lui
Personaggio straordinario questo medico e scrittore svedese: Dedicò all’Italia, sua terra d’adozione,  gran parte delle energie, intervenendo come medico nel corso di eventi drammatici accaduti nel nostro Paese.
Di famiglia fiamminga, studiò medicina alla Sorbonne di Parigi, e fu allievo e grande ammiratore di Jean-Martin Charcot, illustre neurologo, seguendone le orme.
Le lezioni di Charcot, alla “ Salpetrière” divennero spesso una sorta si “spettacolo”, in cui l a sua indiscussa competenza clinica si fondeva col suo carisma un po’ narcisistico e teatrale. Celebri le sue “isteriche”. Erano le sue pazienti che, nelle affollatissime lezioni, si producevano, “sotto la sua guida”, in accessi di crisi epilettiche che lo reseo famoso in tutta Europa.
Ebbene, Munthe seguì a lungo il maestro e ne praticò gli  insegnamenti altrove.
Egli esercitò la sua professione  a Roma e a Napoli, dove prestò la sua opera ai colerosi, durante un’epidemia. Lo stesso impegno lo profuse a Messina, durante il disastroso terremoto del 1908, soccorrendo gli sventurati.
Successivamente, dopo aver partecipato alla Prima Guerra Mondiale come medico militare, giunse per la prima volta ad Anacapri e decise di stabilirvisi definitivamente e di esercitare la professione di medico condotto,
Non appena mise piede sull’isola, Munthe si  innamorò di una piccola cappella medioevale dedicata a San Michele, circondata da un gran vigneto, che celava resti di una villa romana, tant’è vero che, durante gli impegnativi lavori di costruzione, furono portati alla luce numerosi reperti archeologici.
Per realizzare lo splendido giardino, Munthe acquistò tutta la montagna sovrastante, facendo costruire cisterne per raccogliere l’acqua piovana  da utilizzare per l’irrigazione. Concepì egli stesso il progetto della villa e ne seguì i lavori personalmente.
Era sempre più viva nella sua mente l’idea di un’abitazione speciale……”la mia casa deve essere aperta al sole, al vento, alla luce del mare come un tempio greco e luce, luce ovunque”.
Purtroppo Munthe non poté godere la sua creatura fino in fondo: dai primi anni del ‘900 cominciò a perdere la vista e, a causa della luce troppo violent, che imperava nella villa San Michele,  fu costretto a trasferirsi nella più ombrosa Torre Materita.La sfinge nella villa di Axel Munthe
Egli fu anche un gran cultore dell’arte, un filantropo e un deciso animalista. Al fine di proteggere gli stormi di uccelli migratori, che  periodicamente, attraversavano  i cieli dell’isola, decise di acquistare il terreno del Monte Barbarossa, per offrire ai volatili una zona protetta. Oggi tale zona fa parte di una splendida riserva naturale.
Munthe scrisse anche molti libri, ma il più famoso, senza ombra di dubbio, fu “La storia di San Michele”, nel quale descrive, spesso con molta fantasia, la storia della sua vita.
Non mancò, altresì, di descrivere la raccolta dei reperti archeologici, custoditi oggi all’interno della Villa San Michele, diventata oramai un museo. Alcuni reperti furono ritrovati, in seguito ad ispirazioni oniriche, come la sfinge  in granito, che troneggia dal pergolato, rivolta verso il mare, circondata da uno scenario mozzafiato.
Il suo libro non ha mai smesso di esercitare il suo fascino magico, tanto da essere tradotto in innumerevoli lingue  e diventare uno dei più letti, dopo la Bibbia!
Nel giugno del 1943 Munthe, col declinare della sua salute, lasciò per sempre Anacapri, per trascorrere il resto della sua vita a Stoccolma, presso  re Gustavo. Prima della sua morte, firmò un testamento nel quale donava Villa San Michele e tutti i suoi averi allo stato svedese.
Si spense l’11 febbraio 1949 all’età di 92 anni.
villa1Axel  Munthe  voleva assolutamente costruire Villa San  Michele, ma occorreva molto denaro, quindi fu costretto a svolgere la sua professione di medico di lusso a Roma per procurarselo. Appena gli era possibile, scappava ad Anacapri per controllare i lavori sul terreno che aveva acquistato, dove c’era già una casupola, i resti di un’antica cappella medievale e un grande giardino, dove aveva già trasferito i suoi animali preferiti. Ecco il racconto di una di queste sue visite:

“Sì, tutto andava bene a San Michele, grazie a Dio. Niente era successo ad Anacapri, come al solito nessuno era morto. Il parroco si era storta una caviglia, alcuni dicevano che era sdrucciolato mentre scendeva dal pulpito la domenica precedente, altri che il parroco di Capri, che tutti sapevano che era jettatore, gli aveva fatto il malocchio. Il giorno precedente il canonico Don Crisostomo era stato trovato morto nel suo letto, giù a Capri. Egli stava benissimo quando si era coricato, era morto nel sonno.
Nel giardino il lavoro continuava come sempre. Mastro Nicola aveva trovato un’altra testa di cristiano mentre buttava giù il muro del chiostro.
I cani avevevano avuto il loro bagno ogni giorno a mezzodì e gli ossi due volte la settimana, secondo la regola. La piccola civetta era di buon umore. La “mongoose” era stata in piedi notte e giorno, sempre alla ricerca di qualcosa o di qualcuno. Le tartarughe sembravano felici nella loro tranquillità.
“Era stato buono Billy?”  (il  babuino)
“Sì”, Elisa si affrettò a rispondere, Billy era stato molto buono, “un vero angelo”!.
Mi pareva che non sembrasse affatto un angelo, mentre dalla cima del suo ficco mi guardava sogghignando. Contrariamente alla sua abitudine, non scese a darmi il benveuto. Ero certo che aveva commesso qualche marachella, non mi piaceva l’espressione della sua faccia. Era proprio vero che Billy era stato buono?
A poco a poco la verità si fece strada. Lo stesso giorno della mia partenza, Billy aveva gettato una carota in testa a un forestiero che passava sotto il muro del giardino, rompendogli gli occhiali. Il forestiero si era arrabbiato molto e avrebbe sporto denunzia a Capri. Il giorno dopo c’era stata una terribile lotta fra Billy e il fox-terrier, tutti i cani si erano gettati nella zuffa, Billy aveva lottato come il demonio e aveva tentato perfino di mordere Baldassarre quando aveva cercato di separare i contendenti. La battaglia si era arrestata improvvisamente coll’arrivo della “mongoose”, Billy era saltato sull’albero e tutti i cani se l’erano svignata, come facevano sempre quando arrivava il piccolo animale. Da allora  i cani e Billy erano diventati nemici, e questi si era perfino rifiutato di continuare ad acchiappare le loro pulci. Billy aveva dato la caccia al gattino siamese per tutto il giardino e alla fine se l’era portato in cima al fico e gli aveva strappato tutti i peli. Billy aveva continuamente irritato tutte le tartarughe. Amanda, la tartaruga più grande, aveva fatto sette uova, grosse come quelle di piccione, e dovevano essere covate dal sole, e Billy le aveva inghiottite in un baleno. Erano stati almeno attenti di non lasciare delle bottiglie di vino a portata di mano? Ci fu un sinistro silenzio. Pacciale, il più fidato del personale, finalmente ammise che in due occasioni Billy era stato visto uscire furtivamente dalla cantina con una bottiglia per mano. Tre giorni prima tre altre bottiglie erano state scoperte nell’angolo della casa delle scimmie, accuratamente sepolte sotto la rena. Secondo le istruzioni, Billy ra stato subito rinchiuso a pane e acqua nella sua casetta, in attesa del mio ritorno. La mattina seguente la casa delle scimmie era vuota; Billy si era liberato durante la notte in modo inesplicabile, le sbarre erano intatte, la chiave del lucchetto in tasca a Baldassarre. Tutti avevano cercato invano Billy per tutti il villaggio. Baldassarre l’aveva finalmente preso proprio questa mattina in cima alla montagna di Barbarossa, profondamente addormentato, con un uccello morto in mano. Durante questa inchiesta Billy stava seduto in cima al suo albero, guardandomi con aria di sfida; non c’era nessun dubbio che capisse ogni parola di quello che si diceva. Erano necessari seri provvedimenti disciplinari. Le scimmie, come i bambini, devono imparare a ubbidire fino a quando possono imparare a comandare. Billy cominciò a sembrare inquieto. Sapeva che io ero il padrone, sapeva che potevo acchiapparlo col lasso come spesso avevo fatto, sapeva che la frusta nella mia mano era per lui. I cani lo sapevano altrettanto bene e sedevano in cerchio intorno all’albero di Billy, dimenando le code con la coscienza pura e godendosi in pieno la situazione. Ai cani non dispiace di assistere alla scudisciata data a qualcun altro”.

salto tiberio

Giovanna3.rm     27/ 11/ 2009

scritto da paolacon il 26 11 2009
scritto da paolacon il 25 11 2009

Le due lettere-riflessione di Giulia e di Alba hanno raccolto una buona sessantina di interventi, quasi un record. Anche persone che normalmente non commentano, l’hanno fatto, hanno sentito il bisogno di dire la loro. È un problema molto sentito allora in Eldy questo?
Ma leggendo tutti questi commenti c’è una cosa macroscopica che salta agli occhi: la maggior parte tende a non analizzare il problema esposto, in maniera larga, ma soltanto a vederne l’aspetto personale. In quasi tutti c’è l’inclinazione a riproporre pubblicamente le proprie personalissime beghe, alcune delle quali poco hanno a che fare con Eldy e in particolare con il tipo di problematica presentata con le due lettere-riflessione.
Secondo me, dai commenti osservati, emerge che è come se si fosse svisato lo spirito di Eldy, che dovrebbe essere, nell’intento dei fondatori, un piccolo spazio sereno, per divertirsi, rilassarsi e passare il tempo se si è soli, scambiare idee, suggerimenti e tenersi compagnia. È tutto, non si pretende di più da una chat.
Invece, come molti notano, è diventato un palcoscenico, un trampolino, un pulpito, un posto per competizioni (di che poi?).
Uno degli ultimi commenti alla lettera di Giulia, quello di Edismaria, ha messo bene a fuoco il problema: “siamo come dei bambini incontentabili” e mi ha ricordato la lettera in cui Semplice ci diceva le motivazioni per cui aveva deciso di andarsene. In quell’occasione facemmo il punto sullo stato di Eldy, ma che cosa è cambiato? “Nulla è cambiato” come commenta carlotta.an.
Dobbiamo renderci conto che i gruppi d’elezione ci sono, ci sono sempre stati in tutta la nostra vita: a scuola, al lavoro, nelle attività sportive, perché non ci dovrebbero essere in Eldy. È normale preferire di comunicare con una persona, per la quale sentiamo affinità, piuttosto che con un’altra, con cui non abbiamo molto in comune. Il punto serio è quello di non fare barriera, essere accoglienti anche con gli altri.

