a Giordano Bruno

Alla luce dei nuovi orrori commessi dall’Isis …ragionavo su di un articolo di Corrado Augias , che paragonava la tremenda esecuzione del militare della Giordania al rogo di Giordano Bruno nel 1600. Dice che il cardinal Bellarmino voleva dare dell’esecuzione una enfasi mediatica , come fanno questi folli integralisti,  per spaventare l’Europa settentrionale , che stava sposando in massa la tesi luterana.

….”Lo spettacolo del filosofo legato al palo, la lingua inchiodata dalla mordacchia, avvolto dalle fiamme doveva servire di ammonimento a chi fosse tentato di lasciare la retta via per seguire i protestanti “…..

Il paragone ci può stare perché l’Isis  sta facendo di tutto per “spaventare”  con filmati di una crudezza estrema….mi pare però che la reazione dell’Islam sia ,ora, abbastanza decisa. La Giordania ha immediatamente impiccata la terrorista che aveva nelle sue carceri .

Adriano Sofri scrive un articolo intitolato ” quando il perdono è più forte della vendetta” ,dicendo che l’esecuzione della donna obbedisce all’automatismo della ritorsione.

Quando nel medioevo scendevano sulle pacifiche terre sud Europa  le orde barbariche , l’unica cosa era difendersi e cercare di abbattere questa furia devastatrice che non rispettava nessun canone morale.

Forse Sofri si rivolge agli individui ,che singolarmente possono anche perdonare , ma le orde barbariche, non sono più da considerarsi consessi di esseri umani, ma branchi di lupi rabbiosi …se poi sono degradati da una teocrazia mal interpretata ed assassina ,sono solo da sterminare.

Quindi non vendetta, non automatismo della ritorsione , ma necessaria difesa di quei valori di civiltà ,che fino ad ora abbiamo bene o male conquistato, per non ritornare in un medioevo prossimo venturo.
GiordanoBruno mnemonic

Franco Muzzioli ci propone di riflettere e discutere su una domanda ben precisa

Il terrorismo è una malattia?

Ho letto un articolo sulla neurologa Kathleen Taylor dell’Università di Oxford dove si afferma che il fondamentalismo religioso ed altre forme ideologiche nocive alla società , potranno essere curate come malattie mentali.

La strategia anti-terrorismo futura è la neuroscienza, perché gli sviluppi nella  ricerca mostrano che saremo in  grado di controllare la nostra mente ed anche prevenire forme di convincimenti estremi ……..”Smetteremo di vedere la radicalizzazione basata su una ideologia o un culto ,come una scelta personale frutto di libero arbitrio “.  La Taylor ha dichiarato che varie forme di estremismo potranno essere considerate una sorta di devianza psicologica e quindi un disturbo mentale. La ricercatrice ha dichiarato di non riferirsi esclusivamente al fondamentalismo islamico , ma ad ogni forma di convinzione estrema suscettibile di provocare danni sociali.

Fin qui è la notizia…….personalmente sono certo che ogni tipo di fondamentalismo è la negazione della ragione ….ma mi sorgono tante perplessità. Dove finisce il raziocinio e comincia la patologia ?

Buttare cibo in quantità industriali, mentre popolazioni vicine muoiono di fame, non è forse una “pulsione” patologica che fa danni sociali ?

Votare embarghi contro le armi e contemporaneamente produrne sempre di più e più sofisticate …non è un ossimoro sociale patologico ?

Si potrebbe abbondantemente spaziare nei plagi della pubblicità, della moda, della politica…..ed in generale della “religione del consumismo”.

Non vorrei dilungarmi troppo perché  gradirei un vostro parere su di un argomento che mi pare abbastanza spiazzante.

Le stragi di questi ultimi giorni a Parigi.
Avreste o avete partecipato alle manifestazioni di solidarietà?

