In italia 70.ooo mila negozi commerciali senza scudo.
25 settembre 2009: vendite del commercio fisso al dettaglio -2,6%. Sono state chiuse da gennaio a giugno 2009 36.000 negozi, 6000 al mese,200 al giorno; resistono e la fanno da padrone solo le catene della grande distribuzione che ricorrono allo sfruttamento del personale,tutto ciò alla faccia di chi dice che in Italia tutto và bene e che l’economia riparte, ma costoro dove vivono a Kabul?.
Facendo un calcolo prudenziale e considerando che sono negozi ad economia famigliare ci saranno 200 mila nuovi disoccupati che ingrosseranno le file già note dei disoccupati dell’indudtria e settore manifatturiero con ulteriore calo e compressione dei consumi e della domanda. Un cane che si morde la coda! Tutto quello che il beneamato governo ha prodotto foraggiando le banche che in fase di crisi hanno ristretto i cordoni della borsa ha fatto sì che i negozi chiudono.Chiudono in mancanza del famigerato ottimismo dei consumatori o perchè i consumatori non hanno + un’euro da spendere?
Perchè il governo non applica lo scudo fiscale portando l’aliquota delle tasse al commercio al-5% come per i grandi evasori che se la ridono alle spalle della povera gente che fatica a sbarcare il lunario? I commercianti al dettaglio dovrebbero in tutta Italia attuare lo sciopero fiscale non emettendo lo scontrino ed andare ad ingrossare le file degli evasori .Povera Italia dei condoni, delle truffe, degli sprechi, dei grandi evasori; 300 miliardi di euro volati nei paradisi fiscali. Vergogna ed ancora parlate di cosa sta facendo il governo, ve lo direi alla romana: i C…… loro e basta.
Se scompare Il commercio al dettaglio, entreremo nelle fauci delle grandi catene di distribuzione in mano alle multinazionali che faranno cartello e sempre più compreranno dove costa meno la manodopera e nei paesi emergenti dove l’agricoltura non ha regole per i pesticidi e fertilizzanti da impiegare e produce a pochi cent con ulteriore aggravio dell’occupazione. Mega centri commerciali nelle grandi città sorgono come funghi con costi di manutenzione che ricadono unicamente sul consumatore finale . Il dato inquietante è il continuo crollo delle vendite alimentari, -2,1% rispetto a luglio del 2008, e che continuano a danneggiare i piccoli commercianti al dettaglio che rappresentano la colonna portante degli acquisti degli italiani, – ma preoccupa che il crollo a luglio abbia interessato anche la Grande Distribuzione, -1,2%..
Questo lascia pensare che le tasche della gente siano vuote non possono comprare non il superfluo ma neanchè il necessario, e si continua a dire che la crisi e solo immaginaria e ci vuole ottimismo ma loro quanto prendono di stipendio ? Sanno quanto erogano di pensione al mese? Cifre da capogiro per fame acuta dei Pensionati!!!!!!!
Il nostro premier ha sostenuto lo stesso “delirio” che va ripetendo da un anno a questa parte in Italia: <<la crisi è soprattutto un fattore psicologico>>.
Forse x lui e tutti i parlamentari e manager.
Felpan 11 novembre 2009
Qualche anno fa, ho consumato il libro di G.A.Stella e S.Rizzo “La casta”, come quasi tutti quelli che lo han comprato e letto.
Non ho provato brividi a leggerlo, anzi come quando succede davanti ad un tragico evento, dentro me s’è fatto strada, un sorriso isterico a ogni pagina che leggevo. Forse perchè abituato da altri articoli sul tema, forse perchè abituato da decenni di sottomissione a quel parapotere che ci avvinghia sempre, tranne
lasciarci lampi di libertà in dopo cena saziamente soddisfacenti.
E’ raro il caso che a pancia piena ci si lamenti,paghiamo volentieri un contosalato, basta che ci si alzi dalla sedia accompagnando, nella ripresa della stazione eretta, con le mani la schiena o la pancia. Allo stesso modo da tante che ne abbiam sentite non ci fa rabbrividire quasi nulla, e ributtamo in tasca le mani strette a pugno. Poi, come l’altro ieri, succede che, mentre sei in attesa dal medico, ti trovi tra le mani una rivista che mai avresti comprato. Una rivista di stampo cattolico, di una casa editrice cattolica, di una redazione cattolica, che però ti fa riflettere.
In questi anni abbiam parlato e dissertato a lungo di casta, intendendo quella politica, e non ci siamo posti una domanda su come sarebbero i nostri argomenti se anzichè parlare di “casta politica” parlassimo di “politica casta”.
Una cosa da nulla, la differenza tra quello che è, e che avidamente leggiamo e discustiamo, e quello che forse vorremmo che fosse, specie in questo frangente in cui, chi più chi meno, incorre nel furto. Si dirà che c’entra il furto? C’entra, ecco come.
“Non rubare” inteso anche come “non privare”, “non portare via agli altri”, è in fin dei conti l’unico comandamento che sarebbe sufficiente rispettare in quanto raggruppa tutti gli altri di carattere non religioso. Non rubare la libertà altrui. Non rubare la dignità altrui. Non rubare la sua buonafede. Non rubare la sua vita. Non rubare la verità.Non rubare ……
Serve ancora dire cosa non rubare?
Precisazione: la “roba” l’annovero tra il superfluo: che bisogno ho di accumulare cose che non mi servono o che potrebbero servimi in futuro, se non ho garanzia alcuna che domani vedrò il sole? Eppure è quest’ultimo bisogno alienato, che necessita dell’accunulo di beni, che consente di privare gli altri (nostri contemporranei, detti anche “prossimo”) della vita.
Non si rubano solo i beni o le cose tangibili, ce ne sono di invisibili, molto più importati per l’animo di ogniuno di noi.
In fondo tutto il vivere in comune si basa sul non rubare agli altri le cose realmente importanti. Non rubargli la pace, la fraternità, l’amicizia. L’amore e la vita interiore, che una politica casta dovrebbe garantire.
E sopratutto non rubare a se stessi: non rubare i sogni, non rubare il caldo dell’amore, non rubare il sole….
Ecco una delle cose che mai nessuno ci potrà portare via: il sole.
Nessuno, che non sia una nube, può farlo: e la nube non è umana.
Allo stesso modo mai nessuno potrà rubarci l’intelletto, la conoscenza, le emozioni…al massimo potrà pilotarle.
Ma con i sensi allertati, e lo sguardo sempre oltre il futuro abbiamo il modo di ribadire la nosta identità.
Nessun furto all’orizzonte in questo campo: il pensiero non interessa chi occupa e gestisce il potere, tranne la manipolazione continua a piccoli tocchi per mantenere lo scranno in cui riposa.
Furto è anche quello della buona fede.
La buona fede di chi non conta ed ha paura, e, con la coda tra le gambe pretende di zittire chi pensa a cielo aperto.
Popof 10 novembre 2009
(Prendo spunto dal commento di Antonio2.li, all’articolo di ieri sulla caduta del muro di Berlino, per proporre una breve carrellata…)
Ieri abbiamo “festeggiato” il ventennale della caduta del Muro… a quando i prossimi festeggiamenti per altri muri sparsi nel mondo?
Malgrado tutto ci resterà negli occhi l’immagine di questo Muro aperto, smantellato, promettente un’era completamente nuova. Ci si credeva, allora, alla venuta di un mondo pacifico e senza frontiere: economia globalizzata, libera circolazione delle merci e delle persone, estensione di una Unione Europea al di sopra degli Stati-Nazione. Vent’anni dopo, il pianeta è ancora più irto di barriere insuperabili. Da per tutto, sono stati eretti altri muri, non soltanto per marcare dei limiti d’identità, territoriali, sociali e politici, ma ancora e sempre x separare il mondo in due, tra «loro» e «noi».
Finiremo tutti dietro un muro? C’è ancora un mondo di muri…
«Barriera di sicurezza» israeliana, muro alla frontiera tra il Messico e gli Stati Uniti, «linea verde » a Cipro… 20 anni dopo la caduta del Muro di Berlino, sussistono ancora delle altre separazioni.
Palestina, una « barriera » di 700 Km
La costruzione di questa « barriera di sicurezza » comincia nel 2002, per decisione di Ariel Sharon dopo il moltiplicarsi di attentati suicidi palestinesi. È stata presentata come provvisoria, ma ratifica di fatto il frazionamento della Cisgiordania e impedisce la creazione di ogni possibile e vivibile stato Palestinese. Nel luglio 2004, la Corte Internazionale di Giustizia de L’Aia ha condannato il Muro in Cisgiordania, perché viola il diritto internazionale, ed ha ordinato che si demolisse. Ma finora, Israele non l’ha saputo.