Dovremmo farci tutti un mea culpa, chi per un verso  e chi per l’altro, visto che la ragione e il torto non sono mai da una parte sola; cerchiamo di metterci in testa che non possiamo piacere a tutti e naturalmente tutti non ci possono piacere e non cerchiamo di imporre, a ogni costo, le nostre idee. La convivenza è anche questo. In Eldy si convive.

Rimbocchiamoci le maniche e cerchiamo di renderla più vivibile questa chat ed ogni volta che stiamo per “litigare” o per rispondere acidamente tacciamo e evitiamo il conflitto. Ci guadagniamo tutti. Da parte sua, spero che la direzione di Eldy, cerchi di combattere al meglio, il fenomeno dei doppi e tripli nick, usando tutti i mezzi possibili.

Facciamo in modo che non fallisca l’intento di Eldy, che ha fatto del bene a tanti di noi.

E a questo proposito mi piacerebbe suggerire che portiate le vostre testimonianze personali:
Eldy, quanto veramente ha influito nella vostra vita?
Quanto vi è stata utile?
La vostra vita è cambiata rispetto a quando non chattavate in Eldy?

Paolacon      25/11/2009


Domenico.rc, visto l’argomento trattato nelle due lettere di Giulia e di Alba, ci manda questa testimonianza che gli è stata affidata.


Con tanto entusiasmo mi sono avvicinata a questa chat. Avevo bisogno di trovare conforto, di fare nuove amicizie, che fossero diverse da quelle che frequentavo da tanto tempo. Le sentivo sempre vicine, era rimasto anche dell’affetto, ma trattandosi  di rapporti abbastanza limitati, ormai non suscitavano più  interesse per me. Iniziai quasi per gioco questo viaggio nel virtuale, con una precisa convinzione di restarci per poco tempo. Dopo averne sentito tanto parlare, sapevo di dover fare attenzione e di dovermi avvicinare a questa nuova esperienza con cautela. In poco tempo sono riuscita a conoscere diverse persone e cercavo di crearmi un mio spazio. Avevo anche riscosso  una certa  considerazione, che mi coinvolgeva sempre più  in questo meraviglioso viaggio, e mi stavo convincendo che sarei diventata importante. Amici, o presunti tali, si contavano a iosa, discorsi da affrontare tutti i giorni  mi davano grandi soddisfazioni. Cari amici, vi confesso che, in modo inaspettato venivo coinvolta totalmente, a tal punto che non sapevo più come fare se, anche per un solo giorno, per motivi diversi,  non potevo entrare in chat. Era come se mi venisse a mancare l’aria o il pane quotidiano. Questa consuetudine faceva ormai parte, prepotentemente, della mia vita. Cercavo di farmene una ragione, sia pure con una certa riserva, pensando che, se fossi uscita, il distacco sarebbe stato traumatico e mi avrebbe procurato una grande sofferenza. Tutte queste considerazioni, alle quali mi appigliavo, con un semplice clic svanivano come per incanto. Aprendo quella macchina infernale, dimenticavo i buoni propositi, incominciavo a chattare, noncurante dei pericoli che avrei potuto correre. Ciao bello, ciao cara, che fai questa sera? Cominciavo così le mie entrate in chat, dopo aver fatto un generale saluto agli amici presenti. Andavo avanti così per ore, con piena soddisfazione. Tra  chiacchiere senza senso e discussioni interessanti, mi capitò di osservare  un Nick dall’apparenza irrilevante, che cominciò, invece, ad assumere molta importanza, giorno dopo giorno. Riuscìi a stabilire un certo feeling con questa persona, con la quale trascorrevo  la maggior parte del mio tempo,  tra risate e scherzi e mi accorsi, pian piano, che mi stavo  innamorando. Quest’amicizia era iniziata in sordina  stava ora diventando qualcosa di fondamentale, in questo affascinante  viaggio nel virtuale. Fui colta  da un certo timore per ciò che stava accadendo ma, nello stesso tempo, ero  felice,  perché era successo qualcosa di stupendo, di inaspettato, anche per chi, come me, aveva avuto precedenti esperienze amorose. Un po’ incredula e anche indecisa per questa nuova realtà, pensai bene, per diversi giorni, di non entrare più in chat. Cominciavo anche ad avvertire una certa paura, che andava man mano aumentando. Sentivo tutti  gli sguardi addosso, forse giudicata un po’ leggera dagli amici che mi conoscevano da tanto tempo. Facevo solo qualche breve puntata in chat, solo per vedere se il mio amore eri lì ad aspettarmi, poi scappavo, presa da una paura spaventosa, e mi rifugiavo  nel solito angolino, come facevo da bambina. Mi martellavo con infinite domande, e la mia mente non faceva altro che partorire discorsi senza senso. Volevo confessare  quanto accaduto a qualcuno, il timore di  non essere capita e forse anche derisa, mi frenò.  Un certo giorno, munita di coraggio, che quasi mi sorprese, decisi di affrontare l’argomento a viso aperto. Scoprii che il mio amore era da tempo sposato.
Scoppiai in un pianto dirotto. Mi ero presa una brutta cotta per una persona che, nascondendosi dietro un Nick e, sentendosi protetta da questo schermo maledetto, si era presa gioco di me, trascinandomi per mano in questa avventura che,  in realtà, poteva  lasciare solo l’amaro in bocca. Se fosse stato sincero, in nome dell’amicizia che si era stabilita tra noi, forse oggi non mi sarei trovata qui, sola e disperata. Ecco, adesso quegli avvertimenti  che mi erano stati dati sulla chat, mi tornavano tutti in mente, ora sì mi rendevo conto quanto fossero veritieri! Quelle persone, prima di me, ne avevano fatto le spese ed io, in modo insensato, non ho voluto crederci.  Ora è toccato a me. Cari amici, ora sono io a dirlo a voi: divertitevi quanto volete, ma come con un clik aprite, allo stesso modo e al momento opportuno chiudete, se avete ancora rispetto per voi.
(Confidenze raccolte da un’amica, e buttate giù su due piedi, per rappresentare un risvolto di chat, che  può capitare a chiunque).
Domenico.rc 25/ 11/ 2009

Avete visto il video??  Carino vero!
Sapete cosa pensavo quando me lo gustavo sia a vederlo che sentirlo?
Quanto di vero c’è dentro a quel filmato?
Noi anziani moderni, che usiamo la tecnologia, ci lasciamo prendere come questa fosse una droga.
Molto spesso ci sediamo lì al computer senza magari nemmeno lavarci il viso, le donne con i bigodini in testa la sigaretta in bocca.
Tanto chi ti vede!
Presi da una discussione, magari contro il fumo, siamo i primi a condannare i suoi danni.
Tanto chi ci vede!
Noi tiriamo in quel momento una sana boccata di fumo dalla nostra sigaretta.
Tanto chi vede!
Per non parlare dell’arte culinaria: donne che descrivono la preparazione dei loro lauti pranzi
con i vari manicaretti.
Tanto chi ti vede!
La realtà è ben altra…
Quante cose si possono dire (o non dire) tramite uno schermo…

Ho portato due piccoli esempi di bugie, per non parlare dei pettegolezzi, con il gusto di guastare la giornata a qualcuno.
Questo per me è il danno maggiore.
Ma perché sono nate le chat?
Per dialogare, per creare amicizie, come in ogni cosa buona che l’uomo crea ci deve essere lo zampino di Satana che fortunatamente rappresenta la minoranza.
Esistono due cose che non si possono nascondere dietro ad uno schermo.
Esse vengono percepite in una maniera non chiara.
L’arroganza e  il desiderio di primeggiare.
Due grandi difetti.
Mi piace come tanti di noi parlano dell’amicizia senza neppure rispettare il prossimo.
Poi perché, per che cosa, con che gusto?
Penso che non serva scrivere con paroloni i concetti più palesi della buona educazione e del rispetto degli uni con gli altri
Questo che ho scritto non è una morale per nessuno è una riflessione per tutti

