia non sarà, però, una celebrazione postuma, bensì una rivisitazione critica per coglierne, quanto più possibile, quegli aspetti che hanno la presunzione di avvicinarsi alla realtà dell’avvenimento e degli effetti prodotti dall’avvenimento stesso, necessari almeno per fare chiarezza su quanto, in questi giorni, è stato detto e scritto, spesso in contraddizione, da tutte le forze politiche del Paese ed anche sul blog di questa rubrica. Quindi, premesso che la storia va costruita sulle verità, tenterò, molto umilmente, di dare il mio modesto contributo per cercare, insieme con voi, di cominciare a parlarne in termini “storici”, facendo in modo di guardare l’avvenimento come appartenente al passato e come tale osservarlo e discuterne senza patemi, senza irrigidimenti, senza emozioni. Questa la ragione per cui me ne occupo con un po’ di distanza dalla data di ricorrenza.

Vi prego, però, di non cercare nelle mie frasi “posizioni” partitiche e/o ideologiche perché non ci sono, almeno intenzionalmente. Come sempre, del resto; anche se a volte posso sembrarvi collocato a destra, a volte a sinistra, altre volte al centro dello schieramento politico italiano. E questo, non perché io abbia paura di dire cosa penso, ma soltanto perché sono abituato a dare al mio lavoro un connotato di astrazione dall’appartenenza ideologica, di oggettività, per poter stabilire una verità possibile o probabile. Forte anche del fatto che, a quei tempi, ero appena nato, così come la stragrande maggioranza di Voi che, addirittura, non eravate ancora nati.

“”La Resistenza italiana è stata un modesto movimento, come apporto effettivo e come somma di sacrifici, se confrontata alle grandiose e tragiche vicende della seconda guerra mondiale. Eppure la sua importanza sul piano storico è certamente notevole, nonostante la sua disfatta. [….]. Una cosa però è certa, ed è che, come per tutte le esperienze fallite, […] anche per la Resistenza importa, assai più che l’apologia delle sue glorie, la critica dei suoi errori e dei suoi difetti. Perché sappiamo con certezza che, come le altre, anche questa esperienza fallita, ha un imprevedibile avvenire.”” (Vittorio Foà, La crisi della Resistenza prima della liberazione. “Il Ponte”, nn.11,12, novembre-dicembre 1947).

La Resistenza è stata un elemento rilevante nella vita dell’Italia repubblicana. Ad essa ha fatto riferimento non solo la cultura dei partiti politici, ma anche una parte consistente della letteratura, delle arti e del cinema. Tuttavia, nell’arco del quasi settantennio postbellico, il rapporto tra Resistenza e vita nazionale ha conosciuto varie fasi nelle quali esso ha assunto significati e caratteristiche diversi, in vario modo collegati agli sviluppi del sistema politico e dei rapporti fra partiti che alla Resistenza dichiaravano di richiamarsi. La stessa storiografia ne è risultata in certa misura condizionata, contribuendo anch’essa a creare immagini della Resistenza che, pur con tutti i loro limiti interpretativi, hanno costituito risposte a domande reali provenienti da settori diversi della società italiana.

In una prima fase, memorialistica e pubblicistica, ebbero soprattutto carattere rievocativo e ricostruttivo: la Resistenza emergeva come punto d’arrivo della lotta antifascista ed entrambe come legittimazione etico-politica dei nuovi personaggi politici e dei partiti in cui erano organizzati. I più conseguenti fra i protagonisti – e lo stesso Ferruccio Parri, con il suo breve governo, ne fu simbolo eloquente – coglievano, però, quanto fosse problematico il nesso fra aspirazioni maturate nel corso della lotta e nuove condizioni della vita sociale e politica, soprattutto per l’impatto con l’organizzazione dei poteri sociali ed istituzionali che tendevano a perpetuarsi.

L’unità formale, di vertice e di partito, che della Resistenza era sopravvissuta, per la proiezione nazionale della suddivisione del mondo in blocchi, si incrinò definitivamente nella primavera del 1947. Così, anche l’approvazione e l’entrata in vigore della Costituzione, che peraltro non era da tutti considerata di per sé una conquista, aprivano una fase nella quale gli esponenti di ciascun partito (compresi i neofascisti) tendevano a dare della Resistenza una propria lettura, giustificatrice delle scelte politiche successive. Nel 1955 si giunse a prospettarne un’interpretazione governativa nazionalpatriottica, riassunta nella formula “secondo Risorgimento”, con il compito di esorcizzare una lettura che ne evocasse elementi rivoluzionari, democratici o di classe che fossero. Tuttavia, il fatto stesso che nella contesa politica le parti si richiamassero, sia pure strumentalmente, all’eredità resistenziale ed antifascista, avviò, al livello di massa, un’interiorizzazione della Resistenza e della Costituzione, quasi costitutiva di un particolare “epos” nazionale.

Dopo la sconfitta, nel luglio 1960, del tentativo di inserire il neofascista MSI nella maggioranza, negli anni della “distensione” internazionale, fra le forze di maggioranza e di opposizione, si stabilì una sorta di nuovo patto, teso all’applicazione della Costituzione. Ciò alimentava una nuova fase, nella quale quella che altri chiamavano “repubblica moderata”, era definita, in consonanza con una certa “storiografia di partito”, come “Repubblica nata dalla Resistenza” e approdo della “rivoluzione italiana”, il cui compimento sarebbe stato l’attuazione della Costituzione ad opera dei partiti antifascisti riuniti in un “arco costituzionale”. Quest’uso pubblico della Resistenza, negli anni ’70, veniva sottoposto alla critica politica dei nuovi movimenti di sinistra ed a quella, ben più pertinente, della storiografia dell’Italia contemporanea, soprattutto quella promossa dall’Istituto Nazionale per la storia del movimento di liberazione. Questo orientava la ricerca intorno alle contraddizioni politiche e sociali presenti nel fronte resistenziale ed all’analisi di lungo periodo delle ragioni della rottura o meno, nel passaggio tra fascismo e postfascismo, della continuità dello Stato e del blocco sociale che lo sosteneva. Tuttavia, la forza del “mito della Resistenza” fu misurata soprattutto negli anni delle stragi e del terrorismo quando, trovando in Sandro Pertini una sorta di personificazione, costituì un legame ideologico forte per la difesa della Repubblica e della democrazia,

Quella fu, però, anche l’ultima stagione del rilievo politico della Resistenza, perché nella fase successiva la fine del “paradigma antifascista” divenne elemento di giustificazione di nuove ipotesi politiche.

Dal punto di vista storiografico, nella fase più recente è emersa la sottolineatura che nella Resistenza, intrecciate alle motivazioni per una guerra patriottica (di liberazione nazionale antinazista) e per una guerra di classe (rivoluzionaria) convivevano motivazioni per una guerra civile (antifascista) in prosecuzione della lotta iniziata nel primo dopoguerra. A ciò si sono accompagnate polemiche storiografiche e politiche perché finora la definizione di “guerra civile” era stata propria dei neofascisti, che con essa intendevano porsi sullo stesso piano etico-politico dei resistenti. Tuttavia, in tal modo si aprono anche nuove prospettive per una migliore comprensione dei caratteri della lotta politica nell’Italia Repubblicana e ciò acquista oggi un rilievo del tutto particolare. Infatti, dopo la caduta dei regimi comunisti, in Europa emergono nuovi movimenti nazisti e razzisti, antisemiti e xenofobi, a indicare come uguaglianza e democrazia siano i veri bersagli dell’estrema destra. Nello stesso tempo, la crisi del sistema politico dell’ Italia repubblicana pone l’interrogativo se e quanto il legame fra la Resistenza del mito e la politica dei partiti corrisponda al legame reale fra la Resistenza della storia e la vita sociale e politica dell’Italia contemporanea.

Per i motivi suesposti, invito gli amici che mi leggono ad una profonda riflessione: non possiamo guardare la Resistenza come un fenomeno statico, bensì come fenomeno patriottico che, nel tempo, ha dato anche ottimi prodotti etico-politici nel governo del Paese. Su questo è necessario riflettere per auspicare, alla fine, che la convergenza di tutti gli italiani avvenga sugli effetti recenti e futuri della Resistenza. Questo, a mio avviso, dovrà necessariamente portare alla non condanna di coloro che, in buona fede, hanno combattuto, a volte cadendo, dalla parte sbagliata, così come sostenuto da più parti, da ultimo dal Capo dello Stato col suo discorso del 25 aprile.

