scritto da paolacon il 29 04 2009

scarpe12Le scarpe rotte
Aspettando l’autobus osservo dei ragazzi alla fermata, sono appena usciti da scuola: chiacchierano, ridono, si prendono in giro e tutti, noto, hanno delle scarpe super ai piedi. Costeranno tra i 150 e i 250 euro. Non è moda nuova quella di possedere scarpe “firmate”, ma da un po’ di tempo a questa parte, ha preso una dimensione enorme, soprattutto tra i giovani e gli adolescenti e i rispettivi genitori sono pronti a pagare, per l’acquisto, una sproporzionata somma di denaro.
Tutto questo per me non è che un vacuo capriccio per poter apparire alla gente…     Apparire…
Ma questa è soltanto la mia personalissima opinione.
Scarpe di “grandi firme”, che poi, molto  probabilmente, sono opera del lavoro minorile di qualche paese dell’est asiatico…

Lasciamo da parte le considerazioni etico-morali sulla loro produzione e riflettiamo che, per comprare un paio di scarpe di moda, si  parla di 120, 150, 200, 250, 300 euro e forse più.
Mi viene da pensare che l’euro, senza tutti quegli zeri della lira, abbia cancellato anche il giusto valore che si dovrebbe dare ad ogni acquisto.

Ripensando alle scarpe dei adolescenti del 2009, mi son ricordata  di un bellissimo passo in un libro di Natalia Ginzburg, scritto nel 1945, nell’immediato dopo guerra, mentre all’epoca la scrittrice era residente a Roma, era sola, era lontana dai figli e viveva un  momento molto tragico della sua vita.

“Io ho le scarpe rotte e l’amica con la quale vivo in questo momento ha le scarpe rotte anche lei. Stando insieme parliamo spesso di scarpe. Se le parlo del tempo in cui sarò una vecchia scrittrice famosa, lei subito mi chiede: “Che scarpe avrai?” Allora le dico che avrò delle scarpe di camoscio verde,con una gran fibbia d’oro da un lato.
Io appartengo a una famiglia dove tutti hanno scarpe solide e sane. Mia madre anzi ha dovuto far fare un armadietto apposta per tenerci le scarpe, tante paia ne aveva. Quando torno fra loro, levano alte grida di sdegno e di dolore alla vista delle mie scarpe. Ma io so che anche con le scarpe rotte si può vivere. Nel periodo tedesco ero sola qui a Roma, e non avevo che un solo paio di scarpe. Se le avessi date al calzolaio avrei dovuto stare due o tre giorni a letto, e questo non mi era possibile. Così continuai a portarle, e per giunta pioveva, le sentivo sfasciarsi lentamente, farsi molli ed informi, e sentivo il freddo del selciato sotto le piante dei piedi. E’ per questo che anche ora ho sempre le scarpe rotte, perché mi ricordo di quelle e non mi sembrano poi tanto rotte al confronto, e se ho del denaro preferisco spenderlo altrimenti, perché le scarpe non mi appaiono più come qualcosa di molto essenziale. Ero stata viziata dalla vita prima,sempre circondata da un affetto tenero e  vigile, ma quell’anno qui a Roma fui sola per la prima volta… ”

In un altro passaggio l’autrice fa delle considerazioni sui suoi figli: “I miei figli dunque vivono con mia madre, e non hanno le scarpe rotte finora. Ma come saranno da uomini? Voglio dire: che scarpe avranno da uomini? Quale via sceglieranno per i loro passi? Decideranno di escludere dai loro desideri tutto quel che è piacevole ma non è necessario, o affermeranno che ogni cosa è necessaria e che l’uomo ha il diritto di avere ai piedi delle scarpe solide e sane?”

Ed infine Natalia Ginzburg conclude dicendo che, quando sarà di nuovo a casa, e tornerà ad occuparsi dei suoi figli, sarà una madre sollecita: “guarderò l’orologio e terrò conto del tempo, vigile ed attenta ad ogni cosa, e baderò che i miei figli abbiano i piedi sempre asciutti e caldi, perché so che così deve’essere se appena è possibile, almeno nell’infanzia. Forse anzi per imparare poi a camminare con le scarpe rotte, è bene avere i piedi asciutti e caldi quando si è bambini.

Con queste parole si chiude lo scritto di Natalia Ginzburg [Tratto da “Le scarpe rotte” in “Le piccole virtù”  edizione Einaudi]
e mi fa riflettere su due punti!

Chiaramente le scarpe sono un’allegoria e mi fa pensare che cosa sia meglio: avere un’infanzia protetta o no? Se nell’infanzia abbiamo avuto scarpe calde e asciutte siamo più forti poi nella vita di adulti?      O è vero il contrario?

L’altra cosa a cui ho riflettuto è che oggi le scarpe rotte sono state sostituite da costosissime scarpe da duecentocinquanta euro, e i piedi, meno male, sono al caldo. Ma è la testa che si è rotta. Forse perché, con scarpe da duecentocinquanta euro ai piedi, non si capisce davvero più cosa sia veramente importante e cosa no.

Ed infine concludo domandandomi:
è un bene coccolare e viziare i figli in modo alle volte irragionevole?
Li farà sentire più forti o no in futuro?

le-scarpe-rotte1
Paolacon        29/04/2009

scritto da admin il 29 04 2009
http://www.youtube.com/watch?v=Tr63Wbx4qhw

Vi piacerebbe vivere come in un villaggio? Poter scegliere uno spazio, un luogo e vivere circondati dalle persone che condividono i vostri stessi usi,i modi di pensare?

Vi piacerebbe vedere i vostri nipotini “merendare “e giocare insieme a tanti altri bambini sotto il vostro discreto e non invadente controllo?

Vi piacerebbe ipotizzare che non ci saranno , a meno che non li vogliate voi per scelta, momenti di solitudine ?

Provate cosa possono diventare le vostre cene, i vostri pranzi, le feste consumate insieme ai vostri amici?

L’uomo è un animale sociale, ha bisogno di vivere, per l’espletamento di tutte le sue funzioni vitali, degli altri; ma purtroppo spesso, e chi vive nei condominii delle grandi città lo sperimenta quotidianamente,si fanno i conti con le inciviltà altrui pagandone il prezzo in limitazione della propria libertà.

Solitudini silenziose consumano la vita di tanti, ingigantendone i problemi.
Provate ad immaginare come possa essere bello avere un problema e sapere che non siamo soli ad affrontarlo e risolverlo.
Un punto fermo nella mia vita è stato sempre pensare e crederci che: condividere, dividere è moltiplicare!

E’ sempre stato il mio sogno fin da quand’ero ragazza, e scoprire leggendo qui e là che questo mio sogno da qualche parte del mondo stà diventando una filosofia di vita , mi ha reso felice e voglio rendervi partecipi.

Non vi sto raccontando una favola spaziale e impossibile ma semplicemente vi illustro il “cohousing”e i “cohouser”, coloro che già sperimentano questo nuovo modo di abitare.

Esigenza di stare meno da soli o gusto per l’eccentrico?
Si è veramente giunti al collasso del sitema liberista e dell’alienante società globalizzata oppure è solamente voglia di sperimentare?
Di fatto il cohousing in Europa è una realtà concreta dagli anni ’60 dove il “movimento” ha preso piede in Danimarca.