Lo ritenete utile e significativo?
Charlie Hebdo manif

scritto da paolacon il 8 01 2015

 

Che spaventoso risveglio la mattina dopo della Befana!
La libertà di stampa e di espressione prima di tutto.
Libertà alla critica e all’umorismo.
In ricordo delle 12 vittime di Charlie Hebdo: “Nous sommes tous Charlie”

Leviamo le matite in segno di solidarietà
Leviamo le matite in segno di solidarietà
scritto da paolacon il 26 12 2014

NATIVITà NELL’ARTE E NEI SECOLI

Lorenzo Lotto, Natività, 1523

Lorenzo Lotto, Natività, 1523

 

Giorgione, L'Adorazione dei pastori, o meglio 'Natività Allendale' 1500-1505 circa

Giorgione, L’Adorazione dei pastori, o meglio ‘Natività Allendale’ 1500-1505 circa

 

Albrecht Dürer  “Altare Paumgartner”  1496-1504

Albrecht Dürer “Altare Paumgartner” 1496-1504

 

Andrea Mantegna L’Adorazione dei pastori’ 1450-1451

Andrea Mantegna L’Adorazione dei pastori’ 1450-1451

 

Beato Angelico ‘Natività’ 1446/50

Beato Angelico ‘Natività’ 1446/50

 

Bramantino  “Adorazione del Bambino” 1485

Bramantino “Adorazione del Bambino” 1485

 

Caravaggio ‘Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi’ 1609

Caravaggio ‘Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi’ 1609

 

Correggio ‘Natività con i santi Elisabetta e Giovannino’ 1512

Correggio ‘Natività con i santi Elisabetta e Giovannino’ 1512

 

Alessandro Filipepi detto il Botticelli “Natività mistica” 1501

Alessandro Filipepi detto il Botticelli “Natività mistica” 1501

 

Giotto “Natività di Gesù e l’annuncio dei pastori” 1305

Giotto “Natività di Gesù e l’annuncio dei pastori” 1305

 

Leonardo Da Vinci “Adorazione dei Magi” 1482

Leonardo Da Vinci “Adorazione dei Magi” 1482

Completiamo questa galleria d’arte con l’Oratorio di Natale di Bach

Nativita_con_i_santi_Francesco_e_Lorenzo

Un caro amico di Eldy, Leo, ha ritrovato qui in Parliamone questo bellissimo e suggestivo articolo di Pino (adesso Pino5.rm)
Profondo nel suo ricordarci un Natale spirituale.
Ve lo ripropongo così com’è, inclusi i commenti di allora, il post non ha preso una ruga, sebbene siano passati ben 5 anni. Farà piacere leggerlo a chi allora non c’era.
Buona lettura, nella vigilia di un sereno Natale.
Colgo l’occasione per porgervi i miei AUGURI di cuore! (pca)

Cari Eldyani, in attesa del Natale vi sottopongo alcune riflessioni su una delle feste più belle dell’anno. Penso che a volte le tradizioni, se pur belle perché cadenzano e sottolineano la ricorrenza, a lungo andare negli anni, soffocano e fanno perdere il valore intrinseco della festa. Senza alcun dubbio la convivialità, il pranzo, lo scambio di auguri, lo scambio di regali, dovrebbero corroborare ed accompagnare la gioia del Natale che comunque non dovrebbe scaturire da queste attività ma dal valore profondo della festa.

Purtroppo le stringenti proposte commerciali del periodo, la spinta ad un consumo sfrenato per la organizzazione di pranzi luculliani e le preoccupazioni di cosa regalare all’uno o all’altro, contribuiscono a far perdere il vero significato della festa.