Avete altri esempi da portare o osservazioni da condividere?
albamorsilli 24/ novembre/ 2009

tiparla.jpg Cari amici Eldyani, stamattina mi è venuta voglia di scrivervi una lettera “giusto per riflettere un po’ ”. Per iniziare vorrei dirvi cosa è stata per me Eldy,  circa due anni fa mi sono ritrovata, da  una situazione di relativa tranquillità, una bella famiglia, tre splendidi figli, catapultata in una situazione dalla quale si può solo o lasciarsi morire, o tirarsi  su le maniche e decidere che non puoi farlo, perché i  tuoi  figli hanno comunque diritto di vivere e tuo dovere è permettere che possano farlo, nel migliore dei modi.
In quella situazione di disperazione … vedo al tg3:  “esiste una chatt per over 50 dove le persone possono scambiarsi opinioni, consigli, solidarietà ”…penso tra me e me, che bella idea (per me completamente digiuna di cosa sia una chat) forse posso uscire da questa solitudine che, comunque anche se non cercata … è normale nelle situazioni di lutto … perché anche le persone a te care, improvvisamente si staccano (la giustificazione è per non disturbare), io invece penso che in queste situazioni la vicinanza di chi ti è amico è importantissima …, specialmente alla sera quando tutte le luci si spengono … e tu ti ritrovi da sola con i tuoi pensieri e le tue disperazioni.
Chiedo a mio figlio, mi scarichi questo programma? Sai è per vecchietti (ahahahha)bg-portrait6

Ricordo come fosse ieri, Brescianella per prima che  mi accoglie ciao Giulytec  (il mio primo nick ) e poi di seguito Pier50, Aldo roma, e soprattutto Franca.to e poi altri …quante sere serene passate a raccontarci i nostri guai… a cercare di trovare comunque un sorriso anche in tanta disperazione .
Tante le persone incontrate,  …tanti momenti sereni condivisi.bg-portrait2
Quella strana sensazione che un po’ tutti abbiamo provato …di non vedere l’ora di connettersi per ritrovare le persone che tu credi “amici”.

Poi d’improvviso tutto cambia …invidie, cattiverie, ripicche, cos’è successo alla nostra bella Eldy?  Cosa sono questi continui cambi di nick? Cosa nascondono? E soprattutto cosa provocano? Provocano diffidenza, mal contento, abbandono, uomini che mettono nick da donna, donne che mettono nick da uomo, persone che hanno due, tre, quattro nick? Uno per parlare con te … uno per leggerti di nascosto? Credo che sia un vero peccato, ma non voglio generalizzare, penso che ci siano tante “belle” persone e alla lunga si riconoscono. Un’ultima cosa: scusatemi se a volte vi sembro “altezzosa” perché non accetto smancerie, non è superbia la mia, credo che il rapportarsi con il dovuto rispetto per l’altro, sia la base della buona convivenza e che eviti tanti spiacevoli fraintendimenti.     bg-portrait8

Un abbraccio circolare…

Giulia 24/11/2009

Premessa all’articolo di lorenzo.an
prima di leggere quello che lorenzo intende dire, diamo la definizione di “esistenzialismo”, presa dal vocabolario della lingua italiana (Zingarelli Ed.Zanichelli)
Complesso di indirizzi filosofici contemporanei che affermano il primato dell’esistenza sull’essenza e hanno per oggetto l’analisi dell’esistenza stessa, intesa come categoria comprensiva di tutte le cose che sono al mondo
E adesso l’articolo di Lorenzo.an

Chi non si è mai chiesto: “ Che esistenza avrò in questo mondo?” Penso che nel mondo ci siano pochissime persone che non lo abbiano detto, al contrario ci possono essere delle genti che ignorano completamente la vera esistenza di se stessi in un mondo falso, ambiguo, molto intraprendente, futile verso i problemi di tutti i giorni e altri che ignorano a cosa servono, e forse abbiamo detto noi stessi: “ Che cosa sono queste genti, che vogliono tutto e subito?”.
Le apprensioni della nostra vita, sono la causa di cui, ognuno di noi crede di risolvere con i soldi, la felicità, pensando che gli altri facciano le stesse cose, le nostre abituali presenze ”mancano”, verso chi ne ha veramente bisogno e dare un vero contributo verso chi non ha niente da mangiare, ha malattie che stanno uccidendo la loro storia di vita di uno stato, di un paese sconvolto da guerre fratricide o vivere dignitosamente, amare la vita nel vero senso della parola, senza guerre civili che durano da anni, senza aver il problema della fame nel mondo, senza avere interessi che ledano le altre persone, per fare di noi degli affaristi e basta, il contributo che dovremmo dare, sta nella nostra coscienza di intellettualità, di costituzionalità, degli stati membri della Terra, di un pianeta dove tutto e tutti dovremmo essere artifici di un mondo felice e prosperoso.
E’ mai possibile che ognuno di noi viva solo per se stesso? Se mi ricordo bene, ogni umano è fratello dell’altro, leggevo su un libro questa frase, penso che quasi tutti noi italiani abbiamo letto: ”la Bibbia”,  o chi lo ha fatto di sua spontanea volontà. ” E’ stato forse deriso, o messo nelle patrie galere?  Certo che è successo, ma con quali conseguenze per l’umanità? Se è vero che è successo chi dunque si proclama padrone degli altri, con quale diritto diventa padrone di noi e della nostra esistenza? Vivere ogni giorno pensando che sia l’ultimo, è questo che vorremmo per noi e per la nostra progenie? Nessuno chiede di ammassare denaro o fare, accumuli di sapienza, per sapere più degli altri, ma ognuno di noi si crea la propria esistenza guidata dall’intelletto che si è costruito leggendo, scrivendo, appassionandosi a un lavoro che gli piace, o dando il meglio di se stesso alla comunità.
Il più grande problema dell’umanità è costituito dall’analfabetismo, il 50% (e mi sono tenuto alto come media) non sa  né leggere né scrivere; se a noi ci hanno dato questa possibilità, mettiamola al servizio di chi non può, vi troveremo la nostra educazione, la nostra parola verso chi non può farlo, un disegno di legge umanitario che dia la possibilità a chi non può, un aiuto maggiore se tutti e dico tutti, dessero una mano affinché ogni umano possa dire io c’ero, ho dato il mio contributo a questa umanità terrestre.
Di ricordi di infanzia ne abbiamo tanti, ma quanti di noi, da ragazzi, abbiamo detto: ”che stanchezza di questa scuola”, ma non è meglio andare a giocare a pallone, o al cinema, magari con l’amichetta di quel periodo, andare ai giardini a sbaciucchiarsi e fare seghino (è un detto che da noi vuol dire saltare la scuola). Credo che siano pochissime le persone che possano dire: “io non l’ho mai fatto”, ma abbiamo dato il meglio affinché lo studio ci dia la forza di andare avanti nella vita, chi ha studiato di più, chi ha studiato di meno, ma ha studiato, questo è l’importante, nessuno ci ha precluso di andarci per il troppo sapere, al contrario ci hanno inculcato ogni più piccolo aiuto della o nella scuola. Chi di noi, come me, ha perso i propri genitori in guerra, sa quali sacrifici hanno fatto i nostri parenti per farci studiare, e le assenze che si facevano, ci hanno dato sprone a migliorarci, non a smettere, magari vedendo l’amico di scuola trovare un lavoro più bello e magnifico perché aveva studiato e, o sentirsi sotto di lui come una persona che non ha studiato.
Come vorrei un mondo dove tutti possono studiare, lo so è una chimera, ma se ognuno di noi si impegna a dare il proprio contributo ciò che ora è una chimera può diventare una realtà, le speranze di molti sono le occasioni di tanti, non fare una guerra, ma dare a ogni popolo la speranza che il futuro diventi migliore, le occasioni sono tante e, per tutti, vi è la speranza che l’intelletto di ogni umano sia per sempre l’esistenza di tutti noi, che abbiamo dato una mano a migliorare la vita di ogni popolo.
Lorenzo.an   23 novembre 2009

Premessa per aiutare il lettore, ammesso che ce ne siano.
Molti anni fa, era tradizione che davanti alle abitazioni, vi fosse una siepe di Bosso, in dialetto “bùssilo”. Era la siepe dei poveri. Della gente semplice. L’ornamento sempreverde e profumato del paese. Nascondiglio sicuro per i giochi dei bambini…

———————————————————-bosso.palla.verde
Caro bùssilo. Ti ricordi quando da bambino cercavo dentro le tue siepi i nidi di pettirosso, di merlo e di capinera? Tu li nascondevi tra i rami folti ma io, piccolo diavoletto, entravo nella tua casa e in quel labirinto verde scoprivo i tuoi segreti. Però, tu sai che ti volevo bene e tenevo sempre nella cartella della scuola, o nel taschino del giacchetto un ramoscello delle tue fronde odorose. Così facevano tutti i ragazzi. Le ragazze s’infilavano nei capelli ciuffetti fatti con le foglioline più verdi, per apparire più belle.
Mio nonno e il babbo, ti apprezzavano ancora di più: sapevano che eri utile. Quanti manici facevano con i rami più grossi: l’impugnatura per i coltelli, per le accette, per le falci…anche i loro bastoni erano di bùssilo; e perfino i cannelli delle botti e i vari attrezzi per i telai.
Nelle feste paesane ricoprivi la strada dove passava la processione, con le tue foglie profumate miste a mortella, timo e petali di rose.
Ornavi anche gli altari della chiesa e le tombe del Cimitero. Davanti alle case, ti sentivi il guardiano: le abbellivi e racchiudevi in una cornice verde l’intimità della famiglia.
Ora sei vecchio e rinsecchito. T’allunghi verso il cielo come una pianta selvaggia. Tu che bello e ordinato accoglievi l’ospite e il viandante. Delineavi e indicavi il sentiero che conduceva all’orto, alla stalla, alla vigna, al seccatoio. Proteggevi la piccola chiesina sul colle dai venti di tramontana.
Ed io, ora, seduto al tuo fianco, con le tempie ormai grigie, mi accorgo quanto tempo è passato, mentre in un turbinio di pensieri, di ricordi, di nostalgie, guardo il mio mondo … oltre la siepe di Bùssilo.bosso