Si tratta di una forma di socialità in senso stretto, che consente ad una  comunità di persone di condividere i propri spazi in un’ottica di miglioramento della qualità dela vita, di risparmio e di esistenza eco-sostenibile.
In poche parole un tentativo di sottrarsi al modo di vivere disgregato e solitario che la società ci propina in mille forme, tenendoci incollati al televisore, elimindando dalle città luoghi di aggregazione e di fatto ostacolando ogni forma di socialità in senso lato.

La socialità è fucina di idee.. la socialità è il popolo in movimento.. la socialità è presa di coscienza.

I cohouser che hanno capito l’importanza della questione decidono autonomamente di spezzare le barriere e seppure nell’intimità del nido domestico di condividere qualcosa di loro con il mondo esterno (o almeno con una selezionata minoranza… del resto bisogna pur scegliere chi mettersi dentro casa),ecco nascere:

nel giardino del proprio vicino un piccolo internet-cafè dove scrivere poesie e condividere libri;
la cucina di qualcun’altro diventare lo spazio per preparare il pranzo a tutti i bambini delle varie famiglie che devono andare a scuola;
la rimessa di un’altro ancora diventare un laboratorio per darsi tutti insieme al fai da te e perchè no? magari al bricolage.
Lo spazio verde con l’esperienza di alcuni fiorire di stagione in stagione e profumare di basilico e lavanda…

I costi di gestione e gli sprechi energetici diminuiscono: si va a fare la spesa in un’azienda agricola biologica e si ottiene cibo di qualità ad un prezzo inferiore (visto che comprano da mangiare per 30 o 40 famiglie) magari utilizzando un solo furgone (avete mai pensato a 40 padri di famiglia che escono in macchina per comprare il pane… alla faccia della CO2 ?).

In italia ovviamente, dove la socialità è avversata più che mai e vige il controllo sociale applicato dalle istituzioni, si stanno muovendo solo ora i primi passi in questa direzione ed a ridosso delle principali metropoli del nord ed a Roma, sono stati avviati progetti per il “vivere insieme”.

In italia in particolare è molto sentito il problema ambientale (non si direbbe a giudicare dal ministro dell’ambiente che continua a difendere un’ottica arretrata che ripropone il nucleare) tanto che pare essere proprio questo il motore che spinge i nostri conterranei a pensare alcohousing come alternativa eco-solidale.

 

Semplice      29aprile2009

Da Portobello road (Londra) a Porta Portese (Roma), passando da Porta Ticinese (MIlano)

tanti mercatini dell’usato nascono la domenica mattina, e per un giorno ridanno vita a cose

finite anzitempo in soffitta o in cantina.

In tante cittadine la domenica mattina entrano  auto e  furgoncini carichi di sogni usati. 
Gente che mette in mostra su banchetti colorati oggetti raccolti qua e là,  ogni cosa con

una sua storia che, se ti fermi ad ascoltare, puoi udire o, cercando dentro te,  riportare

nel vissuto.

Storie che ti vengono raccontate, magari inventate dagli espositori, gente qualunque che

impreziosisce la giornata stando in piazza ad offrire a basso costo, o scambia, cose usate,

amate, desiderate e dimenticate.

Vado spesso per mercatini la domenica mattina, mi fermo a parlare con i venditori che, ho

scoperto, in molti casi sono pensionati, che uscendo dall’APE (Aspettativa Permanente

Effettiva)(1) da avanziani (2) ridiventano protagonisti che han trovato un modo di stare

ancora attivamente tra le gente.
Offrono cose ancora in buono stato e non più utilizzate da chi l’aveva prima. Cose che a

volte riparano rimettondole in grado di funzionare.
Perchè buttare via una vecchia macchina da cucire che può raccontare a un bambino come i

pantaloni, o una gonna, una volta crescevano insieme a chi li indossava?

Trovo un’ingranditore fotografico, un grammofono, un proiettore, una macchina da scrivere:

tutti sostituiti dal computer.

Quadri che per anni hanno scaldato case infreddolite. Arnesi sconosciuti, strumenti di

lavoro che parlano da soli della fatica di tirare avanti: tutti con un storia dentro.

Bottoni, spille, bicchieri e tazze che attraverso la loro fattura  ti dicono come ci si

vestiva, come si stava insieme.
Servizi di  piatti che ti dicono in quanti ci si trovava intorno a un tavolo. Sedie, letti,

armadi, ogni sorta di cose passate in casa.

Vecchi giochi, giornali, libri, telefoni e dischi: tutti condimenti di arredo del vivere

quotidiano che ricordano un viaggio, un giorno di pioggia, un amore, un viso cancellato dal

tempo.
E infine trovi il rispetto per il pianeta che ci ospita, nel riutilizzo delle cose, nel

prolungare loro la vita, si evita di aumentare il volume delle discariche o il lavoro degli

inceneritori (almeno per un pò).

 
(1) Acronimo inventato da A.Sofri (“Chi è il mio prossimo”, pag. 254)
(2) al di là degli usi fatti sinora lo uso per indicare lo stato di chi è messo da parte

dal sistema produttivosia esso scolaro o pensionanato.

 

Francesco8bg            29aprile 2009

ag_carretto_siciliano1In questi tempi di rivendicazione della Resistenza, mi viene in mente la storia raccontata da Leonardo Sciascia su un tale cesaroto (di Cesarò, un paese della Sicilia), all’epoca delle rappresaglie tedesche del 1943 nell’isola.

Racconta Sciascia:

“Un cesaroto andava, nei giorni in cui i tedeschi tenevano il fronte a Troina, per una strada di campagna; a cavallo del mulo, e un bel fucile mitragliatore attaccato al busto. Gli si imbatte uno di altro paese, e l’occhio gli cade sul fucile mitragliatore.
– Come l’avete avuto?- si informa.
– Se volete, ce n’è un altro, -rispose il cesarotano.
– Un altro fucile come questo? E dov’è? E come l’avete avuto?
– Io me ne andavo col mulo, dice il cesarotano: e fa punto fermo, come se avesse concluso un discorso.
– Ve ne andavate col mulo, va bene….E che è successo?
– E’ successo che c’erano due tedeschi.
– E questi due tedeschi?
– Volevano il mulo.
– E allora?
– Io ho solo questo mulo. E avevo l’accetta.
– L’accetta?
– L’accetta….erano due, volevano prendermi il mulo.
– Ho capito…E voi?
– Io ho solo questo mulo: se me lo levano sono morto. Ma avevo l’accetta.
– E dunque?
– Ad uno ho dato di cozzo; e all’altro di taglio.”
taorminapanorama
Ho voluto riportare per intero questo colloquio per testimoniare l’eroismo, a suo modo, di un uomo semplice e dignitoso. Le parole sono quasi estorte al cesaroto, che è reticente, ma non di quella reticenza che confina con l’omertà del  “nenti sacciu”. Aveva ammazzato due uomini e non aveva a suo avviso di che gloriarsi o vantarsi. Però gli volevano togliere il mulo, che per lui rappresentava l’unica fonte di sostentamento. Era stato costretto ad uccidere anche se non era violento. Ma non poteva sopportare la violenza gratuita del più forte, una violenza senza ragione, senza civiltà, senza provocazione, nei confronti di un uomo inerme.
Per me è un vero patriota.