 

fgiordano                                  6aprile2009

Questa è la storia di un siciliano che molti anni fa è approdato a Roma. Un importante approdo la capitale, grande metropoli. Da allora, il ricordo, il rimpianto della Sicilia è stato sempre più lontano. Sicilia bella, madre ingrata che hai reso possibile il distacco, ti amo e ti odio, non potrò mai dimenticarti ma se dovessi tornare sarei molto diverso da quello che ero quando sono partito.

sicilia

Cittadino cresciuto nei problemi altrui che sono divenuti i miei problemi. Cittadino consapevole, libero, cittadino romano.

Pirandello, ne “Il fu Mattia Pascal “, fa dire al suo personaggio principale, fuggito a Roma per scomparire: “Scelsi allora Roma, prima di tutto perché mi piacque sopra ogni altra città, e poi perché mi parve più adatta a ospitar con indifferenza, tra tanti forestieri, un forestiere come me”.

A ben vedere, l’indifferenza, tanto auspicata da quel personaggio, costituisce un male della grande città, che può essere bella, bellissima, ma non dovrebbe mai essere indifferente se vuol essere fonte di affetto e gratitudine da parte di uomini, donne, anziani, bambini particolarmente fragili perché sradicati. Per questo la Sicilia, anche quando è stata matrigna con i suoi figli tanto da costringerli all’abbandono, rimane per molti, nello sfondo dei pensieri, invincibile perché evanescente, romantica. Ma i confronti finiscono qui. Si capisce ben presto, stando a Roma, che non c’è indifferenza reale, anzi c’è accoglienza, curiosità, simpatia, e che quella che può sembrare indifferenza in realtà è rispetto.

foro

E’ quello che ho capito quasi subito. E ho capito, ho desiderato fin da subito che volevo essere un cittadino di questa meravigliosa città. D’altra parte, guai a non sentirti cittadino di una città. Guai a vivere del rimpianto di qualcosa che per di più non hai  mai avuto. Guai a formare gruppi di alienati in una città di altri. Roma, grazie a Dio, ha una storia tradizionale di apertura nei confronti dei “forestieri”, i quali, dopo un minimo di adattamento, si sentono romani. E anche i forestieri vivono tutti i problemi della città senza, ovviamente, badare alle loro origini regionali. Quando non passa l’autobus, i servizi sociali non funzionano, il lavoro manca, tutti si disperano, romani, siciliani, liguri, abruzzesi. Tutti sono cittadini romani.

Conoscendoli un po’ penso che l’aspirazione profonda dei siciliani, come di tutti gli uomini, sia  la libertà, la dignità, il piacere di vivere e di operare, di crescere. Se si eccettuano le “sacche” di miseria, di ignoranza, di delinquenza, di turpitudine, che richiedono interventi sociali generali, il siciliano romano è un buon cittadino che, quando anche ha motivi di insoddisfazione, li esprime con civiltà e desiderio di comprendere e di essere compreso. E’ un buon cittadino e nei suoi confronti il “romano” ha di solito pazienza e considerazione perché comprende che la sola urbanità nei modi non basta e che spesso la rabbia, la decisione, la presa di posizione possono essere anch’esse utili per far crescere, far funzionare una società. Comprende che occorre, in una certa misura, essere anche un po’ selvaggi. Appunto, come i siciliani.

Liolà esprime in modo stupendo questa capacità naturale dei siciliani: “Non sono uccello di gabbia, zia Croce. Uccello di volo sono: Oggi qua, domani là: al sole, all’acqua, al vento”. Certo qualcuno può vedervi una particolare enfasi per una libertà di fare quel che si vuole. Ma il siciliano a volte dice più di quello che sente. E non mi pare dubbio che egli, nella quasi totalità dei casi, sa usare bene la sua libertà. Spesso, molto spesso vivendo a favore degli altri e della collettività. Vivendo i suoi problemi con dignità e consapevolezza. Sapendo protestare e farsi rispettare. Perché i siciliani, a Roma come in Sicilia, sanno che molti problemi hanno bisogno di tempi lunghi per essere risolti. La loro pazienza: anch’essa è un’antica virtù che si può mettere al servizio della collettività cittadina.

Vengono in mente le meravigliose parole di Quasimodo, rivolte a suo padre, un padre meraviglioso, come sanno essere tanti padri siciliani: “La tua pazienza, triste, delicata, ci rubò la paura”. Il richiamo all’antica pazienza, all’antica saggezza ha sicuramente costituito per i siciliani presenti a Roma, siciliani di nascita e oriundi, che sono centinaia di migliaia, un impegno profondo e duraturo. Un conforto alla disperazione che talvolta ha potuto far nascere un groppo alla gola. Un antidoto alla solitudine certamente sofferta in svariati momenti, quando verrebbe voglia di tornare anche correndo nella propria terra, lasciata senza amore e sognata con rimpianto.

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Ma Roma è Roma, è il nostro amore, la nostra città. “Semo de Roma” anche noi, “ ce potete contà”.

lorenzo.rm 06//05//2009

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L’esistenzialismo è una corrente filosofica e letteraria sorto in Francia subito dopo la seconda guerra mondiale. Prese il suo nome  dall’indirizzo filosofico che si era presentato in Germania e in  Francia negli anni ’30 del ventesimo secolo. I suoi primi sostenitori furono Sartre e Simone de Beauvoir, seguiti da Camus e altri celebri scrittori.
L’esistenzialismo francese, tuttavia, dopo la guerra, si identificò soprattutto come la “filosofia della crisi”, in quanto si proponeva di contrastare la crisi di valori, dovuta alle distruzioni della guerra.
Dapprima, questo spinse diversi intellettuali a schierarsi politicamente con il Partito Comunista e, successivamente, il movimento si espresse attraverso manifestazioni artistiche, in particolar modo nel campo letterario, teatrale, cinematografico. E, sopra ogni altra cosa, l’esistenzialismo influenzò   un’intera generazione attraverso le canzoni,  la scoperta di compositori-cantautori, nonché  l’aiuto di poeti che ne hanno scritto i testi per i cantanti, divenuti poi celebri.
Che dire della bellissima “Les feuilles mortes”, creata da Jacques Prévert? Da noi, solo Fabrizio De André  ha saputo cogliere e interpretare quel sentimento particolare.juliette-greco-11
I più famosi interpreti furono Brassens, Ferré, Juliette Gréco, Bécaud e Montand.george-brassens1
In questo senso,  il movimento  anticipò il fenomeno del coinvolgimento giovanile di massa, tramite la musica, a partire dalla cultura del rock’n roll negli Stati Uniti  degli Anni Cinquanta
Le manifestazioni esteriori dell’esistenzialismo, dai maglioni ai giubbotti neri, che dettero nome ai giovani che li indossavano “blousons noirs”, ai capelli tagliati alla maschietta delle ragazze, all’abuso dell’alcool, alla passione per il jazz coltivata nelle cantine “caves” parigine, divennero una vera e propria moda che fu spazzata via sia dall’affermazione artistico-professionale dei suoi maggiori esponenti, sia soprattutto dall’uscita della Francia dal Tunnel delle ristrettezze del dopoguerra.
Secondo voi, esistono ancora degli echi  di questo movimento al giorno d’oggi?
E, se sì, con quali caratteristiche?