Tra le due Coree, la DMZ (acronimo per “zona demilitarizzata)
Viene chiamata zona demilitarizzata, dal 1953, lungo il 38° parallelo, una zona tampone di 238 km di lunghezza separa la Corea del Nord dalla Corea del Sud. Mine, torrette, reticolati, e migliaia di soldati, in questo ultimo rudere della Guerra Fredda.
La «linea verde» divide Cipro
Dal 1974, la parte sud dell’isola (a prevalenza greca) e la parte nord (a maggiorità turca) sono separate. Dei soldati dell’ONU sono presenti da tutt’e due le parti del muro. Dal 2003 sono ripresi i negoziati.
Stati Uniti-Messico il muro inefficace
Fu costruito nel 2006 per ordine di George W. Bush, il suo scopo è quello di impedire l’immigrazione clandestina dal Messico negli Stati Uniti, e lottare contro il traffico della droga. Gli Americani la chiamano “barriera” i Messicani “muro” e cambia molto come struttura lungo il suo tracciato di 1200 km.: piccoli pali di metallo, recinzione a reticolato, dispositivi di video sorveglianza… Il muro non ha dissuaso i candidati all’esilio americano. Il loro viaggio è solo diventato più difficile e più pericoloso.
Ceuta et Melilla, la fortezza europea
Sembra che l’Europa abbia scoperto questa doppia barriera solo nel 2005, quando centinaia di immigranti hanno tentato di superarla, per raggiungere Ceuta o Melilla, enclave spagnolo in territorio marocchino. Numerosi sono stati uccisi, apparentemente dalle forze di sicurezza marocchine e spagnole. Da allora il muro è stato rinforzato e rimodernato.
Belfast, dei «peacewalls» (muri di pace) vestigia della guerra civile
Un moltitudine di piccoli muri inquadrano Belfast, traccia della guerra civile tra lealisti e repubblicani, tra quartieri protestanti e cattolici. Oggi, questi «peacewalls» conservano la diffidenza tra le due comunità. Sono diventati dei luoghi dove i giovani disoccupati e sfaccendati, colpiti dalla disoccupazione e dalla povertà, si fronteggiano.
Padova, un quartiere murato
Nel 2006, il sindaco di Padova decise di far erigere una palizzata per separare un intero quartiere dal resto della città. L’obiettivo: mettere fine ai traffici di droga e alle continue risse tra immigrati clandestini abitanti di questo quartiere diventato un ghetto.
E ancora…
Il valico di frontiera di Wagah, tra India e Pakistan
Muro di sabbia e pietre sul confine tra Marocco e Mauritania.
Iraq: il muro che circonda Sadr City, distretto della città di Baghdad
Il confine tra India e Bangladesh….
Paolacon.rm 10/novembre/2009
9 novembre 1989, crollo del Muro di Berlino. Vent’anni da allora. Ricordiamo insieme.
Un po’ di cronaca a ritroso
Era una bella giornata d’estate, il 13 agosto 1961, quando i berlinesi videro che qualcosa stava succedendo al confine tra Berlino Est e Berlino Ovest. C’erano nuovi reticolati e cavalli di Frisia, ma anche tanti operai e ruspe e betoniere e grande movimento. Le autorità della Germania Est quel giorno chiusero definitivamente i passaggi tra le due Berlino. Frontiere chiuse con filo spinato, 20000 soldati che controllavano le operazioni di costruzione del muro. Fu un’azione improvvisa e brutale che era stata preparata da tempo, in segreto, come dimostrazione di forza da parte dei russi. E l’occidente, che non voleva ancora una guerra, non reagì.
La costruzione del “muro” cominciò così, senza troppa pubblicità, all’improvviso e, pochissimi giorni dopo, i berlinesi si trovarono definitivamente e irrimediabilmente divisi.
Le famiglie separate con violenza, uno strappo non modificabile. L’imponente “porta di Brandenburgo”, che apre su una delle più belle strade di Berlino, “Unten der Linden”, tagliò la città in due. I magnifici musei del “Museumsinsel” restarono a est e il giardino zoologico a ovest, ma questo sarebbe stato assolutamente senza importanza, le famiglie si trovarono repentinamente divise e impossibilitate a riunificarsi. Chi aveva l’appartamento all’est, per molti anni non poté vedere i suoi cari. Proprio dietro l’angolo c’era “il Muro” e quello era un ostacolo invalicabile.
Mi racconta una mia amica che, quando ci fu il ritorno a scuola dalle vacanze estive, metà della classe non rispose all’appello: era rimasta all’Est. Che dolore terribile per i ragazzi, gli amici disgiunti per sempre.
Da quel momento cominciarono mille strategie per comunicare in tantissimi modi, i più disparati e disperati. Come far conoscere ai nonni il nipotino appena nato? E mostrare all’amica il fidanzato, o controllare di quanto era cresciuta la cuginetta? E poi i fratelli divisi, i figli separati dagli anziani genitori, con l’angoscia di saperli non in buona salute e senza aiuto. Le persone che lavoravano a Berlino Ovest rimasero senza lavoro e, solo pochi, furono autorizzati a recarsi nell’altro settore di Berlino. I pensionati furono tra quelli a cui fu immediatamente accordato il permesso di recarsi all’Ovest, visto che così persero ogni diritto alla loro pensione dell’Est e anche a qualche persona fu concesso il visto, ma mai, tutti i membri di una stessa famiglia, poterono viaggiare insieme.
Una foto ci dà il senso di quegli anni, delle persone che, da una finestra di una casa ad Ovest, salutano con fazzoletti bianchi i propri cari a est. O filmati che mostrano persone che fanno segnali Morse, usando specchietti per riflettere il sole, altre che cercano di parlare a segni, e poi tanto sventolìo di fazzoletti, un segnale di presenza, ma anche un addio.
E l’inferno cominciò…
Nei quartieri di Berlino dove il fiume Spree serviva da frontiera, dei bambini morirono annegati, perché i pompieri non erano autorizzati a trarli in salvo. Altri cercarono di passarlo a nuoto lo Spree e qualcuno ci ruscì; si cercò in tutti i modi di fuggire, di scavalcarlo quel muro e mille strattagemmi furono inventati. Ma molti non ebbero successo.
La vita in Germania Est era durissima e mancava quasi tutto. Mi racconta un’altra mia amica, che una prassi comune, era quella di darsi appuntamento nei grills dell’autostrada e gli amici o i parenti dell’Ovest, ci andavano con i loro vestiti più belli, anche due capi uno sopra l’altro e poi con noncuranza, senza dare nell’occhio, facendo finta di non conoscersi, si sedevano allo stesso tavolo, visto che in Germania è un’abitudine normale sedersi insieme anche tra sconosciuti e si scambiavano gli abiti, le scarpe sotto il tavolo, giornali, regali.
Die Berliner Mauer, come si chiama in tedesco il muro di Berlino, che ha diviso nettamente in due la città per 28 anni, era una barriera di lastre di cemento con un’altezza minima di 3,5 m. lunga 155 km, 43 all’interno della città e 112 fuori della città; 15000 soldati erano di guardia e, da 300 torrette di controllo, si potevano seguire tutti i movimenti. Si sparava a vista a chiunque si avvicinasse.
Durante questi 28 anni più di 200 persone furono uccise mentre cercavano di fuggire da Berlino Est verso l’Ovest, nel tentativo di superare il muro. Questi i dati ufficiali, ma quasi sicuramente furono molte di più. Fortunatamente 50000 ebbero successo positivo.
Bernauer Strasse fu un centro di fughe tragiche. Quando fu costruito il muro, i berlinesi si resero conto che le case di questa strada avevano il portone principale a Est, ma le finestre a Ovest. Cominciò una fuga precipitosa, cercando di non farsi notare, di un centinaio di persone. Le persone si gettavano letteralmente dalle finestre, e sotto c’erano i pompieri dell’Ovest, con i teli pronti ad accoglierle. Ma alla fine la polizia dell’Est se ne accorse e murò tutte le finestre. Più tardi quelle case sul confine furono abbattute.
Altri tentativi di fuga furono fatti con i mezzi più disparati: doppiofondo nelle automobili, valigie, bauli, borse della spesa per nasconderci bambini e addirittura un paio di tentativi, da una finestra all’altra di due palazzi vicini, ma in due settori diversi, tendendo una corda con una carrucola, con il fuggitivo appeso.
Alla stazione di metro di Postdamer Platz tutte le porte d’ingresso erano sbarrate e nascoste dietro una parete di rovi che crescevano in modo disordinato. I treni attraversavano la stazione rallentando, senza fermarsi, sotto lo sguardo spento dei soldati che controllavano giorno e notte, misurando a gran passi i marciapiedi, avanti e indietro, affinché nessuno salisse su quella metropolitana diretta a Ovest.
Il tempo sembrava sospeso. Tutta la città aveva assunto un aspetto grigio, uniforme e triste.