Lorenzo.rm   27 aprile 2009

Il nuovo mondo del computer visto da Luciano3.rm

http://www.youtube.com/watch?v=ATfq_qAiuYA

L’importante è non sentirsi emarginati di fronte alle nuove generazioni, si deve dialogare con loro non solo come baby-sitter ma da veri nonni, bisogna trasferire ai nipoti il proprio vissuto usando il loro linguaggio (se non si parla la loro lingua, si rischia di perdere anche la residua autorità), e dobbiamo essere ascoltati in una forma di scambio e non di tolleranza.
È importante riuscire a comunicare meglio con chi si vuole (figli lontani, amici, parenti), partecipare realmente alla vita della comunità, essere presenti realmente, inviare auguri, prenotare vacanze, navigare sul web, scrivere una lettera, con posta elettronica, usare i servizi digitali delle amministrazioni locali. Ecco che il computer ci aiuta e molto!
Alcuni di noi per imparare qualche cosa hanno frequentato scuole, avuto aiuto da parenti o amici; resta che si trova difficoltà, perché la memoria non è più giovanile e perché a volte s’ignora o non si ricorda come fare per eseguire il programma che ci interessa.

Oggi saper usare un computer ed alcuni programmi è fondamentale.

Scrivere documenti (lettere all’amministratore del condominio, domande per ottenere servizi al comune ecc.) in modo veloce è utile e gradevole, senza dover riscrivere tutto da capo nel caso di modifiche o correzioni (come invece avveniva prima, con le vecchie macchine da scrivere);  tenere i conti di casa in modo automatico e ordinato, scrivere biglietti  originali, personalizzati (con disegni, immagini, fumetti colorati) per compleanni, festività varie o anche per fare una sorpresa al nipotino è gratificante; inviare lettere elettroniche che arrivano in pochissimo tempo ( e-mail) ad amici e parenti vicini e lontani, anche al di là dell’oceano, spedendo in allegato foto, immagini e altri documenti può essere molto conveniente; utilizzare internet per fare cose che prima potevamo fare solo uscendo da casa, pagare bollette, controllare e gestire i nostri risparmi prenotare visite mediche, trovare informazioni sui servizi del comune o altri uffici pubblici ecc. evitando quindi file faticose e risparmiando tempo e denaro, è molto pratico.

Saper usare il computer per noi nonni e nonne è un mezzo per migliorare la qualità della vita, e in più c’è la gioia di poter vivere esperienze nuove, non immaginabili fino a qualche tempo fa.
Come molte persone della mia  età, mi sono reso conto che il PC e Internet  erano per  me degli oggetti misteriosi. Questo sentimento di estraneità, tuttavia, lo ritenevo lontano dagli interessi e dal linguaggio della  mia famiglia.  Il divario che si andava creando è stato la leva che mi ha spinto a partecipare a corsi di alfabetizzazione informatica. Io sono una persona,  che si è impegnata a non restare indietro e a non perdere il passo con questo nuovo strumento, nonostante all’inizio abbia avuto qualche problema.  Sono, alla fine riuscito a cavarmela da solo e ad abbattere la barriera che si era creata e che rischiava di allontanarmi dalla nuova realtà della vita. Per prima cosa il computer mi  ha avvicinato alla navigazione su Internet e all’utilizzo della posta elettronica; ma ben presto  mi sono accorto di quanto la tecnologia potesse essere uno strumento nuovo per approfondire i miei interessi; Internet è un mondo affascinante da scoprire, ed è alla portata di tutti. Grazie alla Rete ho potuto sviluppare in modi del tutto inaspettati il mio interesse per la tecnologia, attraverso canali impensabili sino a un momento prima. Mi sono costruito un museo personale on line, con immagini provenienti da ogni parte del mondo, ho creato cartoline augurali con temi archeologici e anche un calendario per le occasioni speciali. Ho persino regalato uno dei miei calendari a  mio nipote  e mia figlia. Con un clic posso fare la spesa, pagare le bollette, controllare il saldo del conto in banca senza neanche aprire la porta di casa. Un clic e i figli lontani sono più vicini, le foto dei nipotini appaiono pochi minuti dopo essere state scattate, musei e biblioteche entrano in casa, il mondo intero e’ aperto, leggibile al costo di pochi minuti di connessione.

Vedo che c’è sempre una maggiore attenzione, in Eldy, per i nuovi blog (Riflettiamo, Incontriamoci, il bosco)
Signori responsabili del portale Eldy è possibile istituire un blog,  diretto da un vostro esperto, per dare risposte alle domande poste, sull’uso del computer, dai nonni e dalle nonne  in difficoltà? Grazie

Qual è stata la vostra esperienza? Avete qualche episodio da raccontare?

luciano3.rm    29 aprile 2009

 

Un sorriso non costa nulla e rende molto.
Arrichisce chi lo riceve, senza impoverire chi lo dona.
Non dura che un istante,
ma il suo ricordo è talora eterno.
Nessuno è così ricco da poterne fare a meno.
Nessuno è così povero da non poterlo dare.
Crea felicità in casa;
è sostegno negli affari;
è segno sensibile dell’amicizia profonda.
Un sorriso dà riposo nella stanchezza;
nello scoraggiamento rinnova il coraggio;
nella tristezza è consolazione;
d’ogni pena naturale è rimedio.
Ma è bene che non si può comprare,
nè prestare, nè rubare,
poichè esso ha valore solo
nell’istante in cui si dona.
E se poi incontrerete talora
che non vi dona l’atteso sorriso,
siate generosi e date il vostro,
perchè nessuno ha tanto bisogno di sorriso,
come chi non sa darlo agli altri.

(di P. Faber)

Anch’io voglio regalarvi un sorriso,proponendovi questa bellissima poesia, nella sua semplicità è vera, profonda.
Se la leggessimo ogni mattina al risveglio e la facessimo nostra,servirebbe per iniziare la giornata al meglio.

Quante situazioni incresciose e difficili si risolvono con un sorriso,provate ad immaginare un litigio tra genitori e figli, tra colleghi o tra marito e moglie; situazioni che spesso somigliano ad un temporale improvviso con atmosfere pesanti,cupe, eppure se si trova il coraggio di sorridere è come se l’arcobaleno magicamente prende il posto dei nuvoloni.

Un sorriso con il suo silenzio racconta molte più cose di tante parole, in punta di piedi ti dice :sono qui!…coraggio!…facciamo pace?…stò bene insieme a te!…mi perdoni?..è bella la vita!. 

Sorridere è deporre le armi e farle deporre,dare disponibilità,aprire le porte dell’anima.
Un sorriso è una carezza, un piacere sottile e intenso come l’odore del pane caldo, inafferrabile ma reale.

E poi …cosa c’è di più bello che cogliere il lampo di felicità negli occhi di colui a cui lo abbiamo donato e il benessere che sentiamo nel nostro cuore?

Troviamo, cerchiamo sempre un motivo per sorridere, la vita avrà un sapore più buono.

 

Mimmo.ta        28 aprile 2009

Da quando è iniziata questa crisi continuo a chiedermi: perchè si è in crisi? E delle risposte me le sono date anticipando anche quelli che sono i risvolti odierni.

Come la maggioranza di chi legge ho vissuto gli anni del boom degli anni ’60: non me ne sono accorto, ero troppo piccolo ma non ho visto la mia famiglia crescere così tanto in forza economica,  ero povero e felice come tutti i bambini, ma già a 14 anni già volevo capire di più, sentivo al telegiornale degli scioperi al nord per una maggiore dignità dei lavoratori e per un salario migliore; per una diversa distribuzione della ricchezza, direi oggi.