“les feuilles mortes”

parole: Jacques Prévert
musica: Joseph Kosma
creazione:1950
Oh, vorrei tanto che anche tu ricordassi
i giorni felici in cui eravamo amici
Com’era bella la vita
e come era più bruciante il sole
le foglie morte cadono a mucchi…
Vedi : non ho dimenticato
Le foglie morte cadono a mucchi
come i ricordi, e i rimpianti
e il vento del nord porta via tutto
nella più fredda notte che dimentica
Vedi : non ho dimenticato
la canzone che mi cantavi.
“ritornello”
È una canzone che ci somiglia
Tu che mi amavi
e io ti amavo
E vivevamo, noi due, insieme
tu che mi amavi
io che ti amavo
Ma la vita separa chi si ama
Piano, piano
senza nessun rumore
e il mare cancella sulla sabbia
i passi degli amanti divisi


yves montand

Giovanna3rm     06/05/2009

A seguito del terremoto che ha devastato parte dell’Abruzzo, sono pervenute da parte della protezione civile richieste per la disponibilità alla partenza per le zone colpite. Questa è sicuramente un sintomo di una grande generosità e disponibilità di tutte le varie associazioni dei volontari. Protezione civile indica tutte le attività e le strutture predisposte dallo stato al fine di tutelare l’integrità della vita, beni, gli insediamenti e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e da altri eventi calamitosi. Questi drammi colpiscono tutti, in primis ovviamente le vittime i feriti e tutte le persone che hanno subito devastazione ma anche le persone che sono dotate di sensibilità, tra queste chi ha vissuto gli interminabili istanti di situazioni simili o portato il suo contributo nei luoghi colpiti, non può non sentirsi dentro in quel dolore. Su Comando della Protezione Civile Nazionale coordinato dal Gen. di Brigata Par. Maurizio Fioravanti, delegato dal Ministro della difesa Ignazio La Russa, L’ANPd’I (associazione d’Italia paracadutisti) subito ha inviato i primi soccorsi nella zona del terremoto individuando come campo base il paese di NAVELLI (piana di Navelli famosa per la coltivazione di zafferano) si trova a circa 30 Km dall’Aquila con una popolazione di circa 700 abitanti con una altitudine di una altezza di 800 mt. Subitamente partiva la prima colonna di protezione civile di Cinisello Balsamo formata esclusivamente di paracadutisti e ex paracadutisti in congedo, tutti i volontari hanno una specifica mansione nell’ambito del nucleo, elettricisti, idraulici, carpentieri, tecnici informatici, radiomatori autisti, cuochi, motociclisti per scorta ecc..Giunti sul posto il giorno 07 Aprile, dopo poche ore dell’evento i volontari installavano il campo base per gli sfollati ( circa 50 tende) per ospitare circa 270 persone, e approntando il campo base dell’associazione dell’ANPd’I , poiché tutti i paracadutisti d’Italia a turni si avvicendano per avere un lavoro di turnazione per la popolazione di quel paese e altri. In questa turnazione ha aderito anche il sottoscritto parac. F. L. “nembo” socio della sezione di Desio, partito con la colonna della protezione civile di Cinisello B. per una decina di giorni. Giunto sul luogo mi veniva in mente l’altro terremoto che avevo prestato aiuto nel maggio 1976 in Friuli (Tarcento). Anche questa volta ho visto la voglia di persone di ricominciare, rifondare, ricostruire, e entrare nella vita quotidiana rimanendo in tanti casi vicino alla propria casa, alla loro terra,alle loro tradizioni, chiunque avrebbe imparato a vivere in quei momenti, me compreso. Questa mia esperienza, fonte anche di riflessione, di conforto dando alla gente un segnale forte di speranza e gioia di tutti noi per permettere ancora di andare avanti, ma pronto ancora a restare per continuare a fare il poco che ho fatto. Spero che sia questo lo spirito che anima tutti noi di profondo mutamento interno,come di dolore,di sconforto, è stato e ancora di più sarà nel tempo,quando gli affetti incominceranno ad essere tangibili. Quando sei stato in Abruzzo a prestare soccorso e vedi quello gente piangere con gli occhi persi nel vuoto, in un futuro che è veramente e concretamente in bilico ti chiedi che senso abbiano i distacchi, gli allontanamenti fra le persone, la chiusura di rapporti come se fossero problemi insormontabili,ostacoli che minano il volgersi serenità della vita. Il terremoto il nemico invisibile, la crosta della terra il fondo degli oceani, sono come il guscio incrinato delle uova, solo che i frammenti si spostano lentamente, sprigionandosi tra di loro oppure separandosi. Per secoli magari non succede nulla, finchè di colpo qualcosa si rompe ma nessuno può dire quando accadrà. Dove e quando non te lo aspetti e senza poterti difendere ti coglie impreparato. Solo con la mente non si salva nessuno, servono anche le mani, forse saremo più utili come volontari piuttosto di fare considerazioni di ma.. se…ecc..vi è anche d’aggiungere il disgusto procuratomi dal fatto che questa tragedia è diventata l’ennesimo evento mediatico di sfruttare per fare audience e produrre consenso, ne tantomeno quei commentatori che dopo qualche giorno dell’evento con i morti ancora sotto le macerie, si sono buttati a discettare argomenti che fanno rabbrividire, imputando colpe a dx e sx, dimenticando polemiche politiche”forse” anche questo fa parte della società, dello spettacolo, questo può essere vero, non so….ma forse siamo al punto da ignorare il contributo di noi volontari, forze dell’ordine, di persone ed aziende che cercano di dare una mano. Non esistono ne esisteranno mai parole in grado di mitigare l’immane dolore di coloro che hanno perso i propri cari e le cose. Ho visto questo terremoto prima in internet, tv, e poi in prima persona in quel mare di disperazione sconforto e dolore, poiché una volta gestita l’emergenza abitativa e purtroppo psicologica, la gente ha bisogno di un supporto che ha la stessa valenza dei generi di prima necessità per andare avanti. A tutto questo prima al suo precedente splendore poiché rappresentano la nostra storia la nostra cultura, la nostra patria. ho scritto che parlo per esperienza personale poichè ho vissuto in prima persona il terremoto del Friuli, ancora più distruttivo di quello abruzzese. (circa 900 morti con 45.000 senza tetto) So cosa vuol dire, il primo e il dopo. Ecco perché, passata l’ondata emotiva ed esauritosi quel rigurgito di solidarietà sociale che le emergenze riescono ancora a innescare in Italia, è bene non dimenticare in fretta la lezione. Guardi, ascolti,osservi e rifletti: ma allora il mio paese è ineficente? E allora il tuo occhio umido di tristezza e amarezza si asciuga perché il vento di un ritrovato orgoglio di appartenenza lo sferza; l’orgoglio di sentirsi forte di un popolo che c’è anche se ancora una volta, purtroppo, ha bisogno, di sferzate tremende per ritrovare in sé i sentimenti migliori, quelli che da soli elavano la nazione.

P.S. episodio particolare anche simpatico e curioso dopo 10 giorni dell’evento notavamo un cane di razza “pastore tedesco”(cucciolo) che si aggirava nelle vicinanze del nostro campo, mal nutrito, sporco, e molto dubbioso verso le persone, dopo varie strategie siamo riusciti a farselo amici, lo abbiamo adottato con il nome di “NAVELLO” visto che il nostro campo base si chiama Navelli, ( nome del paese che ci ospita) lo stesso verrà portato a Cinisello B. presso la P.C., per essere addestrato presso una scuola cinofila per trovare e salvare eventuali persone in caso di calamità.

NEMBO

05/05/2009

SONO NATO

bxp64901Mai avrei pensato che la vita fosse così bella, cosi stupenda, cosi orgoglioso di averla vissuta nel pieno delle mie forze, che devo dire. Ogni volta che penso a qualcuno di importante, vedo sempre lei, sento lei che mi accudisce, mi aiuta nelle difficoltà, mi da una mano in tutto, lei è lì, non fugge, lei è lì che aspetta con la sua mano tesa a tirarmi su se cado, lei è lì quando ho bisogno, lei è lì anche se non le chiedo nulla, la sua presenza mi riempie il cuore, so che mi guarda, mi osserva che il mio cammino venga fatto sempre diritto, non la vedo piangere, lei si nasconde dicendo che un pò di fumo della stufa a legna le è andato negli occhi, ma lei ride sempre, dà tutto di sé senza chiedere niente in cambio, lei ti porta alla luce, lei dà vita alle tue passioni istruendoti a capire ciò che nessuno può darti, lei è sempre al tuo fianco, quando sei lontana/o, lei è lì che ti aiuta con dei piccoli accorgimenti, stai attento, non correre, non fare tardi, attento non bere, guarda che i pericoli li trovi dove meno te lo aspetti, e tu che annuisci, sai che il suo consiglio ne ascolto solo un pò e forse la metà appena ma, non le dici mai non ascolto, forse mai nessuno ha detto di no, forse nessuno sa perchè lei lo fa, chiede solo  di essere amata, non chiede gioielli, ma sa che i suoi gioielli torneranno sempre all’ovile, non lasceranno mai che lei rimanga da sola, la sua vita è costruita su basi fortissime, sa amare senza chiedere nulla in cambio, ricevi da lei ogni tipo di consiglio, non vuole essere pagata, lei dà e basta. Forse mi sono dilungato di molto ma descrivere una persona cosi grande immensa in questo mondo ironico, cattivo, triste, approfittatore, ma sempre lontano dalle sue mani, non rappresentiamo niente. Lei ci dà tutto il suo amore incondizionato, lei dà la sua vita per essere felice, sì sarà anche triste, per la perdita di un suo caro, ma niente e di più bello dire grazie di avermi messo al mondo, in questo mondo crudele, solo tu salvi la mia vita dall’oblio e perdermi in posti dove tu  sarai sempre con me.

