Un’estate nel verde leggendo e rilassandosi
Quello del barbiere è un mestiere che tutti conoscono. Ma una volta il barbiere non era semplicemente colui che taglia barbe e capelli! In passato il barbiere era una sorta di medico ed effettuava anche piccoli interventi chirurgici. La sua bottega rappresentava un po’ il pronto soccorso del rione e lui stesso era considerato come una persona dotta e autorevole. Nell’antica Roma la figura del barbiere (il tonsor) inizia a diffondersi nel III secolo a.C., dopo che Marco Ticinio Mena portò dalla sicilia i primi barbieri. Nel 1440 fu fondata a Roma la Confraternita dei Barbieri, dedicata ai Santi Cosma e Damiano (non a caso due santi medici!) e sappiamo che verso il 1780 a Roma erano presenti circa 280 botteghe di barbieri. Coloro che esercitavano la professione però, erano ben di più, operando semplicemente in strada. Erano i cosiddetti “Barbieri de la meluccia”: essi erano soliti mettere una mela in bocca ai loro clienti, in modo tale da tendere le guance per una migliore rasatura. L’ultimo cliente della giornata acquisiva il diritto di mangiare la mela! Che orrore! Molti di questi barbieri a buon mercato praticavano la loro attività in piazza Montanara, dove si riunivano i “burini” arrivati in città a cercare lavoro, ma altri posti piuttosto frequentati erano Campo de’ Fiori, Campo Vaccino, il Portico d’Ottavia e anche via della Consolazione.
Le insegne delle botteghe dei barbieri potevano presentare l’immagine di una gamba o di un braccio dai quali usciva del sangue che veniva raccolto in un catino e recare la scritta “qui si cava sangue”, oppure potevano raffigurare un bastone attraversato da due spirali di colore rosso e blu, che stavano a simboleggiare la circolazione arteriosa e venosa del sangue. Questo secondo tipo di insegna si trova abbastanza frequentemente ancora oggi, ma ormai il significato che le viene attribuito è che in quel salone si parlano l’inglese e il francese (ma non credo proprio che sia sempre vero…!).
Oggi purtroppo la figura del barbiere si fa sempre più rara, mentre botteghe e insegne caratteristiche scompaiono, cancellate dal tempo e dalle moderne abitudini, che permettono a ognuno di radersiin casa propria e in tutta
sicurezza, anche con 4 o 5 lame contemporaneamente. Sicuramente più pratico e comodo, ma quante chiacchiere perse e quanta poesia in meno…!
ti barbieri a buon mercato praticavano la loro attività in piazza Montanara, dove si riunivano i “burini” arrivati in città a cercare lavoro, ma altri posti piuttosto frequentati erano Campo de’ Fiori, Campo Vaccino, il Portico d’Ottavia e anche via della Consolazione.
Le insegne delle botteghe dei barbieri potevano presentare l’immagine di una gamba o di un braccio dai quali usciva del sangue che veniva raccolto in un catino e recare la scritta “qui si cava sangue”, oppure potevano raffigurare un bastone attraversato da due spirali di colore rosso e blu, che stavano a simboleggiare la circolazione arteriosa e venosa del sangue. Questo secondo tipo di insegna si trova abbastanza frequentemente ancora oggi, ma ormai il significato che le viene attribuito è che in quel salone si parlano l’inglese e il francese (ma non credo proprio che sia sempre vero…!).
Oggi purtroppo la figura del barbiere si fa sempre più rara, mentre botteghe e insegne caratteristiche scompaiono, cancellate dal tempo e dalle moderne abitudini, che permettono a ognuno di radersiin casa propria e in tutta sicurezza, anche con 4 o 5 lame contemporaneamente. Sicuramente più pratico e comodo, ma quante chiacchiere
perse e quanta poesia in meno…!
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ROMA NUDA
L’Italia dei campanili
Discussioni recenti sull’italianità mi hanno fatto pensare “all’Italia dei campanili” anche dopo la lettura del libro di Philippe Daverio: “Ho capito finalmente l’Italia “.