Giulio Salvatori 23 novembre 2009

anzianiPer alcuni è un sogno, per altri uno spauracchio da rimandare più in là possibile; in ogni caso, il momento in cui ci si ritira dal lavoro è un passaggio fondamentale e carico di significati. Desiderato o temuto, è comunque un cambiamento radicale che determina un certo grado di stress.
Già nel periodo che precede il pensionamento si alternano speranze e paure, progetti e incertezze. Ci si trova in una specie di limbo; non si appartiene ancora alla categoria dei pensionati, ma non si è più neanche del tutto parte del mondo dei colleghi, che guardano con un misto di invidia e compassione chi sta per andare via.
L’ingresso nel mondo del lavoro è preceduto da una lunghissima preparazione che prevede anni di formazione e tirocinio, mentre dell’uscita nessuno si preoccupa. Per di più, questa data che cambia radicalmente la vita, non può essere, spesso, scelta e negoziata; ci si trova a subirla, con tutti i suoi significati
L’unica forma sociale di accompagnamento in questo delicato passaggio è costituita dal pranzo, la festa con il regalo dei colleghi, il discorso, il ricordino. C’è tanta frenesia attorno al pensionando, in un’atmosfera forzatamente chiassosa e allegra che copre qualche sentimento meno nobile (il collega felice di togliersi di torno il rivale, le fantasie su chi occuperà ora il posto vacante…ect.) e una vena di malinconia per la conclusione di una fase di vita vissuta in quei reparti di lavoro. Del resto, convenzionalmente, si fa coincidere l’inizio “ufficiale” dell’età anziana, proprio con la fatidica data del pensionamento; i sessantacinque anni.
Malgrado oggi molti pensionati sono attivi, soddisfatti e in buona salute, l’associazione mentale pensione = vecchiaia permane, genera un certo senso di tristezza e induce a compiere un bilancio, non sempre felice, della propria esistenza. Nel primo periodo prevale comunque l’euforia per l’inconsueto senso di libertà e di autonomia decisionale; non è più necessario sottostare a orari imposti, scadenze, ordini di capi e capetti; si ha finalmente la possibilità di dedicarsi alle proprie passioni. D’altra parte il lavoro, oltre che una fonte di reddito, era anche l’origine di molte altre cose; forniva innanzitutto un ruolo sociale riconosciuto dagli altri e un senso di identità personale. Non a caso, quando ci si presenta a degli sconosciuti, una delle prime domande che ci si scambia allude proprio alla professione: “Che fai nella vita?”, “Di cosa ti occupi?” e, soprattutto nel caso di mestieri prestigiosi, si viene presentati agli altri con un riferimento al proprio lavoro: “Ti presento il dottor Rossi..l’avvocato Bianchi” etc…
Il lavoro è la chiave dell’inserimento, permette di avere un posto rispettabile nella società: chi è disoccupato è considerato con commiserazione ma anche con disprezzo, ed egli stesso si vergogna nella propria condizione. Il pensionato è stato parte di un ciclo produttivo, ma ora ne è fuori. La società valorizza l’uomo giovane, attivo, che si dà da fare, produce e spende; il pensionato occupa una posizione marginale, anche se ultimamente, a dire il vero, la pensione del vecchietto può essere l’unico modo di tirare avanti per tutta la famiglia, con i figli che hanno perso il lavoro e i nipoti scoraggiati che non lo hanno mai trovato. Il lavoro è anche una fonte di rapporti interpersonali; questi possono essere più o meno gradevoli, ma costituiscono comunque una rete sociale che dà sicurezza e protegge dall’isolamento; il lavoro regola inoltre il ritmo della giornata e dà significato alle feste e alle vacanze, che perdono gran parte della loro attrattivà quando diventano la norma. Il pensionamento suscita reazioni diverse da un individuo all’altro, in base a molteplici variabili.
Chi ha un lavoro prestigioso e gratificante può vivere negativamente la pensione, che comunque determina una perdita di considerazione, responsabilità, reddito.
Chi è costretto a svolgere un mestiere faticoso e insoddisfacente guarderà invece alla pensione come un traguardo desiderabile da raggiungere il prima possibile.
Chi svolge lavori manuali pesanti va in pensione più volentieri di chi fa un lavoro intellettuale, però poi ha più difficoltà a crearsi degli interessi alternativi.
Il pensionamento è vissuto positivamente quanto più è una scelta volontaria, che garantisce un tenore di vita soddisfacente, e quanto più le condizioni di salute sono buone.
Le donne sembrano reagire più positivamente alla perdita del ruolo lavorativo, perché comunque continuano a ricoprire un ruolo fondamentale in famiglia e in casa. Anzi dopo aver faticato per decenni su entrambi i fronti, casa e lavoro, può essere un sollievo dedicarsi a un solo compito.
L’uomo senza lavoro si trova disorientato e fa fatica a trovare occupazioni e interessi alternative; inizialmente succede quindi che si aggiri per casa in modo inconcludente, turbando la consolidata routine domestica della moglie e determinando anche un carico di lavoro aggiuntivo!
Si è visto che il pensionamento è un “fenomeno di coppia”, nel senso che il grado di soddisfazione dopo il pensionamento e il livello di conflitto di coppia, dipendono anche dal fatto che il partner lavori o no.
Ad esempio, gli uomini appena pensionati sperimentano maggiori livelli di conflitto di coppia se la moglie continua a lavorare.
Anche le donne appena pensionate risultano depresse se il marito è ancora al lavoro.
In ogni caso, la transizione verso il pensionamento di ciascuno dei due elementi della coppia rappresenta un importante evento di vita, che richiede un processo di riaggiustamento psicologico di entrambi i partner.
L’equilibrio che durava da decenni viene messo in discussione; il tempo trascorso insieme nello stesso spazio aumenta di colpo, richiedendo una redifinizione del rapporto di coppia.
C’è finalmente l’occasione di godere di una maggiore presenza dell’altro, ma anche il rischio di una esacerbazione di conflitti preesistenti.
In questa fase vitale, inoltre, i figli, in genere sono adulti e hanno lasciato la casa o stanno per lasciare la famiglia di origine. I genitori si trovano quindi nella fase cosiddetta del “nido vuoto”, che di per sé richiede alla coppia un riaggiustamento: ci si ritrova infatti di nuovo soli, dopo tanti anni in cui ci si è presi cura dei figli e spesso si è concentrata su di loro la propria attenzione.
Vengono quindi a sommarsi più fattori; pensionamento, uscita dei figli da casa, a volte problemi di salute, la menopausa e magari la necessità di curare i propri genitori anziani e non più autosufficienti… un mix abbastanza impegnativo!
Il pensionamento può però, diventare un’occasione preziosa da sfruttare, per prendersi cura di se stessi, per mettere in atto progetti, anche osare quello che prima il proprio ruolo non permetteva.
Ognuno può trovare un modo personale per rendere soddisfacente anche questa fase della vita, continuando a coltivare la ricerca del piacere e della gratificazione.

POVERETTI QUESTI PENSIONATI QUANTO DEBBONO TRIBOLARE
Lorenzo.an   11 novembre 2009

49bfb613226a0_tazze_caffe———-Le quattro di un pomeriggio di primavera. Cielo limpido.  Strada quasi silenziosa. Don Achille  ha appena riaperto il negozio di barbiere: il negozio, ereditato dal padre, è la sua unica fonte di guadagno. Dopo aver  dato alcuni colpi di scopa all’ingresso, si appoggia all’apice del manico  con entrambe le mani. All’improvviso la sua bocca si apre per liberare un improvviso sbadiglio, che termina con un lento soffione. La via è  quasi deserta: il barbiere, lancia uno  sguardo a destra e a sinistra; poi si ricompone con un colpetto di tosse; si gira e agguanta la maniglia della porta. All’improvviso dal bar di fronte:
“Don Achì, non esageriamo!
“Ah,  siete voi Don Rafè!  Ho esagerato? …in  che cosa?”
“Avete fatto, senz’offesa,  uno sbadiglio…da competizione,” lo abborda il pizzaiolo nascondendo male un sorridetto.
Don Achille gli ribatte senza scomporsi: “Don Rafè, ditemi la verità, siete stato parecchio tempo al sole.  Se no, non si spiega, “STA CAPA FRESCA CHE TENITE”.(Questa voglia di sfottere che avete)  Adesso  vogliamo  discus…disquit… “maronna mia”…sta parola m’inceppa sempre.” Don Raffaele, il titolare della pizzeria, ne approfitta e va giù di brutto, pur sapendo che il suo amico sa  incassare.
“Sarà la protesi, a mio nonno ogni tanto si muoveva,  e quando parlava, sembrava che avesse “‘NA ZEPPOLA NMOCCA”(un difetto dipronuncia);   oppure è la parola un po’… strana che vi fa  inciampare.  Don Achì,  a pensarci bene,   in fatto di sbadigli c’è poco da scherzare con voi.”
Il barbiere  lo  pietrifica con lo sguardo, poi mettendo le mani sui fianchi gli fa:
“Don Rafè,  ieri,  quando abbiamo preso il caffè, mi avete dato l’impressione di uno che sta  in cura da uno psicologo; oggi, invece, mi sembrate piuttosto spiritoso.”  All’improvviso  il barbiere scorge il dottor Zuppiero che si approssima al negozio:
“Eccolo, sta arrivando il professor Zuppiero,  lavora a Napoli in un istituto di psichiatria;  è stato  anche  in America a fare conferenze.”
“E chi non lo conosce!” aggiunge Don Raffaele. “Ogni tanto lo vedo in televisione”.
Anche il professor Zuppiero è cliente fisso di Don Achille.  Con una precisione matematica si reca dal barbiere ogni due settimane.
“Buon giorno, signori, onore  a due bravi artigiani come voi.”
“Per carità,  ho sempre piacere di avervi  qui,” annuncia Don Achille.
“Anche  per me è un piacere, “PRUFESSÒ”, quando  vi vedo comparire nella mia pizzeria” si accoda Don Raffaele mostrando un certo timore reverenziale.
“Prima di servirvi, che ne dite di un caffè?”
“Grazie, volentieri.”
“Parlando con rispetto, ci vuole proprio un bel caffè, altrimenti  uno si  annoia…e comincia a sbadigliare ” dice Don Raffaele, dubitando un po’ dell’opportunità della frase.
“Don Achille interviene: “Don Rafè,  vi prego,  al professore  non interessano  né la noia né lo sbadiglio.”
“Eppure, ci sono studiosi che hanno scoperto che lo sbadiglio  non è esclusivamente fatto solo dalle persone, molti animali lo fanno e…”
“Dottò, scusate se vi interrompo.” Don Achille si rivolge al pizzaiolo:  “Don Rafé,  vi dispiace fare un salto al bar  dirimpetto e ordinare  tre caffè,  a nome mio?”