nativita  3 Il Natale è la celebrazione della nascita di Gesù, nato da Maria a Betlemme, dove Lei e suo marito Giuseppe si recarono per partecipare al censimento della popolazione organizzato dai Romani, (infatti le famiglie avevano l’obbligo di farsi registrare nei luoghi di origine del capo famiglia). Tale celebrazione, non annoverata tra le festività cristiane dei primi due secoli, comincia a comparire a partire dal terzo secolo subentrando probabilmente a precedenti festività pagane: le celebrazioni del solstizio di inverno o le feste dei saturnali romani. L’ipotesi che la festa liturgica del Natale sia sorta per sostituire la festa pagana, nel tempo sembra si sia ridimensionata a favore di una origine autonoma della festa avvenuta all’interno delle comunità cristiane.
Le prime comunità cristiane festeggiavano la natività del Natale congiuntamente alla Epifania, (parola greca dal significato di: manifestazione, comparsa, nascita) che commemora la visita dei magi (dignitari e ministri di altre nazioni) che portarono alcuni doni a Gesù riconoscendone la sua Maestà. Come dice Papa Ratzinger  “Lo sguardo dei Magi arrivava lontano: erano persone che andavano alla ricerca di Dio e quindi di se stessi…”
Il Natale dovrebbe quindi porre in evidenza il realizzarsi dell’“Emmanuele, il Dio con noi”; quindi la nascita di Gesù determina un’entrata a piè pari del divino nella natura. Cioè il Dio che, ripiegatosi verso la natura creata, si presenta all’uomo nella persona di Gesù e parla all’uomo faccia a faccia, senza più veli o intermediari; quindi lo Spirito che prima aleggiava nel mondo e parlava attraverso i profeti, ora parla all’uomo in via diretta, tanto direttamente che lo stesso Gesù viene appellato come il “LOGOS” il “ DEI VERBUM ” che tradotto è “Parola, Discorso di Dio” il suo parlare, rivela all’uomo il pensiero e la vera natura di DIO, di un DIO non come era pensato precedentemente: Dio giustiziere, fustigatore, pronto a colpire l’uomo in caso di errore, ma di un Dio PADRE, di un Dio AMORE, comprensivo aperto al perdono e pronto ad accogliere a braccia aperte l’uomo che, esercitando il libero arbitrio, sceglie di invertire la rotta ed intraprendere la strada giusta.
nativita Il Padre, attraverso Gesù, ha dato all’uomo una “buona notizia”, una novità, una promessa, una “sicura Speranza” come dice San Paolo, racchiusa nel riconoscere Lui unico vero Dio al di sopra di tutto; ha dato la buona notizia di una vita eterna concreta, una vita vera, una vita nuova che inizia proprio quando tutto sembra perduto: “La risurrezione”.
Queste sono le cose che dovrebbero far generare la gioia profonda del Natale; purtroppo, come dicevo prima, a lungo andare il corollario ed il contenitore è diventato contenuto, ed il contenuto si è perso o per lo meno non appare più.
Noi più che farci travolgere dalle tradizioni troppo spinte ed abbandonarci ad inutili sfrenatezze che sempre accompagnano tali periodi di feste, dovremmo trovarci sempre in uno stato vigile  “… vegliare è quindi vivere liberi nei confronti delle cose presenti, è vivere nell’invisibile, è vivere nel pensiero di Cristo tale quale è venuto una prima volta e tale quale deve venire, è desiderare la sua seconda venuta, nella memoria piena di amore e di riconoscenza per la sua prima venuta.” Cardinal John Henry Newman(1801-1890)
è con tali pensieri che auguro a voi tutti il buon Natale.
Pino.sa        21Dicembre 2009

 chattare1°3

Alfred-Sandro ci manda questo messaggio e questo post che mi sembra molto utile, è quasi una conseguenza dell’articolo precedente di Bracco.
ho trovato questo in rete (http://www.inter-ware.it/cgi-bin/articoli.exe/?id=19383)
e lo ripropongo tale e quale senza alcun commento da parte mia.
Che ne dite?
alfred
Allora ho pensato che pubblicarlo in Parliamone fosse un’ottima cosa; quanti di noi si ritroveranno nelle parole che leggeranno? nel pensiero di chi le scrive? Quanti di noi hanno interpretato male la chat, ne sono rimasti delusi?
Solo facendo un esame di coscienza potranno dire onestamente se è vero o no.

A voi buona lettura e buona eventuale condivisione di pensiero.

 

Psicologia della chat   Chat e dintorni
(HOMENEWS ARTICOLO DEL 18/12/2014 di: C.d.R.)

 