Noi siamo soprattutto dei “cittadini” a dispetto di chi ci vuole patrioti a tutti i costi. Siamo parte integrante delle nostre città, paesi, borghi, per tradizioni, usi, dialetti, cibi, vini, ricordi, squadre di calcio, Santi Patroni e campanili con annesse campane.
Io sono modenese e se percorro la mia storia antica, leggendo “la secchia rapita” di Tassoni, mi accorgo che tra noi e i bolognesi non è mai corso buon sangue, nel 1249 nella battaglia della Fossalta ci siamo combattuti e scannati a volontà…
Nel “derby del sole ” tra la Roma e il Napoli, le tifoserie sono sempre a rischio e questi patrioti spesso e volentieri se le danno di santa ragione e ogni tanto ci scappa anche il morto.
I cittadini di Merano e di Bolzano, che parlano quasi tutti più volentieri il tedesco, si sentono più affini ai cittadini di Innsbruck che a quelli di Palermo.
Nella valle D’Aosta molti paesi e borghi parlano il “patois” (dialetto francofono), nel Friuli il “ladino” a Piana degli Albanesi “l’albanese antico” ecc. ecc. Spesso questo legato a piccoli centri che si differenziano in modo deciso gli uni dagli altri.
Io parlo il dialetto modenese, a Sassuolo (8 km da Modena), parlano già un dialetto un po’ diverso. Quando si passa il ponte del fiume Secchia si va in un altro territorio, in quel di Reggio Emilia dove (ach ‘sùn i arzàn dà la testa quedra) (dove ci sono i reggiani dalla testa quadra) .
Guigli tempo fa ha elogiato la sua grande Firenze per arte, monumenti e uomini illustri, dicendo che è la più bella città del mondo e con ragione ha espresso il suo naturale e orgoglioso campanilismo.
Siamo tutti figli delle “cives” dei “comuni” nati in epoca medievale ed unica esperienza del genere nel mondo. Siamo soprattutto Guelfi e Ghibellini, Don Camillo e Peppone, che nell’ambito delle città, dei paesi e dei borghi si sono sempre fronteggiati.
Questa nostra natura circoscritta forse ha sempre considerato il “vicino” un potenziale nemico (i lucchesi dicono: meglio un morto in casa che un pisano alla porta), siamo sempre stati però accoglienti e aperti verso il pellegrino e lo straniero, che venivano accolti e messi a capo tavola.
Ora molto è cambiato soprattutto nelle grandi città come Milano, che si sono spersonalizzate ed internazionalizzate dove l’emblema è Abbatantuono che parla un milanese/siculo/terrone.
Nel suo libro Daverio dice che noi, giovani di una repubblica democratica, ma ricchissimi di piccole e antiche realtà territoriali, dovremmo avere meno problemi nell’affluire in federazioni di stati più ampie dove “le diversità” sono la vera ricchezza.
E ancora una volta Alfred-Sandro ci racconta una sua storia di vita con la consueta grazia ed un pizzico di umore indulgente.
Sebbene non ci sia una morale evidente, ci dà diversi spunti di riflessione e occasioni di ragionamento, per instaurare un dialogo costruttivo. Buona lettura.
La moneta
– Ma s’immagini ! Non mi costa niente, e poi Lei, col bastone, corre il rischio di cadere.
– La ringrazio signora, tra l’altro mica è caduta a me quella moneta, l’ho vista in terra e mi ha chiesto di raccoglierla.
– Hahaha, la moneta Le ha chiesto di raccoglierla?
– Sì, appena mi ha visto arrivare mi ha detto sottovoce: raccoglimi ed io ti porterò fortuna!
-Allora caro signore, se la raccolgo io, la fortuna arriverà a me?
– No! no, perché sono io che l’ho vista e la moneta lo ha detto a me e non a Lei.
– Allora la posso raccogliere, dargliela ma sarò sicura che la fortuna arriverà a Lei?