Poi la prima crisi petrolifera degli anni ’70/’75, le domeniche a piedi, il prezzo della benzina che aumentava, e da li a poco i risvolti di un cambiamento dei metodi di produzione che rendeva difficoltoso l’accesso al lavoro a chi come me a vent’anni vi si affacciava.

L’inflazione cominciava a galoppare, c’era chi ne vedeva la causa nell’aumento del costo del lavoro (ricordate l’automatismo della scala mobile?), e chi vedeva la causa dell’aumento nel costo del denaro, difatti si andò ad una riconversione dei mezzi di produzione che sostituì in molti casi le braccia.

 Per riconvertive servivano soldi che, come ogni merce, si paga, più aumenta la richiesta più aumenta il prezzo (ad ognuno le proprie conclusioni sul perchè l’inflazione).

Negli anni ’80/’90 la crisi  asiatica, con la deflazione che colpisce il Giapppone la Tailandia la Corea e così via.
Non si era ancora nell’era globale e solo in parte ne abbiamo sentito gli effetti, e gli investitori occidentali han trovato subito il modo di fare buoni affari (ricordate quando Fiat voleva acquisire Daewoo e poi fu rilevata da GM?). E di li a poco iniziò la delocalizzazione produttiva.
 
Intanto cresceva l’informatizzazione e tutto ciò che era informatica conosceva un boom incredibile, e siamo circa al 2000, aziende che valevano 10 in breve si ritrovarono quotate a 1000, poi scoppiò la bolla speculativa e  tutti a rimettere i piedi per terra.

Il presidente Fiat in quegli anni ricordo che in un’intervista disse qualcosa di questo tipo: “il prossimo futuro sarà caratterizzato dalla volatilità, occorre investire oculatamente”. Di lì a poco morì ma ci aveva dato un segnale.

Quando è iniziata quella attuale non ci si era rialzati ancora del tutto dalla crisi precedente, ma lo vedavamo tutti il risiko bancario e la bolla immobiliare.

Al tempo stesso la Cina esplodeva, produzione ai massimi livelli, PIL da fantaeconomia.
 
Mia moglie quattro anni fa di ritorno dagli USA mi portò solo delle noccioline ricoperte di cioccolato: l’unica cosa di produzione locale che aveva trovato, per il resto quasi tutto era di produzione Cinese.
Difatti  si era innescato il meccanismo della crisi attuale: i prezzi della Cina erano (e sono) competitivi.
Come dovevano fare gli USA per mantenere attiva la bilancia dei pagamenti? Dovevano fare in modo che il denaro restasse in USA. Come?
Obbligango i produttori stranieri a reinvestire in USA e, vista anche la necessità, garantendo buoni interessi.
I cinesi in primis (ma anche inglesi, islandesi ecc.) trovavano utile investire in USA.

A quel punto bisognava inventare nuova carta dove far ballare i numeri: i derivati ecc., di fatto scommesse sulla reddditività futura.
 Ricordate la finanza creativa di Tremonti? (E meno male che Parmalat aveva insegnato qualcosa anni prima).  Carta e solo carta che, portata all’incasso non avrebbe avuto copertura: cosa avvenuta come ben sappiamo.
 
Nel frattempo si era innescata la speculazione sui beni primari, quelli cui la gente non può rinunciare: il cibo e le materie legate alla produzione di energia.
 
Quattro anni fa un conoscente mi chiedeva in una e-mail “da voi il prezzo della benzina sta aumentando? Qui (in USA) è raddoppiato”. In Italia non era raddoppiato (il grosso lo paghiamo in tasse) e il rapporto euro/dollaro era passato dagli 1,17 del 2002 a 0,87 per risalire sino a giungere nei mesi scorsi a 1,33: pertanto per fare 100 $ bastavano poco più di 75 €.
Fatte queste considerazioni il fallimento di Merryll Lynch e tutte le altre ha rappresentato una perdita per chi aveva investito in USA: buona parte dell’occidente, e soprattutto la Cina.
Con questo meccanismo i cinesi stanno finanziando la crisi più di altri. In ogni caso aziende cinesi o occidentali che siano hanno preferito investire in borsa  anzichè reinvestire gli utili nell’impresa.

Intanto arriviamo a cosa ci attende, ovvero cosa sta avvenendo adesso: le aziende occidentali sono sottoquotate in borsa, alcune sono sull’orlo del fallimento, i governi degli stati cercano in tutti i modi di sovvenzionarle per non avere effetti peggiori: aiuti alle imprese (siano esse industrie o banche), ammortizzatori sociali, incentivi ecc.

Questi aiuti a cosa servono?
Secondo me solo a dare il tempo alle aziende sottoquotate di rivalutare il valore nominale delle proprie quote azionarie.
Una corsa ai ripari frenetica, da noi mentre la terra tremava in Abruzzo il governo emanava un decreto che consentiva alle aziende oggetto di un OPA (offerta pubblica di acquisto) ostile, di acquistare il 10% in più delle proprie quote (che era del 10% prima del dlgs e passata al 20%). Può anche darsi che sia una cosa positiva.

Intanto ci giunge notizia che Fiat  vuol comprare Opel ed è in trattative con Chrysler.
Mi concentro su questo punto soltanto: perchè gli USA sono favorevoli a Fiat e la Germania no?
Gli USA sono favorevoli perchè Fiat produce motori di minor impatto ambientale, in parole povere che consumano meno e che utilizzano combustibili alternativi al petrolio.
I tedeschi invece si muovono sullo stesso piano della Fiat: che interesse avrebbe Fiat a tenere in vita un doppione di sé? Vedono in questo una progressiva riduzione della produzione in Germania.

In alternativa per Opel ci sono altri acquirenti: arabi prima di tutto, vale a dire quelle basi economiche che l’anno scorso con l’aumento del prezzo del greggio, hanno incamerato parecchi quattrini.
E cosa ci si compra ? Ci si compra le fabbriche, vale a dire i mezzi di produzione: in sintesi siamo ad una lotta per il possesso dei mezzi di produzione, che è cominciata anni fa, si combatte in borsa, che noi sovvenzionamo mantenedo i salari fermi, pagando di più i servizi, riducendo i consumi (quel tanto quanto basta per non affogare l’economia).

Trent’anni fa si diceva che il petrolio nel 2010 sarebbe stato agli sgoccioli (me lo ricordava un’amica), ancora non è così: gli aumenti di prezzo ne hanno reso conveniente l’estrazione in luoghi prima antieconomici. L’ENI e le altre sorelle puntano anche sulle sabbie bituminose (detto “petrolio sporco”, il cui sfruttamento con i prezzi bassi non conviene).
Le fonti energetiche alternative (solare, eolico, geotermico ecc.) sono alternative non solo per l’ambiente ma anche a chi ha il petrolio che, se non ha a chi venderlo a peso d’oro, come fa a sostenere i  progetti faraonici in corso? (fatevi un giro in internet a vedere cosa stanno costruendo a Dubay per capire).

Pertanto siamo ad una lotta per il possesso dei mezzi di produzione. Il secolo scorso era iniziato allo stesso modo, solo il mezzo di produzione era diverso: era la terra.

