scritto da paolacon il 19 03 2010

Un momento di sconforto, di solitudine, di conspevolezza di sé. Un passato lontano che riaffiora con prepotenza… ricordi… ricordi , ma fortunatamente, sono solo ricordi…


È notte… ancora una volta finalmente e purtroppo.
Aspetto questo momento con ansia e disperazione. Mi sembra quasi che col giungere della sera il mondo voglia riconciliarsi con se stesso, ed anche la violenza, l’ipocrisia, i compromessi e la noia di oggi, uguale a ieri e domani, sembrano assopiti nel buio.
Il silenzio è quasi perfetto e la mia solitudine è completa e profonda.
Sola… è l’unica realtà e mi coglie di sorpresa, quasi balzando fuori all’improvviso, quasi stesse in agguato dietro i rumori del mondo finalmente quietato.
Prendo la chitarra e mi aggrappo a lei, disperatamente, chiedendole la forza che mi manca.
E nella mia voce c’è tutta la tristezza esasperata di questa solitudine che pesa più del silenzio, più di ogni peccato.
Vorrei gridare alla notte che avanza il vuoto che sento e la rabbia e l’impotenza… e ritrovare in una canzone urlata a squarciagola tutta la forza che pare sia sfuggita silenziosamente. Io sono sola, nell’immobile profondità della notte ricca di pensieri, assediata di perché… incapace di pensare, rifiutandomi di pensare a cosa sono.
“Perché così io? Perché non con altri? Perché senza tempo? E quale dimensione ha il tempo se non mi lascia lo spazio di trovare una ragione alla mia solitudine?
Che senso ha la vita? Che senso ha l’amore se il mondo con la sua crudeltà e il suo cinismo ci impedisce di amare? Perché mai continuare questa finzione e non trovare il coraggio di rinnegare tutto sapendo che tutto è ipocrisia, falsità, pura illusione?
Eppure, in momenti come questi, quando non riesco a cogliere il senso della vita, quando mi sembra di perdermi impazzendo nell’infinito dei miei occhi chiusi, quando fissando il vuoto di questa notte, vorrei non esistere, io vivo…
E la mia solitudine diventa un dono…

Lavinia.pc      17 marzo 2010

scritto da paolacon il 19 03 2010

Si susseguono, da parte dei politici, gli appelli al Presidente della Repubblica perché intervenga per risolvere questioni che il più delle volte non gli competono, gli appelli sono sempre accompagnati da belle parole come: Lei massima autorità della Repubblica, intervenga con l’autorità morale che deriva dal Suo alto incarico e così via.
Quando poi il Presidente della Repubblica, promulga una legge o nel caso contrario la rinvia alle camere ecco che i toni cambiano e non è più ne una massima autorità, ne un’autorità morale ecc.ecc.
Questo naturalmente avviene ora da una parte poi dall’altra insomma sempre da quei signori che siedono in parlamento e dovrebbero legiferare per il bene del “Popolo Sovrano” (così siamo definiti in occasione delle elezioni) poi la parola sovrano viene ahimè dimenticata!
Perché questo susseguirsi di appelli al Presidente della Repubblica?
Perché il parlamento è spogliato dalla sua funzione legislativa, cioè il compito di formulare e approvare le leggi, non c’è più il dibattito in aula e si ricorre con sempre maggiore frequenza alla richiesta di fiducia per il governo e quelle poche volte che c’è stato dibattito in aula ci sono state scene pietose e non degne di un paese civile! (non faccio distinzioni tra →☺,↑☺,←☺).*
Spero che quando tutto questo accada i nostri Padri Fondatori della Repubblica siano sintonizzati su un altro “REALITY”.
POVERA….POLITICA ………. POLITICA……….POVERA……….POVERA………. POLITICA
Dato che siamo su Riflessioni e che la maggior parte di noi è pensionato/a  mi chiedo perché non fare un appello al Presidente della Repubblica per un suo intervento sul fronte delle pensioni e determinarne un incremento senza pesare sul (S) bilancio dello stato; andando a fare alcune operazioni su i nostri parlamentari abolizione dei doppi, tripli incarichi retribuiti, un taglio alle loro pensioni che vanno da un minimo di 3 mila fino a 10 mila euro lordi il mese e ad avere tutta una serie di privilegi che riguardano la possibilità di riscuotere il vitalizio (così si chiama la pensione dei parlamentari) dopo appena 5 anni di mandato, a 50 anni di età, godendo peraltro della cumulabilità con qualsiasi altro reddito o pensione.
Non vado oltre perché sono sicuro che ognuno di voi sappia indicare altri tagli.
Sarebbe troppo semplice vero?
Allora accontentiamoci e speriamo che aumenti almeno la salute e la auguro a tutti voi e ai vostri cari.

* preferisco questi simboli a DX, Centro e SX mi sembrano troppo segni stradali!!

Giuliano4.rm    17 marzo 2010

scritto da paolacon il 18 03 2010

Da una riflessione di Giulio e da un articolo di Claudio Magris è nata questa “ricerca” in 3 tappe sul pane.
Quanto pane si butta con assoluta indifferenza?
Lo facciamo senza pensarci ed ho un ricordo nitido della mia infanzia quando nostra nonna ci raccomandava di non buttare mai il pane, mai, mai; ma, se per una causa di forza maggiore si era costretti a gettarlo nella spazzatura, lo si baciava prima di farlo. Gesto che poi mi è rimasto e faccio ancora.
Ora purtroppo si sente di sprechi enormi, mentre sarebbe così facile col pane avanzato farci dei dolci, i crostini della mattina, metterlo nel minestrone o metterci sopra un trito di pomodoro, olio, basilico e sale, per una merenda modestissima, ma sana e che sa tanto di infanzia.
Giulio giustamente cita l’undicesimo comandamento: “ il pane non si butta” dopo tanti sacrifici fatti per guadagnarselo!
Giulio ci racconta del “suo pane toscano” di Basati.
Claudio Magris fa una riflessione su quanto pane viene sperperato.
Ed io, Paolacon,  inforno il pane condendolo con un po’ di storia e un po’ di arte.


Nel mio piccolo paese, Basati, frazione del Comune di Seravezza, provincia di Lucca, gli abitanti hanno sempre avuto verso il pane, un rispettoso comportamento. Il pane non si butta via, è peccato. Non si rovescia il pane sulla tavola e non si pianta il coltello nel pane. Il pane deve stare nel verso giusto con la pancia rigonfia verso il cielo. Vi era, e vi è ancora, un certo timor di Dio, dettato dalla religione, perché il pane, è il corpo del Signore. Anch’io, che sono certamente ateo, questi insegnamenti li ho trasmessi alle mie figliole.
La letteratura ha scritto pagine e lasciato un solco profondo di pensieri rivolti al pane. La nonna incaricava sempre me di accendere il fuoco, prendevo qualche fascina ben secca, delle stiampette secche fino a portare il forno alla giusta temperatura  e quando era il giusto momento, la donna più anziana  posava sui mattoni incaldanati quelle pance rigonfie di tenero impasto con inciso il segno del credente. Chiudeva il forno e si aspettava come una cerimonia la lenta cottura.
Poche cose per un alimento tanto importante: farina di grano, acqua e lievito.
E quanti fatti, personaggi, detti, riempiono il dire giornaliero: buono come il pane, lavorare per un pezzo di pane, non è pane per i tuoi denti, pane amaro, rendere pan per focaccia, le liti sono pane per gli avvocati, dire pane al pane e vino al vino, perdere il pane, il pane quotidiano, mangiare pane a ufo, e si potrebbe continuare scavando nelle tradizioni di ogni regione.
Oggi, questo bene così prezioso, molti lo prendono a calci, e molti, troppi operai hanno perso il pane quotidiano.

Prima di iniziare questo lungo percorso denso di infinita storia, voglio riportare un frammento di vita paesana, e proprio del mio paese: Basati-Alta Versilia, tratto dal libro di un autore che ben conosco, del Comune di Seravezza Lucca.
“ Frugando nei ricordi dell’infanzia, rivedo i forni fumanti del mio paese. Il sabato era un giorno di festa, il borgo si risvegliava e le viette strette brulicavano di bimbi, mamme e nonne. Qualche vecchio, seduto sun ciocco di castagno, cianciucava morsi di sigaro toscano, sputacchiando in lontananza con un sibilo.
Erano tanti i forni e le donne si riunivano a gruppi, chi al forno di Giovà, chi dalla Leò, chi dalla Baffina…  ognuna aveva scelto, ormai da  anni, il proprio. Il paese era avvolto di volute di fumo, sembrava che quella nube bluastra che avvolgeva i tetti delle case, unisse la gente in un’intimità paesana. Quelle bocche incaldanate dei forni che divoravano cumoli di fascine scoppiettanti, per noi ragazzi parevano gole infernali, e si dava una mano avvicinando la legna all’imboccatura. Se quello doveva essere l’inferno con le fiamme come diceva il prete al catechismo, per noi era una gioia immensa.”  (…)  “Un profumo di pane ti entrava nel naso e nel cuore, e le donne ci davano qualche colombino, un panino fino e lungo, croccante, che divoravamo in un attimo”.
Il pane in Alta-Versilia, aveva un’unica forma  circolare con il segno della croce al centro. Alcune cotture, venivano fatte aggiungendo all’impasto le patate, così rimaneva morbido per una settimana, ed era quel pane che i cavatori si portavano, su alle cave del Fondone.
Partivano il lunedì mattina all’alba e ritornavano il sabato. Dormivano in alloggi costruiti dalla ditta Henraux.