– Certamente, anche se sarà leggermente minore per il fatto che è stata Lei a raccoglierla. Ma non mi importa più di tanto, la mia fortuna l’ho già: sono ancora vivo!!!
– Ma che dice? Lei è arzillo come un giovanotto!!!
– Eh! cara signora, vede? quando qualcuno ti dice così è perché sei vecchio. A venti anni mica ti dicevano che sei bello arzillo.
– Mannaggia, ha ragione. Ho fatto una brutta gaffe, mi scusi!
– Ma no, si figuri, e poi sa, ci sono abituato. Me lo ripetono da qualche anno.
Sa che faccio? questa moneta da cinquanta centesimi la conservo. La metto nella tasca interna della giacca così sono sicuro di non spenderla e mi ricorderà sempre di Lei.
– Grazie, è un pensiero veramente gentile, La saluto e arrivederci!
– Grazie a Lei, signora e arrivederci.
L’ufficio postale non era lontano ed Alfonso ci si stava recando adagio, senza fretta, col suo bastone, a causa dei dolori alle gambe dovuti all’artrosi, che non lo lasciava neppure la notte. Infatti la sua andatura un po’ claudicante e strascicata lo facevano sembrare più anziano di quello che in effetti non era.
Voleva ritirare un po’ di soldi dal suo conto, sì perché aveva il conto in posta e non in banca.
Sua madre gli aveva detto costantemente che le banche possono fallire, mentre la posta non fallirà mai e lui le aveva dato sempre retta, dato che la riteneva molto saggia. D’altronde aveva saputo allevare quattro figli maschi senza far loro mancare mai niente di essenziale.
Purtroppo il papà era morto giovane e lei aveva dovuto tirarsi su le maniche e darsi da fare da sola.
Sì, aveva parenti che un po’ l’avevano aiutata, ma i tempi erano duri e i suoi due fratelli avevano figli piccoli pure loro.
Alfonso aveva imparato fin da bambino a dare il giusto valore al lavoro e al denaro ecco perché si era chinato malgrado i dolori a raccogliere la moneta a terra.
Voleva ritirare dei soldi alla posta. Non che avesse molto, ma aveva raggiunto una discreta sommetta.
Prima, da giovane, risparmiava per ogni evenienza, per quando sarebbe diventato vecchio, poi da vecchio pensava ai figli ed ora era il momento della nipote che si sposava.
Lei aveva ventisei anni e col fidanzato si conoscevano già da almeno tre, quattro anni ed a quanto pare era arrivato il momento di sposarsi, per cui doveva fare il regalo. Ecco perché andava in posta.
Avrebbe dovuto fare un bel regalo. Lei era la prima di tre nipotini e lui non aveva mai fatto imparzialità tra loro. Perciò stabilita la cifra di cui avrebbe potuto disporre ne prelevò un terzo esatto e quella fu il dono di nozze.
L’accompagnava lui all’altare dovendo sostituire il padre. Lei molto bella, con un abito bianco, sobrio, il velo in testa, era radiosa.
Lui, Alfonso, abito scuro, elegante, serio in volto, ma evidentemente commosso, avanzavano verso l’altare dove attendeva lo sposo, seguito dagli occhi severi della madre.
Una bella signora, elegante, distinta. Era seria, ma le brillavano gli occhi dalla gioia.
Era la stessa luce che Alfonso aveva visto negli occhi di “quella signora” qualche anno prima.
– Aspetta – disse alla nipote prima di mettersi di fianco – tieni questa… ti porterà fortuna come l’ha portata a me in questi anni.
E prendendo le mani dei due ragazzi vi mise una moneta luccicante da cinquanta centesimi raccolta… un giorno per strada.
FANTASMI
Leggendo un articolo sul “gotico letterario”, quel genere di romanzi del 1700/1800 che parlano di fantasmi e creature della notte, mi è venuto voglia di scriverne.