Francesco8bg                           26 aprile 2009

Oggi, 25 aprile 2009, anniversario della Liberazione

Proprio oggi,  ho ripensato a una poesia che Natalia Ginzburg (1916-1991) ha dedicato alla memoria di suo marito Leone Ginzburg, morto nelle carceri di Roma il 5 febbraio 1944.  Leone Ginzburg fu spietatamente assassinato  dalla ferocia della Gestapo perché era un resistente e un ebreo.
Natalia e Leone si sposarono nel 1938, e due anni dopo furono confinati in Abruzzo, in un piccolo villaggio a 15 km dall’Aquila: a Pizzoli.
Nel luglio del 1943, Leone Ginzburg, rientrò a Torino e di lí a Roma, dove in settembre cominciò la lotta clandestina. Il primo novembre, coi tre figli, Natalia raggiunse il marito a Roma,  e visse in un alloggio di fortuna in via XXI Aprile.
Leone fu arrestato il 20 novembre 1943 dalla polizia italiana nella tipografia clandestina di via Basento e fu trasferito a Regina Coeli, nel braccio tedesco, dove morì.
Dal giorno dell’arresto fino a quello della morte, Natalia non vide mai più il marito

Quella che segue è la poesia che la Ginzburg scrisse dopo essere andata di nascosto a vedere la salma del marito Leone trucidato dai nazisti. Anche lei era ricercata, ma siccome i nazisti cercavano una donna giovane con tre bambini e poiché lei si presentò con uno solo, non venne loro  in mente che potesse essere  lei…
E’ la poesia di una donna di trent’anni che rende omaggio al padre dei suoi tre figli… anche loro orfani…
È una poesia quieta , dignitosa e che esprime un dolore sordo, impossibile da raccontare…
L’ho scelta per ricordare quei tempi terribili e per non dimenticare che cosa rappresenta oggi il 25 aprile.

Memoria
Natalia Ginzburg

Gli uomini vanno e vengono per le strade della città.
Comprano cibi e giornali,
muovono a imprese diverse.
Hanno roseo il viso, le labbra vivide e piene.
Sollevasti il lenzuolo
per guardare il suo viso, Ti chinasti a baciarlo
con un gesto consueto.
Ma era l’ultima volta.
Era il viso consueto,
Solo un poco più stanco.
E il vestito era quello di sempre. E le scarpe eran quelle di sempre.
E le mani eran quelle
Che spezzavano il pane
e versavano il vino.
Oggi ancora nel tempo
che passa sollevi il lenzuolo A guardare il suo viso
per l’ultima volta.
Se cammini per strada
nessuno ti è accanto.
Se hai paura nessuno ti prende
la mano.
E non è tua la strada,
non è tua la città.
Non è tua la città illuminata. La città illuminata è degli altri,
Degli uomini che vanno e vengono, comprando cibi e giornali.
Puoi affacciarti un poco
alla quieta finestra
E guardare in silenzio
il giardino nel buio.
Allora quando piangevi
c’era la sua voce serena. Allora quando ridevi
c’era il suo riso sommesso. Ma il cancello che a sera s’apriva
resterà chiuso per sempre.
E deserta è la tua giovinezza,
spento il fuoco, vuota la casa.

Paolacon 25 aprile 2009

Sono  “I POVERI TRA I POVERI”” quelli che non sempre sono in grado di comprare
beni e servizi esenziali per vivere:il 4% della popolazione.

Il record è al sud dove supera il 6,2%, dichiarate indigenti 975 mila famiglie; i dati sono
forniti dall’Istat.

Il dato è in continuo peggioramento con l’aggravarsi della crisi là dove il capo famiglia
è ultra cinquantenne.

La soglia di povertà è fissata a 1.158,71 euro se vive in un’area  metropolitana nelle
regioni settentrionali e centrali, di 966,20 nelle regioni meridionali.

Alla faccia dei nostri politici che in TV continuano a dire che la crisi è solo
immaginaria ,senza riferire che la recessione industriale è – 34%.

I consumi delle famiglie hanno subito un radicale mutamento e necessarie modifiche, si
risparmia sù carne, frutta,pane, all’ordine del 35/40% . Questi sono dati della CIA, no la
“Cia amerikana”, ma confederazione italiana agricoltori.

-L’abbigliamento per molti è un sogno, è tornato  di moda lo slogan: “vecchio è
bello”utilizzando un capo di vestiario  fino ad usura totale.

Mentre i ricchi continuano a ridere,  loro la crisi  non l’avvertono con stipendi da
nababbi, al Popolo non resta che piangere.

Questa che stiamo vivendo è la  peggiore crisi  dal ’29 ad oggi.

Quest’estate tutti al mare stessa spiaggia stesso mare blu:”Costa Smeralda”, robetta da
poverelli !!

IL FMI  ha stimato,il crollo del pil taliano a -4,4% e non cè segno di ripresa fino al
2010, allora i nostri politici tutti,continuano a credere che il popolo italiano beva le
loro fandonie;con una depressione economica simile lo stato non è in grado d’applicare
politiche di stimolo all’economia,ci dicano chiaro e tondo la reale portata della crisi e
chi nè è responsabile.

Questa crisi è stata innescata da un’eccesso d’ottimismo,i grossi gruppi finanziari
pretendevano risultati a brevissimo tempo,raccimolando a tutti i costi titoli senza
verificare il loro reale valore.

Con il crollo della borsa si è corsi ai ripari,ma la fiducia di chi temeva di perdere il
posto o delle banche che avevano bruciato miliardi dei risparmiatori era a terra.

Nessuno ha voluto più spendere per timore di perdere altre risorse forse  per far
riprendere la fiducia si dovrebbero stimolare i consumi,senza ingenerare  false speranze.

Si sappia che in tempi di recessione e gravi crisi chi ha Money s’arricchisce sempre di
più, il resto: il Popolo s’arrangi!!
Vale il motto: MORS TUA VITA MEA.
PENSIONATI D’iTALIA QUANTO CI COSTATE,  DIAMINE sopravvivete CON PENSIONI DA “”RE”

felpan 25 aprile 09

scritto da admin il 25 04 2009

Sono totalmente d’accordo con questa lettura ( non per niente sono una donna!) Chissà ,magari anche gli uomini (anche se non lo ammettono) si rendono conto che le donne hanno una marcia in più, che le donne siano effettivamente capaci di gestire i problemi e i conflitti all’interno del mondo del lavoro e della famiglia
Questo potrebbe generare uno stato di frustrazione e di perdita di identità. Gli uomini capiscono che anche dal punto di vista del comando – ciò in cui si sono sempre identificati – le donne sono più brave perché comandano in una maniera più morbida, più intelligente, più intuitiva, più empatica, e che in effetti hanno una marcia in più. Io sento spesso dire da uomini che il futuro è delle donne e lo dicono con amarezza. Gli uomini sono consapevoli che le donne in un futuro lontano prenderanno moltissimo spazio. Questo dà loro un senso di perdita di identità, sentono di aver perso il loro campo, il dominio sociale, la capacità di comandare perché poi anche dal punto di vista dell’emotività, della relazione sentimentale le donne – per un dato biologico, per via della maternità – hanno una capacità di lettura delle emozioni e dei sentimenti oggettivamente superiore. Quando per esempio una donna diventa premier rimangono spiazzati perché devono ammettere che una donna è capace di ricoprire il loro stesso ruolo e magari lo fa meglio