Il poeta cavatore Lorenzo Tarabella scriveva:
“Rubini nella notte gelida le stelle, cielo spaziato, un senso, l’infinito (…) e vanno le ombre per l’impervio monte stagliate contro il vuoto dell’abisso, sino a toccar le stelle. (…)
E silenziosi vanno  i cavatori, stanchi dal sonno, privi di sogni e di gioie.(…) Un vecchio, avanti, li guida premuroso battendo i passi lenti col bastone…”

Giulio.lu   15 marzo 2010

scritto da paolacon il 18 03 2010

Piccola storia del pane

varietà di forme

Pompei pane

Con l’esame dei monumenti e dei ritrovamenti archeologici in Grecia, in Egitto ed in particolare a Pompei, si nota come l’essere umano si è sempre nutrito primariamente di pane. Nella Grecia antica il pane aveva varie forme: la galletta di farina d’orzo o le pagnotte tonde di grano tenero ed era l’alimento comune; presso i Romani, in età imperiale, il pane veniva cotto e venduto in locali pubblici: sono le prime panetterie.
Una  volta caduto l’impero si tornò alla produzione e cottura nelle case e solo quando nelle città tornò a svilupparsi l’attività economica, riapparvero i fornai come artigiani indipendenti.
Il lavoro del fornaio è sempre stato massacrante sia per gli orari notturni, sia per lo sforzo fisico. E il pane è sempre stato l’elemento principale dell’alimentazione, per secoli. Ma ora molte cose sono cambiate, si è più ricchi, si pensa alle diete e alle sfiziosità.

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Anche se il pane è tuttora presente sulle nostre tavole, il suo consumo è andato calando; per questo sempre più hanno preso piede forme e tipi di pane “nuovi”, per stimolare la nostra fantasia: il pane al mais, il pane tartaruga, il pane alle olive, il pane all’orzo, o all’Avena ricco di magnesio , fosforo e vitamina B; il pane al sesamo-lino-cotone, il pane alla soia indicato per la macrobiotica, il pane allo yogurt con semi di girasole e farina di zucca.
Nelle grandi città e nei piccoli centri fioriscono le boutiques del pane. Sono negozi specializzati dove si compera un pane fatto secondo le buone regole artigiane e le “novità”, ma altro non sono che pani tradizionali “riesumati” con amore.
E michetta o rosetta in Lombardia, biova in Piemonte, pane di segale al cumino dell’Alto Adige, ciriola e ciriolina e frusta romana, coppia ferrarese, casarau o carta da musica di antichissima tradizione sarda, ciabatta e pane casareccio. Quanta scelta!
Si capovolge l’immagine del pane: da elemento principale e primordiale ad elemento stimolante e folkloristico della tavola. Povero pane relegato solo a un ruolo di “in più” sulla nostra mensa. Eppure è sempre presente l’immagine del pane in arti figurative, in letteratura e nei detti saggi o nei proverbi. È infatti sempre sulla nostra bocca…
Per dire che lavoriamo duramente si dice che guadagnamo il pane col sudore della fronte, e si spera vivamente che nessuno ci venga a “levare il pane di bocca”, o che non si abbia a che fare con gente che “mangia il pane a ufo”.  Comprare o vendere una cosa pagandola pochissimo è: “dar via per un boccone di pane” e se si deve dire che una persona è molto buona e generosa si dice che è “buona come il pane” o che è “un “pezzo di pane”. E non finisce qui la saggezza popolare; per chi avesse voglia di approfondire:  
http://it.wikipedia.org/wiki/Pane

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Il pane e l’arte.

L’arte è il sinonimo del pane quotidiano?
Osservando da vicino, si constata che in letteratura, in pittura, in scultura il tema del pane è quasi altrettanto presente che quello dell’amore ed è rimasto una sorgente d’ispirazione per tantissimi artisti.
Fin dall’antichità il pane è rappresentato nei bassorilievi e negli affreschi e sulle colonne dei templi o nelle tombe. Egiziani, greci, romani, lo conoscevano, l’apprezzavano e lo rappresentavano.
Più tardi, dal Rinascimento ai nostri giorni è sempre stato presente, nelle nature morte o nelle scene di vita quotidiana. Nel Rinascimento “la moltiplicazione dei pani” o “l’ultima cena”, da Leonardo, Tiziano, Raffaello o i pittori fiamminghi e olandesi, per non dimenticare lo spagnolo Murillo, sono temi trattati a fondo, dove i motivi religiosi si mischiano a scene quotidiane, e vi compare sempre il pane.
Nel milleseicento il pane appare soprattutto nelle nature morte dove non è più un elemento di composizione, ma oggetto artistico.
Con l’arte moderna diventa addirittura oggetto puro nelle composizioni sul pane di Picasso o di René Magritte e di  Salvador Dalì.

(cliccare sull’immagine per ingrandirla)



Paolacon 15 marzo 2010

Il pane perso nell’età dello spreco
Un articolo di Claudio Magris apparso sul Corriere della Sera del 06 gennaio 2010

[…] Centottanta quintali di pane buttati via ogni giorno a Milano, novecentocinquantanovemila tonnellate di pane consumate in Italia lo scorso anno… In questi giorni, leggendo il giornale, ci mettevamo a fare calcoli per tradurre quei numeri in oggetti concretamente afferrabili con la mente, per sapere quanti panini o mezzi panini avrebbe potuto mangiare di più ogni milanese se tutti fossero andati a frugare nelle spazzature, quanti affamati— per i quali pure una pagnotta è un miraggio— avrebbero potuto saziarsi con quei pletorici avanzi. […]
Lafitte, il banchiere di Luigi Filippo re di Francia, diceva che la finanza ha spesso la meningite ed era uno che s’intendeva di numeri e del loro rapporto, così spesso bislacco, con le cose.
La cifra del nostro stipendio la sentiamo concretamente corrispondere alle cose in cui può convertirsi e si converte— un pranzo, un cappotto o l’affitto— finché non comincia a slittare così pericolosamente rispetto al costo della vita da diventare fluttuante e irreale, perché non sappiamo più a cosa corrisponde in realtà, a quanti caffè al bar o a quante stanze di un appartamento in affitto. Nei mesi scorsi, le discussioni sulla crisi— sulle sue dimensioni e le sue prospettive, insomma la sua realtà— sembravano bolle d’aria o di sapone, simili a quelle bolle (misteriose per i profani) di cui parlavano, e scoppiavano di continuo nel nulla; troppi esperti di banca, di finanza e di economia apparivano guru sfiatati e acchiappa nuvole.

Quello spreco di pane appartiene alla follia generalizzata in cui e di cui viviamo e che non risparmia certo il commentatore di quello sciupìo più di chi lo mette in atto. Esso desta giustamente scandalo, perché è un’offesa oggettiva a chi non ha pane. La mia generazione lo sente più fortemente di quanto lo sentano quelle più giovani, perché, pur non avendo mai patito la fame, sono cresciuto in un’epoca in cui si mangiava tutto quello che c’era nel piatto, senza buttare via niente, e anche adesso, pur cercando anche a tavola i piaceri — com’è giusto, perché non siamo al mondo per fare fioretti— non mi viene in mente di lasciare avanzi nel piatto, anche quando il cibo non mi dà grande soddisfazione. Anni fa uno dei miei figli, conoscendo questa mia abitudine e vedendo un giorno che non gustavo quello che mangiavo, si mise a riempirmi ogni tanto di nuovo il piatto, quando ero distratto da altre cose e non me ne accorgevo, sicuro che avrei continuato imperterrito a vuotarlo.
È lo stile formatosi in un’epoca della penuria, che non dobbiamo certo rimpiangere. Pure lo spreco, peraltro, non contrassegna solo le società opulente, ma anche, sia pure solo in occasioni speciali, quelle povere: in una pagina memorabile Canetti ha descritto l’enorme spreco praticato da alcune popolazioni indigene non certo ricche per dimostrare, in alcuni riti, potere e magnificenza, la regalità di distruggere pure ciò che è necessario a vivere, di gettare in un certo qual modo pure se stessi nel fuoco. La miseria è quasi cessata per noi, ma non per il mondo — in cui anzi aumenta — e dal mondo s’infiltra nelle nostre città, nell’esistenza di tanti nostri concittadini, venuti da lontano o nati vicino a noi, che non hanno dove posare la notte il capo, come dice la Scrittura del Figlio dell’Uomo, e dove trovare il pane.
Quei 180 quintali buttati via sono uno scandalo, ma di chi è la colpa? È facile ed è doveroso pensare agli affamati, ma è anche retorico, se non si riesce a suggerire tecnicamente, in modo concreto, come distribuire quel pane a chi ne ha bisogno. Non è certo semplice, come hanno sottolineato sul Corriere alcuni rappresentanti delle meritorie associazioni di volontariato.
Il problema si fa ancor più tragicamente difficile se dallo scialo milanese o italiano si passa a quello del cosiddetto primo mondo in generale, rispetto alle centinaia di milioni di persone che, nelle più diverse parti della terra, muoiono di fame e di sete e che sarebbe difficile sfamare e dissetare anche se buttassimo meno pagnotte nel cestino e lasciassimo scorrere meno l’acqua nel bagno.
I 180 quintali di pane sprecati ogni giorno a Milano sono il piccolo tassello di un immane, tragico problema che investe il mondo; tragico perché— a parte le infami e deliberate ingiustizie, che è necessario eliminare— è oggettivamente di difficilissima soluzione.
Distribuire, ai milioni e milioni che non li hanno, il pane e l’acqua che ci avanzano è più arduo che viaggiare nello spazio o realizzare mutazioni genetiche; siamo capaci di trasformare radicalmente l’uomo, che presto sarà qualcosa d’altro rispetto all’umanità che conosciamo, ma non siamo capaci di dargli da mangiare e da bere. A tutto ciò si aggiunge l’iniquo sfruttamento di ogni genere perpetrato da parte di tante potenze e forze economiche ai danni del pianeta e di innumerevoli suoi abitanti. I volontari— specialmente, ma non soltanto religiosi— che nei più aspri luoghi della terra aiutano contro ogni speranza i loro sempre più numerosi fratelli in condizioni abominevoli, salvano l’onore dell’umanità, come soldati che non si arrendono, ma tutta l’umanità è seduta ai bordi di un vulcano non certo spento. Quei panini gettati via sono anche dei lapilli che attestano il ribollire della lava.
Claudio Magris

scritto da paolacon il 11 03 2010

Raffaello Sanzio   Urbino, 1483  –  Roma, 1520


autoritratto


Raffaello non fu indagatore come Leonardo, né filosofo e profondo come Michelangelo, che furono suoi grandi maestri, ma, nato col gusto della bellezza e della grazia, con la mente aperta, lo spirito sereno, pronto e assimilatore, costituisce una delle espressioni più alte dell’Umanesimo.
Il numero e l’importanza  delle sue opere sono di per sé cosa meravigliosa, se si pensa alla brevità della sua vita.