Non solo gli spettri di Edgar Allan Poe, che popolano castelli, antichi monasteri o ruderi medioevali come la rediviva Ligeia o il tragico Ambrosio monaco innamorato, ma anche i nostrani “ò monaciello” a Napoli, “la dama nera” di parco Sempione a Milano, “lo spettro di Agnese Visconti” a Mantova, la “Dama Cinerina” nel castello di Soragna o “la dama Bianca” a villa Foscari a Venezia e tanti… tanti altri.
Ma non ci sono solo i fantasmi letterari o della tradizione, la depressione ad esempio crea spesso situazioni non reali e con la demenza senile si possono avere vere e proprie allucinazioni, cose che si percepiscono ma non esistono.
Freud parla spesso dei fantasmi della mente, più che delle fantasie del nostro cervello, fantasmi che popolano i nostri sogni e sono metafore di sofferenze reali.
Ci sono anche i fantasmi della fanciullezza, quei mostri che vediamo ai piedi del letto, nelle false luci delle porte semiaperte, regni delle nostre piccole paure.
Ma i fantasmi sono anche nella natura: i miraggi, le fate morgane, che ci danno la possibilità di vedere cose che non esistono almeno in quei luoghi e nascono per problemi di caldo e rifrazione.
Anche se alziamo gli occhi al cielo vediamo fantasmi, molte stelle che distano dalla Terra miliardi di anni luce (viaggiando questa, a circa 300 mila Kms), è chiaro che in realtà data la distanza, noi vediamo astri che non esistono più, da noi arriva ora la loro luce di quando erano ancora in vita… vediamo “il loro fantasma”!
In fondo anche io vedo in Eldy dei fantasmi, vedo delle nick (neppure un nome), non conosco l’aspetto fisico, non conosco la voce e lo sguardo, solo parole, forse caratterizzazioni, nulla di più.
Fantasmi virtuali che però oltre il monitor sono persone reali con i loro problemi, le loro pulsioni, i loro sentimenti.
Forse solo con l’empatia, la voglia di collegarsi, anche solo intellettualmente, si può cambiare un fantasma in una persona.
Franco ci manda una delle sue favole morali, che pubblica in: “Giunti scuola (ti racconto una fiaba.it) e ci dà così l’opportunità di riflettere un po’.
Una formica diversa
In un grande formicaio era nata una “formica diversa”, un po’ più grande di una “formica operaia” e un po’ più piccola e minuta di una “formica soldato”.
Quando si metteva in fila con le operaie per andare a cercare cibo non teneva il passo e faceva cadere le altre; come soldato era un disastro per la sua fragilità, tanto che la indussero a lasciare il formicaio.
Si trovò in mezzo al prato e vagabondò finché non trovò una coccinella
“Ciao!”
“Ciao ” rispose la formica.
“Che ci fai tutta sola ?”
” Sono una formica diversa e mi hanno cacciato dal formicaio”
” Potresti venire con me, anche io sono sola” e aprì le elitre per iniziare a volare.
La formica allora gridò ” Ma io non so volare !”
” Mi dispiace tanto ” disse la coccinella e senza voltarsi volò via.
La formica continuò la strada tra lunghi steli d’erba,
finché non incontrò un grillo
“Che cosa fai sperduta nel prato ?”
” Sono una formica diversa e mi hanno mandato via “
” Vuoi venire con me ? ” e accennò ad un salto, la formica tentò anche lei ma incespicò e cadde
“Ma tu non sai saltare …mi dispiace ma devo andare ” e con tre salti scomparve nel verde.
La formica sconsolata si fermò dove erano cresciuti steli d’erba sottilissimi e rigidi e quasi per passare il tempo li toccò e ne scaturì un lieve ma piacevole suono, allora provò e riprovò ancora toccando più steli.
Era bellissimo saper suonare!
Questa musica si sparse nell’aria e dopo poco ritornò il grillo per vedere chi suonava così bene, poi arrivò la coccinella e tanti altri insetti ad ascoltare la formica diversa che componeva stupende armonie.