Ci sono paesi – come per esempio la Svezia – che fanno formazione per esempio di giornalisti tarata in maniera diversa a seconda che si tratti di donne o di uomini. Si parte dall’idea che una donna ha una sensibilità naturale, spontanea per certi temi e che in un uomo nella stragrande maggioranza dei casi non c’è…Sono convinto che col tempo spariranno le differenze di responsabilità e di valutazione economica nel mondo del lavoro tra uomo e donna…e voi cosa ne pensate? Ho inserito il video di una semplice casalinga che partecipando recentemente ad un programma televisivo inglese ha strabiliato tutti con la sua voce.

scritto da admin il 24 04 2009

Uno scritto di Flavio46

Parlare dell’amicizia non è cosa facile, talmente tante le cose che si potrebbero dire, e poiché il tema è stato affrontato sapientemente da numerosi filosofi e poeti, mi limiterò a citarne solo due certamente fra i piu grandi.
Aristotele riteneva che “L’amicizia è una virtù o s’accompagna alla virtù; inoltre essa è cosa necessarissima per la vita. Infatti nessuno sceglierebbe di vivere senza amici, anche se avesse tutti gli altri beni (e infatti sembra che proprio i ricchi e coloro che posseggono cariche e poteri abbiano soprattutto bisogno di amici; quale utilità vi è in questa prosperità, se è tolta la possibilità di beneficare, la quale sorge ed è lodata soprattutto verso gli amici? O come essa potrebbe esser salvaguardata e conservata senza amici? Infatti quanto più essa è grande, tanto più è malsicura). E si ritiene che gli amici siano il solo rifugio nella povertà e nelle altre disgrazie; e ai giovani l’amicizia è d’aiuto per non errare, ai vecchi per assistenza e per la loro insufficienza ad agire a causa della loro debolezza, a quelli che sono nel pieno delle forze per le belle azioni”.
(Aristotele, Etica Nicomachea, trad. it. in Opere, vol. VII, Bari, Laterza, 1983, libro VIII, cap. 1, pp. 193-194)
Cicerone nel “De Amicizia” si esprime in dettaglio e molto esaurientemente sull’argomento: “Mi sembra chiaro – egli dice – che siamo nati perché si instauri tra tutti gli uomini un vincolo sociale, tanto più stretto quanto più si è vicini. Così agli stranieri preferiamo i concittadini, agli estranei i parenti. L’amicizia tra parenti, infatti, deriva dalla natura, ma difetta di sufficiente stabilità. Ecco perché l’amicizia è superiore alla parentela: dalla parentela può venir meno l’affetto, dall’amicizia no. Senza l’affetto, l’amicizia perde il suo nome, alla parentela rimane. Tutta la forza dell’amicizia emerge soprattutto dal fatto che, a partire dall’infinita società del genere umano, messa insieme dalla stessa natura, il legame si fa così stretto e così chiuso che tutto l’affetto si concentra tra due o poche persone. L’amicizia non è altro che un’intesa sul divino e sull’umano congiunta a un profondo affetto. Eccetto la saggezza, forse è questo il dono più grande degli dèi all’uomo. C’è chi preferisce la ricchezza, chi la salute, chi il potere, chi ancora le cariche pubbliche, molti anche il piacere. Ma se i piaceri sono degni delle bestie, gli altri beni sono caduchi e incerti perché dipendono non tanto dalla nostra volontà quanto dai capricci della sorte. C’è poi chi ripone il bene supremo nella virtù: cosa meravigliosa, non c’è dubbio, ma è proprio la virtù a generare e a preservare l’amicizia e senza virtù l’amicizia è assolutamente impossibile.
Certo l’amicizia non deve essere una conseguenza dell’interesse, ma l’interesse conseguenza dell’amicizia.
E per capirla e parlarne bisogna averla conosciuta non solo in teoria ma soprattutto nella in pratica.
Bisogna diffidare da quelle persone fortunate dal carattere affabile, cambiano dopo aver ottenuto una carica pubblica o un successo, e disprezzano le vecchie amicizie e per farsene delle nuove.

Gli amici scelti devono essere dotati di fermezza, stabilità e coerenza – e di tali caratteristiche vi è grande penuria! E giudicare una persona senza metterla alla prova è davvero difficile, ma la prova è fattibile solo se si è instaurato il legame. Così, l’amicizia precorre il giudizio e finisce con eliminare la possibilità di fare una verifica.
Conviene sempre scegliere un amici sinceri e gentile che siano mossi dai nostri stessi sentimenti e che siano sempre in buona fede.
“Così accade in verità che l’amicizia non può esistere se non tra gli onesti. Infatti, è proprio dell’uomo onesto, che è lecito chiamare saggio, osservare che non vi sia niente di finto o simulato; infatti, è proprio degli animi nobili persino odiare apertamente piuttosto che celare il proprio pensiero dietro un falso aspetto. Inoltre non solo respinge le accuse fattegli da qualcuno, ma non è neppure sospettoso, pensando sempre che l’amico abbia commesso qualche errore.
Conviene aggiungere, infine, la dolcezza di parola e di modi, condimento per nulla trascurabile dell’amicizia. Il cattivo umore e la continua serietà comportano sì un tono di sostenutezza, ma l’amicizia deve essere più rilassata, più libera, più dolce, più incline a ogni forma di amabilità e di cortesia”.
Degno di amicizia è chi ha dentro di sé la ragione di essere amato. Specie rara! Davvero, tutto ciò che è bello è raro; niente è più difficile che trovare una cosa perfetta, nel suo genere, sotto ogni aspetto.
Di tutti i beni della vita umana l’amicizia è l’unico sulla cui utilità gli uomini siano unanimemente d’accordo. È vero che molti disprezzano la virtù e la considerano uno sfoggio, un’ostentazione; molti, che si accontentano di poco e amano un tenore di vita semplice, spregiano invece le ricchezze; e le cariche politiche, il desiderio delle quali infiamma alcuni, quanto sono numerosi quelli che le disprezzano, al punto da considerarle il culmine della vanità e della frivolezza! Allo stesso modo, quel che per gli uni è meraviglioso, per moltissimi non vale niente. Ma sull’amicizia tutti, dal primo all’ultimo, sono d’accordo, da chi fa della politica una ragione di vita a chi si diletta di scienza e filosofia, da chi, al di fuori della vita pubblica, si occupa dei propri affari a chi, infine, si dà anima e corpo ai piaceri. Tutti sanno che la vita non è vita senza amicizia, se almeno in parte si vuole vivere da uomini liberi.
L’amicizia, infatti, si insinua, non so come, nella vita di tutti e non permette a nessuna esistenza di trascorrere senza di lei. Anzi, se un uomo fosse di indole tanto aspra e selvaggia da rifuggire da ogni contatto umano e da detestarlo, non potrebbe tuttavia fare a meno di cercare qualcuno cui vomitare addosso il veleno della sua acredine.
Allora è vero quanto ripeteva, se non erro, Archita di Taranto: “Se un uomo salisse in cielo e contemplasse la natura dell’universo e la bellezza degli astri, la meraviglia di tale visione non gli darebbe la gioia più intensa, come dovrebbe, ma quasi un dispiacere, perché non avrebbe nessuno cui comunicarla.” Così la natura non ama affatto l’isolamento e cerca sempre di appoggiarsi, per così dire, a un sostegno, che è tanto più dolce quanto più caro è l’amico.
È vero: la natura stessa ci dichiara con tanti segni cosa vuole, cosa ricerca ed esige, ma noi diventiamo sordi, chissà perché, e non diamo ascolto ai suoi avvertimenti. In realtà, i rapporti di amicizia sono vari e complessi e si presentano molti motivi di sospetto e di attrito; saperli ora evitare, ora attenuare, ora sopportare è indice di saggezza. Un motivo di risentimento in particolare non va inasprito, per poter conservare nell’amicizia vantaggi e lealtà: bisogna avvertire e rimproverare spesso gli amici e, con spirito amichevole, bisogna accettare da loro gli stessi rimproveri se sono ispirati dall’affetto
Se, dunque, è indice di vera amicizia ammonire ed essere ammoniti – e ammonire con sincerità, ma senza durezza, e accettare i rimproveri con pazienza, ma senza rancore -, allora dobbiamo ammettere che la peste più esiziale dell’amicizia è l’adulazione, la lusinga e il servilismo. Dagli tutti i nomi che vuoi: sarà sempre un vizio da condannare, un vizio di chi è falso e bugiardo, di chi è sempre pronto a dire qualsiasi cosa per compiacere, ma la verità mai.
Del resto l’adulazione, per quanto sia pericolosa, nuoce soltanto a chi l’ammette e se ne compiace. Ecco perché è proprio l’uomo pieno di sé e tutto preso dalla propria persona a spalancare le orecchie agli adulatori.
È la virtù, sì è la virtù, o Caio Fannio e tu, mio Quinto Mucio, a procurare e a conservare le amicizie. In essa c’è armonia, stabilità e coerenza. Quando sorge e mostra la sua luce, quando vede e riconosce la stessa luce in altri, vi si avvicina per ricevere, a sua volta, la luce che brilla nell’altro. Si accende così l’amore, o l’amicizia (entrambi i termini derivano infatti da amare). E amare altro non è che provare per chi si ama un affetto fine a se stesso, indipendente dal bisogno e dalla ricerca di vantaggi. I vantaggi, tuttavia, sbocciano dall’amicizia, anche se non sei andato a cercarli.
Ma dal momento che la fragilità e la caducità sono componenti della vita umana, dobbiamo sempre cercare persone a cui dare amore e da cui riceverne: senza amore e affetto la vita perde ogni gioia.
Vi esorto dunque a collocare tanto in alto la virtù, senza la quale l’amicizia non può esistere, da pensare che nulla è più nobile dell’amicizia, eccetto la virtù.
(Vos autem hortor ut ita virtutem locetis, sine qua amicitia esse non potest, ut ea excepta nihil amicitia praestabilius putetis.)”