Figlio del pittore Giovanni Santi, ed educato all’arte dal padre, Raffaello è considerato, grazie al suo talento precocissimo, “l’enfant prodige” della pittura: infatti già all’età di 16 anni è un maestro autonomo.
La sua vita può essere divisa in tre periodi legati anche a tre luoghi:

La giovinezza e la formazione
inizialmente a Urbino e poi, rimasto orfano giovanissimo,  a Perugia, nella bottega di Pietro Vannucci detto il Perugino che era il pittore più celebre dell’epoca. È di questo tempo (1504) il suo primo vero capolavoro: “il matrimonio della vergine” dove si vede l’influenza del Perugino, come se i due grandi pittori si fossero messi a confronto, visto che trattano lo stesso soggetto.


Perugino matrimonio vergine



Raffaello Sposalizio della Vergine


Periodo Fiorentino
A 21 anni lascia Perugia per Firenze.
A Firenze Raffaello incontra Leonardo da Vinci (1452-1519) e Michelangelo (1475-1564) e questi due maestri completeranno la sua formazione, pur influenzandolo in parte.
Sono di questo periodo la “dama con il liocorno” e la “bella giardiniera” (1507) e una quantità notevole di madonne.
Dopo quattro anni a Firenze, la lascia per Roma dove è chiamato dal papa GiulioII, su indicazione del Bramante. È l’anno 1508. Comincia il periodo romano per Raffaello che ha 25 anni.
Nel 1507, a conclusione dell’esperienza toscana, Raffaello produce la pala del “Trasporto di Cristo al sepolcro” dove sono mirabilmente sottolineati lo scempio dell’innocente e lo strazio della madre. La composizione è impostata proprio su questi due nuclei e, in particolare nel corpo di Cristo, si sente l’influenza di Michelangelo. Le espressioni tese, i gesti eloquenti, le citazioni classiche, stanno a dimostrare la raggiunta maturità di Raffaello e fu proprio questo dipinto che gli aprì le porte di Roma.

la deposizione

Roma
In Vaticano è incaricato di decorare le sale del palazzo di Giulio II. In questo periodo Raffaello incontra il grande amore della sua vita: la Fornarina, donna di straordinaria bellezza.

la velata ovvero la fornarina

la fornarina

Nel 1513 muore il papa. Il successore, Leone X, un Medici, accresce le responsabilità di Raffaello affidandogli opere anche molto importanti come: il cantiere della basilica di San Pietro, dopo la morte del Bramante, e gli scavi archeologici a Roma. È molto attivo in questo periodo, lo mina la malaria e le crisi di febbre. La sua salute è molto fragile.
Raffaello muore a Roma nel 1520 all’età di 37 anni soltanto, dopo aver eseguito innumerevoli capolavori nella sua pur breve vita. Raffaello è sepolto al Pantheon di Roma.

per approfondire        http://it.wikipedia.org/wiki/Raffaello_Sanzio

paolacon   11/03/ 2010


scritto da paolacon il 11 03 2010

L’incendio di Borgo eseguito nel 1514
Affresco, di 6 mt e 70 di base che si trova nelle stanze Vaticane, nella “stanza dell’incendio”

La scena dell’incendio di Borgo, che divampò nell’anno 847 nel quartiere davanti alla basilica di S. Pietro, raffigura l’intervento prodigioso di Leone IV. Si dice che Leone IV (pontefice dall’847 all’855), riuscì ad estinguere miracolosamente il fuoco, salvando così la chiesa e il popolo, impartendo la benedizione solenne dalla Loggia delle Benedizioni.
L’incendio è rappresentato, ma il tema principale, cioè il miracolo con il quale il Papa ferma l’incendio di Borgo nel Medioevo, passa completamente in secondo piano nell’affresco. Il Papa è piccolissimo sul fondo della scena, mentre tutto l’affresco è occupato dall’agitazione della gente e dal dramma delle persone che cercano di spegnere l’incendio.
A sinistra della pittura, c’è un personaggio nudo che porta un vecchio sulle spalle e un bambino per mano. Questi è Enea che lascia Troia in fiamme con Anchise e Ascanio.
Proprio con l’incendio di Borgo si compie in Raffaello una trasformazione radicale, che apre un  nuovo corso nella storia della pittura. L’interesse del pittore si rivolge all’espressività dei singoli soggetti raffigurati e si concentra sulle azioni dei personaggi che diventano vivi e molto più importanti anche del soggetto (Leone IV) che deve essere onorato. Questi infatti impartisce la benedizione, ma è insignificante sul fondo, quasi non lo si nota e le figure, inquadrate in un fondale architettonico, emergono come protagoniste.


paolacon    11marzo 2010

scritto da paolacon il 8 03 2010

In occasione dell’8 marzo voglio ricordare una donna straordinaria, uccisa per le sue idee, proprio l’8 marzo di molti secoli fa: nel 415 dopo Cristo.
Nella galleria di donne famose del passato, delle quali si è già trattato (vedi articoli di Giovanna) occupa un posto importante una scienziata, la prima scienziata della storia dell’umanità e una delle prime martiri pagane che, non essendosi voluta piegare al cristianesimo, è stata trucidata barbaramente, ad opera dei fanatici cristiani.

IPAZIA, la donna che amò la scienza

Ipazia o Hypatia
Nata ad Alessandria d’Egitto nel 370 dopo Cristo all’epoca delle lotte di potere tra i romani e gli attivisti cristiani, Ipazia fu celebre tanto per la sua intelligenza quanto per la sua bellezza.
È ritenuta la più famosa tra le scienziate dell’antichità, addirittura la prima donna scienziata. Fu la prima a portare un contributo notevole allo sviluppo della matematica.

Suo padre Teone d’Alessandria la educò ad Atene per farla divenire un “perfetto essere umano” visto che le donne in quell’epoca non erano considerate esseri umani al pari degli uomini.
Poi, una volta tornata ad Alessandria, Ipazia aprì una scuola di filosofia e matematica, dove commentava tanto Platone e Aristotele, che le opere dei grandi matematici.
Hypatia si interessò anche di meccanica e tecnologia, disegnò strumenti scientifici tra cui un astrolabio piatto, uno strumento per misurare il livello dell’acqua, un apparato per la distillazione ed un idrometro di ottone per determinare la gravità (densità) di un liquido.

astrolabio

Ipazia divenne il simbolo della scienza per i pagani e fu il bersaglio della lotta tra cristiani e non cristiani. La sua scuola divenne un importante centro di cultura ed essendo pagana fu considerata eretica dai cristiani, come tutta la sua scienza.
Proprio in quel periodo l’impero romano si stava convertendo al cristianesimo e quando nel 412 ad Alessandria divenne patriarca il vescovo Cirillo, fu ordinata una persecuzione contro i neoplatonici e gli ebrei. Ipazia, pagana, seguace di un neoplatonismo più tollerante su base matematica, si rifiutò di convertirsi al cristianesimo e non volle abbandonare le sue idee.
Lei era la paladina della libertà di pensiero.
Ma Cirillo, a tre anni dal suo insediamento, un giorno capì che Ipazia era il vero ostacolo alla sua ambizione. Nel marzo del 415 fu assassinata in modo brutale da un gruppo di monaci eremiti e di fanatici provenienti dalla Tebaide. Venne scarnificata con conchiglie affilate e letteralmente fatta a pezzi, poi bruciata perché non restasse traccia di lei.
Rea perché pagana!
Rea perché sapiente!
Rea perché donna!
Per i cristiani fanatici Ipazia di Alessandria era colpevole tre volte: la prima scienziata della storia di cui sia stato conosciuto e documentato il contributo all’evoluzione del sapere, fu trucidata con ferocia disumana del Patriarca della città; il suo assassinio non vide mai giustizia.

Si dice che fosse l’8 marzo 415.

Questa fine così cruenta e drammatica fece di Ipazia, a partire dal Rinascimento, una martire laica del pensiero scientifico. La sua morte fu definita una «macchia indelebile». Ipazia fu celebrata in romanzi, poesie, opere teatrali, quadri e, nel 2009, dal film Agora del regista spagnolo Alejandro Amenábar (non ancora in distribuzione nelle sale italiane).