Da quel giorno tutti andarono ai concerti della “formica musicista”, chi portava un chicco di grano, chi un pezzo di foglia saporita, chi una bacca … era diventata la star del prato.
80 anni fa le leggi razziali
Racconto di un episodio accaduto all’esame di maturità del 1939 nel liceo classico “Marco Polo” a Venezia e che ha coinvolto una maturanda di nome Giuliana Coen, destinata a diventare ben nota con il nome che avrebbe in seguito scelto per firmare le sue creazioni di moda: Roberta di Camerino.
È la stessa stilista a spiegare come andò in un libro di memorie, R come Roberta, pubblicato nel 1981:
«Quella mattina entriamo in classe e assisto alla prima sorpresa. Tutti i banchi sono in fila, come sempre. Ma ce ne sono due in un canto, un po’ scostati. Io faccio per sedermi a caso, quando mi arriva alle spalle un professore e mi dice: “No, laggiù per favore”, e indica uno dei banchi messi da parte. Quasi nessuno si accorge di quel che sta accadendo perché c’è il solito trambusto, gli amici cercano di stare insieme, c’è chi cambia idea all’ultimo momento, chi baratta il suo con un altro posto. Alla fine siamo tutti seduti. C’è un attimo di silenzio, finalmente.
Ed è in quel momento che, da un banco centrale, si alza un ragazzo. Non è bianco, è un mulatto. Alza la mano, per poter parlare. È il figlio di una principessa eritrea e d’un generale italiano. “Volevo sapere perché quei candidati son tenuti da parte”.
Ha una voce sonora, un accento romanesco, ma elegante. Il professore ha un momento d’imbarazzo, ma si riprende. “Sono privatisti”. Il mulatto sorride. “Certo: privatisti. Ma perché sono ebrei, non è vero?”.
Questa volta l’imbarazzo del professore è più evidente. Il giovane eritreo non gli dà nemmeno il tempo di dire una parola. “Se è per una questione di razza, nemmeno io sono ariano, come certo non vi sarà sfuggito, non è vero? Perciò, con il suo permesso…”.
Ma non aspetta il permesso di nessuno. Prende l’ultimo banco della fila, che era vuoto, e lo spinge verso i nostri, di lato.
Allora accade l’imprevedibile, davvero. Tutta la classe si alza, alcuni mi fanno alzare, prendono anche il mio banco. In un niente la classe è tornata normale: tutti i banchi tornano in tre file, noi siamo con gli altri.
Il giovane mulatto, prima di sedersi a sua volta, fa un rigoroso inchino al professore. C’è un attimo di silenzio. L’insegnante è turbato. Si leva gli occhiali, passa una mano sugli occhi. Poi, quasi parlando a se stesso, ma lo sentiamo benissimo dal posto, si lascia scappare un: “Vorrei abbracciarvi tutti quanti”».
Ho trovato il ricordo di questa storia vera sul web e devo ringraziare Giovanni Rossi che lo aveva postato; mi ha particolarmente colpito e penso che sia bene condividerlo, per riflettere a tutto l’orrore che hanno portato le insensate e folli leggi razziali. Meditiamo ancora una volta che non esistono “razze” ma una sola RAZZA UMANA.
Franco Muzzioli ha trovato un modo carino per farci gli auguri di un Buon Anno, soprattutto sereno, con queste piccole considerazioni.
Vi ricordo che gli auguri per un anno buono, luminoso, sorridente, tranquillo e costruttivo non si limitano al 1° Gennaio, ma sono estesi a tutto il mese.
Piccole considerazioni ! Buon Anno! Franco
Le cose attorno
Non so se a voi è capitato di restare per un po’ nei vostri pensieri, soli, in una stanza che sentite vostra, con gli oggetti di sempre, nel silenzio, con la mente che cerca di fare il vuoto e amalgamarsi con le cose che si hanno intorno, per cercare di andare oltre alle vicissitudini quotidiane e afferrare quella staticità che può apparire priva di tempo.