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Raffaello “Madonna del Granduca”-1505

GRAZIE A VOI MAMME!!!! E A TUTTE VOI
CHE AVETE QUESTO GRAVE COMPITO NELLA VOSTRA VITA.
SMAKKKKKKKKKKK  MILIARDI DI PERSONE DOVREBBERO DIRE
G R A Z I E

lorenzo3.an   05/05/2009

La dieta vegetariana è quella dieta che,come tutti sappiamo, non prevede l’assunzione di carne animale.. Ed è sempre più attraente in un’epoca di vacche impazzite, non esige necessariamente un drastico mutamento delle nostre abitudini alimentari .Una presenza determinante nella dieta vegetariana è costituita da cereali, legumi, formaggi, uova e altri alimenti che si completano a vicenda. Può essere ricca e appagante e allo stesso tempo rispettosa di una alimentazione sana e leggera In realtà, all’interno della popolazione dei vegetariani (che complessivamente, in Italia, sono oggi circa due milioni e mezzo) si possono individuare due principali modelli alimentari: quello vegetariano propriamente detto e quello vegetaliano (meglio noto con l’abbreviazione di vegano o vegan).Entrambi i modelli di alimentazione sono accomunati dal fatto che escludono il consumo di carne e di pesce, con la differenza sostanziale che:
L’alimentazione vegetariana in genere ammette alimenti di origine animale indiretta e quindi il consumo di latte, latticini ed uova (latto-ovo-vegetarismo), oppure il consumo di uova ma non di latte e latticini (ovo-vegetarismo) o, ancora, il consumo di latte e latticini ma non di uova(latto-vegetarismo);
L’alimentazione vegetaliana o vegana esclude qualsiasi prodotto di origine animale ed ammette esclusivamente alimenti vegetali (anche marini)

Oltre alla scelta di non nutrirsi con del cibo prodotto dall’abbattimento di animali ci sono dati confortanti epidemiologici ottenuti da una moltitudine di studi scientifici che dimostrano quanto vegetariani e vegani godono complessivamente di salute migliore rispetto agli onnivori e che, in particolare, beneficiano di un alto livello di protezione da malattie anche degenerative. Gli studi scientifici internazionali basati, precisamente, su raffronti fra popolazioni di carnivori (ovvero “onnivori”) e popolazioni di vegetariani/vegani in relazione al rischio di sviluppo di malattie degenerative, quali soprattutto tumore, ipertensione, arteriosclerosi, infarto, ictus, diabete, obesità, calcoli, sottolineano che tale rischio risulta notevolmente ridotto nei vegetariani e nei vegani. Questi dati mi inducono a riflettere .. Intanto dii seguito vi propongo una ricetta semplice e nutriente ,un primo piatto che ho già sperimentato ,anche se non sono vegetariana:

Le tagliatelle gustose:

Difficoltà: facile
Tempo di cottura: 20 minuti
Ingredienti per 4 persone:
500 gr. di tagliatelle, meglio se fresche, a voi la scelta se all’uovo o meno
Mezzo cucchiaino di noce moscata macinata
50 gr. di burro
2 porri piccoli
150 gr. di pisellini surgelati
100 gr. di spinaci
Mezzo bicchiere di vino bianco secco
250 ml. di panna da cucina
30 gr. di parmigiano grattugiato
Olio
Sale
Pepe
In una padella sciogliete il burro ed unite un filo d’olio che vi servirà per non farlo bruciare. Quando sarà sciolto aggiungete i 2 porri tagliati finemente e la noce moscata, lasciate soffriggere a fuoco medio per 3 minuti e poi aggiungete i pisellini surgelati e lasciate cuocere con un coperchio per altri 3 minuti dopo aver aggiunto il mezzo bicchiere di vino bianco secco. Incorporate la panna e regolate di sale e pepe, meglio se appena macinato, aggiungete quindi il parmigiano e gli spinaci freschi quindi togliete dal fuoco e coprite.
Nel frattempo lessate le vostre tagliatelle, quando saranno pronte saltatele in padella per 1 minuto a fiamma vivace e servite nei piatti da portata ..Buon appetito!

Vi propongo questo video che io trovo molto toccante e ve lo propongo proprio per riflettere.

Si parla sempre tanto, e da tanto tempo ormai, del conflitto palestinese-israeliano e delle stragi che si compiono in quelle terre. Ogni volta che se ne parla e che si discute o si riflette su quest’argomento, si scatenano conflitti di opinioni tra amici e all’interno di noi stessi. Abbiamo tutti, penso, dei sentimenti contrastanti; almeno io ne ho. E molto forti.
Noi sappiamo che il popolo palestinese soffre moltissimo e di soprusi inaccettabili. È inutile ripetere cose conosciute da tutti molto bene.
Ma vediamo che, anche in Israele, la quotidianità è difficilissima a causa degli attentati giornalieri e dell’insicurezza che ne deriva e dell’impossibilità di vivere serenamente.
Prendere un autobus senza sapere se arriverà mai a destinazione, andare a scuola e non essere sicuri di ritrovare tutti i compagni, uscire per andare al mercato e non tornare mai più a casa…

Se voleste approfondire l’argomento vi suggerisco:
http://it.wikipedia.org/wiki/Conflitti_arabo-israeliani
http://www.conflittidimenticati.it/cd/i/2196.html
http://it.wikipedia.org/wiki/Israele
sono siti molto esaurienti seri e ricchi di informazioni.

Anche sono numerosi i film sul conflitto palestinese-israeliano, visti sia dalla parte palestinese che israeliana:
Il più recente mi sembra Il giardino di limoni… (Etz Limon) del 2008 per la regia dell’israeliano Eran Riklis, tratto da una storia vera; sulla realtà quotidiana dei palestinesi c’è l’atipico Intervento divino di Elia Suleiman. Poi c’è Private di Saverio Costanzo del 2004 ben fatto e non di parte.
Potrei citare la filmografia di Amos Gitai, ma c’è sempre il capolavoro di Steven Spielberg Munich.
Sul conflitto in senso stretto forse Paradise Now del 2005 di Hany Abu-Assad è un film significativo che spiega, senza giudizi e senza retorica, il punto di vista di un martire omicida.
E ora a voi  questo  video e i vostri commenti eventuali.

http://www.youtube.com/watch?v=QShSmpI0r9k


In questo mezzo secolo di vita ho annotato dentro la testa i tanti modi di
salutarsi: dall’inchino ossequioso al “tanto di cappello”, dalla stretta di
mano al braccio teso e al pugno chiuso, dalla V  di pace (non quella del
“nano nano” di Mork) al battitacchi e dita alla visiera militare.
Nel dire “buongiorno” e “buonasera” accompagnavamo le parole piegando
lievemente la testa in avanti e ancora oggi lo si fa quando s’incrocia un
conoscente, e se non lo si vuole disturbare, magari si fa solo il gesto con
il capo.
Poi ci sono i saluti più confidenziali, i “ciao” che dalla fine degli anni
sessanta ad oggi hanno subito varie vicissitudini e allargamenti di vocali e
consonanti. Ce lo si  scambia anche se ci si conosce appena. Una volta era
riservato agli amici, ai coetanei scolastici e  compagni di giochi o
oratorio.
Il ciao si diffuse rapidamente tanto che Cochi & Renato tirarono fuori un
“CCiaao bella gioia” che imperversò per l’Italia intera (sicuramente da
cabarettisti osservavano il mutamento con occhio più attento)-
Negli anni 80/90 diventò un “Csciaaoo” tutto scivoloso (quasi bavoso) che
imperversò sino all’avvento di mani pulite. Un saluto per piacere,
mercantile direi, per invogliare il salutato a chiedere (un favore),
accompagnato sovente da un “come va?”. Al tempo stesso imperversava una
pubblicità di un dopo barba “per l’uomo che non deve chiedere mai”(ossimori
comportamentali).
Negli ultimi anni, sepolto lo yuppismo, si è passati a un “Ccciaooo”  che
diventa quasi sempre ” Ccciaooo tutto beneee?”,  al  che uno se anche  ha
qualcosa che non va, di riflesso risponde “tuttobene” e si morde la lingua.
Io al “ccciaooo tutto bene?”, che mi infastidisce sempre, rispondo “no. ma
tu sei disponibile a fare qualcosa per me?”. A quel punto l’interlocutore
curva un po le spalle, allarga il braccio destro per avvolgermi e chiede ”
dai cos’è che non va?” . A volte ho risposto anche contrito “perchè mi
chiedi come va, sai forse qualcosa che io non so?”. Inutile dire che sempre
meno gente mi dice “ciao come va?”.
Insomma un ciao è una cosa seria che si da alle persone emotivamente vicine.
Io tendo a dare il “Lei” a tutti, il ciao va conquistato non banalizzato.
Scusate tutto sto preanbolo ma era che non sapevo come dirvi “Ciao” visto
che ho ripristinato il mio pc su cui l’account è “Popof”.
Francescotto (come lo chiamo io) resta a mio figlio (che non so se e quante
volte entrerà nella Comunità di Eldy). Ecco tutto questo solo per dirvi che
quando vedrete Popof avete tutto il diritto di dire “ah, è quello la”.
Ciao
Popof