Il pizzaiolo esegue e il caffè viene gustato con piacere.

“Dicevate dello sbadiglio…che lo fanno tutti…anche gli animali?!” chiede  Don Raffaele.
Il professor Zuppiero riprende a dire  con la solita cordialità:” Un certo biologo tedesco, Friedrich Hempelmann, scriveva nel suo libro LA PSICOLOGIA DAL PUNTO DI VISTA DEL BIOLOGO,  che lo sbadiglio è una caratteristica degli essere umani, e non solo, ma anche dei PRIMATI, degli EQUIDI e dei CANIDI e di tanti altri animali,  come anche dei PINGUINI.”
Don Raffaele  aggrotta la fronte e si dà una rapida grattatina in testa con un solo dito convinto  di conferire  bon ton al gesto, e  proferisce: “Dottò,  abbiate pazienza, siete stato molto chiaro…però quelle parole…non le ho mica capite: insomma…oltre agli esseri umani, avete detto …primati, poi equini…canini…”
“Non proprio”, chiarisce il professore Zuppiero, “gli equidi, e non equini, sono  le razze equine, e i canidi e non canini comprendono le diverse razze di cani…i primati comprendono tutti i tipi di scimmie.”
Alla parola SCIMMIE il piazzaiolo emette un chiaro: “Ah, Don Achì, avete sentito, i primati sono scimmie.”
“E’ inutile che vi girate verso di me,  qui ci sono due specchi a disposizione,  guardatevi voi piuttosto e vedrete un PRIMATO vero e autentico. Dico bene, PRUFESSÒ? Correggetemi se sbaglio.”
“ Don Achì, purtroppo, vi devo proprio correggere:  si dice  PRIMATE,  con la e  finale, e non primato.”
Il pizzaiolo abbozza un sorriso di sadica soddisfazione e si tende, con distrazione, una trappola  grammaticale  perdendosi da vero allocco: “ Io, prufessò, non ho studiato tanto, ma cerco sempre di stare molto attento a non sbagliare mai le finali  perché sono importanti. Una vocale può cambiare il sesso di una persona: per es. RAGAZZO, al  femminile fa RAGAZZA, giusto?”
Il professore e il barbiere annuiscono in silenzio e Don Raffaele prosegue   alzando  la mano  al petto e pronunciando: “COLLETTO fa al femminile COLLETTA…”.  All’improvviso dubita della correttezza della frase: abbassa il tono e si blocca. E il quel silenzio improvviso Don Achille rivolge lo sguardo al dottor Zuppiero e proclama:
“Don Rafè, giacché siete in vena,  il  professore gradirebbe  sapere anche il femminile di MANICOMIO usando,  delle cinque vocali,  quella che piace  a voi.”
Interviene il professore: “ E se si sbaglia…”
“Se si sbaglia, la colletta la faremo io e voi: dottò, non sarebbe una cattiva idea  una visita presso il vostro ambulatorio.”
“Poiché  fa  delle pizze che pochi pizzaioli fanno, io la visita gliela farei gratis” propone
il dottor Zuppiero.
“ Signori,  lo so, lo so, io e la grammatica non ci possiamo vedere, non facciamo che litigare. Però sulla bontà delle mie pizze, modestia a parte,  non c’è proprio da dubitare. E’ una vita che faccio questo mestiere soprattutto con passione: è come se fossi nato PIZZAIOLO”  ci tiene a precisare Don Raffaele.
“Signori miei, godetevi la salute che avete” esclama lo psichiatra serio. “E ringraziate il Padreterno che vi conservi il senso del  GUSTO.  Se no le pizze le potreste solo mangiare…SENZA GUSTARLE.
“Dottò, scusate, non ho capito…! interrompe il barbiere.
“Io nemmeno, PRUVESSÒ”  ammette Don Raffaele. “Come si può mangiare una pizza senza gustarla.”
“Il gusto si può anche perdere, comincia a spiegare il Dottor Zuppiero.
“OVÈRO?  Si perde il gusto?” domanda Don Achille “ e uno non mangia più le pizze?”
“Una persona può perdere il senso del gusto durante  l’età dello sviluppo o anche per una lesione al cervello. Accade raramente, però può succedere…anche se uno si ammala, salute a noi, di depressione, di isteria o  quando ha problemi… diciamo… DI TESTA: insomma quando uno comincia DARE I NUMERI. Sia chiaro però, quando accade, uno perde il  gusto di tutto quello che mangia.”
“ Un  vero guaio!” afferma Don Raffaele. “E come si chiama questa malattia?”
“ Nel linguaggio tecnico,  noi  la chiamiamo AGEUSIA .”
“Dottò, ecco il rischio che corre Don Achille quando si fa prendere da certi momenti di rabbia” borbotta il pizzaiolo approfittando  dell’insolita spiegazione.
“Scherzate pure,  ma è proprio così!” dice il Dottor Zuppiero.
“Per noi siete una scuola, dottò,  io lo  dico sempre: ogni  volta  che vi taglio i capelli, per  me, anzi per noi,  è una  lezione di cultura”  scandisce il barbiere.
“Io, al posto di Don Achille, i capelli ve li taglierei lentamente, così potremmo apprendere tante cose interessanti.  Siete una persona importate, dottò,   un’autorità in materia, e come si fa a dimentare tutte le volte che vi ho visto studiare in un angolo del vostro giardino,  quello che sta proprio sulla strada. Mia moglie Gisella diceva sempre “GUARDA COMME STUREA,  STA SEMPE CU ‘A CAPA NCOPPA ‘E LIBBRE (Guarda come studia con la testa sui libri).   E tu,  CIUCCIO, nemmeno la prima media hai superato.”  Quindi,  spero  che rimanete sempre cliente di Don Achille, onorandoci della vostrà autorità.”
“Lasciate stare questa ‘autorità” implora  sorridendo  il dottor Zuppiero. “A proposito di  ‘autorità’, sapete che  cosa erano le autorita’, anticamente, o per meglio dire… LE AUCTORITATES?”
Don Raffaele  ha un attimo di sbandamento e  chiama in causa Don Achille: “ Don  Achì,  ecco, questa è proprio una domanda che fa per voi.”
Il barbiere si porta la mano al mento poi  in testa : “Dottò, come si fa a non pensare subito alla Questura, al Sindaco,  ai Giudici, al Capo del governo e a tanti…” barbuglia con la voce che diminuiva di volume gradatamente. Lo psichiatra prende la parola:
“Eh no, signori miei: sono testi, libri scritti  da autori di indiscusso  prestigio, grandi uomini di cultura… filosofi, pensatori di grande inteligenza e acume nel loro campo.”
“Insomma, CERVELLI  MOLTO QUADRATI” dice  il barbiere.
“Non come  il mio e il vostro,  che sono tondi!” gli ribatte  Don Raffaele guardandolo di sbieco.  “Ci potete fare un esempio,  dotto’,  di questi cervelloni?”
“Chissà quante volte li avete sentiti nominare: il Vecchio e Nuovo testamento,  i Vangeli, il Pontefice, grandi filosofi,  per esempio, Socrate, grandi scienziati, e tanti altri: sono tutti AUCTORITATES; insomma opere e autori di immenso  valore  per forma e contenuto.”  Pensate un po’, dal sesto secolo e fino al  quattordicesimo  la cultura  si svolgeva  nei monasteri, nelle cattedrali e successivamente nelle università.”
“La Chiesa  è importante; se uno vuole un piacere…chessò…’na raccomandazione , deve andare da un prete” scherza Don  Achille.
“Direi specialmente  per la cultura del passato,  la cosiddetta Scolastica” spiega il dottor Zuppiero.  “I professori di quell’epoca  erano monaci, chierici, insomma  uomini di chiesa”
Don Raffaele chiede scusa dell’interruzione e domanda: “Scusate, PRUFESSO’, ma allora  uno, se  voleva insegnare,   si doveva fare prete o monaco?”
“A quei tempi era così” risponde lo psichiatra. E la lezione si svolgeva in due tempi o fasi:  prima si leggeva un testo di una auctoritates e poi lo si commentava: questo tempo era  la lectio; la seconda fase consisteva nelle domande degli studenti e veniva chiamata questio.”
“Con le domande?”
“Già, con le domande degl studenti a cui l’auctoritates dava delle risposte.”
“Adesso ho capito: più domande si facevano e più  si faceva sempre più interessante la lezione” dice il pizzaiolo.
“Non  esattamente, il commento al testo doveva essere fatto in modo rispettoso e pertinente.”
E don  Raffaele,  che arranca nella comprensione,  si lamenta “ Come fa mia moglie Carmela, tale e quale.”
Il professore s’interrompe: “Che centra vostra moglie?”
“Sapete, io ogni martedì, quando in pizzeria non ci sono molti clienti,  mi faccio un pokerino con alcuni amici, e allora capita di far tardi e  non appena apro  la porta,  lei  comincia a fare una tititera di domande…domande, litighiamo e facciamo la QUESTIONE O QUESTIO come di te voi, dotto’.”
Il professore Zuppiero lancia uno sguardo al soffitto in segno di sconforto: “No, Don Rafè, no, le domande degli studenti  avevano lo  scopo di  stabilire un argomento  e di ottenere delle spiegazioni e non di litigare col maestro.  Ci siamo, Don Rafè?”
Il pizzaiolo dice di aver capito, ma poi chiede: “Prufessò, abbiate pazienza, ma le domande a chi venivano fatte, insomma il professore chi era?”
“Al maestro, all’esperto, cioè all’intelletuale cristiano,  grande esperto  nel campo delle Sacre Scritture, poi altri  maestri in quello della filosofia   e in  altre discipline” e qui il  dottor Zuppiero volge lo sgardo al barbiere, rimasto finora in silenzio.
“Che c’è, PRUFESSO’, perché mi guardate?”
E il professor  annuncia: “E ora che sappiate quale fu il vostro primo mestiere.”
“Dottò,  non scherzate, vi prego: avevo quattordici anni quando ho fatto la prima barba a un palloncino insaponato,  non fu un esordio felice… mi scoppiò in faccia.”
Mentre il barbiere trattiene il sorriso, lo psichiatra riprende:
“Non parlo di voi, ma dei vostri antichissimi predecessori,  che radevano barbe e tagliavano capelli, ma questi due  servizi non erano gli unici .” A questo punto il dottore  fa una pausa e resta così per alcuni istanti.
“Dottò,  sembra  ‘A SUSPANZA ‘E NU GIALLO!”(la suspense di  un giallo)
“Don Achì,  scusate l’intervento, adesso si dice TRILLÈRRE!(thriller), all’americana “ s’intromette Don Raffaele  deformando alla napoletana il termine inglese. A quel punto il professore  scandisce calmo:
“Erano degli ‘squartatori di cadaveri’ per motivi di studio!”
OVERO (davero), Gesù, Giuseppe…” Don Achille,  con  lo stupore piantato sul viso, deglutisce.
Don Raffaele  si fa prendere da una risata  isterica, porta la mano al  viso dando le spalle ai due amici. Dopo un po’ si frena, si gira: aveva gli occhi  rossi come da pianto.
Anche a Don Achille gli si era stampato uno pseudo sorriso sul volto: “Dottò, Se a Don Raffaele viene qualcosa, è tutta colpa vostra.”
“Eh si, amici miei, è proprio così” continua il professore Zuppiero. “Ridete ,  stupitevi pure, ma è così: facevano a pezzi i deceduti.”
“Facevano le atopsie? I barbieri?” domanda Don Achille.
“No, no,  nessuna autopsia. Oggi si fanno gli ‘esami autoptici’  per conoscere le cause del decesso di una persona.”
Dal canto suo Don Raffaele non afferra l’espressione e cadidamente domanda: “Dottò,  oggi oltre alle autopsie,  si fanno pure gli esami…auto…questi esami che dite voi.? Con  i macchinari di oggi, il progresso… l’atopsia non me la fare mai, con i nuovi mezzi  mi farei  fare questi esami  più moderni.”
“No, Don Rafè, l’autopsia e l’esame autoptico sono la stessa cosa! E’ chiaro?”
“Troppo chiaro, PRUVESSÒ, e siccome le cose stanno così, io non mi farò fare ne l’una né l’altro.”
Don Achille  curiosissomo: “Allora, com’è questa storia dei barbieri?” E il professore Zuppiero riprende:
“A quei non si conosceva tanto sulla composizione del corpo umano: per sapere come era fatto, bisognava aprire cioè sezionare un corpo di un deceduto per sapere come era fatto all’interno. Questo delicato compito era affidato  ai barbieri, che  a quei tempi, avevano il compito di tagliare,  aprire e mostrare gli organi all’autorità esperta che  spiegava,  senza sfiorare alcun pezzo.   Le lezioni di anatomia  si svolgevano  più o meno così:  immaginate un’autorictates   o meglio un dotto  ben piazzato su uno di quei sedioloni antichi, mani ai braccioli; di fronte a lui e in circolo il gruppo degli studenti, in mezzo a loro un bel tavolo su cui è disteso il corpo di un povero disgraziato deceduto qualche giorno prima.  Immaginate la scena:  ad un cenno del maestro il barbiere comncia  la sua opera di sezionamento…un taglio qui, un colpettino di sega  più in là, poi …raccoglie il primo  pezzo e  adempie il suo mestire di  ‘OSTENSOR.’”
“Eh no, dottor Zuppiero, adesso lo state facendo apposta” interrompe il pizzaiolo. Prima ve ne venite,  con le autorità,  e adesso con  STU CASPITA DI  ‘OSTENSÒRE’. Gìà per parte nostra fatichiamo a seguirvi, e voi con queste parole STREVEZE E ORTOPEDICHE ci fate venire mal di testa.”
Don Achille non può che appoggiare  la  rimostranza del suo amico pizzaiolo: “Dovete ammetere, Prufessò, Don Raffaele  ogni tanto ne dice una buona.”
“Bravi, avete proprio ragione, l’ho fatto apposta” riconosce il dottore, “ ma senza malizia, credetemi.”
“Allora, “ attacca Don Raffaele  “il barbiere che  faceva con il primo pezzo in mano? “
E il professore: “ Lo  ostende, cioè lo mostra, lo fa vedere a tutti, mentre il professore dà spiegazione  in merito:  ecco perché il barbiere si chiama ostensòre. Quindi,  avete detto bene voi, Don Rafè.”
“Grazie del riconoscimento, prufessò” s’impettisce  il pizzaiolo “ con un po’ di sforzo, pure io  dico delle cose esatte.”
Don Achille  sbotta: “Dottò, io direi che Don Raffaele qui presente, quando si sforza fa delle cose esatte. Voi non sapete niente,  la moglie di Don Raffaele, Donna Carmela,  dice sempre che voi, Don Rafè, quando vi  sforzate, ci mettete sempre un sacco di tempo.”
Il pizzaiolo  tenta di schermirsi: “ Non  vi sembra di esagerare,  un po’ di rispetto per la persona  del professore. Intanto, io mi riferivo allo sforzo di  mente…e non ad un altro tipo. Ma voi, Don Achì, come fate a sapere certe cose?”
“Me lo ha detto mia moglie Graziella, che a sua volta l’ha saputo da una certa Donna Carmela, la vostra metà. Sapete come sono le donne.”
“Lo so, eccome!” dice  Don Raffaele.