Grigio negli edifici, negli abiti, nei cuori.
Mi ricordo una canzoncina di Nina Hagen, in voga nei primi anni ottanta: “99 Luftbaloon” (99 palloncini ) che era il simbolo di come l’Ovest cercasse sempre di comunicare con l’Est. Furono lanciati centinaia e centinaia di palloncini rossi con attaccati bigliettini di saluto, da Berlino Ovest in direzione di Berlino Est. Il cielo, in quell’occasione, era per una volta pieno di colori.
Berlino per 28 anni è stata tagliata in due, c’era tutta una generazione che non aveva visto altro che il regime.
Ma con due parole sole: ”ab sofort” (da subito), è iniziata la fine di un regime di terrore, che ha colorato di un grigio triste e drammatico metà della Germania. Un regime controllato dalla famigerata Stasi, in un clima di sospetto e di paura.
Che cosa accadde in quei giorni?
Cronistoria, come si arrivò alla caduta del Muro.
Dopo la sconfitta della seconda guerra mondiale la Germania fu divisa in due con quattro zone di occupazione: francese, inglese, americana e russa.
Anche Berlino è stata divisa in due ed era occupata da quattro nazioni; ma nel pieno della guerra fredda, la zona di occupazione russa diventò teatro di un braccio di ferro con l’occidente “capitalista e imperialista”.
Il 13 agosto 1961 il settore russo di Berlino chiuse le frontiere definitivamente, ed i cittadini tedeschi residenti di Berlino Est non ebbero più la possibilità di recarsi in nessun altro settore della città.
Una data storica fu il 26 giugno 1963, giorno della visita del presidente americano John F. Kennedy. In quell’occasione pronunciò la famosa frase :” Ich bin ein Berliner” Tutti gli uomini liberi sono dei cittadini di Berlino “io sono berlinese” e sono fiero di esserlo. Era un chiaro monito ai russi e un incoraggiamento per i berlinesi.
http://www.youtube.com/watch?v=7drzQE9ssek
Nel 1989, pochi mesi prima della caduta del muro, in agosto, e anche dopo, gli oppositori del regime ungherese permisero, ai tedeschi dell’Est, di passare in Austria, attraverso le loro frontiere.
Un totale di circa 60000 persone passarono.
E così si arrivò alla indecisione e confusione del mese di ottobre; il regime pensò che, se avesse allentato un po’ la sua rigidità nel dare permessi per andare in occidente, lo scontento della popolazione, che già manifestava violentemente in varie città, cominciando da Lipsia, sarebbe scemato. Le decisioni furono prese dal Politburo, ma non erano chiare, né definitive.
E a questo punto, anche oggi, viene chiamato in causa Günter Schabowski , porta parola del governo e che, involontariamente, facendo il rendiconto delle decisioni del consiglio dei ministri favorì l’abbattimento del muro di Berlino. Il 9 novembre 1989, in seguito ad un malinteso, Schabowski annunciò in una trasmissione in diretta, nel corso di una conferenza stampa, che tutte le norme per i viaggi all’estero erano state revocate con effetto immediato (“ab sofort”).
Le leggende di quella sera sono tante. Sembra che Schabowski tornasse dalle vacanze, non fosse propriamente al corrente delle decisioni del Politburo e avesse solo pochi appunti scritti da un altro e l’ordine di divagare e intrattenere soltanto, i giornalisti. Ma alle domande insistenti dell’ex corrispondente italiano dell’Ansa, Riccardo Ehrmann, giunto in ritardo alla conferenza e per questo appollaiatosi sulle scale sotto il palco, e che chiese: “Da quando? da quando saranno in vigore queste regole?” “da subito” “Ab sofort, da subito” Schabowski rispose .
Da subito i cittadini della DDR avrebbero potuto lasciare il proprio paese: due parole in risposta alle domande. Due parole che cambiarono il corso della storia.
Ma “ab sofort” lo ascoltarono alla radio , alla televisione e migliaia e migliaia di berlinesi dell’Est si riversarono ai posti di blocco, mostrando il passaporto e chiedendo di passare. Le guardie erano disorientate, non avevano ricevuto nessun ordine e fortunatamente nessun ordine di “sparare sulla folla” così, due semplici parole, aprirono il muro della guerra fredda e portarono poi come conseguenza alla riunificazione della Germania.
Alla frontiera regnava il caos, la gente, che aveva sentito alla radio e alla televisione l’equivoco annuncio, premeva per passare e le guardie di frontiera non ricevettero ordini di nessun genere.
Poi fu tutto veloce, in una commozione generale e nel caos, cominciarono a passare a decine, a centinaia un fiume senza fine; poi furono decine di migliaia e fu una notte senza sonno e senza tempo.
I tedeschi che vivevano all’Ovest arrivarono anche loro a frotte per accogliere amici e parenti, ma anche solo per dare il benvenuto ai cittadini dell’Est, per regalare un fiore, per abbracciarsi, piangere insieme, ridere e urlare. Fu una notte che nessuno potrà mai dimenticare per tutta la vita; un regime così stretto che crolla quasi all’improvviso, lo stupore di cominciare a smantellare il muro e di vedere passare da quella breccia centinaia e centinaia di persone e poi file interminabili di macchine, la vecchia Trabant e biciclette e carrozzine coi bambini, il tutto in un’atmosfera quasi irreale, di sbigottimento, di meraviglia, abbracciandosi e cantando l’inno nazionale: finalmente di nuovo insieme! Freiheit! Freiheit! Frei! Libertà, libertà, liberi. Ci si abbraccia fra sconosciuti, si ride e si piange.
Mi ricordo le parole di una donna in macchina: ”Non posso credere che sto per passare, sento che sto per svenire!” Tutta l’emozione di quel momento è sintetizzata in queste poche parole.
A ripensarci, ancora oggi mi viene la pelle d’oca e mi turbo.
Poi ci fu quest’altra cosa bellissima di Rostropovich (il più grande violoncellista di allora, bandito da tutti i paesi dell’Est) che prese il suo violoncello e si mise a suonare sotto il muro, per celebrare l’evento.
Il 9 novembre è il grande giorno, ma già dal 1° novembre sono cominciate le celebrazioni.
Con la cerimonia che si è svolta, in un teatro di Berlino, si sono aperte le commemorazioni per il ventennale della caduta del “Muro” 1989 – 2009
Gli artefici della caduta del “Muro” e della riunificazione delle due Germanie: George Bush senior, Mikhail Gorbaciov e Helmut Kohl, si sono ritrovati, insieme a Köhler e alla Merkel e a circa 2000 persone, tutte con le lacrime agli occhi. Hanno rievocato quei momenti esaltanti di groppo alla gola e Berlino ha festeggiato i «Leoni del muro» « i nostri eroi». Il presidente federale tedesco Horst Köhler ha detto sono «Tre Nazioni, tre uomini e un’ora storica» che si trovano qui riuniti a ricordare quando, la notte del 9 novembre 1989, a Berlino i posti di blocco della Germania Est si aprirono e il popolo, da 28 anni dietro al Muro, passò a Ovest, a piedi, in bicicletta o in Trabant, finalmente. Neanche un anno dopo la Germania tornava unita: il 3 ottobre 1990.
Per la storia tedesca e forse per il mondo, la data del 9 novembre 1989 segna l’evento più importante della seconda metà del Ventesimo Secolo: la rottura finale della Cortina di Ferro che divideva l’Europa. Per Kohl è stata una commozione profonda ricordarlo; ha detto che: noi tedeschi “non abbiamo nella nostra storia molte ragioni delle quali essere orgogliosi, ma sono fiero di quegli anni e della riunificazione tedesca”. Bush ha sottolineato che la caduta del Muro segnò, non solo la fine della Seconda guerra mondiale, ma anche della Prima: cioè dei drammi del Ventesimo Secolo in Europa.
Se non lo doveste aver visto, vi consiglio di vedere il film, vincitore di numerosi premi, tra cui l’Oscar: “Le vite degli altri”, vi darebbe un’idea di che cosa sono stati quegli anni a Berlino.
Vi propongo questo bellissimo filmato, pazientate per il primo minuto e mezzo che è solo un susseguirsi di dati, ma poi comincia il film, che è molto toccante.
paolacon.rm 09/11/2009
Cari amici Eldiany, per il ventesimo anniversario della caduta del muro di Berlino è stata organizzata una mostra fotografica a Torino, in un momento storico di portata mondiale, che vide protagonisti gli allora capi di stato Gorbaciov, Kohl e Bush senior. Fu un evento che cambiò la geografia della Germania, facendola ritornare unita e libera e che trasformò la politica nazionale ed internazionale dell’Unione Sovietica. L’articolo preso dal “Sole 24 ore” parla di questa mostra che alcuni fortunati Eldyani, “piemontesi” potranno, se vorrano, tranquillamente andare a visitare, è gratuita. Vi anticipo alcune foto in visione alla mostra.