Autore: Flavio46     24 aprile  2009

scritto da admin il 24 04 2009

Questa lettera che andrete a leggere è stata inviata a Calcio dal suo amico avvocato che già gli aveva dedicato un’altra lettera(LETTERA AD UN CASALESE MAI NATO)pubblicata in riflettiamo.Invito Calcio a questo punto a far intervenire l’amico Avvocato a partecipare ai nostri dibattiti serali,previa ovvia iscrizione ad Eldy. Oltretutto in questi giorni abbiamo dato ampio spazio ad altri articoli che trattano questi temi.

Quanta ipocrisia….

Ieri mattina è venuta a trovarci una delegazione della Commissione Cultura della Camera dei Deputati. Com’era prevedibile ci sono stati sia cerimoniali che pose di rito, gli applausi, le belle parole e…discorsi vuoti.
Ormai negli ultimi tempi mi convinco sempre di più che un politico che si rispetti deve essere stato, durante il proprio cursus honorum, almeno una volta, nella mia amata e odiata città (questo dipende dai punti di vista!).
E magicamente dopo una “passatina” in auto blindate per qualche strada principale del paese (tra l’altro diverse di esse con buche enormi! sic!!), torneranno tutti alle loro amate e belle case, magari in un paese ricco del Nord, faranno conversazioni con i loro familiari, amici e sodali, nei loro bei salotti o in qualche puntata di Porta a Porta e potranno dire, con il petto gonfio e pieni di orgoglio, che sono stati a Casal di Principe e che lì “hanno combattuto la camorra”.
Come se combattere questi fenomeni volesse dire fare una gita: quando la smetteremo con queste ipocrisie? È come se decidessi, domani mattina, di andare in Iraq, magari viaggiando in qualche Hammer blindato, e nel fare ritorno a casa potessi dire a tutti “sono stato laggiù, ho attraversato fulmini, saette, razzi katiuscia e ho combattuto i kamikaze ed i terroristi di Al-Qaida”.
Applausi. Bravo. Complimenti. Ammazza che coraggio.
Questo sarà un modo per sentirsi soddisfatti.
Vedo spesso grandi esperti di camorra sui blog o nei programmi televisivi. Qualcuno si vanta di aver combattuto il fenomeno attaccando qualche adesivo sui pali della luce!
A volte pensano di conoscere gli orrori, le paure, le speranze, le sofferenze di questa terra senza sapere nemmeno dove si trova sulla cartina geografica.
Magari sanno che è nel casertano, o forse vicino alla Reggia di Caserta, o forse in qualche parte in Terra di Lavoro (sarebbe meglio dire terra di disoccupazione!).
Quanto durerà questa giostra mediatica dove ognuno vuole farsi un giro?
I riflettori accesi servono per aiutare un popolo martoriato a non morire con i propri carnefici o servono solo per osservare un cadavere che si deve decomporre?
Quando la collettività e lo Stato si faranno carico di questi problemi e cercheranno( insieme con noi sia chiaro) di risolverli? Non bastano centinaia di poliziotti, carabinieri (e chi più ne ha più ne metta) per dare speranza ad una comunità.
Ci vuole ben altro!
Dare delle opportunità di riscatto a chi pur da Casalese ha la voglia di impegnarsi e continuare a fortificare sempre di più il buono che pure c’è.
Ma in fondo ai “grandi esperti” basta essere saliti sulla giostra, e per il resto…chi se ne frega!
Emilio Lanfranco amico di Calcio

Ieri sui quotidiani italiani è apparso un video straziante indirizzato alle massime cariche dello Stato: Presidente della Repubblica, Presidente del Senato, Presidente della Camera, inviato da un malato di SLA che cerca di difendere i suoi diritti a vivere e morire come vuole lui e a non essere perseguitato da un accanimento terapeutico.
Paolo Ravasin, è malato di Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) e totalmente impossibilitato a muoversi, riesce ancora a parlare con enorme fatica.  Il 21 luglio 2008 aveva pubblicato un video-testamento biologico per garantire il rispetto delle proprie volontà in materia di scelte di fine vita. In particolare aveva espresso la volontà di rifiuto all’eventuale ricorso all’idratazione e all’alimentazione forzata. Oggi nell’imminenza dell’approvazione del DDL Calabrò, approvato il 26 marzo al Senato della Repubblica e di prossima discussione alla Camera dei Deputati, Paolo Ravasin si rivolge, con un nuovo messaggio audio-video, direttamente alle massime autorità dello stato italiano.
Vorrei riportare qui il testo del messaggio che  Paolo Ravasin ha affidato alla sua flebile voce. Più che un messaggio è una dura accusa, quella di un uomo molto malato che è sul punto di perdere la possibilità di decidere della sua vita.