Anche Raffaello probabilmente doveva conoscere molto bene la storia di Ipazia e per questo nutriva profonda ammirazione per lei. Nell’affresco “la scuola di Atene” in Vaticano lei è l’unica donna rappresentata: è sulla sinistra, con una tunica bianca ed è l’unico personaggio dell’affresco che guarda verso gli spettatori.
Nel quadro secondo me Raffaello l’ha voluta mettere in risalto appunto perché è stata una delle poche donne che ha saputo affermare il proprio “io” in mezzo ad un universo ancora solo maschile. Io credo che per questo Raffaello ha voluto creare una sorta di comunicazione attraverso lo sguardo tra lo spettatore e la donna..
Vestendola di bianco poi, simbolo di purezza e verginità il pittore ha voluto rendere omaggio alla grande filosofa; ma anche fare un “affronto” ai prelati romani, gli stessi che mille anni prima condannarono a morte l’eccezionale donna.

“Salvaguardate il vostro diritto di pensare, perché anche pensare male è meglio di non pensare affatto” Ipazia

Paolacon   08/03/ 2010

Intelligenza Sessualmente Trasmissibile
Scandalo: “parola, atto, comportamento contrario alla sensibilità morale e al costume  corrente, tale  da provocare  turbamento e disapprovazione  in chi  si  trovi  ad  esserne  uditore  o spettatore”
Questa la definizione.
La gente ha fame mediatica  di scandali, le permettono di indignarsi, di prendersela con qualcuno, di fare  la morale. Li vuole per potersi distrarre dalle cose serie, per ribadire  quali sono  le regole  di buona condotta  e per  continuare ad affermare  che tutto  fa schifo.
Se  poi  a dare adito a questo “inconsapevole” desiderio sono i  politici  tutto  si fa  ancora  più  entusiasmante. E loro, come  non fanno  per altre  questioni , accontentano  il popolo  appieno.
Questi  ultimi   decenni, da quando  insomma  la classe  politica  si è spogliata del suo  vero  Maya , da quando  si è  fatta uomo  togliendosi quell’aurea  intaccabile  di   perfezione, sono stati caratterizzati  dalle tentazioni  nelle quali si sono  fatti  indurre  i nostri  benemeriti rappresentanti. Non  che prima  non lo   facessero, ma  diciamo  che erano  più  bravi  a seguire   la  regola  del  “non farsi beccare”.
Dopo  Tangentopoli  tutto  è cambiato: trasparenza, questo  il motto.
E tutto  è  emerso  come  da una montagna  di rifiuti  coperta  da  erba verde.
Gli  scandali hanno segnato  le fasi  politiche: dai   soldi  alla  implicazione con la  mafia, dalle “agevolazioni “ che  li hanno  etichettati  come  la   Casta,  agli  ultimi e peccaminosi  risvolti degli  scandali sessuali.
Ma  quelli  di oggi  sono molto più  conditi, no si tratta  più di  semplici tradimenti  con segretarie o  stagiste (Clinton docet): quelli sono già perfettamente introiettati  nelle persone  e  generano   più  che altro un  ghigno solidale, quasi  di  compiacimento . Ora  viaggiamo  sull’onda di Escort e  Trans-it, come rilancia  la simpatia battuta che  sta  girando in questi giorni  sul  Web  e che omaggia la Ford per  aver  scelto   due  nomi  cosi  azzeccati  che  hanno  anticipato  i tempi.
Berlusconi , Marrazzo, ma  ancor  prima  Cosimo Mele, ecc.
Lo scandalo non sta  ormai  più  nel gesto  in sé , ma  nel  “con chi”. E qui c’è  il risvolto positivo: forse  i nostri eroi sono  inconsapevolmente promotori  della nuova  rivoluzione sessuale, infatti  se  nel nostro  paese   due ragazze  o due ragazzi  potessero andare  per strada  mano  nella
mano  senza  suscitare  sguardi  pruriginosi , questi  casi   non    avrebbero destato  il minimo   interesse. Se un politico teme che le sue  “scappatelle” vengono scoperte  dai  media , è perché il  senso di colpa  è  più   pesante di qualsiasi  altra arma  politica.
Personalmente, ritengo che ognuno, nella sua sfera, possa davvero fare  ciò che  vuole, se almeno  avesse  la  decenza  di non   riempirsi la bocca  di frasi  da  moralizzatore. O, dico  io, se almeno  se ne riempie, per   il tempo di un mandato, anzi  a farsi   docce  fredde  per   un briciolo di coerenza apparente.
Ma se  le  questioni  sessuali dei politici  italiani  a questo  punto  non possono rimanere private, allora   che  abbiano un senso: se è un fatto legittimo  che  un politico eletto  dal popolo  faccia    festini  con   prostitute allora  sfruttino  la situazione e facciano cadere  l’ipocrisia del  perbenismo
sulle questioni sessuali e meglio sarà per tutti.
Potremmo caso parlare di intelligenza sessualmente trasmissibile: in fondo, da uno scandalo, potrebbe  cambiare  la società. Allora  aspettiamoci , anzi  desideriamo altri nomi  di politici  che regolarmente   vanno a trans e che hanno  famiglia e figli. Sperando che, invece  di  cospargersi  il capo  di   cenere,  per andare  ad  espiare   il loro senso  di colpa, si facciano promotori di una   nuova  rivoluzione  sessuale.


Ciao  a tutti   grazie  della  vostra lettura  con un augurio  a tutte le  donne:
un buon  8 Marzo, in realtà  con questo mio  pensiero  ho voluto richiamare  il  concetto  mediatico  che si  legge  e  si vede  in  televisione, un aspetto  veramente  brutto  di come  si evidenzia   l’intelligenza  sessuale con una  rivincita   tutta  al maschile , una sorte,  un inno  alle donne, che  oggi meritano essere  ricordati .
un abbraccio

cicco53  08/ 03/ 2010

scritto da paolacon il 5 03 2010

La Spezia è al limite tra Liguria e Toscana e Giuliano, che è tosco-ligure, ci propone un suo ricordo di gioventù, proprio di quella terra.

Spezia

SAPORI & RICORDI di un tempo passato.
Il pomeriggio della domenica, dopo aver visto un film di seconda o terza visione al “pidocchietto”, ci s’incamminava verso i colli, dove in una trattoria, con i tavoli e panche in cemento all’aperto, era servita una buona mesciua, (Tipico piatto della cucina spezzina, fa parte della “cucina povera” e si tratta di una zuppa di legumi e cereali, prima lasciati a macerare in acqua e poi fatti bollire. Una volta terminata la cottura sono uniti in un’unica pietanza, condita con olio extravergine e pepe in grani. Nel dialetto il termine “mescciüa”significa “mescolata” o “ mescolanza”e deriva dal fatto che questa zuppa era preparata nella zona del porto dai pescatori con ingredienti scelti in maniera del tutto casuale e mischiati tra di loro).
Il buon Claudio, detto “Ciolinga” per la sua continua masticazione di chewing-gum, s’incaricava poi di andare, dal trattore, a prendere degli affettati.
Tornava con un vassoio di portata pieno di salumi, formaggio pecorino, acciughe di Monterosso condite con olio, aglio, origano e capperi, il vino rosso toscano.
Si terminava con un grappino e l’immancabile sigaretta “Nazionale” senza filtro (acquistabili anche sciolte.)
Ritornati in centro città, si entrava in un fabbricato, dove nel salone centrale una signora, con mano una pompetta carica di DDT, esortava i presenti ad andare in camera……….omissis.
Prima di rientrare a casa ultima sosta in un bar per bere un vermout e una tirata di sigaretta, poi via
a dormire (il giorno dopo ci aspettava il lavoro: dieci ore al giorno sabato mezza giornata 25 lire l’ora) felici, spensierati e fantasticando su cosa ci riservasse il futuro, in tasca avevamo la “cartolina di precetto” per la leva militare.
Le giornate erano lunghe le ore erano vissute intensamente; non si stava davanti alla TV, non la possedevamo, né tantomeno davanti ad un PC: lo dovevano ancora inventare.
Quelle domeniche le rimpiango.
Le rimpiango come non mai.

mesciua-spezzina

Una breve nota su la Mesc-ciùa spezzina:
è il piatto simbolo di La Spezia.
Incontro fra la cucina ligure e quella toscana è un miscuglio di cereali e legumi (farro, orzo, cicerchie, lenticchie, ceci, fagioli cannellini, grano saraceno) cotti semplicemente con olio, sale e pepe nero.
Questa zuppa è un piatto popolare, nato dalla fantasia e dalle necessità delle mogli dei portuali che, si racconta, andassero con i figli a raccogliere, con le mani e con le scope, sulle banchine del porto della Spezia (“il porto delle spezie”) tutto ciò che era caduto dalle fenditure dei sacchi trasportati e scaricati dai vascelli, carichi di granaglie.
I chicchi, anche di cinque o sei tipi diversi tra cereali e legumi, erano lavati e cucinati. Il mesc-ciùa spezzino non ha quindi una ricetta fissa e immutabile, ma varia dalla quantità e dalla varietà degli ingredienti, frutto della raccolta.

Giuliano4.rm   2  marzo  2010

scritto da paolacon il 4 03 2010

Accogliamo qui una testimonianza, molto toccante, di un carissimo amico di tutti noi Eldyani.

Ogni volta, che vedevo un malato ridotto da un brutto male ad essere solo un peso per i suoi familiari, mi dicevo che la vita lo prendeva in giro, lo faceva morire di lavoro per tutto il tempo e come premio riceveva questo. O io non ho capito che il mondo è una fregatura, o sono così stupido da non capire che siamo nati solo per soffrire; ma il colmo della storia è in poche parole, si lavora, si ride, si scherza, si piange, si soffre, per vari motivi, ma tutti sono solo dei palliativi contro ciò che aspetta chi li ha, dai la vita per amore, per la gioia di avere un figlio, di vedere una casa tua costruita con i tuoi sacrifici, magari con chi ti ama, ma sono senza parole, lui ti prende, non è che chiede il permesso, ti si immette nel tuo sangue e fa di te la prossima vittima, una vittima che resta nel suo guscio, sai che non vi è nulla da fare, speri solo in un miracolo, la notte piangi, soffri in silenzio per non far capire quanto stai male ai tuoi figli, a chi ti ama, a chi sa che può contare sul tuo aiuto, sa che ha bisogno di te, fai uno sforzo tremendo e fai in modo che nessuno se ne accorga, sentirsi dire come stai, che ti senti, che cosa ti preoccupa, che pensieri hai, sono semplici parole, ma entrano dentro di te come tanti coltelli affilati, senti le stilettate che fanno sanguinare le ferite.