Una muraglia di cemento lunga quaranta chilometri e alta quattro metri per quasi trent’anni ha diviso Berlino e la Germania, ha separato l’Occidente dall’Oriente, impedito a famiglie di guardare negli occhi i propri cari. Il 9 novembre 1989 il simbolo della Guerra Fredda e del Comunismo ha ceduto di fronte all’urlo del popolo, il cemento si è sgretolato alla pressione della libertà. A vent’anni da quella data la mostra fotografica Berlino: La libertà oltre il muro, promossa dalla Regione Piemonte e da Alinari 24ORE ne ripercorrere la storia attraverso ottanta immagini dell’agenzia fotografica Ullstein Bild e dell’archivio del quotidiano Süddeutsche Zeitung. Restituiscono l’asfissia di una prigionia a cielo aperto e nello stesso tempo l’euforia di un momento storico reporter come Brigitte Hiss, Kurt Hamann, Joachim G. Jung, Gert Hilde, Peter Leibing, Klaus Lehnartz, Heinrich von der Becke, Hans Peter Stiebing, Ingo Röhrbein e Bernd Wende. Si passa dalle foto del filo spinato che attraversava la città fino al 1961 (prima del muro) a quelle del cemento invalicabile che divideva “diciassette milioni di tedeschi murati vivi dalla più perseverante e immarcescibile dirigenza staliniana dell’est europeo”, scrive Enzo Bettiza nel suo libro 1989-La fine del Novecento. Dalla serie di morti provocati dagli innumerevoli tentativi di fuga alle proteste contro l’edificazione del “nemico” non solo di un popolo, quello sguardo che sembra affranto di fronte all’emblema dell’ottusità politica si rivitalizza quando riprende i murales colorati delle pareti occidentali realizzati negli anni Ottanta: la speranza di un cambiamento prende forma. Ecco allora aprirsi un varco, stargate reale di una nuova era attraverso cui si materializza il futuro alternativo di un paese; le due Germanie si ritrovano, si riscoprono, unite dal semplice abbraccio della gente comune. Il bianco e nero si alterna al colore, gli occhi spenti dei protagonisti di un decennio o un ventennio prima dell’evento tanto atteso lasciano spazio agli sguardi fieri di chi è finalmente dall’altra parte, di chi finalmente si ricongiunge alla famiglia lasciando alle spalle il ricordo del solo contatto visivo. Le immagini quasi vuote improvvisamente si affollano, diventano corali: la festa della liberazione ha inizio. Si tratta per lo più di un viaggio nella memoria, nello stesso tempo però richiama fantasmi contemporanei, errori che ricalcano il passato, muri che si pensavano impossibili da erigere di nuovo e che invece trovano ancora fondamenta come quello che oggi divide gli israeliani dai palestinesi. Forse un giorno una mostra ricorderà un altro crollo.
marc52 03 /11 2009
Berlino: La libertà oltre il muro
Curatore: Uliano Lucas
Aperta fino al 9 novembre
Sala Bolaffi, via Cavour 17, Torino
martedì – domenica 10.00-19.00
info: 800 329 329
Ingresso gratuito
Apertura straordinaria lunedì 9 novembre
nel ventennale della caduta del muro
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Un altro artista, molto particolare, ha attirato la mia attenzione: si tratta del pittore olandese Piet Mondrian (1872-1944).
Egli fu uno dei principali esponenti del neo-plasticismo, corrente non figurativa costituitasi nei Paesi Bassi, intorno al 1917.
Nonostante siano molto famosi, anche spesso imitati e banalizzati, i quadri di Mondrian dimostrano una complessità che smentisce la loro apparente semplicità.
Le opere non rappresentative, per cui è conosciuto e che consistono in forme rettangolari di rosso, giallo e blu o nero, sono in effetti il risultato di un’evoluzione stilistica che avvenne nel corso di quasi 30 anni.
Nel 1912, Mondrian si trasferì a Parigi dove l’influenza di Picasso e di Braque si manifestò quasi immediatamente nei suoi quadri. Nel 1938 Mondrian lasciò Parigi a causa dell’avanzante fascismo per trasferirsi a Londra e, dopo l’invasione dell’Olanda, da parte dei Nazisti e la caduta di Parigi nel ’40, abbandonò Londra per New York, dove rimase fino alla sua morte.
Il luminismo – versione olandese del fauvismo – indicò a Mondrian il modo per svincolare il colore dai suoi riferimenti naturali in una splendida serie di alberi: quello rosso, l’argentato e il blu, e replicherà in modo ripetitivo uno dei suoi motivi preferiti: la personificazione – verticale – del simbolo della vita, che lotta per resistere al caso – orizzontale – della morte.
Decisamente straordinarie le tele di richiamo impressionista dei suoi esordi, paesaggi che descrivono la sua Olanda con i mulini, i campi, i fiumi.
Solo, ad un certo punto della sua vita, l’artista ritiene non basti più la riproduzione del vero per affermare quanto emerge dallo spirito. Sono, a suo dire, prima i colori, poi semplicemente le linee (base della natura) gli elementi che, correttamente rappresentati, possono esprimere filosoficamente la realtà.
“Costruisco combinazioni di linee e di colori su una superficie piatta, in modo di esprimere una bellezza generale con una somma coscienza. La Natura (o ciò che vedo) mi isira, mi mette, come ogni altro pittore, in uno stato emozionale che mi provoca un’urgenza di fare qualcosa, ma voglio arrivare più vicino possibile alla verità e astrarre ogni cosa da essa, fino a che non raggiungo le fondamenta (anche se solo le fondamenta esteriori!) delle cose…Credo sia possibile che, attraverso un’alta intuizione, e portate all’armonia e al ritmo, queste forme basilari di bellezza, aiutate se necessario da altre linee o curve, possano divenire un’opera d’arte, così forte quanto vera”.
Nei paesaggi di Mondrian c’è la tecnica “pointillisme”, un metodo che si traduce in brevi pennellate decise formando un insieme di puntini che ricompongono il paesaggio in una solida struttura spaziale, attraversata da una luminosità irradiante.
Mondrian ritiene che l’arte sia un prodotto della ragione, che realizzi una fusione di razionalità e idealità, per cui il suo astrattismo è ispirato alla perfezione delle leggi matematiche e scientifiche.
Se Kandinskij cerca di cogliere negli impulsi interiori, lirici e fantastici, la spiritualità dell’uomo, Mondrian lo spoglia della sua vana e fugace individualità per esprimere la parte che appartiene all’universo.
Linee, superfici, colori (quasi esclusivamente il rosso, il giallo e il blu) si collocano nel quadro con equilibrio geometrico e sapiente distribuzione.
L’albero si trasforma, diventando sempre più essenziale attraverso la progressiva eliminazione degli elementi secondari dell’immagine.
L’albero rosso: in questa prima versione si avvertono assonanze con van Gogh, ma la scelta dei colori, ridotti a due, è personale.
L’albero argentato: l’immagine dell’albero è la stessa, ma il colore è diventato monocromo, grigio, per evidenziare la ricerca ritmica della linea dei rami: è implicita l’adesione ai cubisti.
Il melo in fiore: l’immagine è ormai astratta e il soggetto non è che un pretesto per la ricerca di segni geometrici e dell’incedere ritmico di derivazione cubista. La mano dell’artista interpreta solo l’essenzialità geometrica della struttura dell’albero, che è definitivamente scomparso.
Addio suggestioni realistiche, addio impressione luministica, la natura si spoglia della sua materialità e diventa una magnifica ossessione fatta di forme, segno, colore, pura geometria.
Sarà questa la strada che seguirà Mondrian, l’olandese “volante” dell’avanguardia del primo Novecento, il pittore delle griglie e delle scacchiere, delle tele scandite dai tre colori primari: il rosso, il giallo e il blu, nella sua personalissima ricerca stilistica verso l’essenza formale dell’oggetto.
Secondo Mondrian, l’arte astratta non rinnega la natura, non ne implica una nuova visione che permette di scoprire l’angolo retto in un paesaggio in cui l’orizzonte rappresenta l’orizzontale e la linea immaginaria che va dalla luna all’orizzonte, quella verticale.
L’apparente semplicità delle opere più conosciute di Mondrian portarono molte persone a ritenere che chiunque, perfino un bambino, potesse disegnarle. Al contrario, accurati studi sulla sua composizione neo-plastica hanno dimostrato che sono lavori completamente originali, estremamente difficili da riprodurre con lo stesso effetto che lui fu in grado di ottenere.
Tra il 1942 e il 1944 dedicò un nuovo ciclo di opere incentrate sul movimento: ”Abstraction et création”: Broadway e Boogie Woogie. Queste opere risulteranno di estrema importanza per la crescita di una nuova generazione di artisti in America.