Chattare protetti! Quando si parla di internet inevitabilmente si finirà con il parlare di chat ed altrettanto inevitabilmente si creeranno degli schieramenti. Da una parte ci saranno i chatters che cercheranno di esaltare questo mondo virtuale e dall’altra quelli che amano definirsi “realisti” che lo disprezzeranno.
Io sono stata sia da una parte che dall’altra dello schieramento.
Alcuni anni fa abbiamo comprato un pc e la prima cosa che abbiamo imparato è stata entrare in rete e navigare. Per chi non ha mai navigato iniziare è una cosa entusiasmante. Rifiutavo però l’idea della chat consideravo “stupido e inutile conversare con un monitor“. Non ne ero minimamente attratta, non riuscivo a capire, non rientrava nel mio ordine di idee.
Una sera, non avendo niente di meglio da fare, mi sono lasciata tentare e la curiosità ha fatto il resto. Dopo i primi momenti di imbarazzo ho incominciato a “conversare” e mi si è aperto un mondo nuovo. Essendo cronicamente timida ho scoperto che in chat riuscivo a esprimere ogni mia opinione e ogni mio pensiero senza remore e senza vergogna “tanto non mi vedono, non mi guardano in faccia, non mi giudicano” pensavo.
1°1   1°5   1°2
Così è iniziato uno dei periodi più importanti e allo stesso tempo deludenti della mia vita.
Dopo un po’ mi sono ritrovata a considerare la chat come l’unico luogo dove poter parlare, consideravo amici gli altri chatters, passavo ogni sera davanti al pc.
Dico che è stato uno dei momenti più importanti della mia vita perché ha cambiato il mio modo di essere. Ho imparato a dire la mia, senza palpitazioni o paura. Quello che dicevo in chat riuscivo a dirlo anche fuori dalla chat. Ho preso coscienza della mia personalità e sono diventata più forte. Sembra assurdo ma la chat mi ha aiutata molto.

Poi ho fatto l’errore di vivere per chattare. Non uscivo, non esisteva festa, ristorante o pizzeria che potesse distogliermi. Era diventata una droga.
Ma chattare così tanto ha portato alla luce il retro della medaglia.
Perché se da una parte mi ha aiutata dall’altra mi ha molto delusa, o meglio la gente mi ha delusa.
Ad un certo punto mi sono resa conto che per la stragrande maggioranza delle persone è solo un luogo dove potersi inventare una nuova vita ed essere liberi di mentire spudoratamente.
Sono poche le persone che chattano solo per il piacere di scambiare opinioni e di passare qualche ora di relax.
1°6
Se una ragazza entra in una chat può essere sicura che vedrà apparire sul monitor frasi del tipo “tu sei speciale”, “ti voglio bene”, “mandami una foto”, “dammi il tuo numero di telefono”.
Le tecniche, credo si possano definire così, sono diverse e a volte non dirette, ma è solo questione di tempo, prima o poi tutti finiscono con il dire le stesse cose. La cosa che più mi ha sorpresa è stata quella di sentirmi rivolgere queste attenzioni da gente dichiaratamente sposata e con figli, da ragazzi sentimentalmente impegnati. Ho capito che per molti la chat è solo un posto per rimorchiare, per trovare un’avventura.
Il grande pericolo di internet è che davanti ad un monitor le parole che leggiamo hanno il tono, la dolcezza, contengono l’amore che noi vogliamo.

Non è chi scrive che trasuda amore per noi, siamo noi che lo desideriamo ed allora lo “sentiamo”.
È un vero e proprio tranello psicologico ed è molto pericoloso per le adolescenti, secondo me, perché illuderle è un gioco per chi ci sa fare con le parole, rischiano così di ritrovarsi coinvolte da qualcuno che non esiste, che in realtà può essere chiunque e che vuole tutto tranne che amarle davvero.

Un altra cosa che ho capito tramite le chat è che la famiglia ha un altro nemico. Si parla sempre della tv come il grande nemico che divide le famiglie ma la chat separa i mariti dalle mogli e questo è ancora più sconvolgente. Tantissimi uomini sposati restano davanti al pc a chattare fino a notte inoltrata con le mogli che dormono tranquillamente. È allarmante capire che per chattare un uomo rinuncia alla compagnia della proprio donna e viceversa. Internet possiede la caratteristica di ipnotizzare la mente, tutto diventa secondario: la famiglia, gli amici, la propria sicurezza. Se ci si lascia coinvolgere si perde il contatto con la realtà.
Non bisogna fare lo sbaglio di crederci, non è vita reale e spesso non è gente “reale” quella con cui parliamo ma solo il frutto della fantasia di un’altra persona.
Bisogna fare attenzione, chattare ma con prudenza, non fidarsi mai e se proprio si vuole cedere alla curiosità di un incontro avere delle informazioni concrete sull’altro, pretendere di averle.

gabbiani

 

faintendimenti2

 

 

Ma le incomprensioni ed i “non capito” continuano ad esserci, sempre…
Bracco, dopo aver partecipato alla discussione del post precedente, mi ha inviato questo scritto, decisamente Ad Hoc.

 siccome non ho capito

Peggio che non essere capiti è essere fraintesi.
Cit.