Solo il respiro e il pensiero e ragionare di quando non ci saremo più e queste cose, questi oggetti, questi quadri saranno ancora lì, o saranno in altro luogo ma porteranno ugualmente qualcosa di noi.
Una specie di carica affettiva, di aura che li pervade, soprattutto in questi momenti di introspezione e di empatia.
Sentire di essere vincolati anche al mondo inanimato che ti appartiene.
Il tuo mondo intorno, che normalmente non approfondisci o cogli distrattamente preso dalle abitudini quotidiane, quelle cose, quegli oggetti che in qualche modo hanno scandito la tua vita, ne portano i ricordi, gli affetti, ed un intimo piacere.
Penso che nella consapevolezza di essere tra le cose che amiamo si possa pensare ad un Anno Buono…
Auguro un sereno Capodanno a tutti
Buon 2018
A Natale non importa cosa trovi sotto l’albero, ma chi trovi intorno. (Stephen Littleword)
Buon Natale!
Domani è la Vigilia di Natale e l’anziana signora sta tentando con fatica di aprire un cassonetto dei rifiuti …”Chissà se c’è qualcosa che posso mangiare ?” Disse tra sé.
Appena riuscì ad aprire il coperchio vide un musetto vispo che la guardava ” Che cosa vuoi nella mia dispensa ? ” Disse il topolino con aria severa.
“Scusa, ma oggi non ho mangiato e speravo di trovare qualche cosa…sai …siamo già alla fine del mese e mi è rimasto poco della mia misera pensione”.
L’animaletto uscì guardando con dolcezza la vecchietta . “Qui dentro non c’è nulla che ti possa interessare se non sei un topo, ma dietro a quel muro c’è il magazzino di un pasticcere, a noi topi i dolci non piacciono molto, preferiamo le prelibatezze che ci sono qua dentro “.
“Un pasticcere , che meraviglia, quanto desidererei un panettone , sono anni che non ne mangio “.
Il topo si drizzò sulle zampette e lanciò uno squittio e quasi immediatamente sbucarono nove topini venuti un po’ da tutte le parti.
“Ragazzi dobbiamo andare a prendere un panettone per la signora”
Non passò neppure un secondo e tutti erano spariti dentro ad una finestrella all’altezza della strada e che dava sul magazzino.
Passarono alcuni minuti e i topini ritornarono con un bel panettone incartato con stagnola dorata e un bel fiocco viola e lo porsero all’anziana signora che non credeva ai suoi occhi dallo stupore.
“Ma…ma lo avete rubato …questo costa soldi , capite?”
Il topo disse ” Se è il male di questo noi abbiamo delle monetine che troviamo per terra ” Diede così un ordine e dopo poco tutti apparvero con un soldino in bocca che andarono a depositare dentro la finestrella del pasticcere.
“Tutto è a posto, tu hai il panettone, il pasticcere le monetine, ora lasciaci lavorare prima che arrivino altri topi a ripulire il cassonetto”.
La vecchietta incredula strinse il panettone tra le braccia , ringraziò confusa e si avviò verso casa.
La Vigilia è arrivata , la notte è dolce e poco lontano dal cassonetto nel seminterrato di un vecchio palazzone c’è una finestra con gli scuri aperti e dentro la luce è accesa.
L’anziana signora seduta alla sua povera tavola mangia felice il panettone, sul davanzale vi sono allineati dieci topolini sorridenti che la guardano felici.
Buon Natale !
ll 21 dicembre arriva il momento del solstizio d’inverno. E’ il giorno più corto dell’anno e l’inizio dell’inverno astronomico. La parola “inverno” deriva dal latino hibernum, ovvero “invernale”, che ha origine dalla radice sanscrita himas, ovvero “freddo, neve”.
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Mi sono affezionata all’inverno perchè sento che è vero, non come l’estate che vola via e sembra così divertente e allegra ma non lo è, perchè il sole è sempre di corsa e lascia tutti con l’amaro in bocca. L’inverno non pretende di confortare, ma in fin dei conti sento che è consolante, perchè una si raggomitola su se stessa e si protegge e osserva e riflette, e credo che soltanto in questa stagione si possa pensare per davvero.