E’ mai possibile che arrivati al duemila si debba ancora morire di cancro?
E’ mai possibile che nessuno si dia da fare perché vi siano dei rimedi efficaci?
E’ mai possibile che non ci sia una cura adatta per ciò che sembra la malattia di questi ultimi decenni del secolo scorso e quando finirà in questi primi decenni del duemila?
Tempo addietro vi era la peste, nessuno la curava, si aspettava che morissero per strada e poi si dava fuoco agli abiti, e a tutto ciò che conteneva quella casa, per paura che si infettassero anche i polli.

Questa è la storia di un abitante di questa terra, non è la storia mia in particolare, ma solo la storia di molte famiglie di tutto il mondo, un pianeta che sta andando allo sfascio, si pensa solo a far star bene i ricchi, ma anche loro possono prendere questo male, che pensano forse di essere immuni?
Siamo una famiglia di umani su questa terra, cerchiamo di essere il più corretti possibile, e per premio ci arriva una cosa inaspettata.
Dicevo, molto tempo fa, a me questo non capiterà mai, sbagliato!
Oh di quanto ho sbagliato!!
Peccato!
Avrei voluto continuare a vivere bene come ho sempre fatto fino a poco tempo fa, non mi sono mai tirato indietro a niente, ma ora subentra quella che noi tutti vorremmo che non arrivasse mai: ” LA PAURA”. Prende allo stomaco, ti fa sentire la morsa del freddo dentro di te, cosa che mai avevi provato, senti che la tua vita sta uscendo dalla tua vita giornaliera, senti la vita che pretende da te tutto, hai sofferto quel che basta, “no” per una volta devi soffrire di più.
Come vorrei che fosse solo un sogno immaginario e che all’indomani mi svegliassi e dicessi: mi sono sognato tutto questo, è impossibile che sia accaduto a me, ma le carte, le lastre, gli esami, le varie documentazioni dicono che non c’è più nulla da fare, e io sto li a guardare quelle carte che si accumulano, si descrivono da sole, leggo e mi dico dentro di te, ma è giusto questo?
E’ giusto quello che mi sta capitando?
Che male ho fatto?
Per quale motivo devo dare un dispiacere alla mia famiglia? Andandomene!!
O forse sono contenti che me ne vada?
Hai posteri l’ardua sentenza.
Ogni pensiero si accavalla, mettendo in risalto ciò che di bello potrei aver fatto nel proseguo della mia vita, nella speranza che ogni cosa letta, o fatta in proposito era solo un mio sogno, ma non è così, cerco in ogni angolo della casa, i miei giorni migliori, le cose che mi ricordano ciò che ho costruito, sudato, amato, dato senza chiedere mai niente in cambio, questo forse è un male, dovevo forse essere più cattivo, dovevo essere più stronzo (scusate) con le persone, fregarmene di tutto ciò che mi circonda, l’onestà, il rispetto, il dare senza chiedere mai nulla in cambio, no! non è il mio carattere, non mi sono mai arreso, ma sto perdendo la fiducia in tutto ciò che mi circonda.
Non so di preciso a che stadio sono, ma so di certo che sono molto avanti, a volte nella notte mi sveglio di soprassalto per il dolore, ho degli strani eccessi, cerco di rimanere calmo, sperando che passino presto, spero solo che, chi mi ama non si accorga mai di questo, non voglio vederla soffrire, anche se lei non se ne accorgesse non le direi mai nulla, un po’ anche per paura di chissà cosa vuole farmi fare, ricoverami, e finire in un ospedale senza quel calore umano che ho in casa con i miei figli, con le mie nipotine, le persone che amo non voglio lascarle, voglio vivere ogni attimo con loro, niente ospedale, finché potrò.
Ricordo un vecchio film, solo una piccola parte, ma non il titolo, lui aveva fatto tutte le analisi, gli dissero che aveva un cancro e, non aveva che tre mesi di vita, che ha fatto: ha venduto tutto quello che aveva, si è messo in testa di girare il mondo con quei soldi e il giorno che il male lo avrebbe preso definitivamente sarebbe stato lontano da tutti.
Ma un giorno il suo medico in giro per un simposio, lo incontrò in un paese che lui stava visitando e gli disse con semplici parole: “ma dove si è rifugiato che non riuscivamo più a rintracciarla, le sue analisi andavano tutte bene, ma per errore vi è stato messo il suo nome ma erano di un’altra persona, lei sta bene, ritorni pure alla sua casa”.

Chissà, e se capitasse a me?
Allora sì, che fare?
Penso a quelle altre persone che hanno il male, o gli stessi famigliari che subiscono un errore umano, da parte di medici che hanno dato un nome invece di quello giusto, che dire di più, fare una vertenza sindacale per questa stupida cosa?
Di sicuro io mi metterei a ridere a crepapelle?
Penserei a quel poveruomo che ha quel male, quella famiglia dove sai che un loro caro sta li, tra cielo e terra, aspettando che le sue ultime parole siano di sollievo a chi resta.

Sono arrivato a questa età pensando di essere stato un buon padre, un buon marito, ma soprattutto ho sempre dato il meglio nella mia vita, nessun rammarico, forse pensavo di vivere come i miei antenati fino a 96 anni e oltre, ma sono solo a due terzi di quel traguardo, vorrà dire che sono riuscito a fare la mia parte in questi pochi anni e anche per gli altri che mi resteranno.
Chi ha passato questi momenti, sa che sono sempre molto sgradevoli sia da vedere che da ricordare, ma la vita prende e dà senza chiedere mai.
(I ragazzi che vanno in discoteca e bevono, si drogano poi tornano verso casa e uno schianto spezza loro la vita, ma sono forse peggio di quello che muore lentamente dentro di se?
Sento anche in questa chat persone che hanno avuto delle perdite di questo tipo, ora mi accorgo quanto si sta male, un loro caro, un loro amico, un parente o magari un vicino di letto in una camera di ospedale, vedere la sofferenza delle persone che gli stanno intorno, dove hanno cercato in ogni modo di farlo rimanere calmo, per il dolore, per le sofferenze che hanno, ma soprattutto ho sentito dire da certe persone che guardavano i loro cari e dire: “è meglio che se ne vada presto così finisce di tribolare”.)
Ma la vita è una cosa meravigliosa, averla vissuta intensamente, è la migliore cosa che una persona possa fare. (perché dire una frase del genere?)
Un medico mi diceva spesso che non bisogna mai smettere di pensare che la vita finisca nel momento che uno si ammala o, nel peggiore delle ipotesi il male è arrivato cosi avanti che non c’è più nulla da fare.

Ma se un mattino ci svegliassimo tutti e, sentissimo per TV, RADIO, o leggessimo sui giornali che è stato scoperto un farmaco che guarisce ogni male?
Ho fiducia nei dottori che mi circondano, la medicina fa passi da gigante, a volte rallentano per non dare illusioni, ma loro lo sanno che una speranza c’è, per cui non dire mai: “è meglio che se ne vada in silenzio, tanto non c’è la farà”.
Non meravigliatevi ma è così, sono in tanti a pensarlo, non lo dicono in molti ma lo pensano di sicuro, finisce una vita, con le sue tribolazioni, le sue paure di fare ancora peggio, il dolore sale sempre di più, non c’è nulla da fare, non puoi imbottire una persona con la morfina per sempre, meglio che finisca le sue tribolazioni ora.
Certo ognuno di noi pensa di vivere in eterno, magari fino a cento anni o più.
Sto pensando in questi giorni di essere in una nuvola, dove ogni pensiero viene scisso in più parti.
Il bene, il male, il dolore, la gioia, la disperazione, la felicità vissuta, sono solo dei piccoli passaggi tra una nube e l’altra.
Ogni piccolo passo viene descritto come un momento di vera attesa, di un qualcosa che ci può capitare ogni secondo, ogni minuto, ogni ora e sempre quando meno te lo aspetti, ma questa nuvola ci regge il gioco finché noi non crolliamo in un pianto disperato, allora ci butta giù da quella nuvola, cadiamo nel vuoto più assoluto, ci sentiamo dentro come se ci avessero tolto ogni più piccolo pezzo di carne: VUOTI, ci sciogliamo in lacrime per la morte di un caro amico, di un parente, anche di un nostro animale a cui eravamo così affezionati che ci fa mancare il respiro solo a pensarlo.