Riflessione su una frase di C. Shine.
“La lettera nel momento in cui la infili in una busta cambia completamente. Finisce di essere la mia e diventa la tua. Quello che volevo dire io è sparito, resta solo quello che capisci tu”.

Il rischio di essere fraintesi, equivocati sui forum, blog ecc. è sempre in agguato. (più che nella vita reale aggiungo io, Paola)
Può capitare a tutti di essere fraintesi in qualche circostanza o di non essere riusciti a esprimere un concetto nella forma in cui avreste voluto. Si preferiscono la rapidità e la facilità, dimenticando che queste caratteristiche, sommate a brevità e sintesi, sono i peggiori nemici della chiarezza.
Chi legge non sempre ha la possibilità o la volontà di andare oltre a quello che vede, non esiste un modo per far combaciare perfettamente il funzionamento di due o più menti diverse. Possiamo affinare il nostro stile fino a scegliere le parole con la massima cura, ma la sensazione del ricevente sarà sempre filtrata attraverso le sue attese, i suoi pregiudizi, la sua disposizione verso il mittente:

Se la persona che scrive non mi è tanto simpatica ecco che divento un lettore superficiale!

A volte è inutile anche un chiarimento.
Perché succede che il mittente si rende conto di essere stato frainteso da un certo interlocutore (quello poco simpatico), che a sua volta ha visto cose che “non ci sono”, e cerca di chiarire.
Il mittente continua a essere frainteso dal suo interlocutore, e ogni volta che l’interlocutore legge qualcosa di nuovo dello stesso mittente, vede cose che “non esistono”.
In questi casi sorge un dubbio:
Non sarà che il mittente ci teneva a farsi “fraintendere”, per poi ridersela sotto i baffi?

Anche voi, almeno una volta siete stati fraintesi volete raccontare la vostra esperienza; anche perché, come ben sappiamo, a volte i malintesi possono anche diventare oggetto di situazioni divertenti o, nel peggiore dei casi (per chi ne è protagonista), anche imbarazzanti, per non parlare poi di quando si finisce per essere bannati a causa di un malinteso!

fraintendimenti Equivoci color non ho capito

 

 

Qualche tempo fa, sul blog “Incontriamoci” Alba Morsilli ha posto un quesito: si era trovata in imbarazzo a rispondere al nipotino che chiedeva come mai un suo compagno di scuola aveva due papà e chiedeva consigli.

Leggo un articolo di Roberto Saviano proprio su questo argomento dal titolo: “È facile spiegare i gay ai bambini”

Capita ad hoc e mi sembra interessante riparlarne, sempre che ne abbiate voglia. L’articolo è apparso su “l’Espresso” oggi.

Il movimento delle “sentinelle in piedi” organizza manifestazioni contro i matrimoni omosessuali e ritiene che tali matrimoni siano “innaturali”. Inoltre il movimento afferma che è impossibile parlare di questo argomento con i bambini.

Saviano prende spunto da queste due teorie delle “sentinelle in piedi” e replica…

Io, da parte mia vorrei solo spezzare una lancia in favore di tali matrimoni che non servono per confermare il “ti amo” ma per assicurare alla coppia i diritti basilari, come quello di accudire il partner se finisce in ospedale (solo i parenti riconosciuti possono farlo) oppure eliminare l’ingiustizia nel caso in cui, se una madre o un padre gay muore l’orfano non viene lasciato col partner della madre o del padre, ma affidato ad un istituto, così è orfano due volte.
Buona lettura e buona eventuale discussione. (PCA)

 

Segue l’articolo di Roberto Saviano.

“È facile spiegare i gay ai bambini”

Le “Sentinelle in piedi” manifestano contro i matrimoni omosessuali. Sostenendo che sono “innaturali”. E che non ci sono le parole per parlarne ai figli. Ma il problema è tutto degli adulti e del loro rifiuto dell’“altro”

1°sentinelle in piedi

Chi sa cosa vorrà mai dire: bisogna procreare in maniera naturale, le coppie devono essere quelle naturali, ci si deve amare in maniera naturale, i rapporti sessuali devono essere naturali. Chi sa perché l’aggettivo “naturale” viene così spesso utilizzato per neutralizzare concetti che si ritiene difficile riuscire a spiegare. Difficile perché la nostra formazione culturale non ci consente talvolta di trovare le parole più adatte. O difficile perché tabù che abbiamo iniziato a considerare naturali – anch’essi naturali – ci impediscono di scorgere quanto di naturale ci sia in mondi che sembrano da noi lontani.