Le opere più significative di Mondrian:
– La serie dei tre alberi (argentato, rosso e blu)
– Il melo in fiore
– Mulino al sole
– Fattoria olandese
– Scacchiera
– Composizione
– Campanile
– Altro mulino
giovanna3.rm 05.11.2009
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Cari amici Eldyani, nuova ed ennesima polemica in Italia, questa volta sul caso: crocifisso nelle scuole o in generale negli edifici pubblici.
Si noti bene! è una decisione della Corte Europea sui diritti dell’uomo, non decisione della Corte europea, come impropriamente riferito. Tutti sanno ormai è stata emessa una sentenza della Corte Europea sui diritti dell’uomo di Strasbourgo che, accogliendo la denuncia di due coniugi padovi, dichiara: la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche, è una violazione della libertà dei genitori ad educare i figli, secondo le loro convinzioni e della libertà di religione degli alunni. Se siamo nell’unione europea, questa sentenza non è giusto rispettarla?
Ho conosciuto paesi dove la religione cattolica non era “religione di stato” e non c’era il concordato con la chiesa cattolica e dove le religioni professate nel paese erano molte e diverse.
Il credere o il non credere, l’essere o meno religiosi, appartenere a una religione o a un’altra, è un fatto puramente intimo e personalissimo, non diventiamo intolleranti estremisti cattolici, lasciamo la libertà di esprimersi anche a chi non la pensa come noi.
In Francia ogni simbolo religioso è bandito dagli edifici pubblici, sia esso un riconoscimento di religione cristiana, mussulmana o ebraica. Il velo islamico non può essere indossato a scuola, né è ammesso portare stelle di David, filatteri o croci cristiane esposte palesemente. La religione non è insegnata a scuola, la scuola è strettamente laica, ma, il mercoledì, a scuola non ci sono lezioni, per permettere ai ragazzi di seguire un insegnamento religioso appropriato, fuori dalle mura scolastiche.
In Germania, non ci sono simboli religiosi nelle aule, ma viene impartito un insegnamento facoltativo multi religioso: storia e filosofia delle religioni. Anche in Spagna, se si desidera che i ragazzi abbiano un insegnamento religioso, vengono iscritti in scuole private. Non parliamo poi degli Stati Uniti d’America…
“Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio “ di antica memoria, mi sembra appropriato in questo contesto. Lasciamo i crocifissi nelle chiese e onoriamoli intimamente, secondo la religiosità di ognuno di noi, che c’entrano nel pubblico? E poi come vengono rispettate le minoranze non cattoliche in questo modo? Anche i protestanti e gli ortodossi hanno come simbolo il crocifisso, ma senza il corpo del Cristo e gli ebrei? E tutte le altre minoranze?
Ci siamo permessi di riportare per voi, tre articoli presi da tre giornali diversi, sintetizzandoli, per poi aprire un sereno dibattito tra noi Eldyani, con eventuali e relativi commenti.
È giusto levare il crocefisso dalle scuole, dalle università ? dagli edifici pubblici?
Leggiamo da “Repubblica”:
Il segretario di Stato Vaticano torna a criticare la sentenza della Corte Europea dei diritti
dell’uomo di Strasburgo. Tarcisio Bertone esprime apprezzamento per il ricorso presentato dal governo italiano, e si augura che altri esecutivi europei facciano altrettanto. “Io dico – dice il prelato – che questa Europa del terzo millennio ci lascia solo le zucche delle feste recentemente ripetute e ci toglie i simboli più cari, questa è veramente una perdita. Dobbiamo cercare con tutte le forze di conservare i segni della nostra fede per chi crede e per chi non crede”.
Il governo. “Per noi è una sentenza assolutamente inaccettabile”, commenta il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che l’Italia sia un Paese in cui il cristianesimo è la sua stessa storia lo sappiamo da sempre. Non abbiamo fatto ancora ricorso perché non c’è stata una riunione del Consiglio dei Ministri dopo la sentenza. Ce ne occuperemo venerdì mattina – aggiunge – “E’ una delle decisioni che, molto spesso, ci fanno dubitare del buon senso di questa Europa”.
Già in sede di formazione della nuova Costituzione europea – prosegue Berlusconi -” mi ero battuto per il riconoscimento delle radici giudaico-cristiane dell’Europa. I paesi estremamente laici come la Francia, nella persona dell’allora presidente Chirac, si erano opposti e non eravamo riusciti a convincerli. Oggi si è fatto un ulteriore passo in avanti, negando che l’Europa abbia radici cristiane. Questo non è accettabile da noi italiani, paese nel quale tutti non possiamo non dirci cristiani”. Dal canto suo, il ministro dell’istruzione, Mariastella Gelmini, precisa che il ricorso contro la sentenza “sarà pronto nell’arco di pochi giorni”. Un ricorso che definisce “necessario perché per noi è una scelta davvero incomprensibile”. Il leader leghista Umberto Bossi bolla la sentenza come “una stronzata”, afferma che “l’Europa va forse bene per l’economia, ma non per molte altre cose”. Secondo il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, i “soloni” o presunti tali della Corte di Strasburgo dovrebbero tornare sui banchi di scuola elementare per capire cosa è la storia dell’Europa in nome della quale pontificano. Per il governatore della Puglia, Nichi Vendola, quella della Corte Europea è una sentenza che merita una discussione, un approfondimento, spero senza spirito di crociata, senza anatemi reciproci”. Sindaci all’attacco. Intanto se c’è chi i crocefissi li vuole togliere, c’è anche chi li compra e li regala. E’ il caso del sindaco di Sassuolo Cuca Caselli. Il comune in provincia di Modena, stessa iniziativa da parte del sindaco di Ardea (in provincia di Roma), Carlo Eufemi: “Il crocifisso nelle scuole non si tocca perché rappresenta le radici della nostra civiltà, uno dei simboli dell’unità del nostro Paese”. Il sindaco di Sanremo Maurizio Zoccarato ha scritto ai dirigenti scolastici degli istituti operanti sul territorio comunale di sua competenza invitandoli ad apporre il crocefisso laddove già non ci fosse. E sui tabelloni luminosi del Comune di Montegrotto Terme, in provincia di Padova, per iniziativa del sindaco è apparsa la scritta: “Noi non lo togliamo”.
Gian Enrico Rusconi della ” Stampa” invece scrive: Il crocifisso è un pezzo d’arredamento obbligatorio dell’aula scolastica, come la carta geografica d’Italia, la fotografia del Presidente o il busto di Cavour? Oppure è uno specifico segno religioso, diventato troppo potente e problematico per essere ridotto alla «tradizione nazionale degli italianiDi questi italiani che non hanno più idea di che cosa significhi redenzione, salvezza, peccato ma in compenso strapazzano «le radici cristiane»? I clericali si illudono se ritengono che lo spazio pubblico, che continuano ad evocare come legittimo luogo di espressione della religione, si mantiene con una dubbia difesa giuridica della presenza del crocifisso in aula. Per questo la sentenza della Corte Europea sui diritti dell’uomo di Strasburgo suscita le solite furibonde discussioni, anziché mettere in moto un confronto ragionato di posizioni. E comportamenti coerenti. In termini giuridici la sentenza di Strasburgo è ineccepibile quando parla del «diritto dei genitori di educare i figli in linea con le loro convinzioni e con il diritto dei bambini alla libertà di religione». E’ un principio base di tutte le Costituzioni democratiche. Questo conflitto investe in profondità convinzioni ed emozioni. Ma non è una contrapposizione di valori a disvalori o assenza di valori – come pensano i clericali e gli agnostici devoti in politica. E’ importante insistere su questo punto se vogliamo andare alla sostanza del problema prima di vederlo tradotto in termini giuridici. Va respinta con energia l’accusa che chi (non credente o diversamente credente) vorrebbe rimuovere dallo spazio pubblico scolastico il segno della fede cattolica è una persona intollerante, insofferente, addirittura carica di astio contro la religione cristiana. Cristianofobica, ed è pertanto ridicola la protesta che la sentenza di Strasburgo miri a colpire una sensibilità preziosamente italiana. In realtà anni fa la stessa questione è stata affrontata e giuridicamente risolta nello stesso senso nella moderata e cristiana Germania, con un esemplare confronto tra la Corte costituzionale federale e la Corte regionale della Baviera. Il fondo della contraddizione è toccato dai leghisti che da una parte contestano e sbeffeggiano l’identità nazionale, e dall’altro difendono il crocifisso nelle scuole come simbolo intoccabile di tale identità.