“C’è  un detto antico che dice “’A FEMMENA  NUN SAPE TENÉ NU CICERO ‘MMOCCA!” (la donna non sa tenere un segreto) declama il dottor Zuppiero.  “Don Achille ha vouto fare una battuta scherzosa.”

Il pizzaiolo è il primo ad ammettere l’innocenza della battuta:” Prufessò, io e  Don Achille  vi siamo grati  di tutto quello che ci avete detto: noi non abbiamo studiato tanto e  stiamo sempre attenti a seguire queste  lezioni  che ci regalate  con  pazienza, generostà e , direi  anche,   con  allegria.
“L’allegria e  le papere” si unisce Don Achille “le mettiamo noi.
“E il dottor Zuppiero  promette: “Fin quando avrò un capello in testa, Don Achì, mi vedrete  sempre e puntuale  nel vostro negozio. E sapete perché, perché senza le vostre sgrammaticature, senza i vostri svarioni, senza i vosri  spropositi sintattici,  I ME SENTE ‘E SCI PAZZE,(mi sento impazzire)  perché  io ci lavoro in mezzo ai psi-co-ti-ci.”  Con un pizzico di sadismo aveva sillabato la parola ‘psicotici’.
Don Achille ha quasi un sobbalzo: “Eh, no, prufessò, proprio no, questo non ce lo dovete fare: ne avete detta un’altra. Per cortesia, vi prego, accomodatevi nella poltrona, adesso ci dedichiamo ai vostri capelli.”
Don Raffaele, titubante, si porta la mano al mento e resta stupito con le labbra semiaperte: “ Ve lo giuro, prufessò, io avevo capito …’BISCOTTI’… giuro sulla buon’anima  di mia nonna Rachele.” Poi aggiunge  col suo solito candore: Però BI-SCOT-TI E PSI-CO-TTI … sono quasi uguali.”
Don Achille scoppia a ridere di gusto, ride, ride e gli riesce difficile trattenersi. Anche il dottor Zuppiero cominia a ridere  e le risate si alternavano a brevi colpi di tosse.
Calmate le risa, il barbiere dice: “Prufessò, io a Don Raffaele gli voglio un gran bene.  Perché?, direte voi. Io col negozio traggo i mezzi per vivere, ma se non l’avessi, non avrei problemi:  giocherei al lotto  con i ‘numeri’ che mi darebbe lui.  Don Rafele dà continuamente i numeri;  e con il  lotto io diventerei ricco, così vivrei  di rendita.”
“Non gli date retta, PRUFESSÒ. Parla proprio lui che  circa tre mesi fa andò da uno  specialista sapete,   delle parti intime …per un problema alla vescica.”
“Urologo, sessuologo o  andrologo? suggerisce malizioso il professore.
“Il primo, mi pare. Indovinate che cosa gli ha chiesto…l’urologo?”
“Non saprei!”
“Da quanto siete incontinente?”
“Dottò, sapete Don Achille che cosa ha risposto: ‘Da sempre, mai stato su un’isola.’  Don Achì, mi ricordo benissimo, avete detto esattamente così!”
Il dottor Zuppiero  cominia ridere di gusto; poi si frena e puntanto l’indice verso il pizzaiolo domanda con finta serietà:
“Don Rafè, ma voi, in tutta sincerità, quando Don Achille vi  rivelò  ‘la cosa’, voi sapevate il significato della parola ‘incontinente’?”
“Ad essere sincero, no, l’ho capita quando sono andato a leggere sul vocabolario: e  ridevo, ridevo…ridevo e pensavo a  Don Achìlle e alla faccia che avrà fatto lo specialista.”
Il professor Zuppiero, dopo essersi accomodato nella poltrona e   richiesto  il solito taglio, dice: “Mi permettete un consiglio?”
“Prego, prufessò!”
“Voi due, dovete fare solo due cose: rispettare l’amiczia che c’è fra di voi,  e restare come siete, senza separarvi mai, perché se vi separate, rischiereste di diventare  delle persone…istruite.”
Il  frastuono delle auto  inonda il salone.
Il professore, seduto nella poltrona, sorride  sotto il largo panno bianco. Don Achille  batte forbici sul pettine  alternando, da dietro la poltrona, lo sguardo dal  capo  del cliente illustre al grande specchio di fronte.
Il pizzaiolo, Don Raffaele fa: “Don Achì, vado in pizzeria, devo sistemare parecchie cose.” E rivolgendosi al professore: “Dottò, vi ringrazio di tutto, anche a nome di Don Achille. Spero di vedervi  puntuale fra due settimane.”
“Sarò puntuale.”
Don Achille comncia a dedicarsi ai capelli del suo amico, professore Zuppiero.
Il pizzaiolo  sparisce.
Il frastuono delle auto cessa di colpo. Nel salone cala una insolita pace.
Sono le cinque di un caldo pomeriggio di primavera.