Con la complessità della vita, della nostra e di quella altrui, dobbiamo abituarci a fare i conti e a trovare parole, quelle adatte, per descrivere i nostri stati d’animo di fronte a fatti che non riusciamo a spiegarci. Potremmo comprendere che ciò che detestiamo, ciò che non sopportiamo, ciò che vorremmo lontano da noi, in realtà ci somiglia. E che l’odio e la repulsione nascono dalla mancanza di conoscenza, dalla paura dell’altro. Di un altro che ci sembra troppo diverso perché si possa avere un reale contatto.

In rete si trovano dei video che riprendono le manifestazioni che lo scorso ottobre hanno animato molte piazze italiane intorno al ddl Scalfarotto. Una legge che in sostanza estende la Mancino-Reale sulle discriminazioni etniche, razziali e religiose ad atti motivati da omofobia e transfobia. Naturalmente un conto è dare un parere giuridico sulla norma, un altro è scendere in piazza, come hanno fatto le Sentinelle in piedi, per dire in maniera troppo semplice che non esistono matrimoni (e unioni) differenti da quelle tra uomo e donna. Che non esiste un modo per avere figli diverso dalla procreazione che ci siamo purtroppo con leggerezza abituati a definire naturale.

Un conto è analizzare la norma e comprendere quali potrebbero essere gli eventuali vuoti interpretativi, un conto è dire ai microfoni dei giornalisti presenti in piazza che l’amore omosessuale dovrebbe essere segreto e nascosto perché non si sanno trovare le parole per spiegarlo a un bambino. Che se si inizia a istituzionalizzare l’amore omosessuale poi si finirà con l’istituzionalizzare l’amore tra esseri umani e cavalli o maiali. Queste parole sono state pronunciate a Napoli, ma scommetto che avremmo potuto sentirle in qualsiasi altra piazza d’Italia. A Torino invece le Sentinelle in piedi chiamano le forze dell’ordine per allontanare pochi manifestanti con cartelli contro l’omofobia. Cristiani che preferirebbero che i loro figli non giocassero con figli di coppie gay, che se escono in strada hanno fastidio nel vedere due uomini o due donne che passeggiano mano nella mano.

Matthew Bourne è un coreografo noto per la sua stravaganza. Bourne ha completamente stravolto il “Lago dei Cigni” sostituendo lo stormo di ballerine con cigni maschi. Il principe Sigfried, quindi, si innamora di una Odette maschio con tutto ciò che comporta. Deve non solo prendere atto della propria omosessualità, anche fare i conti con una società che non è pronta a superare quel tabù. Sabato scorso il balletto era in scena a Milano al Teatro degli Arcimboldi e lo spettacolo era pomeridiano. In sala c’erano bambini che hanno chiesto ai loro accompagnatori adulti come fosse possibile che un uomo potesse innamorarsi di un altro uomo. Con quei bambini c’erano degli adulti che hanno trovato le parole per spiegare che esiste un’altra forma di amore, diversa da quella tra uomo e donna.
I bambini alla fine dello spettacolo si sono commossi e hanno dimenticato che quello non era l’amore “normale” che vedono a casa tra la loro mamma e il loro papà.


scritto da paolacon il 12 11 2014

Alba ha citato alcuni degli “altri muri” che ci sono nel mondo e che ancora non sono stati abbattuti, muri che dividono, ma ci sono anche muri che uniscono.

Cominciamo da un muro della memoria, un muro simbolico che ricorda un passato che deve restare impresso in noi.

È un muro antichissimo che non divide, ma unisce, in nome delle tre religioni monoteiste: è questo il Muro del Pianto.

1

Ma allo stesso tempo, nello stesso paese c’è un muro che divide, separa, taglia fuori, disgrega. È la  barriera di sicurezza tra Israele e la Cisgiordania: 730 chilometri di reticolato e cemento tra i quartieri di Gerusalemme e Betlemme, simbolo purtroppo dell’impossibilità di un’intesa  tra i due popoli israeliano e palestinese

2

Tra Tijuana (Mexico) e San Diego (California) c’è un abisso: la prima poverissima, la seconda ricca e fiorente, una corrotta, dove il crimine è legge, l’altra democratica e ridente.

