aree dialettali

canzoni in dialetto

DIALETTO…

Sembra che sia un argomento che interessa molti di noi. Tra i commenti che sono stati inseriti nella “Bacheca-buca delle lettere-suggerimenti” ce ne sono diversi che affrontano quest’argomento.
Già molto più di un anno fa, proprio in Eldy, fu soggetto di discussione: dialetto sì, dialetto no. Possiamo usarlo o no?
Alfred per primo lo ripropone e poi Franco Muzzioli, Giuliano, Riccardo.

La ricchezza di Eldy è proprio questa: veniamo da tante aree geografiche differenti e tutti abbiamo parole nostre, legate alla nostra regione, allora vogliamo metterle in comune?
Ci potremmo scambiare di tutto, non solo frasi, o detti, o proverbi, o parole, o poesie, o canzoni, ma anche piatti tipici, il tutto legato alla nostra terra e volendo anche leggende.
 

Infine, una proposta suggerita da Giuliano: perché non scrivere anche di un determinato argomento (usando il dialetto, con traduzione) ed un altro eldyano risponde (usando il suo dialetto con traduzione). Per esempio qualcuno scrive in vicentino (con traduzione) e qualcun altro gli risponde in napoletano (con traduzione)
Bene a voi di “giocare” se vi va e buon divertimento!
Riporto qui, tra i commenti, gli ultimi vostri, postati in “bacheca” e che riguardano i dialetti. (pca)

59 Commenti a “Le nostre 6000 “lingue” italiane…”

  1. franca.to scrive:

    per gli appassionati della smorfia…….(PIEMONTESE) 1 ël pì cit – 3 l’orija – 6 ël su – 8 le baricole – 9 ël giù – 10 la polenta – 12 la dosen-a -14 mi pago e ti it mòrdes – 15 ël nùmer dël diao – 18 dësdeuit – 19 San Giusep – 45 metà stra – 64 ël gobeto – 67 scursé la vesta – 72 mòrt ij prèive, cantoma noi – 77 le gambe dle fije – 81 an sacòcia mai gnun – 88 le marghere ‘d Cavoret – 90 ël cap dla coa.
    __traduzione ….. 1 il più piccolo – 3 l’orecchio – 6 il su – 8 gli occhiali – 9 il giù – 10 la polenta – 12 la dozzina – 14 io pago e tu mordi – 15 il numero del diavolo – 18 (dësdeuit: parola simile al 18 in piemontese “dijsdott”) saperci fare – 19 San Giuseppe – 45 metà strada – 64 il gobbo – 67 accorciare il vestito – 72 morti i preti, cantiamo noi – 77 le gambe delle ragazze – 81 in tasca niente – 88 le lattaie di Cavoretto – 90 il capo della coda.

  2. nadia rm scrive:

    mi sono letta tutti e 57 i commenti,mannaggialamiseria manca il leccese,ci penso io. Canzone popolare salentina. Ma ce buei co l’anni toi,ca si vecchiu e ntuzzecato,ciole fuego mpezzecato pe le fimmane de moi,ma lu teu gia’ se sta spiccia pe lu meno nde securo,se lu posperu nun piccia te ne binchi e stai all’u scuru

  3. edis.maria scrive:

    Alfred, due solitudini, una nuova amicizia! Che tenerezza! Sai che riesco a leggere e a capire un poco il genovese? Prima non ne capivo nulla! Questo blog è utile davvero!!!!!!

  4. alfred-sandro.ge scrive:

    Leggendo questa poesia in genovese del poeta Lorenzo Disma Rivara mi piace immaginare un vecchietto, seduto sulla panchina della piazzetta:si guarda attorno. E’ solo.
    Aspetta qualcuno che scambi due chiacchiere con lui.
    Solo un cane gli si avvicina e gli sorride.
    Gli scodinzola la coda: anch’esso è solo.