Il premio Nobel Dario Fo dal “Manifesto” scrive: Suona scandalo la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo che, accogliendo la denuncia di una cittadina italiana, dichiara che la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche è una violazione della libertà dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni e della libertà di religione degli alunni. Scandalizza enormemente i cattolici apostolici romani. Ma non i cristiani. Perché ci sono anche i cristiani non apostolici romani che non fanno del predominio del simbolo della croce il loro valore essenziale. Non a caso però la Corte europea ha aggiunto che proprio la presenza dei crocefissi nelle aule può facilmente essere interpretata dai ragazzi di ogni età come un evidente segno religioso e dunque potrebbe condizionarli: se incoraggia i bambini già cattolici, può invece essere di condizionamento e disturbo per quelli di altre religioni e per gli atei.
In nome della croce sono stati commessi grandi misfatti, Crociate, Inquisizioni, la rapina e i massacri del Nuovo mondo, la benedizione degli imperi e degli uomini della provvidenza. Pensate che il cattolicesimo ha proibito fino all’Ottocento di tradurre in volgare la Bibbia e il Vangelo. In nome di quel «segno» si sono commessi i crimini più efferati. E si commettono, con le proibizioni contro il diritto degli uomini a gestire la conoscenza e la libertà individuale e sessuale. Se è la «nostra cultura», come dichiarano l’intrepida ministra Gelmini e il «pontefice» Buttiglione che accusa la sentenza di Strasburgo di essere «aberrante», perché non raccontare il lato oscuro della croce come simbologia di potere? Invece è come se continuassero a dire: lo spazio del visibile, dell’iconografia quotidiana della realtà è mio, lo gestisco io e ci metto le insegne che voglio io. È questo che è sbagliato, perché in origine esso era solo un segno di riconoscibilità dei luoghi clandestini di preghiera e culto. Non un simbolo imposto, che rischia di richiamare un rituale comunque di morte, contro gli altri, le altre culture, storie, religioni.
Che la realtà che ci circonda, in primo luogo quella formativa della scuola, torni ad essere spazio creativo oltre le religioni, libero per tutti dagli obblighi oppressivi dei valori altrui.
marc52, paolacon.rm 5 novembre 2009
Ecco che Giulio, con il suo senso dell’umorismo accattivante e tipicamente toscano, ci accompagna in una visita al cimitero del suo paese, smitizzando un po’ il sacro giorno del 2 novembre ed offrendoci un autentico spaccato di vita.
Il giorno della Commemorazione dei Defunti, al mio paese, sembrerà strano, è festa grande. Coloro che hanno lasciato il borgo per altri lidi, si ritrovano tutti gli anni il due di novembre, presso la Residenza Eterna. Pertanto il luogo sacro, diventa il punto di incontro, dei saluti, degli abbracci, dei commenti. Però, come dice una famosa canzone di Mia Martini, la gente è matta; sembra di assistere ad una gara: una competizione a chi porta più fiori sulle tombe.
Prima della cerimonia funebre, ho fatto una visita al Camposantoe, siccome in questo borgo siamo un p’ tutti parenti, ognuno di noi fa il giro e depone il proprio fiore sulla lapide. Ecco che, piano piano, il Cimitero diventa un grande tappeto multicolore.
Poi i lumini, piccoli, grandi, luci a pila, candele fosforescenti per la notte, insomma un gran bazar. Mentre osservavo, è arrivato un signore con una carriola di crisantemi, si è guardato intorno, poi visto che non sapeva dove metterli gli ha posati ai piedi di un cipresso, ormando un grosso mazzo bianco.
Una donna chiede a che ora c’è la benedizion: -Alle tre e mezzo – gli rispondono in coro. E mentre sistema a forza in un vaso le ultime rose, sbotta- Vado via perché la mi figliola mi vuol pettinare, guarda che testa che ho. Te Teresa -rivolgendosi alla donna vicina -hai sempre i capelli in ordine, ma chi te l’ha fatti ?
-Ormai sono anni che vado dalla stessa parrucchiera,-risponde la Teresa- mi ci trovo bene, mi azzecca sempre il colore. Lo faccio per rispetto di mio povero marito, sono sicura, che se mi vede, è contento. Credimi! Proprio contento.
-Io non ci credo a queste cose, prova a chiudere gli occhi, vedi nulla? Così è l’aldilà-. Bu-i-o-!
Poco più lontano il dialogo era culinario.-Oggi ho preparato i maccheroni, vengono le mi figliole, e sai che diceva mio marito? Quando non ci sarò più mangiate e bevete e tirate a campà. E dopo maccheroni ho fatto un pollo al forno con le patatine, e per dolce una bella crostatina con la marmellata di fichi. Il vino di solito lo porta il mi genero, é sempre buono, se ne intende. Dopo si verrà alla benedizione del cimitero.
Mi sposto nella parte “nuova” del camposanto dove sento del baccano. C’è una donna che urla come se fosse al mercato… Aumenta li volume : – Angiò, come sei ingrassata, stai proprio bene, quant’è che non ti rivedo!- L’Angiò l’ammonisce:- Non gridare, siamo nel cimitero.- Urla ancora più forte per trovare consensi-. – Tanto i nostri morti non sentono, magari sentissero! Ecco! Il mio dovere l’ho fatto, avevo una bracciata di fiori li ho messi su tutte le tombe, ho fatto bene? Questi lumini li poso sulla soglia della cappellina- Poi, rivolgendosi sempre all’Angiò ma a bassa voce gli dice: -L’hai vista la signora-indicando un punto del cimitero-ha una collana d’oro al collo che sarà mezzo chilo, e hai visto che borsa di coccodrillo che ha al braccio con le scarpe accompagnate? Ti dico che dopo due mesi che era morto il marito, ci aveva già l’amico. Hai capito? L’ha portata anche in crociera. Beata lei, col su marito era fischi. Era schiava, non sortiva mai di casa. Era geloso, geloso. Oddio come era geloso. E’ proprio vero che la peggio è per chi se ne va. Sai che ti dico Angiò, sei sempre una bella donna, datti da fare, tanto questi qui –facendo un largo cerchio col braccio- stanno tutti bene!-
Non vorrei essere frainteso, in questo giorno denso di ricordi, di preghiera, di dolore, ho voluto cogliere l’aspetto tragico-comico. Dice un vecchio saggio: – La vita continua –
Il camposanto è il capolinea, la fermata permanente per tutti. Voglio concludere con un frammento di una poesia di Peguy:-La morte non è niente, sono solo andato nella stanza accanto,…ciò che ero per voi lo sarò sempre,…il filo non si è spezzato…non sono lontano, sono dall’altro lato del cammino.- Sarà cosi ?
Giulio.lu
Si corre ad Abu Dhabi. Si corre una gara di “formula uno”. Le eccellenze della produzione automobilistica si contendono il risultato su una pista inventata costruita nel deserto. Le vetture che sfrecciano oltre i 300 km orari, sono consuete per noi occidentali, la diversià è il palcoscenino ricavato tra le dune. Mentre le vedo sfecciare sul nastro d’asfalto, delimitato da strisce color del cielo arabo, intervallato da strisce bianco rosse stile “stars and stripes”, guardo anche la costruzione dell’autodromo, con le sue sagome architettoniche, che fanno prima dimenticare le colline di sabbia del deserto, e poi le ripropongono in vetro e cemento.