ducky      21 novembre 2009

Le dolci imposizioni.
Premetto che non sono un tecnico di telecomunicazioni, ma a fatica uso il telecomando della TV. Odio tutti quei tastini e tutte le diavolerie che si sentono, compresi i cellulari. Ma la tecnologia corre e non si può stare a fare comunicazioni col fumo o i tam tam. Pertanto prendete con le pinze quello che dirò e valutate la sostanza della materia.
Da un po’ di tempo si assiste ed ascoltiamo, che entrerà in funzione il digitale terrestre e, che il Lazio rientra fra queste cose, eccetto Viterbo. Io non sono culturalmente preparato in geografia, ma mi sembra di ricordare che Viterbo è nel Lazio. Mi metto dalla parte delle persone semplici e difficili di comprendonio come me. E ripetono con insistenza alla televisione che, gli abbonati di quella Regione, se vogliono vedere i programmi della TV devono comprare un decoder, o, ancora più facile, sostituire il televisore vecchio con uno nuovo, perché quello ha  già inserito il diabolico strumento.
Ma insomma: mi sono informato e il decoder parte da 150 euro in su, pensavo che lo regalassero, visto che pago il canone RAI. No! se vorrai vedere la TV devi Comprarlo. E avete notato con che gioia lo dicono? Avete sentito come la raccontano bene? Avete fatto caso che la giudicano una conquista?
Perlamordiddio, sarà anche un notevole progresso, ma se lo chiedono, come faranno migliaia di pensionati a far fronte a una spesa del genere, con i tempi che corrono? Va bene che ti danno l’alternativa, se non vuoi il decoder, di comprarti il televisore nuovo, va a vedere che magari lo
regalano. Sono o non sono imposizioni? E’ o non è una maledettissima tassa che grava ancora sulla povere gente?
Qualcuno dirà:- ma si può fare anche a meno della TV- No! perché il canone, me lo fai pagare anche se spengo il televisore, caro governo. Sapete che vi dico? mi garberebbe fare tanta pulizia e, a costo di rimetterci la vita, essere Pietro Micca.

vela tvtelevisori

32_le32n71b_lIl maledetto toscano    Giulio Salvatori      17 novembre 2009

Antoine de Saint-Exupéry

Scrittore e aviatore coraggioso, nacque a Lione nel 1900 da famiglia aristocratica, cattolica e tradizionalista. Ebbe un’infanzia turbata dalla scomparsa del padre e oppressa dalla vita di collegio.stexupery
A. de Saint-ExupéryDivenne pilota militare nel 1921 e scoprì nel volo un’appassionata occasione di libertà e di autonoma ricerca di identità.
In seguito, come pilota civile, si dedicò ad avventurosi voli intercontinentali.
Nel ’31 scrisse “Vol de nuit” (Volo di notte). Due parole con in mezzo una preposizione semplicemente, ed ecco – dalla folgorazione di un titolo – il senso sospeso e misterioso della vita di un insonne.
Nel  ’43 scrisse “Le petit Prince”, il suo capolavoro, conosciuto e tradotto in oltre cento lingue del mondo.
Il testo è famosissimo. Chi non l’ha letto o l’ha fatto leggere ai propri figli? Del resto è anche un testo educativo e pieno di profondi e terreni significati, raccontati con estrema semplicità, la semplicità appunto consona ai bambini che, nel loro mondo, vedono le cose con un’altra ottica, quella pura ed onesta, dettata dal cuore.
Ai “grandi”, aridi di cuore, non farebbe male una rilettura.prince2
Così la storia è quasi “sussurrata”, e parte come un libro, con una dedica all’amico Léon Werth, “quando era bambino”, ma si estende immediatamente a tutti i bambini del mondo e soprattutto a quelli che sono “sepolti” dentro di noi, oramai adulti.
Le intenzioni dell’autore della storia conducono a far riflettere sulle azioni dell’uomo, ed appaiono evidenti fin dal primo episodio del boa e del cappello: “C’est un chapeau” (è un cappello), per farci capire che certe “verità” sarebbe meglio leggerle con gli occhi di un bambino.
L’aviatore, precipitato in pieno deserto con il proprio aereo, venne avvicinato dal bambino “viaggiatore”, proveniente da un piccolo asteroide, il B 612. Egli viveva solo sul suo pianeta, occupandosi di un baobab, di due vulcani spenti e di una rosa particolarmente futile, ma la sua vera passione era contemplare decine e decine di tramonti!sul pianeta
I due si trovarono così a contatto in un mondo essenziale tra cielo e terra (il deserto) e, nell’immensa solitudine del luogo, cominciarono a conoscersi.
Quando si accorge che le rose sono comuni sulla Terra, rimane deluso, ma una volpe del deserto lo convince ad amare la sua rara e preziosa rosa, trovando così il senso della sua vita ed il motivo per tornare a  casa.
Le varie vicissitudini terrene del piccolo principe sono altamente suggestive e raccontate con molta tenerezza e semplicità che incantano.
Antoine de Saint-Exupéry ha scritto molti altri libri, tra i quali “Vol de nuit”, (volo di notte) già citato, “Pilote de guerre” (pilota di guerra), “Lettres à un ôtage” (lettera a un ostaggio), “Terre des hommes” (Terra degli uomini) e altri.
Raffinato, essenziale, perfezionista, eternamente insoddisfatto, riuscì a scrivere il principe dei piccoli libri del Novecento.
Fu pupillo di Gide e intimo di Drieu e La Rochelle, idealista contraddittorio e poeta dell’aviazione per antonomasia, sparì a quarantaquattro anni, durante la sua nona e ultima missione,  con l’obiettivo di sorvolare la regione di Grenoble-Annecy,  il 14 luglio del 1944, ma il suo aereo si inabissò al largo della Corsica.Immagine del Piccolo Principe con l'autore

Frasi celebri di Antoine de Saint-Exupéry

Argomento: amore
–    Amore non è guardarsi a vicenda, è guardare insieme nella stessa direzione.

Argomento: figli e bambini
–    Gli adulti non capiscono mai niente da soli ed è una noia che i bambini siano sempre costretti a  spiegare loro le cose.

Argomento: saggezza
–    Gli uomini coltivano 5000 rose nello stesso giardino….e non trovano quello che cercano….e tuttavia quello che cercano potrebbe essere trovato in una sola rosa o in un po’ d’acqua. Ma gli occhi sono ciechi.
Bisogna cercare nel cuore!

Argomento: vita
–    Benché la vita umana non abbia prezzo, noi operiamo sempre come se qualcosa sorpassasse in valore la vita stessa.

Argomento: la morte
–    Non gridò. Cadde dolcemente come cade un albero. Non fece neppure rumore sulla sabbia.