(Marcela Serrano)
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Languore d’inverno:
nel mondo di un solo colore
il suono del vento.
(Matsuo Basho)
Una Santa di origini siracusane e una canzone napoletana, sono state esportate in Scandinavia e adottate, per una festa che celebra il solstizio d’inverno.
Santa Lucia è una santa italiana festeggiata più in Svezia che in Italia il 13 dicembre.
La leggenda racconta che Santa Lucia sarebbe nata in una ricca famiglia a Siracusa, si sarebbe convertita al cristianesimo di nascosto e avrebbe portato del cibo ai cristiani perseguitati, passando attraverso un tunnel oscuro. Per illuminarsi, sembra che portasse una corona di candele sulla testa. In seguito Lucia avrebbe rifiutato di sposarsi con un ricco pagano che, per vendicarsi, l’avrebbe denunciata al governatore romano; da qui il martirio nel 304.
Le furono strappati gli occhi, in spregio al suo nome (Lucia Lux Luce), e da questo a divenire la santa protettrice della vista il passo è stato breve.
Nei paesi scandinavi, dove le notti sono tanto lunghe, la santa è stata adottata, proprio il 13 dicembre che, secondo l’antico calendario, corrispondeva al solstizio d’inverno, cioè il giorno più corto dell’anno. Poi le giornate riprendono il loro cammino verso la luce.
<Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia> recita uno dei proverbi della saggezza popolare italiana.
Santa Lucia è avvicinata alle antiche «feste della luce» che da tempi immemorabili le civiltà del Nord celebravano al solstizio d’inverno: quando sembra che il sole voglia lasciare la terra al buio e al gelo.
Lucia è splendente per vincere il buio, vestita di bianco e con una corona di sette candeline accese in testa.
In Scandinavia, tutti gli anni è rappresentata così ed è un giorno di grande festa.
Vengono preparati dolci speciali allo zenzero e alla cannella, le ragazze della casa portano la colazione a letto ai genitori, si fanno cortei di ragazze e ragazzi, vestiti di bianco e recanti doni, in tutte le città, viene cantata la tradizionale canzone Santa Lucia”, ma soprattutto viene scelta la “Lucia”, la ragazza che verrà incoronata come tale a Stoccolma, addirittura dal premio Nobel per la letteratura.
Durante la notte, il cuore diventa pesante
In campagna e in città,
Appena il sole se ne va,
Le ombre si allungano.
Allora nella nostra notte più scura
Viene la sua luce più brillante
Santa Lucia Santa Lucia
Vestita di bianco
La luce nei capelli
Santa Lucia Santa Lucia
E’ la terra che nutre l’uomo, non l’industria. Nemmeno la scuola fu attenta a questo problema. Anzi, lo ignorò completamente. Continuò a insegnare tecnologie di ogni tipo, l’uso di computer e altri marchingegni. Insegnò a fare ponti, strade, palazzi, città, automobili e via di questo passo. Insegnò tutte le lingue del pianeta tranne quella della terra, che da tempo mandava avvertimenti. Erano grida d’allarme. La terra domandava attenzione, avvertiva l’uomo che stava camminando su un sentiero sbagliato. E pericoloso. Ma quello non ascoltava, continuava a produrre cianfrusaglie, molte del tutto superflue. Continuava ad avanzare verso il baratro, finché lo raggiunse.
Mauro Corona- La fine del mondo storto
Imm dal web
Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente, dicono sempre “Andiamo”, e non sanno perché. I loro desideri hanno le forme delle nuvole.
(Charles Baudelaire-Parigi, 1821 – 1867 poeta, scrittore, critico letterario, critico d’arte francese )
La lettura è il viaggio di chi non può prendere il treno
(Francis de Croisset 1877 – 1937 drammaturgo, librettista e scrittore francese)