Mentre guardo ascolto la babele di commenti giornalistici, che riporta all’antica Babilonia, come se il tempo disciogliendosi dalla sua aggrovigliata linearità, riproponesse fasti sepolti nel profondo storico della mezzaluna fertile. Sono affascinato dalla faraonica costruzione dell’autodromo, è già l’aggettivo testimonia un altro fulgido passato. Mi riportano in terra, facendomi uscire dall’obnubilazione del video, le parole di Alain Prost che, intervistato, all’incirca dice che quanto vediamo è stato possibile realizzarlo grazie alla mancanza di pastoie burocratiche e all’assenza di proteste ecologiste. Ci sorvolo su quest’affermazione, di certo dettata dall’entusiasmo di assistere ad una corsa nel deserto fatta da vetture avveniristiche e non da cammelli guidati da uomini con il turbante. La nostra fantasia metropoccidentaleuropea è pervasa da stereotipi immaginifici condizionanti. Intanto iniziano le partite del nostro campionato di calcio della serie A. Ecco che i primi della classe in mutandoni scendono in campi incorniciati da stadi ovali e anonimamante brutti (visti da vicino anche sporchi). Saranno state le pastoie burocratiche o le intromissioni degli ecologisti a farli tali?Forse una filosofia diversa penso. Magari gli arabi han costruito, e stan costruendo altrove, con una visione diversa dalla nostra. I soldi fanno molto, avere budget di spesa illimitati consente cose altrimenti impossibili. Ma i soldi girano anche nel nostro calcio, nel nostro paese, quinta o settima potenza economica mondiale. Una cosa ritengo sia intascare i guadagni, altra cosa investire i guadagni. Ecco oggi l’mpressione che si ha è di un’Italia fatta di cassa, senza una visione d’insieme lungimirante, che guardi alle infrastrutture reali o relizzabili. Lasciando automobilismo e calcio e restando alle costruzioni fattibili, necessarie e realizzabili, penso al ponte sullo stretto di Messina, a chi allarga la borsa restringendo il pensiero sentendosi pontefice. Un ponte che collegghi due sponde, un’opera in grado di rilanciare l’economia di una realtà, lasciata nel bagno di acqua e sale mediterraneo, come fosse un’alice (e i gatti si leccano i baffi). Rilanciare l’economia di un’isola che tra Messina e Palermo non possiede un aeroporto, dove alberghi, agriturismi e villaggi turistici, quest’anno han trovato clienti più tra coloro che in passato avevan lasciato l’isola per un lavoro in grado di garantire un futuro, che tra gente nuova in cerca di un’oasi, nel deserto della quotidianità annuale. Un’isola che diventa più lontana in quanto le infrattutture viabilistiche sono inadeguate ai tempi, e dove la cecità di amministratori locali, inadeguati all’epoca globale, agiscono nella solitaria concorrenzialità non mettendo in atto quelle sinergie necessarie a fare del turismo una risorsa importante, capace di garantire quell’indipendenza economica che solo il lavoro può dare. Ma il ponte è una palla galleggiante nella fantasia deconcentrata, che pensa al trasporto veloce di merci in grado di coprire i quasi 1500 km tra Palermo e Milano in 20 ore anzichè in 20 ore e mezza: il risparmio di tempo vale l’investimento del denaro necessario alla realizzazione? Tanta fatica per così poco? E non parlo dello scempio del territorio conseguente alla sua realizzazione in quanto lo scempio già in atto difficilmente sarà peggiorabile: le ampie piazze senza alberi dei Peloritani e dell’Aspromonte non si potranno rinverdire dignitosamente se non dopo 30 anni dal momento in cui si inizierà la piantumazione, e se gia ci curiamo così poco del nostro futuro, figurarsi pensare a quello dei nostri nipoti.
Popof 03novembre2009
Gaudì fu un geniale architetto spagnolo-catalano.
Nome completo: Antoni Plàcid Guillem Gaudì i Cornet (Riudoms, 25 giugno 1852 – Barcellona, 10 giugno 1926)
Fin dall’inizio i suoi lavori risultarono diversi da quelli dei suoi contemporanei.
Nel suo campo fu un vero pioniere, e si servì del colore e del movimento in modi molto innovativi ed emblematici, come dimostrano tutte le sue opere.
Fu anche molto influenzato dalle forme della natura e questo si rivelò nell’uso delle pietre da costruzione ondulate, dalle sculture di ferro ricurve e da forme organiche, una precisa caratteristica della sua architettura.
Egli decorò anche molti dei suoi edifici con piastrelle colorate e sistemate a mosaico.
La combinazione di disegni originali, lavori in pietra di forma interessante e colori vibranti procura allo spettatore un’esperienza viva e veramente mozzafiato.
La sua opera massima fu la “Sagrada Familia”, una chiesa assolutamente singolare. – quando la vidi la prima volta rimasi incantata dalle sua forme così originali – che ne è l’esempio più fine del suo genio immaginario.
Seguono altre opere, non meno suggestive e importanti.
Casa Milà, detta anche “La Pedreira” (cava di pietra).
E’ l’opera che più rappresenta la sintesi del genio; l’architetto utilizzò infatti una tecnica personale, ben studiata, ma i toni non sono quelli concitati delle sue produzioni. Essa appare come un blocco monolitico, la facciata porosa di pietra segue il profilo delle strade, diventando arrotondata, i balconi sono decorati da splendide balaustre in ferro battuto. Vi sono inoltre frequenti ripetizioni di archi (catalano e parabolico), elementi originali di Gaudì, e mosaici.
Parque Güell.
Il progetto non si fonda su alcuna linea retta: tutto è ondulato, storto, sinuoso, fino a creare un’atmosfera magica in cui l’architettura e la natura si combinano un una creazione affascinante. Da notare anche la doppia scalinata decorata con motivi originali e affiancata da fontane.
Chiunque abbia visitato il Parque Güell avrà sicuramente scattato una foto a questa straordinaria opera d’arte: decorata con pezzetti di ceramica, piastrelle e mosaici colorati che le danno un aspetto surreale.
Brillante esempio del Modernismo Catalano.
Gaudì coprì tutta la facciata ed i tetti della casa con ceramica a colori, formando i suoi clacssici mosaici. E’ uno degli edifici più belli del quartiere barcellonese di Eixample.
Palau Güell.
Fu costruito nel 1888. Nell’entrata, la luce del sole attraversa le finestre ed è attenuata da tre archi parabolici di pietra grigia. Questi grandi archi danno l’impressione di una grande finestra gotica. In luogo del tradizionale cortile, c’è un gran salone, che domina il centro del palazzo. Sopra questo salone Gaudì installò una enorme cupola inserendo vari buchi. Sul tetto, e in varie stanze, pose delle sculture che sembrano gambe di tavolo.
Il grande architetto morì tragicamente nel 1926, investito da un tram, nel centro di Barcellona.
Giovanna3.rm 28.10.2009
« Non cercate di prendere i poeti perché vi scapperanno tra le dita »(Alda Merini)
Alda Merini (Milano, 21 marzo 1931 – Milano, 1º novembre 2009)
I giornali italiano danno l’annuncio della scomparsa di Alda Merini considerata la più grande poetessa vivente e ci dicono che viveva a Milano, nella “sua” Milano, in condizioni di indigenza.
Il Corriere della Sera: Morta a Milano Alda Merini Una vita tra poesia e follia
La Stampa: Addio alla poetessa Alda Merini Scrittrice inquieta e tormentata era considerata un genio del ‘900
La Republica: Addio alla poetessa Alda Merini; cantò il dolore degli esclusi
La Merini esordì come poetessa molto giovane a soli 15 anni, ma già nel 1947, quando aveva 16 anni, si manifestarono i segni della malattia mentale. Il suo primo libro di versi è “La presenza di Orfeo” poi “Nozze romane”, 1955, “Tu sei Pietro”, 1962.
Dal 1965 al 1972 è internata in manicomio e non scrive più, anche a causa della sua malattia, fino al 1979. “La Terra santa”, che raccoglie le sue composizioni più profonde, è del 1984; “Vuoto d’amore” del 1991; “Fiore di poesia” raccolta dei suoi componimenti tra il ’51 e il ’97 e “Più bella della poesia è stata la mia vita” del 2003. Un suo libro bellissimo e significativo, in prosa è: “L’altra verità Diario di una diversa”
E la raccolta di poesie “Folle, folle, folle d’amore per te”
Concludo con una sua toccante poesia e con un aforisma
E mi unisco alle parole del presidente Giorgio Napolitano: con la scomparsa di Alda Merini «viene meno un’ispirata e limpida voce poetica».
Potresti anche telefonarmi
e dirmi in un soffio di vita
che hai bisogno del mio racconto:
favole di una bimba che legge i sospiri,
favole di una donna che vuole amare,
una donna che cerca un prete
per avere l’estrema unzione.
(da fiore di poesia; la volpe e il sipario)
ci sono notti
che non
accadono mai
(da fiore di poesia; aforismi)
http://www.youtube.com/watch?v=IhKE1nxKT5g
paolacon.rm 01/11/ 2009
Con quest’articolo, si completa il percorso che abbiamo fatto con Giulio nella Versilia sconosciuta, nelle Alpi Apuane e nell’entroterra versiliese. Terre verdeggianti, ricche di varietà di marmi pregiati, di tradizioni e di storia.
Ho voluto raggruppare tutti e cinque gli articoli per poter avere un quadro completo di questa bellissima regione.
Giustagnana, è frazione del Comune di Seravezza, provincia di Lucca, e si raggiunge percorrendo la panoramica Seravezza-Azzano-Basati più volte descritta nei capitoli precedenti. Questi paesi, sono i satelliti del capoluogo e, per molti, sono definiti le perle della Versilia. E’ a circa quattrocento metri di altitudine e a nove chilometri da Forte dei Marmi. Gode di clima mite anche d’inverno. Nel periodo invernale gli abitanti non arrivano a cento anime. E’ parrocchia e la chiesa è intitolata a San Rocco.
La festa del Santo Patrono è una tradizione ultracentenaria e si tiene il sedici di agosto. La sera, c’è la processione e il Santo viene portato sul trono per le vie del paese e nei sentieri limitrofi, accompagnata dalla filarmonica. Le bandierine e le rose di carta, fatte con maestria dalle donne , abbracciano ogni angolo del borgo in un ricamo multicolore. Sacro e profano vanno a braccetto e, sul tardi, il dio Bacco mette tutti d’accordo con inni e canti.