Giovanna3.rm       11.11.2009

Cari Eldyani, l’idea di prendere da internet la seguente scheda sullo spaccato della vita quotidiana a Pompei, all’epoca della disastrosa eruzione del 79 d.C., vita molto somigliante alla nostra, nelle attività sociali  e diversa, nella cadenza temporale, più legata alla natura ed alla luce solare,   è stata solo un pretesto, per sottoporvi alcune questioni sul pianeta “uomo”.
A mio avviso, l’uomo, attraverso le diverse epoche, se pur sembra mutare nelle condizioni esterne: costumi, mode, tradizioni, tecnologie ecc… resta in sostanza immutato, nelle attività sociali ed ancor più nel profondo del proprio“Io”.
Ossia nel proprio mondo interiore, composto tutto quanto di elementi non materiali, quali sono gli istinti, le passioni, le paure, i sentimenti, le fantasie, i pensieri, i ragionamenti, gli impulsi, le pulsioni, le decisioni, le intuizioni, ossia quelle cose che costituiscono o sembrano costituirne la personalità.
L’uomo, attraverso la storia, non muta nella propria libertà di scegliere, in quell’ambito di attività interiori ed esteriori, tra il bene ed il male, ovvero di agire assecondando l’una o l’altra cosa.
Sono convinto che, la nostra esperienza, del comune sentire, intimamente la responsabilità morale delle scelte,che quotidianamente affrontiamo e che danno comunque una direzione ed un contenuto ed un senso, alla nostra vita, è la stessa dell’uomo di sempre.

pompei 10Gli scavi archeologici di Pompei rappresentano una fonte eccezionale di informazioni sulla vita quotidiana dei pompeiani e in generale dei cittadini dell’impero Romano ai suoi albori sotto l’imperatore Tito. Gli storici ci hanno così narrato la giornata tipo del pompeiano che, detto fra noi, non è molto dissimile da quella dei nostri nonni. Una vita fatta di gesti semplici e spesso ripetitivi che stride fortemente con il nostro “stress della vita moderna”, giusto per citare un famoso slogan pubblicitario.
pompei 6HORA PRIMA DIURNA (4.27-5.42): L’assenza di energia elettrica costringeva gli esseri umani a seguire i ritmi del sole e quindi la sveglia era molto presto la mattina per poter aprire bottega all’alba. L’acqua corrente era un privilegio di pochissimi e i cittadini comuni dovevano andare a prenderla presso le fontane pubbliche, per questo motivo veniva usata con parsimonia. Un po’ d’acqua sul viso per svegliarsi e lavarsi e una bevuta. Per lavarsi in maniera accurata i romani si recavano alle terme. la colazione veniva effettuata con pane e formaggio, (la merendina dell’epoca) eventualmente con verdure o gli avanzi del giorno prima. Coloro che volevano iniziare in ordine la giornata potevano recarsi dai barbieri, che aprivano all’alba, un centro di smistamento di pettegolezzi o conversazione; proprio come avviene anche oggi, esclusa ovviamente l’apertura all’alba e gli attrezzi del mestiere all’epoca poco rassicuranti.
HORA SECUNDA (5.42-6.58): Ormai ogni persona era al suo postopompei 1 di lavoro, dal ricco patrizio allo schiavo. Le botteghe erano tutte aperte, le bancarelle bene esposte, i cantieri al lavoro, i contadini ormai tutti nei campi e così via.
HORA QUARTA (8.13-9.29): le vie brulicavano di persone, il mercato era in piena attività, gli ambulanti declamavano lodi alle loro merci, i compratori trattavano sul prezzo. Al foro si passeggiava, si tenevano processi, si discuteva della cosa pubblica.
pompei 7HORA SEPTIMA (12.00-13.15): Dopo tanto affanno un po’ di ricreazione era necessaria. Se qualche ricco pompeianopompei2 desideroso di far carriera politica offriva uno spettacolo di gladiatori si poteva fare un salto all’anfiteatro. Uno spettacolo cruento e molto distante dal nostro sentire di uomini moderni. Noi ci accontentiamo di vedere un pugile cadere a terra tramortito ma non morto. Molti paragonano il ruolo dei giochi dei gladiatori nella società romana al ruolo del calcio nella nostra società. Certo all’epoca i tafferugli si svolgevano sull’arena e gli spettatori osservavano mentre oggi è il contrario. Beh! questa affermazione non è poi così corretta, infatti proprio a Pompei l’anfiteatro fu sospeso per dieci anni, (poi condonati da Nerone per intercessione di Poppea; una pompeana), a causa di uno scontro con parecchi morti tra “ultras” pompeani e nocerini. E’ anche l’ora di uno spuntino nelle taverne a base di focacce, pesce, frutta ed eventualmente dolciumi
pompei 5HORA OCTAVA (13.15-14.31): E’ arrivata l’ora delle terme, molto economiche, ed infatti anche gli schiavi potevano permettersele. In un mondo dove l’acqua corrente nelle case era un lusso, permettere a tutti di lavarsi accuratamente divertendosi è stata una grande idea. La vita media nel mondo romano salì a 35 anni, al contrario dei periodi precedenti e successivi dove invece fu più bassa. I romani non lo sapevano, ma la più grande scoperta della medicina moderna fu proprio l’igiene.
Quello che lascia perplessi è l’abitudine di passare con disinvoltura dai bagni caldi o di vapore a quelli in acqua fredda. Sarebbe però riduttivo pensare alle terme solo come ad una semplice beauty farm, spesso vi si concludevano affari e “intrallazzi” politici. Inoltre nelle terme era anche possibile esercitare il corpo con esercizi ginnici in ossequio al motto “mens sana in corpore sano”.
HORA DECIMA (15.46-17.20): poco prima del tramonto i romanipompei 4 concludevano la giornata con la cena composta da olive e uova e se la tasca lo permetteva anche pesce, carne e dolciumi. Gli svaghi erano pochi, specie per la maggior parte della popolazione e le strade buie tutt’altro che sicure: andare a letto era la scelta migliore.
Pino.sapompei 3

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Cari amici Eldyani, la nostra Alba Morsilli  ci propone una storia toccante, presa in rete, che ben pochi conoscono. Parla di un uomo di colore, sudafricano, al tempo dell’apartheid, in una nazione dove  tre milioni di bianchi tenevano soggiogati, schiavizzati e, nella completa indigenza, 18 milioni di uomini con la pelle nera, la loro unica tangibile colpa.
Parla di un uomo onesto, intelligente, umile, con delle grandi potenzialità, che la natura, però, aveva fatto nascere nero. Quest’uomo, accettava come milioni di suoi concittadini la sua condizione di nero, in uno stato governato da bianchi. Rassegnato,  ma fieramente consapevole del suo ruolo, nella terra dei suoi avi.

Quanti di questi uomini ci sono nel mondo? Con doti, potenzialità, con intelligenza, che la natura ha regalato loro e che non possono esprimere ed utilizzare, solo perchè sono nati nel luogo e nel periodo sbagliato.
Sono esseri umani la cui unica colpa è di essere nati “diversi”: come pelle, religione, e inclinazioni.
Quanti potenziali geni che potevano arricchire l’umanità e che invece  sono stati buttati via da una parte di essa, per  meschinità, per  subdolo odio, per  stupida ignoranza e per  ignobile cecità.

Leggiamo questa storia  e se volete commentiamola.

nakiDr. HAMILTON NAKI
Hamilton Naki, un sudafricano negro di 78 anni, morì nel maggio 2005.
La notizia non apparve sui giornali, ma la sua storia è una delle più straordinarie del XX secolo.
Naki era un grande chirurgo!
Fu colui che prese dal corpo della donatrice, il cuore che fu poi trapiantato a Louis Washkanky nel 1967, a Città del Capo, Sudafrica, durante la
prima operazione di trapianto cardiaco umano, con esito positivo.
Fu un lavoro molto delicato: il cuore doveva essere rimosso e conservato con la massima cura.
Naki era il secondo uomo più importante dell’equipe che fece il primo trapianto della storia.
Ma non poté apparire perché era un negro nel paese dell’apartheid.
alba morsili foto 2Il chirurgo capo del gruppo, il bianco Christian Barnard, divenne immediatamente una celebrità.
Ma Hamilton Naki non poteva apparire nelle fotografie dell’equipe.
Quando apparve in una, per sbaglio, l’ospedale disse che era un addetto al servizio di pulizia.
Naki portava il cappello e la mascherina ma non studiò mai né medicina né chirurgia: aveva abbandonato la scuola a 14 anni…
albamorsilli foto 4Faceva il giardiniere nella Scuola di Medicina di Città del Capo.
Iniziò pulendo le aule. Però era curioso ed apprendeva velocemente. Apprese la tecnica chirurgica vedendo i medici bianchi praticare le tecniche di trapianto su cani e maiali.
Divenne un chirurgo eccezionale al punto che il Dr. Barnard lo volle a far parte della sua equipe.
Era un problema: per le leggi del Sudafrica, Naki, negro, non poteva operare pazienti né toccare il sangue dei bianchi.
Ma l’ospedale lo considerava talmente valido che fece con lui un’eccezione. Lo trasformó in chirurgo… ma clandestino.
Ma questo non gli interessò. Continuò a studiare ed a dare il meglio di sé, indipendentemente dalla discriminazione. Era il migliore. Dava lezioni agli studenti bianchi ma aveva il salario di un tecnico di laboratorio: il massimo che un ospedale poteva pagare ad un negro.
alba morsilli foto 3Viveva in una baracca senza luce né acqua corrente, in un ghetto della periferia come si confaceva ad un negro. Hamilton Naki insegnò chirurgia per 40 anni ed andò in pensione come giardiniere, con un mensile di ben 275 dollari.
Quando terminò l’apartheid gli offrirono una decorazione ed il titolo di medico honoris causa.
Nessuno fece rilevare le ingiustizie che dovette sopportare durante tutta la sua vita. Durante la clandestinità e la discriminazione non cessò mai di dare il meglio di sé: il suo amore per aiutare a vivere.
Dr. Naki, per tutto quanto hai fatto per l’umanità, al di sopra dei tuoi stessi interessi, grazie.

scritto da paolacon il 11 11 2009

Per svagarci un po’, dopo la serietà degli ultimi argomenti trattati e, per rifarci gli occhi, ecco una chicca per le donne!
Quanti ne riconoscete? E quanti ne avete amati segretamente?