Un muro di lamiera lungo 22 km e alto 3 mt, divide le due zone ed è stato costruito per impedire ai messicani ed ai sudamericani di approdare in quella terra che è per loro di Bengodi. In realtà i disperati riescono ad immigrare ugualmente in buona parte, a costo purtroppo di tantissime vite.

4

Ancora una barriera che divide ed emargina le “Peace Lines” in Irlanda del Nord. Queste barriere sono state costruite negli anni 70 per tenere divise le comunità cattoliche da quelle protestanti.

5

Non basta purtroppo una Trabant a sfondare questi muri, anche se è un buon esempio per l’umanità il crollo del Muro a Berlino.
6

Barriere violano i diritti fondamentali degli uomini: diritto alla salute, al lavoro, all’acqua, al cibo, all’istruzione, alla libertà.

20141109BERLINO1

scritto da paolacon il 9 11 2014

vicino alla porta di Brandeburgolichtgrenze

25 anni dalla “caduta del Muro di Berlino” per non dimenticare quello che purtroppo l’uomo è capace di fare agli altri uomini.
Questo simbolo della guerra fredda, della divisione, che misurava 106 km di lunghezza e 3,60 m di altezza, costruito in calcestruzzo, pesante, imponente e che tanto dolore aveva procurato, separando famiglie, amici, compagni di scuola e di lavoro, questo simbolo, ripeto, dell’oscuratismo e della gravosità del regime, è stato sostituito dalla leggerezza, per celebrarne la caduta, nel 25esimo anniversario.

Infatti gli artisti per commemorare questo evento hanno creato una frontiera di luce, un forte contrasto: Berlino, divisa nuovamente per non dimenticare, ma separata in due da un Muro di luce.
Lichtgrenze” = frontiera di luce.

 

lungo lo Spree

lungo lo Spree

lungo lo Spree

lungo il muro

 

8000 palloncini bianchi, luminosi hanno rimpiazzato il muro. Oggi 9 novembre 2014, alle 19:20, ora del primo colpo di piccone, saranno liberati in cielo gli 8000 palloni di elio, affidati ognuno ad un padrino.

E un’altra cosa è stata usata in questo giorno del Giubileo: le rose. Un numero enorme di rose è stato infilato nei tratti di muro, che sono ancora lì perché non si dimentichi mai.

 20141109BERLINO3—- 20141109BERLINO120141109BERLINO2

Cosa c’è di più bello di una gioia collettiva? Una esplosione di gioia collettiva che unisce. Un’immensa emozione completata proprio con “l’Inno alla gioia dalla Nona sinfinia di Beethoven

reiki-chakras 

 

Stavano limitando il nostro spazio. Era come fossero nostri ospiti ed invece erano estranei.
Non li avevamo mica chiamati noi!
Ce li siamo visti arrivare lì un pomeriggio con borse, zaini, sacchetti di plastica.
campeggiatori

Erano accompagnati dal figlio della padrona, un tipo scorbutico, antipatico e maleducato. Per lui e sua madre contavano soltanto i soldi. Fare soldi, soldi, soldi a palate. Se avessero potuto ti avrebbero fatto pagare anche l’aria per respirare.
-Mettetevi qui-, disse a quei due ragazzi e indicò lo spazio rimasto tra la roulotte di Mimmo ed il muro di cinta che delimitava il campeggio.
Era il punto più lontano da tutto: dalla spiaggia, dai servizi, dal bar-ristorante, dalla direzione.