Eppure ci godiamo la vita soffrendo, ridendo di ciò che ci capita, non facciamo drammi quando ci sposiamo, o si sposano i nostri figli, ma siamo lì che li ascoltiamo mentre dicono quel fatidico “si”, si ride a volte per cosi poco che non si dice mai adesso piango per ciò che mi è capitato?
No, noi ridiamo per il gusto di farlo, non abbiamo idea del nostro futuro, sia esso felice o disperato, siamo immersi nelle cose più futili di questo mondo aspettando chissà cosa, mentre in agguato vi è il male, ecco allora la disperazione avvantaggiarsi su tutto ciò che vi circonda, un po’ alla volta si perde ogni risata, le cose belle svaniscono insieme a ciò che di più bello ricordavi.
Chi ama ti circonda come di un senso di omertà e non dice mai che sei strano, ma ti osserva, ti guarda come se tu avessi chissà cosa, ma non fa niente di male, non dice vuoi una mano, perché sa che la rifiuteresti per il tuo amor proprio, a che mi servirebbe, tanto lei o lui non può far nulla, aspetta solo un miracolo, allora sì che la vedi sorridere o piangere di felicità per lo scampato pericolo in cui eri corso, ma la vita ci dà queste speranze, a volte sono solo dei semplici accorgimenti dove tu stesso ti rendi conto che ogni malattia può essere curata, malgrado tutto sai che può esserci quel momento che tutti vorremmo che accadesse, il tuo medico di fiducia ti dice: “non hai più nulla il tuo male è sparito”.
Quanta gioia esprimerei, la felicità mi farebbe anche piangere, ma è giusto questo?
I nostri pianti che si trasformano in altri pianti ma questa volta di gioia, di immensa felicità, di essere scampati a ciò che di più brutto poteva capitarci.
Penserei a quelle persone che stanno male e che non possono stare meglio; a quelli a cui il male è entrato cosi dentro, da essere una chimera la guarigione; penserei a come sono stato fortunato se capitasse a me, ritornare ad essere una persona piena di forza, di volontà, per dare amore a chi me ne dà, per poter dare di sé tutto ciò che aveva in mente di fare, di ricostruire una piccola forza verso chi non è stato cosi fortunato come me; gli darei il mio spirito di forza, il coraggio, come me lo hanno dato a me i miei amici, i miei conoscenti, i miei parenti, (anche se pochi) hanno dato il loro appoggio senza chiedere mai: “come va”, essi ti guardano come se loro avessero contribuito alla tua guarigione; certo ne sarei felice se potessi ringraziarli di persona, o come lo farei volentieri.

Lorenzo3.an   03/03/2010

scritto da paolacon il 4 03 2010

Cicco propone x Lorenzo questa poesia di Madre Teresa di Calcutta


INNO  ALLA VITA (Madre Teresa di Calcutta)
La  vita è  un’opportunità, coglila .
La  vita è  bellezza, ammirala
La  vita è  beatitudine, assaporala .
La  vita è  un  sogno, godine una realtà.
La  vita è  una sfida, affrontala.
La  vita è  un  dovere, compilo .
La  vita è  preziosa, abbine  cura.
La  vita è  ricchezza, conservala.
La vita  è  amore, godine.
La  vita è  un mistero,scoprilo  .
La vita  è  promessa, adempilo .
La vita  è  tristezza, superala.
La vita  è  un inno,cantala.
La vita  è  un’avventura,   vivila
La vita  è  felicità, meritala .
La vita  è  vita, difenderla

Ciao    Lorenzo   ho voluto  dedicarti   questi  versi  molto
significativi , per farti capire   quando  è  importante  la vita
non disperderti  nei momenti   di  sofferenza  gridando ad
alta voce  che  sei  felice   di aver  contribuito  con  il tuo
modo  di essere  a tante  persone  di volerti bene .
un abbraccio  con un augurio  di  poterti  leggere  presto CICCO5
3

scritto da paolacon il 4 03 2010

Mi sento in dovere di riportare, per chi non le avesse lette su “Repubblica”, queste testimonianze di due professori italiani bloccati in Cile, dopo il terremoto. Sono sconvolgenti.

Il drammatico racconto-appello del matematico Francesco Zanon “Mi chiamo Francesco Zanon e sono un italiano che sfortunatamente si trovava a Concepcion in Cile il giorno del terremoto. Tutt’ora sono in questa città. Scrivo questa lettera per raccontare parte della mia storia, per raccontare quello che ho dovuto passare e quello che ancora sto passando. Sono un collega di quel Federico Albertini, professore presso la scuola italiana, di cui non si avevano più notizie. A differenza del collega io sono arrivato in questo paese solo da pochi giorni, per la precisione il 23 di febbraio e a differenza sua mi trovavo nella città il giorno della tremenda scossa di terremoto. Non ho mai insegnato in questa scuola e durante i miei primi giorni qui sono stato ospite a casa di Luis Colaciatti, che è uno tra i fondatori della scuola e un membro importante della comunità italiana, io sono qui per insegnare matematica.
Al momento della scossa mi trovavo appunto suo ospite ed è stata la mia fortuna e la mia salvezza. Eravamo in un appartamento al 5° piano di un palazzo che per miracolo non è crollato; la scossa sembrava non finire mai ed era come essere in una barca in mezzo ad una tremenda tempesta. Non si poteva scappare perché era impossibilie stare in piedi, ho pregato che non mi cadesse il soffitto sulla testa e così è stato. Finita la paura dei primissimi attimi ci siamo spostati in una casa sita in una zona un po’ più elevata per paura dello Tsunami. Questa casa è di un cugino di Luis e vi abitano due famiglie. E’ una casa bassa a due piani e non ha subito danni, è molto più sicura di un palazzo e così molti parenti si sono trasferiti qui in questi giorni. Alla fine siamo arrivati ad essere circa 25 persone, tra adulti, donne, bambini e persone anziane che ricordano tutti i terremoti anche prima di quello tremendo del 1960. Il giorno dopo il sisma pensavo che per me le cose non potessero che migliorare, mi sbagliavo. Siamo rimasti senza  energia elettrica fino a questa sera e ancora non abbiamo acqua potabile. Per rifornirci di questa che è il bene più prezioso, siamo ricorsi a molti mezzi: attingendo a fonti di fortuna ma anche a piscine e idranti funzionanti in città per miracolo. Abbiamo bollito quest’acqua utilizzando una griglia da barbeque che è a disposizione nel giardino di casa e tutti l’abbiamo bevuta.
Ancora oggi c’è il pericolo che la casa in cui mi trovo venga saccheggiata, mentre scrivo sono le 2.39 del mattino e alle 4 inizia il mio turno di guardia insieme ai vicini. Quello che non riesco a capire è perché sono stati fatti così tanti errori sia da parte del governo cileno, ma anche da parte di quello italiano. Immediatamente nelle ore successive al sisma sono riuscito a mandare un sms ai miei familiari chiedendo di comunicare alla Farnesina la mia posizione, e i miei numeri di telefono cellulare (quello italiano e quello cileno). Immaginate con che difficoltà si potevano e si possono usare i telefoni cellulari in questa situazione. Non c’è possibilità di ricaricare le batterie, né di ricaricare il credito (per il telefono cileno). Mi aspettavo di essere contattato nel giro di poche ore, di un giorno al massimo, niente. Mia madre ha chiamato nuovamente la Farnesina il giorno successivo, si è sentita dire che dovevo andare in Argentina in automobile e di contattare l’ambasciata a Santiago. Ovviamente non  ho una automobile e anche se la avessi non c’è disponibilità di carburante perché non c’è energia elettrica e poi ora quasi tutte le pompe di benzina sono state distrutte e in quelle che si sono salvate non vengono distribuiti più di pochi litri per ciascuno. Alla fine sono riuscito ad ottenere i numeri dell’ambasciata italiana a Santiago, con pochissima batteria e con le linee che vanno e vengono chiamo a Santiago. Mi risponde una voce registrata: “Per la lingua italiana prema 1, per avere informazioni sul passaporto prema 2…”. Se non mi credete provate a chiamare. Comunque riesco ad ottenere il numero per le emergenze spulciando il menù automatico, chiamo e ovviamente chi risponde non sapeva chi fossi e dove mi trovassi, pur avendo mia madre chiamato per due volte la Farnesina. Mi hanno detto di stare tranquillo e che mi avrebbero ricontattato, nulla fin’ora.
La famiglia che mi ospita mi tratta come parte integrante del gruppo, sono tutte persone straordinarie, che in questo momento di difficoltà sanno affrontare la crisi con tutti i mezzi a loro disposizione. Con loro divido il cibo, la vita, la ricerca di acqua potabile e le ronde notturne sulla barricata allestita qui fuori per evitare di essere saccheggiati. Oramai mi sento in debito con questa gente e non credo di lasciarli finché saranno migliorate le cose. Ma vi pare possibile che il governo italiano non mi abbia mandato neanche un sms con qualche indicazione utile, non si sia mai messo in contatto con me, in pratica mi abbia abbandonato? Senza queste persone fantastiche non so cosa avrei fatto e cosa farei”.