Chi di noi, amici Eldyani, apprendendo dell’accendersi di un nuovo focolaio di guerra, o di una guerra in piena regola, dietro la spinta emotiva dell’ “appartenenza” , ideologica o religiosa, non ha mai avuto espressioni di “partigianeria” per una o l’altra parte in conflitto? Forse un po’ tutti l’abbiamo fatto, dimenticando che i conflitti tra popoli, o all’interno dello stesso Paese, devono sottostare a norme di diritto Costituzionale e di diritto internazionale, la cui relazione è indissolubile; senza dimenticare la tutela della dignità dell’uomo, di qualsiasi uomo. Per questo motivo mi è piaciuto dedicarmi ad una ricerca, i cui risultati sono riportati nel seguente, modesto saggio, col mero scopo di contribuire all’educazione civica e democratica di chi spesso è portato ad esprimere giudizi giustificati soltanto da emozioni contingenti e/o “di parte”.

 

Ci avviamo speditamente verso il terzo millennio ed il mondo si ritrova inciso e lacerato da tante, gravi, multiformi violenze.

Divampano conflitti armati, in più Continenti. E tragiche e quotidiane sono le immagini di eventi bellici, con le loro sequenze di morte, distruzioni, sofferenze.

Azioni di guerra e di guerriglia infieriscono, anche in questi momenti, in molti Paesi, artigliando, indifferentemente, combattenti e popolazioni inermi. Ed un terrorismo spietato va dispiegando, senza apparenti giustificazioni, efferatezze, senza confini. Sussistono, così, piaghe dolorose di conflittualità violente e diffuse in ambito internazionale ed intra-statuale.

Un quadro inquietante, in quest’inizio livido e turbato di XXI secolo. Un contesto, che segue, ahimè, ad altro secolo – il XX – drammaticamente marchiato, a sua volta e nell’intero suo arco, da terribili esperienze di guerre, rivolgimenti, genocidi, “pulizie etniche”, crimini terroristici, con milioni di vittime e, via via, proteso ad armamenti (convenzionali, termonucleari, chimici, batteriologici) viepiù distruttivi e funzionali alla minacciata possibilità di “guerre totali”, di immani olocausti.

Tali, dunque, l’oggi ed il passato; osservati nel prisma fattuale del loro tessuto di sanguinosi conflitti, v’è forse in essi la riprova per l’umanità, d’un destino irreversibile di pervasive violenze e, per ciò stesso, dell’irrealizzabilità dell’aspirazione ad un’autentica, universale pace? E’ questo, in verità, un interrogativo pregiudiziale e sfaccettato, al quale ben potrebbe correlarsi un ampio discorso o dibattito.

Ciò, peraltro, trascenderebbe i limiti della riflessione proposta in questa rubrica: una riflessione articolata, ma essenziale nel suo svolgimento e sfociante nella motivata riaffermazione che il cammino verso la pace è lungo ed impervio, ma praticabile e doveroso per tutti.

Homo homini lupus. In questo assunto filosofico, antico e lapidario, che ha valenza sociologica, si compendia la visione antropologica di chi percepisce, descrive e teorizza la natura umana come aggressiva e vede operante nell’uomo – in ogni tempo e spazio – istinti e disegni violenti, innate pulsioni belliche.

Condizionato qual è da bisogni e da congenita inclinazione a ricercarne comunque l’appagamento, l’uomo, si sostiene, è portatore di una vocazione primordiale alla lotta, anche cruenta. Sicché la guerra, anch’essa, scaturisce necessariamente da una siffatta, impositiva propensione umana e, come tale, appare non eradicabile dal terreno della storia.

Non è questa, peraltro, nella sua assolutezza e rigidità deterministica, una “lettura” e concettualizzazione condivisibile delle vicende umane.

Ricondurre la violenza alla naturalità necessitante dell’essere umano contraddice l’esperienza di quanti, singoli e comunità, optano di vivere e concretizzare forma di esistenza non violenta. La guerra non insorge nel mondo per meccanismi irrefrenabili ed immodificabili; anch’essa passa attraverso la libertà umana; anch’essa ha i volti ed i nomi di chi la sceglie e ne diventa responsabile.

Vero è che l’animo umano sembra inquinato da una sorta di assuefazione alle armi. Ma la strada della violenza non è per l’uomo la sola ed ineludibile; nel labirinto della vita, la via della pace non gli è preclusa. La pace è dunque possibile. E, in quanto possibile e quale valore prezioso, essa va promossa, realizzata, salvaguardata.

Che nella scala dei valori abbia posizione eminente la pace e costituisca per l’umanità un bene anelato è oggi indubbio e reiteratamente sottolineato da tante e varie parti e sedi.

Così, peraltro, non è sempre stato nei secoli scorsi. Basti ricordare quanto scritto da G.W. Hegel: “…..è la guerra che mantiene la salute morale dei popoli……; come l’agitarsi dei venti preserva i laghi dalla putredine cui li ridurrebbe una quiete durevole, così vi ridurrebbe i popoli una pace duratura….”

Affermazioni, queste, contestabili e contestate, ma tracimate in successivi indirizzi ideologico-filosofici e nel Novecento enfatizzate da infausti epigoni e tradotte sul piano politico in spinte militaristiche ed in aberranti glorificazioni delle armi.

Lo stesso Novecento ha, però, verificato, di tutto ciò e nel concreto, la tragica insensatezza ed ha maturato, per contro, l’attuale comune considerazione della pace quale valore vero. Un valore (un bene) che si configura antitetico ad ogni violenza e si esprime per la non belligeranza, per l’assenza di guerra.

Guerra che di per sé ed in linea di principio costituisce, a sua volta, un disvalore e, nel contempo, un illecito (un “flagello” la definisce il Preambolo della Carta delle Nazioni Unite).

A connotare negativamente e di antigiuridicità l’uso offensivo della forza armata sono, d’altro canto, gli enunciati delle Carte costituzionali di non pochi Stati. Tra essi l’Italia, con l’art.11 della Costituzione, per il quale il nostro Paese “ripudia la guerra come strumento di offesa……e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace….; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Disposizione, questa, garantista, esemplare ed eloquente, nel rifiuto d’ogni opzione bellicistica travalicante la mera legittima difesa e nella scelta di base della pace come valore-guida.

Un valore troppo spesso disatteso e violato. Un valore, per di più, insidiato e minato dall’ ingiustizia.

La pace poggia sul rispetto delle persone e dei popoli e si alimenta dell’effettivo e praticato riconoscimento, intrastatuale e nella comunità internazionale, dei “diritti umani”: diritti fondamentali, spettanti all’uomo in quanto tale, insopprimibili ed indisponibili, che ne riflettono l’essenziale dignità, individuale e sociale.

Per converso il misconoscimento di tali diritti – e così, precipuamente, l’affermarsi di dispotismi oppressivi, di discriminazioni, di sfruttamento dei deboli e di loro mortificazione nel sottosviluppo – intacca le radici della pace, la inquina e la destabilizza.

Il giogo dell’ingiustizia non è, infatti, sopportabile indefinitivamente e chi lo subisce – individuo, popolo o Stato – è spinto a scuoterlo, a rivoltarsi, anche e spesso con approdo alla violenza ed alle armi.

La pace, si è detto, è un valore immenso, che si vorrebbe per sé, per la propria gente, per il mondo intero. Ma quali le vie e le tecniche di costruzione della pace? Come perseguirla e consolidarla nel tempo e nello spazio?