Ravasin, il testo del videomessaggio
Al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
Al Presidente del Senato Renato Schifani
Al Presidente della Camera Gianfranco Fini
Caro Presidente,
scrivo a Lei, e attraverso Lei mi rivolgo a quei cittadini che avranno la possibilità di ascoltare queste mie parole, questo mio grido, che non è di disperazione ma carico di speranza umana e civile per questo nostro Paese.
Nella struttura in cui ero ricoverato precedentemente la macchina che mi consentiva di respirare si staccò per 18 volte in due anni e io dovevo, in apnea, spiegare al personale – che cambiava continuamente – come fare per riattivarla. Non avevo neanche un aiuto psicologico.
Tutto questo, però, non mi ha tolto la voglia di lottare per vivere e così ho ottenuto dapprima che queste lacune fossero, almeno in parte, colmate e in seguito il trasferimento in una struttura più adatta ad accogliermi.
Tuttora sto cercando di ottenere un comunicatore simbolico che mi consenta (usando gli occhi perché non riesco più a muovere nemmeno un dito) di parlare anche nei giorni e nei momenti in cui non ho voce, anche – mediante internet – con le persone che non sono fisicamente nella mia stanza.
Tuttavia, Signori Presidenti, non è facile convivere ogni giorno con dolori continui e crescenti e con la febbre che va e viene periodicamente, con i continui trattamenti antibiotici.
Perciò un anno fa ho sentito la necessità di redigere il mio testamento biologico, che poi ho voluto fosse ripreso anche con un video affinché la mia volontà fosse conosciuta e considerata insuperabile: ho stabilito la soglia in cui non ritengo più la mia vita debba essere portata avanti a tutti i costi e ho chiesto che si avesse rispetto della mia decisione.
Con grande tristezza ho appreso la notizia dell’approvazione al Senato della legge, formalmente sul testamento biologico, ma sostanzialmente contro il testamento biologico, che rende carta straccia le mie direttive anticipate ed in particolare la mia decisione di non sottopormi ad alimentazione e nutrizione artificiali quando non sarò più in grado di nutrirmi e bere naturalmente. Queste non sarebbero più rifiutabili stabilendo, per di più, che circa le altre indicazioni, esse non saranno vincolanti per il medico ma una sorta di “consiglio”.
Io non sono, Signori Presidenti, né un medico né un giurista ma credo sia sufficiente essere una persona che si tiene informata per capire che se è vero che l’articolo 32 della Costituzione impedisce di sottoporre un individuo ad un trattamento sanitario contro la sua volontà e se è vero che, come sancito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’alimentazione e l’idratazione artificiali sono dei trattamenti sanitari a tutti gli effetti, allora è anche vero che questa legge – che non consente a me, che sono pienamente capace di intendere e volere, di rifiutare tali trattamenti – è manifestamente anticostituzionale.
Mi viene sottratta l’unica libertà che mi è rimasta: quella di poter decidere sulla mia morte. Ognuno di noi alla fine dei suoi giorni è solo di fronte alla morte, ma lo Stato e la Chiesa hanno preteso di sostituirsi a Dio.
Nel ringraziarVi anticipatamente per l’attenzione chiudo citando ancora una volta Welby: “Io credo che si possa, per ragioni di fede o di potere, giocare con le parole ma non credo che per le stesse ragioni si possa giocare con la vita altrui”.  Paolo Ravasin (21 aprile 2009)

Si sta aprendo un nuovo caso Welby o Englaro?

Sentire le vostre argomentazioni a riguardo può essere molto interessante

anatre-coreane

Di fronte ai problemi dell’ambiente, si prova spesso una sensazione di impotenza. Si parla di diritto all’ambiente nel senso della fruizione, dell’uso da parte dei cittadini. Ma quasi sempre in termini astratti, di “battaglia”, quando non si vuole che la natura sia destinata ad altri usi, quelli produttivi, ad esempio: per la costruzione di case, di strade, ecc.
Ma l’ambiente per cui si combatte non è amato, condiviso. E perciò non è realmente goduto.
Basti considerare come sono ridotti in poco tempo quei prati, quei fazzoletti di terra, quei giardinetti “strappati” dai comitati di quartiere ai costruttori di turno, alla speculazione. Dopo la lotta rimangono abbandonati, spelacchiati, deserti.
La salvaguardia della natura, dell’ambiente, è affidata emblematicamente alla periodica raccolta delle cartacce e dei rifiuti da parte di Legambiente, con la partecipazione di uomini politici, in particolare sindaci e presidenti di municipi, bambini, anziani.
Non è su queste basi che si tutela davvero la natura. Occorre amarla, considerarla la nostra cornice di vita, il nostro habitat, compenetrare in essa le nostre vicende.
Ma sembra che della natura non importi niente ai cittadini.

Lorenzo.rm            23 aprile 2009

 

Mi è tornato in mente in questi giorni un assunto diquarant’anni fa di Erich Fromm che scriveva:
“E’ difficile localizzare la nostra esatta posizione nell’arco storico che porta dall’industrialismo del XIX e  XX secolo al futuro. E’ più facile dire dove non siamo.
 
Non ci muoviamo verso un maggiore individualismo ma stiamo diventando una civiltà di massa sempre più soggetta  alla manipolazione”.

Son passati quarant’anni, gli avvisi dati sono passati inascoltati; la manipolazione continua in questi anni è stata così intensa da non farci rendere conto della realtà attuale.
Auspicando  una “rivoluzione della speranza”,chiariva cosa la speranza non è: non è aspettare che qualcosa avvenga, è adoperarsi affinchè il cambiamento si realizzi.

 La speranza, nel passaggio dalla passività all’attività, è rivoluzionaria!!
Qualche giorno fa il capo del Governo (governare significa anche “prendersi cura di……”) annunciava, senza chiarire, una sua rivoluzione.
Nel momento in cui lo dice si rende conto che i più gli crederanno in quanto la sottile manipolazione è tale da confondere una speranza inconscia con la speranza conscia. Quando promette agli infausti abruzzesi: “a settembre basta tende”, la speranza conscia (quella ragionata) porterebbe a dubitare di quello che sente;  viceversa la speranza inconscia lo porta a credere, ad illudersi di avere presto un tetto e pareti solide. Un dato è sicuro ad oggi il 53% delle abitazioni sono agibili, un altro 15% è recuperabile e siamo a quasi il 70%.
Un buon 10% si accontenterà di uno ospizio, di un albergo o sarà disposto a trasferirsi altrove, e ci sarà chi troverà disponibilità in seconde case di parenti e amici.
Resterà una piccola percentuale insoddisfatta   in dei prefabbricati (elettoralmente inespressiva). “Bisogna accontentarsi” sarà il messaggio subliminale “non possiamo fare tutto subito”.

 E qual è la seconda manipolazione?

 E’ questa: non aver fatto niente per quell’80% che ha sperato passivamente e ottenuto tanto (ovvero nulla perche le case non erano inagibili o comunque erano facilmente recuperabili), che non si rendono consciamente conto di questo ma conserveranno nei futuri passaggi in cabina elettorale il ricordo del buon Governo.
 
Tornando a ruota alla rivoluzione accennata dal governatore (anche la stalla si governa) qual’è questa sua rivoluzione? Cosa dobbiamo aspettarci?
 Niente paura è solo manipolazione:dare l’mpressione di un cambiamento  improvviso innestando l’attesa. 
 Aspettare sempre, quindi speranza passiva, alla fine tutti saranno felici di
 essere semplicemente vivi dopo una rivoluzione che non c’è stata ma che se ci fosse stata chissa cosa avrebbe generato.
 Così muore la capacità di distinguere il falso dal vero, il conscio dall’inconscio.

Francesco 8bg  23 aprile 2009