La testimonianza di un altro professore. Da San Pedro de la Paz ci scrive Nicola Chiacchio. “Siamo stati svegliati da violento terremoto. La casa ha tremato per un tempo interminabile, non riuscivamo ad alzarci dal letto. L’armadio ballava, qualche mobile è caduto. In cucina era un disastro: piatti, bicchieri, bottiglie, tutto sul pavimento. Siamo corsi in auto e siamo partiti verso la collina. Vivendo a 100 metri dall’oceano la prima cosa che abbiamo pensato e a cui hanno pensato tutti è stata di salire il più in alto possibile. E cosi abbiamo fatto… In strada centinaia di auto e migliaia di persone a piedi, avvolti nelle coperte, con i figli sulle spalle. Più del solito si è vista la profonda divisione sociale che vive questo paese. Tutti diretti alle colline di San Pedro, fuori sembra che non sia successo quasi niente. C’è una fabbrica che brucia ma le case sembrano tutte intatte. La strada in qualche punto si è spaccata. Dopo qualche coda riusciamo a salire in collina e parcheggiamo tra altre auto piene di  persone. Intorno gente accampata, la terra continua a tremare. Dopo una mezz’ora vediamo salire gente con i carrelli di un supermercato. Carrelli pieni di tutto, ci rendiamo conto che sono cominciati i saccheggi. Alcuni hanno buste di una farmacia. Ci preoccupiamo della nostra casa lasciata intatta ma incustodita e dopo un’altra ora decidiamo di scendere. La coda è lunga, l’attesa è snervante. Per strada decine di persone con sacchi della spesa stracolmi. Finalmente scendiamo e corriamo verso casa. Quando arriviamo troviamo qualche vicino che non è fuggito, la situazione sembra tranquilla, tutti stanno bene. Non c’è elettricita ma per fortuna esce un filo di acqua dalla fontana in giardino. Rientriamo in casa e iniziamo a rimettere a posto tra le infinite scosse che si ripetono. Io e mia moglie abbiamo il mal di mare. Dopo qualche ora dal terremoto iniziano a saccheggiare anche un supermercato vicino casa nostra e anche un grosso deposito di pasta, farina, biscotti è preso d’assalto.
Alla fine anche noi del vicinato, temendo che venga a mancare tutto decidiamo di fare provviste e entriamo nel supermercato tra gli sguardi dei carabinieri che sopraggiunti non possono far altro che osservare il fiume di gente che si riversa nei locali. Il giorno dopo l’altro supermercato è presidiato dai militari, che nel frattempo hanno preso il controllo dell’ordine pubblico. Ma dopo un giorno di presidio hanno l’ordine di andarsene e anche l’altro supermercato è preso d’assalto e praticamente distrutto dalla calca di gente. E questo non farà altro che ritardare il ritorno alla normalità. Adesso il nostro quartiere è fornito di tutto e anche l’elettricità è ritornata.
Dalla radio si ascoltano notizie di saccheggi, di folle che assaltano nella notte le case e così ci si organizza per ronde notturne. La prima notte è il caos, tutti si agitano al minimo rumore. Qualcuno comincia a sparare, arrivano anche i carabinieri e la polizia. La notte seguente va meglio, arriva anche qualche soldato. Ora abbiamo ridotto i turni di guardia. Sembra che si torni alla tranquillità.. anche se una scossa più forte delle altre ha gettato molti nel panico scatenando un fuggi fuggi verso la collina per un allarme tsunami poi rientrato. Ora comincia il difficile cammino verso la normalità. Il lavoro, la scuola. Chi è stato a Concepciòn dice che la città è distrutta. I ponti che da San Pedro portavano a Concepciòn sono semi distrutti. Su uno si passa solo a piedi. Molti si chiedono quando si potrà tornare al lavoro. Talcahuano è stata quasi distrutta dal terremoto e da un’onda che ha “parcheggiato” in strada le navi ancorate nel porto.
Qualcuno ci chiede se restiamo o ritorniamo in Italia. Noi vogliamo restare. Il primo marzo averi dovuto cominciare il mio lavoro di insegnante all’Università di Concepciòn. Non so niente della situazione là, magari lunedì tenterò di attraversare il fiume Bio-Bio per sapere qualcosa. Ringrazio tutti i vicini per l’aiuto che ci hanno dato… Tra le tante cose brutte di questo terremoto quella di stare tutti insieme, dividere l’acqua, il cibo, passare le notti svegli a sorvegliare le nostre famiglie che dormono è una cosa bella che ci fa desiderare di restare e condividere con tutti i mesi difficili che ci aspettano, e ci fa desiderare di partecipare alla ricostruzione di un paese che forse domani sentiremo anche nostro”.

scritto da paolacon il 4 03 2010
Seguo il consiglio di Franco Muzzioli e per rispettare la par condicio pubblico anche la lettera al direttore del CdS apparsa il giorno dopo e firmata da Bondi, La Russa, Verdini, coordinatori di Forza Italia.

SANDRO BONDI, IGNAZIO LA RUSSA DENIS VERDINI
«Noi, un partito vero. La gente lo ha capito»

Egregio Direttore,
le critiche all’operato del governo, anche quelle più aspre, sono il sale della democrazia e contribuiscono, se bene intese, a correggere i possibili errori e a fare meglio.
Vi sono critiche, invece, come quelle dell’editoriale di ieri del Corriere, che finiscono purtroppo per essere sterili in quanto non scaturiscono da un’onesta riflessione sulla realtà, bensì da un pensiero auto-referenziale, come direbbero gli intellettuali. Un pensiero che nel caso di Ernesto Galli della Loggia viene ripetuto senza alcuna variazione di nota da più di quindici anni.
La premessa da cui parte il ragionamento di Galli della Loggia è che la scomparsa della cosiddetta prima Repubblica, in seguito alla crisi del comunismo e al fenomeno di Tangentopoli, avrebbe determinato il venir meno di «tutte le culture politiche che la modernità italiana era riuscita a mettere in campo nel Novecento». Questo vuoto non sarebbe stato riempito da nessuna nuova idea, da nessuna novità nella classe politica, cosicché in quindici anni — prosegue il politologo—la destra italiana, nonostante il consenso di cui gode e le aspettative suscitate nel Paese, non avrebbe saputo costruire un partito degno di questo nome e soprattutto non avrebbe saputo dimostrare di avere «il gusto e la capacità di governare».  Le tesi dell’editorialista non sono affatto nuove, anzi sono l’ennesima riproposizione delle stesse accuse, questa volta però formulate con una animosità e una preconcetta ostilità che contrasta con la disposizione dello studioso e dell’ uomo di pensiero.
Galli della Loggia sviluppa il suo ragionamento come se la storia non ci fosse, come se i fatti non esistessero, in un ambiente praticamente sterile in compagnia unicamente dei suoi libri prediletti e delle sue personalissime elucubrazioni.  Ma la realtà dei fatti non si cancella con i pregiudizi. Il presidente Berlusconi, in maniera inaspettata e imprevedibile per chi come lui era stato fino ad allora un imprenditore di successo, ha agito nel pieno di una drammatica temperie storica e politica, prendendo decisioni sofferte, assumendosi il peso e la responsabilità di difendere le ragioni di chi fino ad allora aveva, pur con limiti ed errori, con luci e ombre, garantito all’Italia la democrazia e il benessere.
È suo, e soltanto suo, il merito di aver salvato quel che si poteva e quel che si doveva salvare del passato, pur essendo egli consapevole che quella storia era giunta al capolinea ed aveva determinato, soprattutto attraverso il consociativismo tra Pci e Dc e il cancro della partitocrazia, una crisi di fiducia tra i cittadini e lo Stato, l’enorme debito pubblico, la dissoluzione di ogni forma di autorità e dimeritocrazia, e infine una congenita debolezza delle istituzioni e dell’apparato economico del Paese.

Nelle vesti di leader politico, Berlusconi si è fatto carico di tutti questi problemi, ricostruendo dalle macerie una nuova casa dei moderati, con la nascita di Forza Italia, e portando subito alla vittoria un programma di governo nel segno della modernizzazione liberale dello Stato e dell’economia italiana.  Se c’è un vuoto nella politica italiana, questo è sicuramente a sinistra, perché se è vero che l’unico partito erede della Prima Repubblica è il Pd, è altrettanto certo che questo partito, epigono del compromesso storico e del cattocomunismo, si è portato dietro l’antico patto di potere tra Pci e sinistra Dc che, quando è stato messo alla prova del governo, ha fragorosamente e sistematicamente fallito.
Di tutto questo, nell’editoriale di Galli della Loggia non si trova traccia alcuna. Uno studioso come lui può disinteressarsene, pur facendo torto al rigore dei propri studi, ma la realtà dei fatti rimane. Per fortuna dell’Italia e degli italiani, Berlusconi ha avuto la forza di non soccombere di fronte al peso delle infinite inchieste giudiziarie, di fronte alla sofferenza che ciò ha determinato nella sua vita e in quella delle persone a lui più care. Per fortuna dell’Italia ha continuato nel suo impegno, pur in condizioni difficilissime, dovendo combattere su più fronti contemporaneamente. Anche ora, mentre le scriviamo, questa battaglia contro il premier prosegue, nonostante il rischio di lasciare il Paese stremato. Berlusconi ha detto più volte che lascerà l’impegno politico solo quando avrà portato a compimento una riforma costituzionale della giustizia che renda il nostro un Paese pienamente democratico. Poiché ha sempre mantenuto le promesse, siamo certi che così sarà.
Nel 1994, grazie a quella che lui stesso ha definito una lucida e lungimirante follia, Berlusconi ha impedito agli eredi del Pci di conquistare il potere senza avere avviato un processo di autentico rinnovamento. Nello stesso tempo ha consentito lo sdoganamento della destra italiana post-fascista verso un approdo di piena legittimità democratica. Può rivendicare a giusta ragione l’evoluzione della Lega di Bossi da movimento secessionista ad un partito nazionale di governo. Infine ha fortemente voluto la nascita del nuovo partito dei moderati, il Popolo della libertà, prima forza politica in Italia, vincendo resistenze e incomprensioni anche all’interno della nostra parte politica.
Noi stiamo cercando di dare corpo e sostanza al bipolarismo, e di mettere a disposizione del premier una forza all’altezza delle enormi aspettative che ha suscitato nel Paese. Non è ancora passato un anno dal congresso fondativo, e molte cose sono già state fatte. Fondere due tradizioni non è certo un’impresa facile.
Tutto questo pare poco a Galli della Loggia? Tutto questo gli sembra estraneo all’universo della politica? Forse un intellettuale come lui non lo comprende né lo gradisce, ma quello che è importante è che il popolo italiano lo ha ben compreso e ancora oggi esprime un consenso sempre più convinto a queste prospettive politiche.
Su un altro punto dissentiamo totalmente e radicalmente dall’analisi dell’editorialista del Corriere. Sulla questione del governo. Per Berlusconi la politica è l’arte del fare e del ben governare, nell’interesse del proprio Paese. Tutto il suo impegno e tutti i suoi sforzi sono stati indirizzati a questo fine ultimo e preminente. Crediamo che i risultati siano lì a dimostrare che siamo sulla buona strada perché il governo di centrodestra ha continuato a lavorare per tutti gli italiani. Abbiamo affrontato e risolto emergenze vecchie e nuove. Abbiamo affrontato e risolto lo scandalo dei rifiuti in Campania; siamo intervenuti dopo il terremoto in Abruzzo con una rapidità ed efficienza senza precedenti; abbiamo salvato l’Alitalia dal fallimento e dalla svendita a gruppi stranieri. Stiamo conducendo una lotta senza quartiere contro la criminalità organizzata e le mafie, con risultati di gran lunga superiori a quelli dei governi precedenti; abbiamo intensificato la lotta contro l’immigrazione clandestina, la microcriminalità, la violenza sulle donne. La grave crisi economica è stata affrontata senza aumentare le tasse, e superata con misure sagge e lungimiranti che hanno aiutato le famiglie a basso reddito e gli anziani, assicurato un sostegno a chi ha perso il lavoro e introdotto nuove tutele per i lavoratori che ne erano privi, come i giovani precari e gli artigiani.
Con il nostro governo, lo Stato è tornato a fare lo Stato, garantendo la sicurezza e la salvaguardia dei diritti fondamentali dei cittadini.
Vorremmo sapere se tutto questo, che sembra poco all’editorialista del Corriere, lo sia anche per i lettori del primo quotidiano italiano. Siamo certi del contrario come dimostrano da tempo i sondaggi e tutti i risultati elettorali degli ultimi due anni.
Potrebbe apparire un elenco noioso, ma non possiamo dimenticare che alla sua prima uscita «pubblica», le Regionali in Friuli, il Popolo della Libertà ha subito vinto le elezioni. Successo bissato una settimana dopo con il trionfo delle Politiche (37,39%), alle Regionali siciliane e le amministrative e poi coronato ai ballottaggi con la conquista di Roma da parte di Alemanno. Da allora, gli elettori ci hanno regalato solo conferme, con la vittoria alle Regionali in Abruzzo, dove il Pdl può contare su 26 consiglieri sui 27 del centrodestra, in Sardegna, alle Europee, con un calo dell’affluenza che ha provocato una leggera contrazione (35,27%) dei nostri voti e, infine, alle Amministrative. Delle 62 Province al voto (3 delle quali di nuova istituzione), il centrodestra ne ha conquistate 34 (ne aveva appena 9), il centrosinistra 28 (perdendone 22). Su 30 comuni capoluogo, il centrodestra ne ha presi 14 (conquistandone 9).
Crediamo che tutto questo rappresenti invece il segno di una buona politica e di quella moralità del fare che contraddistingue il nostro governo. Con buona pace di Ernesto Galli della Loggia e di tutti quelli che come lui, accecati dal pregiudizio, non sanno giudicare con serenità e obiettività.