Non ho, certamente, la pretesa di censire e qui dettagliare l’intera gamma delle ipotizzabili modalità per volgere al concretizzarsi d’un tale obiettivo. Rilevo, però, un trittico di percorsi e strumenti (che a me sembrano essenziali e che mi piace riportare), che si dispongono su un triplice piano:

° quello del diritto

° quello della giustizia

° quello dell’educazione alla pace

Peace through law” – pace attraverso il diritto – è il titolo di un’opera di Hans Kelsen, magistrale e lungimirante nell’elaborazione progettuale di un sistema normativo ed istituzionale più avanzato e meglio rispondente alle finalità di pace, specie nelle relazioni interstatuali. Un sistema siffatto – opportunamente ridefinito ed adeguato ai nuovi scenari di oggi e di domani – è auspicabile e diffusamente auspicato.

Lo ha fortemente sostenuto l’allora Segretario delle Nazioni Unite, Kofi Annan, nel presentare, il 21 marzo 2005, all’Assemblea Generale una serie di proposta normative e di riforma dell’ONU. Proposte articolate e tese, nell’insieme:

  • a ribadire il generalizzato e cogente dovere per gli Stati di astenersi dal ricorso alla forza, salvo che per legittima autotutela e sino a che il Consiglio di Sicurezza – nell’esercizio delle proprie esclusive competenze ed attenendosi a regole e criteri all’uopo prefissati e/o in via di determinazione – abbia ad intraprendere e/o demandare le azioni, occorrenti per fronteggiare le riscontrate, pendenti minacce alla pace, anche e specificamente di matrice terroristica;

  • ad incentivare, per quanto possibile, un disarmo, graduale e controllato, promuovendo, nel contempo, l’adozione di misure maggiormente restrittive della produzione e del commercio di armi, fermi restando il fondamentale Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) e la messa al bando delle armi di distruzione di massa;

  • a rimodulare struttura e funzioni dell’ONU, in particolare del Consiglio di Sicurezza, per accrescerne la rappresentatività, valorizzarne l’autorità ed il ruolo centrale nell’assetto ordinamentale della comunità internazionale, dotarlo di maggiori poteri vincolanti e sanzionatori e rafforzarne gli strumenti coercitivi, assegnargli più risorse e renderlo più efficiente ed incisivo nell’espletamento dei compiti e dei poteri ad esso affidati e riservati.

Il tutto, anche nell’intento di contrastare il deficit di legalità insito in tante azioni militari non condotte dalle Nazioni Unite o ad esse riconducibili, così come abbiamo visto anche di recente sullo scenario internazionale.

Ai fini della pace non è, peraltro, solo questo deficit di legalità a dover essere arginato e compresso.

Posto che ampie e molteplici si palesano le iniquità involgenti persone e Paesi e che in ogni pesante deficit di giustizia si annida, latente, il germe della violenza, non v’è dubbio che l’edificazione della pace, per poter essere solida e durevole, deve coniugarsi con un impegno per la giustizia e, così, per il superamento, per quanto possibile, delle patologiche condizioni di vita, che attanagliano uomini e Nazioni in tante parti del mondo.

Di qui, tra l’altro, l’esigenza, non trascurabile, di strategie di sostegno socio-economico e di cooperazione internazionale per lo sviluppo: cooperazione da attuarsi nelle forme di volta in volta più appropriate e, in ogni caso, nel rispetto della libertà e dell’identità culturale dei Paesi beneficiari e senza prevaricazioni ideologiche o arroganti forzature politiche; sostegno tanto più necessario nel contesto di un processo di globalizzazione particolarmente sospinto dai grandi gruppi multinazionali e dagli Stati in grado di raccoglierne i vantaggi, ma non scevro di effetti pregiudizievoli per i Paesi più deboli.

Di qui, ancora, l’urgenza che si fronteggino i nodi critici dell’odierna globalizzazione, ineguale e sbilanciata, e si operi per renderla meno asimmetrica, più equa ed inclusiva, dando anche congruo e forte rilievo alla “Corporate Social Responsibility”. Responsabilità, questa, comportante la doverosa considerazione dei legittimi interessi e delle ragionevoli aspettative dell’ampio spettro di “stakeolder” variamente coinvolti o lambiti dall’attività d’impresa. Responsabilità funzionale ad uno “sviluppo sostenibile”, più consono all’uomo , per ciò stesso, fattore di pace.

Pace, va aggiunto, per la cui conquista ed al cui consolidamento ben s’addice, quale ulteriore fattore, un’adeguata opera educativa.

Occorre, abbiamo detto, educare se stessi e gli altri alla pace; bisogna conoscerla, volerla e farla amare per poterla esprimere ed imprimere nella concretezza della storia. Non si tratta di declamarla, ma di interiorizzarla e testimoniarla, concorrendo alla formazione d’una coscienza collettiva della dignità dell’uomo – di ogni uomo – e dei diritti e dei doveri, che sono di tutti e di ciascuno e riflettono valori umani universali (in primis la vita), la cui salvaguardia sta, eminentemente, nella pace e per la quale sono essenziali e da coltivare anche la disponibilità e la capacità di dialogo, nel rispetto reciproco. Dialogo interpersonale, intersociale, interculturale, interreligioso, per comporre le tensioni, per costruire “ponti” di pace e non “muri” di divisione, per volgere ad una riconciliata e feconda alleanza tra le civiltà.

Tutto ciò, mi sia consentito sottolinearlo, non per sterile autocompiacimento, ma per trarre motivo di impegno per il domani.

Vogliamo la pace vera, non tregua o precario sopimento di irrinunciata belligeranza.

Vogliamo pace autentica, non mera passività a fronte della prepotenza e dell’iniquità che sfregiano i diritti naturali delle persone e delle genti.

Vogliamo pace che scaturisca dall’incondizionato e praticato riconoscimento della centralità e dignità dell’uomo, di ogni uomo.

Pace da edificare nel rispetto dell’ordine giuridico, con attenzione ai bisogni del nostro prossimo e con fattivo sforzo di rimozione degli ostacoli, fra essi l’ignoranza, che si frappongono alla miglior comprensione tra uomini e Nazioni.

La sfida della pace può e deve essere vinta.

Il bulbo della speranza” (di questa speranza)“ora occultato sotto il suolo/ ingombro di macerie, non muoia / in attesa di fiorire in primavera”.

Sono versi di Mario Luzi, che affiorano nella memoria e ben possono essere qui richiamati e riproposti, per tutti, a conclusivo suggello.

 

fgiordano          2 maggio 2009

Come abbiamo avuto modo di leggere, come ben sappiamo, il I° maggio è la festa dei lavoratori, non del lavoro come qualcuno potrà anche azzardare di dire.
Dalle lotte  del 1860 (circa) al 1970/72, annì   in cui vengono promulgate alcune leggi fondamentali, la legge 300 nel 70 (conosciuta come Statuto dei Lavoratori) per prima e poi tutte quelle a venire, la 1204 nel 72 (diritti delle lavoratrici madri), due leggi fondamentali che han cambiato, radicalmente il nostro modo di vivere.
Passano cent’anni, tra le prime lotte e gli anni delle conquiste. In mezzo due guerre mondiali (più due partecipazioni “straordinarie” in Africa e in Spagna). Sono anni di lotte. E quanti morti  in nome di regole più giuste. Noi (io, voi)  sul finire degli anni 60 e inizi 70, c’eravamo, e anche se mai abbiamo mosso un passo dietro uno striscione il nostro apporto lo abbiamo dato.
In quegli anni una poesia divenne prima una ballata e poi inno degli studenti e operai che, per la prima volta nella storia, si ritrovavano vicini.
In occasione della festa dei lavoratori voglio regalarvi le parole di  “Contessa” (di P.Pietrangeli) .

“Che rabbia, contessa all’industria di Aldo
han fatto uno sciopero quei quattro ignoranti
volevano avere i salari aumentati
gridavano, pensi, di essere sfruttati
E quando è arrivata la polizia
quei pazzi straccioni han gridato più forte
di sangue han sporcato il cortile e le porte,
chissà quanto tempo ci vorrà per pulire….”
Compagni dai campi e dalle officine
prendete la falce portate il martello
scendete giù in piazza affossate il sistema.
Voi gente perbene che pace cercate
la pace per fare quello che voi volete
ma se questo è il prezzo ‘abbiamo pagato
Nessuno più al mondo devessere sfruttato
“Sapesse mia cara che cosa mi ha detto
un caro parente dell’occupazione
che quella gentaglia rinchiusa li dentro
di libero amore facea professione
Del resto mia cara di che si stupisce
anche l’operaio vuole il figlio dottore
e pensi che ambiente che può venir fuori
non c’è più morale mia cara contessa
Se il vento fischiava ora fischia più forte
le idee di rivolta non sono mai morte
se c’è chi lo afferma non state a sentire
è uno che vuole soltanto tradire
se c’è chi lo afferma sputategli addosso
la bandiera rossa ha buttato in un fosso

Questa poesia/ballata fu scritta nel maggio del 1966.