    ‘o CAGNIN DISPERSO

    Povôu cagnin disperso, comme ti mexi ‘a coa!,
    (povero cagnolino sperduto, come scodinzoli!)
    e sätando ti ti me baxi unn-a man
    ( saltellando mi lecchi la mano)
    solo pe’ aveite dæto un tocchettin de pan,
    (solo perchè ti ho datto un pezzetto di pane).
    T’ho visto giã chi in giö da ciù de’ unn’oa
    (ti vedo girare attorno da un’ora)

    Ti çercavi quarc’ûn cô l’ea insemme a ti?
    (cercavi qualcuno che era con te?)
    e che o se n’è scappou lasciandote chi?
    ( e se ne è andato lasciandoti qui?)
    N’ti tœ œggi ghea unn-a gran disperasion
    ( nei tuo occhi c’e grande tristezza)
    d’esite perso, d’ese arrestou sensa padron
    ( di essere rimasto senza il tuo padrone)

    Poi semmo andæti a casa, ti m’è vossciö seguì
    ( siamo andati a casa e tu mi hai seguito)
    parlãme ti no poeivi, ti t’ê fæto capî
    ( parlare non potevi ma ti sei fatto capire)
    sci, povou cagnetto, te prepariò ün cuccin,
    ( si povero cagnolino, ti preparo una cuccetta)
    e andiémo a passeggià insemme in to’ boschetto.
    e andremo a passeggiare insieme nel boschetto)

    Là, ti porriè sätä, cörrì e baià ogni giornö
    ( la potrai correre, saltare, abbaiare ogni giorno)
    e poi a casa inçemme a casa faiemo ritornö
    ( a casa assieme torneremo)
    mi saiò ô tœ padron, ti a mæ compagnia
    ( sarò il tuo padrone e tu la mia compagnia)
    e o tœ sãtã festoso, o me faiã allegria.
    ( e il tuo saltellare festoso mi farà allegria)

  5. francesca (franci) scrive:

    Un “hurrà” per Pasquino e la sua divertentissima carrellata di dialetti improntati tutti sulla stessa frase. Si vede che sei poliglotta!
    Giuliano, grazie dei mughetti, li ho graditi tantissimo perchè è un delicato fiore che adoro! Come pure amo le Cinque Terre e Portovenere ne è la perla conclusiva perfetta.
    Franco, stavo pensando di invitare “qualcuno” ad abbeverarsi alla Fontanina di Palazzo Ducale di Modena, anzichè alla sorgente del Po, che ne dici? Io sicuramente, passando, lo farò.
    Lorenzo, divertentissimo il tuo “Riso siculo”.
    Ma bravi davvero tutti.

  6. GuglielmoCa scrive:

    Foresto e il leone – Facile a leggere senza traduzione.

    Foresto e ileone

    Foresto era un tranviere un pò curioso, ma un bravo ragazzo.
    Aveva da poco cambiato casa e da Settgnano (Quartiere di Firenze)si era trasferito a Scandicci (Piccolo borgo alla periferia di Firenze). Una mattina era chiamato in servizio presto e mentre si accingeva ad andare in via Rossi, dove sarebbe passato l’autobus delle quattro,quello riservato al personale,incrociò un uomo in uniforme, che gli disse:Stia attento, perchè dal circo è scappato un leone”.
    Foresto per fare lo spavaldo rispose:”Maché è grullo o gli fa freddo.”
    E l’altro per nulla divertito gli rispose prontamente:”Freddo me ne fa abbastanza, gli è tutta la notte che giro in bicicletta. Ma se tu incontri il leone, il grullo tu sei te.”
    E se ne andò.Fatti pochi metri ecco venirgli incontro di corsa un ragazzo che gridava:”Non vada più avanti che sotto quel lampione c’è un leone accovacciato.”
    Foresto persa la spavalderia iniziò a correre ed insieme al ragazzo entrò in un portone aperto. Le persone della casa a sentire quel tramestio si svegliarono e si affacciarono alle scale.Foresto chiese per cortesia di telefonare, perchè nel frattempo l’autobus era passato e lui si era reso conto che non sarebbe stato in grado di prendere servizio.
    Al Deposito delle Cure c’era il capo servizio un controllo.”Pronto,sono Foresto,sono chiamato presto, ma non posso venire perchè per la strada c’è un leone che non mi fa passare.”
    Il controllo conoscendo il soggetto credeva che fosse una balla, ma l’altro insisteva.”Foresto, ma dove sei tornato di casa in Africa?” “No gli rispose lui sono tornato a Scandicci.”
    Dopo poco passò un camincino del circo con il domatore, l’uomo scese, andò vicino al leone e gli disse: “Forza Tobruk, non fare storie e salta sul camioncino.”Il leone abbedì senza fare storie. La strada era libera e Foresto potè prendere l’autobus successivo.
    Dal quel giorno bastava che uno dell’Ataf dicesse “Foresto” e subito tutti, “quello del leon

  7. edis.maria scrive:

    Pasquino, certo che mi puoi chiamare ” amica”! Ti ringrazio della gustosa ricetta , che proverò nei prossimi giorni! Aldo Fabrizi e la Sora Nella indimenticabili personaggi di cinema e di teatro! Anche in una ricetta ha saputo inserire un tocco d’ironia, quando dice : se volete favve .na porzione, dividete pe’ 4 e voglio vede come fate co’ q.b !!! Caro amico ti auguro una buona serata!