Ernesto Galli della Loggia risponderà nei prossimi giorni alla lettera dei tre coordinatori
di Sandro Bondi, Ignazio La Russa, Denis Verdini  coordinatori del Pdl

04 marzo 2010

scritto da paolacon il 4 03 2010

Copio e incollo qui l’editoriale del Corriere della Sera di oggi 03 03 2010 e le scuse del direttore del CdS.
E’ un articolo del giornalista Ernesto Galli della Loggia , che non è mai stato definito da nessuno un “comunista”, ma appartenente all’area liberal-democratica e all’ispirazione nazional-patriottica. L’articolo sarebbe dovuto uscire sul Corriere della Sera cartaceo il 2 marzo, ma non s’è visto. La sera del 1° marzo alla rassegna stampa in TV se ne è parlato, e il 2 marzo è puntualmente uscito nei cartacei stranieri (Francia, Germania…)
Che strana coincidenza… adesso appare nel corriere della sera edizione nazionale, e le puntuali scuse del direttore.

LA CRISI D’IDENTITA’ DEL PDL
Il fantasma di un partito

La plastica si sta squagliando? Sembrerebbe. Certo è che coloro che si erano illusi dopo le elezioni del 2008 che il Pdl fosse diventato un partito più o meno vero, qualcosa di più di una lista elettorale, sono costretti ora a ricredersi. Non era qualcosa di più: spesso, troppo spesso, era qualcosa di peggio. Una corte, è stato autorevolmente detto.
Ma a quel che è dato vedere pare piuttosto una somma di rissosi potentati locali riuniti intorno a figuranti di terz’ordine, rimasuglio delle oligarchie e dei quadri dei partiti di governo della prima Repubblica. E tra loro, mischiati alla rinfusa — specie nel Mezzogiorno, che in questo caso comincia dal Lazio e da Roma— gente dai dubbi precedenti, ragazze troppo avvenenti, figli e nipoti, genti d’ogni risma ma di nessuna capacità. E’ per l’appunto tra queste fila che a partire dalla primavera dell’anno scorso si stanno ordendo a ripetizione intrighi, organizzando giochi e delazioni, quando non vere e proprie congiure (e dunque non mi riferisco certo all’azione del Presidente Fini, il quale, invece, si è sempre mosso allo scoperto parlando ad alta voce), allo scopo di trovarsi pronti, con i collegamenti giusti, quando sarà giunto il momento, da molti dei cortigiani giudicato imminente, in cui l’Augusto sarà costretto in un modo o nell’altro a lasciare il potere.
Da quel che si può capire, e soprattutto si mormora, sono mesi, diciamo dalla famigerata notte di Casoria, che le maggiori insidie vengono a Berlusconi e al suo governo non già dall’opposizione ma proprio dalla sua stessa parte, se non addirittura dalle stesse cerchie a lui più vicine. Al di là di ogni giudizio morale tutto ciò non fa che mettere in luce un problema importante: perché mai la destra italiana, durante la bellezza di quindici anni, e pur in condizioni così favorevoli, non è riuscita che a mettere insieme la confusa accozzaglia che vediamo? Perché non è riuscita a dare alla parte del Paese che la segue, e che tra l’altro è quasi sicuramente maggioritaria sul piano quantitativo, niente altro che questa misera rappresentanza? Certo, hanno influito di sicuro la leadership di Berlusconi e la sua personalità.
Il comando berlusconiano, infatti, corazzato di un inaudito potere mediatico- finanziario, non era tale da poter avere rivali di sorta assicurandosi così un dominio incontrastato che almeno pubblicamente ha finora messo sempre tutto e tutti a tacere; la personalità del premier, infine, ha mostrato tutta la sua congenita, insuperabile estraneità all’universo della politica modernamente inteso. E dunque anche alla costruzione di un partito. La politica, infatti, non è vincere le elezioni e poi comandare, come sembra credere il nostro presidente del Consig l i o ; è prima a v e r e un’idea, poi certo vincere le elezioni, ma dopo anche convincere un paese e infine avere il gusto e la capacità di governare: tutte cose a cui Berlusconi, invece, non sembra particolarmente interessato e per le quali, forse, un partito non è inutile.
Ma se è vero che il potere e la personalità del leader sono state un elemento decisivo nell’impedire che la Destra esprimesse niente altro che Forza Italia e il Pdl, è anche vero che né l’uno né l’altra esauriscono il problema. Che rimanda invece a caratteristiche di fondo della società italiana che come tali riguardano tanto la Destra che la Sinistra. In realtà, il verificarsi simultaneo della caduta del Muro di Berlino e di Mani pulite ha significato la fine virtuale di tutte le culture politiche che la modernità italiana era riuscita a mettere in campo nel Novecento (quella fascista avendo già fatto naufragio nel ’45). È quindi rimasto un vuoto che il Paese non è riuscito a colmare. Non si è affacciata sulla scena nessuna visione per l’avvenire, nessuna idea nuova, nessun’indicazione significativa, nessuna nuova energia realmente politica è scesa in campo. Niente.
Il risultato è che in Italia i capi politici più giovani hanno come minimo superato la cinquantina. Ma naturalmente il vuoto è più sensibile a destra, e più sensibili ne sono gli effetti negativi, perché lì la storia dell’Italia repubblicana non ha costruito nulla e dunque non ha potuto lasciare alcun deposito; che invece è rimasto solo nel centro-sinistra, erede di un ininterrotto sessantennio di governo del Paese tanto al centro che alla periferia. Così come nel centro-sinistra sono rimasti quasi tutti i vertici della classe politica che fu cattolica o comunista, portando in dote la propria esperienza e le proprie capacità. Mentre alla Destra è toccato solo il resto: a cui poi, per il sopraggiunto, generale, discredito della politica, non si è certo aggiunto il meglio del Paese.
Ernesto Galli della Loggia   03/03/2010

Per un errore tecnico, la testata on line del Corriere della Sera ha riportato ieri, per alcune ore, questo articolo di Ernesto Galli della Loggia che la direzione aveva deciso, nella tarda serata di lunedì, di rinviare di un giorno per lasciare spazio a un editoriale di Sergio Rizzo sul disegno di legge anticorruzione appena approvato dal governo. Il rinvio era stato concordato con l’autore.

Sempre per lo stesso errore tecnico, è stata inviata a Sky, nella notte di lunedì per la rassegna stampa di ieri, una bozza provvisoria della prima pagina, poi cambiata, che non è mai stata data alle stampe nelle edizioni italiane. Un numero limitato di copie è stato tuttavia stampato nelle tipografie estere. La Direzione, assumendosene la responsabilità, si scusa con i lettori e con l’autore. (f. de b.)

paolacon.rm    4 marzo 2010