Il divertente video che vi propongo ha una storia particolare: Durante uno dei governi Craxi, in occasione del primo maggio 1991 a piazza S.Giovanni salirono sul palco un gruppo di di ragazzotti che al ritmo di rock&roll sbeffeggiarono la svendita che era stata fatta (la scala mobile) sapete di cosa parlo avete memoria vero?, dicevo del video: quei ragazzotti li videro per intero solo a Roma, in TV fecero un intervallo (con la faccia di Mollica a mo di pesce) ma niente è perduto nell’era tecnologica.

Basta così. Non vi voglio annoiare. Buon primo maggio a tutti.

P-S.: se qualcuno non la pensa come me fa niente, pace! queste sono le mie emozioni, i miei ricordi e mi piace esternarli, a qualcuno può far piacere, ad altri no: guai se tutti dovessimo mangiare gelato al limone.

Francesco8bg                   1maggio2009

ragazza-a-scuolaRagazzi senza calore

Da alcuni anni svolgo un servizio di volontariato in una casa-famiglia, occupandomi degli studi dei ragazzi ospiti.
I volontari, in realtà, sono in numero molto limitato, mentre occorrerebbe assicurare maggiori presenze, in modo regolare, per aiutare le educatrici, che non sono in grado di seguire i ragazzi singolarmente nei loro studi, avendo tanti altri compiti da svolgere.
Si tratta di ragazzi dai 6 ai 15 anni che, in virtù dell’intervento di assistenti sociali prima e del giudice dei minori in seguito, sono stati allontanati dai genitori o dalla famiglia in genere. Nel migliore dei casi hanno alle loro spalle episodi di droga, alcolismo e,  nel peggiore,  pedofilia.
E’ comprensibile che abbiano riportato ferite pesanti ed evidenti. Lo rivelano, senza particolari conoscenze psicologiche, i loro comportamenti e i loro caratteri.
Nella casa-famiglia hanno trovato amici coetanei, un calore e una dedizione assoluti, da parte di educatrici molto capaci, affettuose e sensibili.
Per stabilire un buon rapporto, occorre anzitutto comprendere le loro reazioni, talvolta sconcertanti,  avere  tranquillità, ma anche fermezza, e non porre mai domande sulla loro famiglia. Saranno loro, quando avranno acquistato fiducia nel volontario, ad aprirsi, con brevi accenni o domande, che occorre saper interpretare.
Hanno bisogno, più di altri, di atteggiamenti amichevoli e affettuosi, ma anche in questo campo è necessario procedere con molta cautela, per non urtare la loro particolare sensibilità. Quando si comportano da discoli o non hanno alcuna voglia di
dedicarsi allo studio, temono molto che si faccia ricorso all’educatrice, che interverrebbe  mandandoli nella loro stanzetta o sospendendo il tempo dei giochi. Solo queste sarebbero le blande punizioni, che tuttavia non sono accolte con gioia.
Alcuni ragazzi sanno individuare da subito se il volontario che si occupa di loro è persona affidabile: in tal caso, con i loro tempi, cominceranno ad aprirsi e avranno anche slanci molto affettuosi.ragazzi-a-scuola2jpg
L’obiettivo che la casa-famiglia persegue è quello dell’adozione, almeno per i ragazzi con le maggiori difficoltà familiari. Per mia fortuna, in questi anni, ne sono avvenute alcune, con esiti felici. Tuttavia, in ragione della loro età, l’adozione, anche  da parte di famiglie con le migliori intenzioni, è comunque un evento raro e difficile. Per non parlare degli ostacoli di legge, che rendono pressoché impossibili o, quanto meno, limitatissime, le adozioni in Italia.
Mi domando spesso che cosa si potrebbe fare di più per aiutare questi ragazzi. Ogni volta che li lascio sono assalita da un pensiero costante e doloroso: cosa sarà di loro quando e se potranno ritornare in famiglia, visto che la loro permanenza nella  struttura è possibile solo fino ai 18 anni?  E poi?

Giovanna.3rm    1°maggio 2009

scritto da admin il 30 04 2009

Questa giornata festiva nasce come momento di lotta internazionale di tutti i lavoratori, senza barriere geografiche, né tanto meno sociali, per affermare i propri diritti, per raggiungere obiettivi, per migliorare la propria condizione.
“Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire” fu la parola d’ordine, coniata in Australia nel 1855, e condivisa da gran parte del movimento sindacale organizzato del primo Novecento. Si aprì così la strada a rivendicazioni generali e alla ricerca di un giorno, il primo Maggio, appunto, in cui tutti i lavoratori potessero incontrarsi per esercitare una forma di lotta e per affermare la propria autonomia e indipendenza.
E’ interessante scoprirne le origini e il percorso fino a d arrivare ad oggi : 1 maggio 2009
Dal congresso dell’Associazione internazionale dei lavoratori – l riunito a Ginevra nel settembre 1866, scaturì una proposta concreta: “otto ore come limite legale dell’attività lavorativa”.
A sviluppare un grande movimento di lotta sulla questione delle otto ore furono soprattutto le organizzazioni dei lavoratori statunitensi. Lo Stato dell’Illinois, nel 1866, approvò una legge che introduceva la giornata lavorativa di otto ore, ma con limitazioni tali da impedirne l’estesa ed effettiva applicazione. L’entrata in vigore della legge era stata fissata per il 1 Maggio 1867 e per quel giorno venne organizzata a Chicago una grande manifestazione. Diecimila lavoratori diedero vita al più grande corteo mai visto per le strade della città americana.
Nell’ottobre del 1884 la Federation of Organized Trades and Labour Unions indicò nel 1 Maggio 1886 la data limite, a partire dalla quale gli operai americani si sarebbero rifiutati di lavorare più di otto ore al giorno.
Il 1 Maggio 1886 cadeva di sabato, allora giornata lavorativa, ma in dodicimila fabbriche degli Stati Uniti 400 mila lavoratori incrociarono le braccia. Nella sola Chicago scioperarono e parteciparono al grande corteo in 80 mila. Tutto si svolse pacificamente, ma nei giorni successivi scioperi e manifestazioni proseguirono e nelle principali città industriali americane la tensione si fece sempre più acuta. Il lunedì la polizia fece fuoco contro i dimostranti radunati davanti ad una fabbrica per protestare contro i licenziamenti, provocando quattro morti. Per protesta fu indetta una manifestazione per il giorno dopo, durante la quale, mentre la polizia si avvicinava al palco degli oratori per interrompere il comizio, fu lanciata una bomba. I poliziotti aprirono il fuoco sulla folla. Alla fine si contarono otto morti e numerosi feriti. Il giorno dopo a Milwaukee la polizia sparò contro i manifestanti (operai polacchi) provocando nove vittime. Una feroce ondata repressiva si abbatté contro le organizzazioni sindacali e politiche dei lavoratori, le cui sedi furono devastate e chiuse e i cui dirigenti vennero arrestati. Per i fatti di Chicago furono condannati a morte otto noti esponenti anarchici malgrado non ci fossero prove della loro partecipazione all’attentato. Due di loro ebbero la pena commutata in ergastolo, uno venne trovato morto in cella, gli altri quattro furono impiccati in carcere l’11 novembre 1887. Il ricordo dei “martiri di Chicago” era diventato simbolo di lotta per le otto ore e riviveva nella giornata ad essa dedicata: il 1 Maggio
Il 20 luglio 1889 il congresso operaio riunito a Parigi, decise che “una grande manifestazione sarebbe stata organizzata per una data stabilita, in modo che simultaneamente i tutti i paesi e in tute le città, i lavoratori avrebbero chiesto alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore”.
La scelta cadde sul primo Maggio dell’anno successivo, appunto per il valore simbolico che quella giornata aveva assunto.
In Italia come negli altri Paesi il grande successo del 1 Maggio, concepita come manifestazione straordinaria e unica, indusse le organizzazioni operaie a rinnovare l’evento anche per 1891.