  8. franco37 scrive:

    Questo è il Mese della Madonna e vorrei proporvi un piccola mia coposizione in dialetto modenese, è intitolata “La maestà” ,nelle nostre montagne “la Maestà” è uno di quei cippi ad altare normalmente con una Madonnina in ceramica, dove appunto a maggio le contadine andavano per recitare il rosario,forse c’è qualcosa di simile anche in altre regioni.

    La mestà

    Tra òmbri e sas – Tra ombre e sassi
    a gh’è na stradlèina – c’è una stradina
    cl’a porta a qùater cà – che porta a quattro case
    avsèin a na Madùneina. – vicino ad una Madonnina.
    Chè in mùntagna – Qui in montagna
    ì la cìamèn “Maestà” – la chiamano “Maestà”
    l’è comè un altarèin – è come un altarino
    ed piò ed zèint àn fà – di più di cento anni fa
    gh’è sèimper un bel fiùrlein – c’è sempre un bel fiorellino
    ciapèe sò in mèz al bòsch – raccolto in mezzo al bosco
    dèinter ad un bròt vasèin – dentro ad un brutto vasetto
    forse catèe in un fòss. – forse trovato in un fosso.
    Mè che a crèder, savìiv – Io che a credere ,sapete
    a fàg d’la gràn fadìga – faccio della grande fatica
    quand’a pas per dè dlè – quando passo in quel posto
    la testa l’am sè spìga – la testa mi si piega
    a dàg un ùcìadèina – dò una occhiatina
    cùn un poc ed tìmor – con un poco di timore
    a prèg la Madùneina – prego la Madonnina
    e àm se slèrga al còr. – e mi si allarga il cuore.

  9. pasquino scrive:

    Edis.Maria, accolgo con piacere la tua simpatia che ricambio affettuosamente!
    Ti lascio una ricetta, in dialetto, per rimanere in tema. La ricetta è della Sora Lella (sorella di Aldo Fabrizi) che cucinava personalmente nel suo, omonimo, ristorante sull’Isola Tiberina.
    GNOCCHETTI, FUNGHI E PANCETTA
    dosi pe’ quattro perzóne
    1 chilo de gnocchetti
    100 gr de pancetta
    600 gr de pommidòri
    ‘na bella manciata de fónghi porcini secchi
    ‘na cipolletta rossa (mèjo se de Tropea)
    sale e pepe q.b.
    pecorino q.b.
    vino da sfumo q.b.
    Pe’ prima cosa tocca fà arinvenì li fónghi ‘ne l’acqua calla. Poi se tajeno a pezzetti, così puro la cipolla. (si volete favve ‘na porzione dividete le dosi pe’ 4… e vojo vede come fate cor q.b.). Io nun uso òjo perché la pancetta o er guanciale già cacceno er grasso loro, dunque metto ‘nder tegame la pancetta a dadetti e quanno sta pe arosolasse la sfumo cor ‘n po’ de vino. Bell’arosolata la levo e la conservo sur un piattino. Fora de la fiara sverzo ner tegame la cipolla, che principia a rosolasse ne l’unto bollente, e súbbito dòppo li fónghi. Li faccio arosolà e poi li sfumo prima de aggiugne er pommidòro e de salà. Quanno er sughillo è pronto, faccio bollì l’acqua, butto gli gnocchetti e come vengheno a galla li pijo co la schiumarola e li metto nder tegame pe falli sartà e accondise pe’ benino. Spruzzacce er pecorino e bòn appetito.

    Oh,amica mia (mi permetti di chiamarti in questo modo?)se il “NOSTRO AMICO” si dimenticasse del “se stesso” ovvero dell’”ego”, la maschera si dissolverebbe, e si potrebbe essere veramente “veri” e magari si vivrebbe meglio tutti.
    Da parte mia
    mi accontento
    della tua simpatia.
    oh gentile Edis.Maria!

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