Qui vi hanno vissuto e ci vivono ancora personaggi del mondo della pittura, della scultura e della letteratura. Fare nomi? Lungo sarebbe l’elenco e se dimenticassi qualcuno, non me lo perdonerebbero.
Chi visita questo paese ha la sensazione di trovarsi sopra una grande terrazza: sulla sinistra le cave di grigio cielo del Monte Costa, sulla destra le cave di marmo bianco di Trambiserra, giù la città di Seravezza con la torre campanaria, il duomo e il superbo Palazzo Mediceo. La pianura piano piano s’allarga e degrada fino a Forte dei Marmi. Monte Cavallo, protegge le spalle del borgo dai venti del nord.
Per gli storici, Giustagnana è fonte di notizie che riguardano Lorenzo Viani. Nel 1919 l’artista si sposa con Giulia Giorgetti maestra elementare. Per un certo periodo vivono a Montecatini, e nell’estate del 1920 Viani arriva a Giustagnana perchè la signora Giulia viene mandata ad insegnare nelle scuole elementari del paese. Non intendo certamente annoiare il lettore su tematiche storiche legate al grande personaggio. A Viani mancava l’esperienza della cava, e frequenta i cavatori, vive insieme a loro per conoscerli e trasportare sulla tela, quei volti e quelle mani ruvide e forti. Molte sono le sue opere che riportano personaggi e luoghi del posto.
Dagli scritti affiora il suo amore per le Alpi Apuane. Così scriveva: “Le Alpi Apuane nell’alba lunare perdono la solenne impostazione monumentale. La sommità dell’Altissimo sembra la cuspide di una cattedrale sommersa in un mare di vapori violetti“.
Giulio Salvatori. Maledetto toscano della Versilia.
Continuiamo , con interesse il nostro viaggio in Versilia condotti per mano dal nostro “maledetto toscano di Versilia” Giulio.lu
Qui siamo in Alta Versilia, e questa volta vi accompagno a visitare il paese di Fabbiano. Se c’è un paese dell’Alta Versilia che si distingue dagli altri, questo è Fabbiano. Secondo gli storici prende il nome da Fabius durante la fase colonizzatrice di Roma.
La struttura mormorea delle proprie abitazioni, lo caratterizza e lo rende vivo agli occhi del turista. Il borgo è molto soleggiato con un clima mite anche d’inverno. Visto dal litorale marino, sembra che precipiti nelle cave di bardiglio sottostanti, da un momento all’altro.
Il Bardiglio della Capella, è un marmo unico di colore grigio scuro- azzurro con leggere striature bianche e lo si trova in tantissime chiese, oggi rientra fra le materie estrattive pregiate. A testimonianza di un antico passato, proprio sotto la Pieve di San Martino, vi è un percorso archeominerario-didattico-culturale molto interessante, a cura del Parco Regionale delle Alpi Apuane. L’area si sviluppa e s’insinua tra le pieghe del monte e saggi estrattivi di piccole cave e ravaneti. (Scarti di scaglie di Bardiglio). Alcuni blocchi di marmo riquadrati con mazzuolo e subbia, giacciono anneriti a testimonianza di antichi scalpellini.
Ritornando nel paese, si nota che è stato costruito con marmo del posto. Stradine strette ti portano a curiosare nell’intimità paesana. Ti accompagnano in un museo a cielo aperto, un occhio attento sfoglia in continuazione un libro, apre un dialogo muto fra passato e presente. Sono muri viventi. Ognuno di noi, con un pizzico di fantasia , può costruire la storia che vuole. Quella che leggo io, che sono figlio di un cavatore, è una storia fatta di fatica, di sudore, di perseveranza e attaccamento a quelle cave, perché in quelle viscere, vi era il pane per le loro famiglie.
La piccola chiesina è intitolata a Santa Barbara, La sul Colle della Croce, un anfiteatro naturale a ridosso delle case, ti permette di tuffarti nella profondità della piana seguendo il litorale marino da Viareggio a Portovenere, e se non c’è foschia, salire con l’immaginazione sull’Isola d’Elba, la Palmarea, Tino e Tinetto. Adagiata sul colle la Pieve della Cappella, sulla sinistra le cave di Trambiserra, dove si estrae un marmo “ che suona “tanto è cristallino e, su in alto, l’onnipresente Monte Altissimo.
Giulio Salvatori 12/ 09/ 2009
Il nostro amico Giulio.lu ci accompagna ancora una volta a visitare la sua bella Versilia. Oggi ci porta ad Azzano.
All’uscita del casello autostradale Versilia ( A 112 ), si lascia il litorale marino di Forte dei Marmi e ci s’addentra verso il Comune di Seravezza.Quelle montagne che vedete su in alto, sono le Alpi Apuane, con la Pania della Croce, il Monte Corchia , a sinistra il Monte Altissimo e sulla destra il gruppo del Procinto con il Monte Forato. E’ ai piedi di questi monti che si nascondono i paesi dell’AltaVersilia decantati da poeti e scrittori, che di volta in volta, se vi fa piacere, andremo a visitare .
Arrivati a Seravezza si prende la strada panoramica per Giustagnana- Azzano- Basati. La nostra meta sarà il paese di Azzano.
Il borgo, circa 500 abitanti,è antichissimo e fu abitato in epoche remote da tribù Liguri-Apuani. Il colosso marmoreo che troneggia alle sue spalle fino a raggiungere l’altezza di m.1589, è il Monte Altissimo tanto caro a Michelangelo Buonarroti. Però nel 1520, Leone X° interrompe la costruzione della facciata del San Lorenzo a Firenze , e termina l’attività estrattiva del grande artista in Versilia.
Bisogna aspettare quasi trent’anni. Cosimo primo dei Medici apre altri bacini e riprende l’escavazione e la lavorazione del marmo. Gli uomini dell’Alta Versilia, scriveva Lorenzo Tarabella, in particolar modo i cavatori, sono avvezzi alla fatica.
Infatti, i cavatori di Azzano, appresero subito l’arte di “cavar marmi” proprio dagli stessi scalpellini di Settignano che erano venuti con Michelangelo. Un mestiere difficile e faticoso che hanno tramandato di generazione in generazione. Ancora oggi, scolaresche di istituti d’arte tedeschi, olandesi etc. da decenni si cimentano con la difficile arte dello scolpire, proprio sull’anfiteatro naturale della Pieve romanica della Cappella. La Pieve de La Cappella, rientra fra le sette pievi della Versilia.
Ora bisognerebbe, da buon cronista, fotografare il borgo, ma, ogni particolare che azzardassi a descrivere sul paese di Azzano , sarebbe come una foto non riuscita che penalizzerebbe il paesaggio. Ci sono tante bellezze che non costano niente, ma ognuno le deve vedere con i propri occhi e soprattutto con l’anima.Tanto per stuzzicare ancora la curiosità, Vi posso dire che: Le case si abbracciano una all’altra dai piedi del Monte Altissimo , degradando verso valle seminascoste da selve ultracentenarie di castagni.
E non si può dimenticare la pancia dicendoVi che vi sono piatti delle nostre nonne e la specialissima “festa della castagna”.
Giulio Salvatori Versilia -Lucca- 04/ 09/ 2009
Questo, cari amici di Eldy, non vuole essere un trattato
storico-culturale, ma un semplice supporto per coloro che conoscono poco
la Versilia.Oggi, al fine di un concetto turistico, si sono notevolmente
allargati i confini di questo lembo di terra, tanto chè si parte da
oltre Viareggio fino a Massa Carrara.Qui sta l’errore nel quale molti
turisti cadono.Non sto a tracciare le coordinate geografiche,ma
richiamare l’attenzione che la Versilia Storica è quella scritta da
Viani, Pea, Giannini etc e precisamente i comuni di: Stazzema,
Seravezza, Forte dei Marmi e Pietrasanta.Tanto che Giorgio Giannelli
scrive: -c’è una sola Versilia, quella bagnata dallo stesso fiume.-
Il famoso scrittore Enrico Pea inoltre, sosteneva con orgoglio che:mando
a memoria” la vera Versilia non è dove si infrangono le onde del mare,
ma si nasconde ai piedi delle Alpi Apuane, dove un infinità di piccoli
paesi celano il cuore migliore di questo fazzoletto di terra”- Qui, vi
sono persone semplici e laboriose, dove gli uomini sanno fare di tutto.
Qui vi si trovano i figli di quei cavatori, che anticamente sottrassero
dalle viscere del Monte Altissimo , le colonne della basilica di San
Lorenzo a Firenze,sotto la direzione di Michelangelo Buonarroti.
E ancora, potete percorrere in sicurezza , e scendere nella pancia del
Monte Corchia per vedere le bellezze dell’antro, o salire sulla cima
della Pania della Croce decantata da Viani.
Per ora mi fermo qui, mi auguro di aver stuzzicato l’appetito della
curiosità
Giulio Versilia –Lucca- 05/ 08/ 2009