Nella capitale la manifestazione era stata convocata in pazza Santa Croce in Gerusalemme, nel pressi di S.Giovanni. La tensione era alta, ci furono tumulti che provocarono diversi morti e feriti e centinaia di arresti tra i manifestanti.
Nel resto d’Italia e del mondo la replica del 1 Maggio ebbe uno svolgimento più tranquillo. Lo spirito di quella giornata si stava radicando nelle coscienze dei lavoratori.
Nell’agosto del 1891 il II congresso dell’Internazionale, riunito a Bruxelles, assunse la decisione di rendere permanente la ricorrenza. D’ora in avanti il 1 Maggio sarebbe stato la “festa dei lavoratori di tutti i paesi, nella quale i lavoratori dovevano manifestare la comunanza delle loro rivendicazioni e della loro solidarietà”.
Durante il fascismo l’Italia decise la soppressione del 1 Maggio, che durante il ventennio fu fatto coincidere con la celebrazione del 21 aprile, il cosiddetto Natale di Roma. Mentre la festa del lavoro assume una connotazione quanto mai “sovversiva”, divenendo occasione per esprimere in forme diverse (dal garofano rosso all’occhiello, alle scritte sui muri, dalla diffusione di volantini alla riunione in osteria) l’opposizione al regime. Il 1 Maggio tornò a celebrarsi nel 1945, sei giorno dopo la liberazione dell’Italia.
Le profonde trasformazioni sociali e il mutamento delle abitudini, hanno profondamente cambiato il significato di una ricorrenza che aveva sempre esaltato la distinzione della classe operaia. Il modo di celebrare il 1 maggio è quindi cambiato nel corso degli anni.
Da diversi anni i sindacati hanno scelto di celebrare la giornata del 1 Maggio promuovendo una manifestazione nazionale dedicata ad uno specifico tema. E’ diventato un appuntamento anche il tradizionale concerto rock che si svolge in piazza San Giovanni a Roma .Il nome forte di quest’anno è VASCO ROSSI! Buon 1 Maggio.http://www.youtube.com/watch?v=IjhDJCZgtuo&feature=PlayList&p=C359F769CFB8728F&index=10

scritto da admin il 29 04 2009

Avere cinquanta anni oggi ,rispetto alle nostre mamme ,c’è una grande differenza in quanto
una volta succedeva solo alle streghe ,si fa per dire,di conservare parte della loro bellezza e carica erotica anche in età avanzata, mentre alle donne ‘buone’, come ad esempio le mamme e le nonne, non restava che rassegnarsi all’invecchiamento e all’emarginazione dalla vita sociale.

Di una donna infatti ciò che più contava erano bellezza e capacità di procreare: perse entrambe queste caratteristiche, alla donna non rimaneva più nulla.

La tipica cinquantenne, fino a una cinquantina di anni fa, era una signora in genere sovrappeso, con i capelli bianchi, vestita in modo dimesso, che indossava vestiti e gioielli completamente demodé, legati al periodo della sua giovinezza.

La cinquantenne declinava sempre i suoi tempi al passato ed i discorsi che faceva, pur rispecchiando un’antica cultura e saggezza popolare, erano in genere inadeguati ai tempi ed incapaci di rappresentare la realtà in tutte le sue sfaccettature.

Cosa è cambiato da allora? Molto, per non dire tutto.

La prima cosa che salta agli occhi è l’aspetto. Le cinquantenni di oggi sono(siamo) quasi tutte belle, come delle ragazze un po’ invecchiate, che esibiscono le poche rughe con vezzosa disinvoltura. E, se una volta a cinquant’anni le donne cominciavano a prepararsi al definitivo congedo dalla vita, intensificando le preghiere e le frequentazioni dei riti religiosi, le cinquantenni di oggi appaiono perfettamente immerse nel loro presente, permettendosi perfino di fare dei progetti di lungo termine. Le donne, del resto, dicono che in media arrivano all’età 83 anni, e dunque a cinquanta anni hanno ancora più di tre decenni davanti a sé per cambiare molte cose della propria vita che non le soddisfano più (fra cui, sempre più spesso, il partner).

Molto, in questa rivoluzione del costume è dovuto ai progressi della medicina: la maggiore igiene, il controllo dell’alimentazione, la prevenzione, le cure, sicuramente aiutano il corpo a mantenersi sano. Per gli aspetti estetici basti pensare al ricorso ormai generalizzato ai centri di bellezza, palestre o anche solo ai comuni parrucchieri , estetisti.,o semplicemente ricorrendo alla vasta gamma di prodotti di cosmesi (Una volta le donne di cinquant’anni, anche potendoselo permettere, evitavano di curare troppo il proprio corpo, per non sentirsi inadeguate al ruolo sociale che veniva loro attribuito e per evitare di sentirsi giudicare, specialmente dai più giovani, come delle persone frivolee leggere, che non a quello, più rispettabile, di nonna e madre).

Poi c’è stata l’entrata massiccia delle donne nel mondo del lavoro: anche se i tassi di disoccupazione femminili sono sempre più alti rispetto a quelli maschili, anche se le donne, a parità di occupazione, guadagnano meno degli uomini, la possibilità di poter contare su un lavoro retribuito ha permesso anche alle rappresentanti del sesso femminile di poter svolgere un ruolo attivo nella società, ottenendo il diritto di partecipazione, di voto, di guadagno autonomo.

Ma quello che più di tutto ha contribuito a modificare le cose è certamente il livello di istruzione femminile,rispetto a 50 fa e ovviamente più il livello di istruzione è alto e più una donna è sicura di se

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A queste considerazioni aggiungo alcuni dati che emergono da una ricerca  denominata ‘Donne a 50 anni e sentimenti’, realizzata su un campione di 700 italiane tra i 46 e i 59 anni nel corso del 2008.

Al primo posto l’amore: il 61% delle cinquantenni intervistate afferma che i sentimenti sono molto importanti, e per il 33% lo sono abbastanza. Il 94% del campione è attento rispetto alla propria sfera emotiva, convinto nell’80% dei casi di vivere l’amore e la coppia in modo più consapevole di quando aveva 30 anni. Per il 68% delle intervistate, poi, l’amore diventa meno passionale ma più profondo, fondato su affetto e stima reciproca, sempre più consolidato nel tempo, rafforzato da un lungo percorso di vita. E una cospicua minoranza (40%) si sente ancora affascinante e seducente.
Per l’85% delle cinquantenni amare significa rimanere con il proprio compagno. Ma l’amore va vissuto sempre con la stessa intensità e passione, come a 20 anni, per il 58% del campione. Il 31% ammette di tradire il proprio partner: ciò significa che tre donne su dieci si sono concesse qualche scappatella.

Figli. Il 90% delle cinquantenni italiane ha dei figli, e il 71% dedica loro molta attenzione. Il 28% però dichiara scarsa o nessuna attenzione verso i figli ormai cresciuti, confermando il desiderio di maggiore autonomia delle donne ma anche il fatto che i figli delle cinquantenni di oggi sono più indipendenti. Solo il 13% delle cinquantenni non è felice che i figli lascino la casa. Infine, solo il 25% considera amicale il rapporto con i propri figli.

Divorzio. Il 47% delle cinquantenni afferma che il divorzio è una brutta esperienza che lascia il segno, ma solo il 10% lo considera quale la fine di un periodo della vita. Anche una separazione può essere vista non più soltanto come un evento catastrofico, ma come una liberazione da un rapporto sbagliato (il 32% delle intervistate la pensa così).

Scelta del partner. Se il 22% delle cinquantenni non ha un uomo dei sogni, il 20% è sensibile al fascino degli intellettuali. Nella classifica del principe azzurro perfetto seguono gli imprenditori e gli uomini d’affari (17%), e gli attori del cinema americano (14%), mentre in coda troviamo i politici (solo il 3% delle donne li sogna come uomini ideali) e i nobili ‘doc’ (3%).

Aspetto e salute. Il 70% delle cinquantenni teme le malattie: la rigidità’ motoria e il timore della metamorfosi progressiva delle forme del corpo appaiono come il maggior motivo di allarme. Il 17% ha paura della solitudine, mentre invecchiare spaventa solo il 6%. Il 75% delle intervistate privilegia il proprio benessere psicologico, senza comunque ignorare lo stile di vita, una corretta alimentazione e una sana attività sportiva coniugate con l’attenzione alla cura estetica del corpo. Condurre uno stile di vita sano (42% delle preferenze) e avere una sana alimentazione (35%) sono due aspetti complementari. Discorso a parte per l’attività fisica e sportiva: solo il 26% non ci rinuncia.

Da una ricerca per l”Osservatorio Differently ‘Ri-scoprirsi donna a 50 anni’ (promosso da Lancaster), realizzata nel corso del 2008