Lo aveva affittato Mimmo perché facendo tutta la stagione estiva gli avevano fatto un prezzo conveniente e quello era ormai il suo posto, da anni. Erano in tre: Mimmo, la moglie e la figlia, una ragazza di 18 anni. Li avrebbe compiuti in quei giorni.
La loro non era un piazzuola normale come tutte le altre, regolare, quadrata, delimitata da siepi, no, non era neppure una piazzola. Era un avanzo, insufficiente per farci un’altra piazzola, ma a Mimmo e famiglia andava bene così. La loro roulotte era piccolina.
Noi, mia moglie, io, ed i nostri amici eravamo alcuni posti più in là, più al centro del campeggio. Indubbiamente là in fondo da Mimmo c’era più tranquillità, meno rumore, nessuno che ti passasse davanti. Insomma c’erano i pro e i contro.
1°acampeggio
Quei due ragazzi, forse fidanzati oppure solo amici, chissà, si sono guardati in giro e afferrando al volo il nostro disappunto per quella invasione, hanno fatto spallucce, timidamente, accennando un sorriso: -siamo di passaggio staremo solo qualche giorno. Scusateci!
Poveretti, erano vittime dell’avidità altrui e noi li avevamo egoisticamente colpevolizzati.
Hanno aperto un sacchetto grigio scuro da cui hanno estratto una piccola tenda ad igloo che montarono in un attimo, divertiti dalla nostra meraviglia mentre li osservavamo.
1°apiazzuole
-Vogliamo girare l’Italia,… un po’ qui, un po’ là…. dobbiamo risparmiare perché……. – disse la ragazza come per scusarsi.
Era una bella ragazza, con un bel viso pulito, senza trucco; capelli lunghi sulle spalle, castani, lisci. Non formosa ma piacente.
Lui, viso da universitario, alto, magro, capelli corti, gli occhi scuri, vispi, molto mobili.
In breve tempo sistemarono le poche cose che avevano – Andiamo in spiaggia per riposarci un po’- dissero a Ramona, la figlia di Mimmo… – vieni anche tu?-
Si avviarono verso la spiaggia salutando con la mano.

-Sai Sandro? Sono molto simpatici quei ragazzi. Ieri pomeriggio in spiaggia abbiamo parlato parecchio e mi hanno raccontato tante cose di loro. Sono torinesi……
Con quel “sono torinesi” capii subito che dietro ci doveva essere qualcosa ma non riuscii ad afferrare…
Solo quando mi disse che parlarono anche di sedute spiritiche riuscii a cogliere il nesso: avevo letto poco tempo prima che Torino è una delle città “misteriose” d’Italia.
La buttai lì, quasi scherzosamente: -ma fanno sedute spiritiche?- La cosa mi intrigava.
-Sì, rispose Ramona, -ma non ne fanno con persone che non conoscono!
-Peccato!
-Ma mi hanno promesso che quando andranno via tra due giorni, mi lasceranno scritto come fare. C’è tutto un rituale da seguire……
Passarono alcuni giorni ma non scambiammo molti discorsi, anche per via della differenza di età…. e venne il momento che ripartirono per il loro giro d’Italia.
Finalmente ci rioccupavamo del nostro spazio!

la_misteriosa_lapide

-Guarda Sandro, mi disse Ramona mostrandomi un foglio scritto a penna con una calligrafia piccolissima e disordinata.
-Questa è la preghiera che si deve dire prima di iniziare la seduta. Ho dovuto insistere perché acconsentissero a trascrivermela!
Scoppiai a ridere: Ramona mi stava dicendo che avrei dovuto pregare!
Era eccitata, lo si vedeva da distante. Era impaziente di fare la seduta e lo stava dicendo a me che sono il più scettico degli scettici.
-Dai, Sandro, la facciamo questa sera? Lo diciamo a papà, a Gianna, alla mamma, e a qualcun altro: si deve essere almeno in sei.
La cosa mi divertiva.
-Va bene. La faremo nella mia roulotte questa sera. Procurati il necessario.-

Ramona arrivò quando era buio. Aveva un foglio bianco, una biro, un paio di forbicine ed una candela con un piattino dove poterla posare.
-Dobbiamo scrivere le lettere dell’alfabeto sul foglio, ritagliarle e disporle in cerchio ma non in ordine sul tavolo e dovremo stare al buio solo con la candela accesa!
Vennero: Franco, il nostro amico, Ramona, Mimmo, Gianna mia moglie, Sara la mamma di Ramona ed io.

Seduta-spiritica

Si cominciò subito a ridere con le battute sugli spiriti anche per esorcizzare un po’ quel lieve “imbarazzo” che ci aveva preso.
Ramona dispose le ventuno lettere ritagliate in cerchio sul tavolino della dinette con le lettere visibili e disposte a casaccio.
Accesi la candela e la posai sul ripiano della cucina, spensi le luci.
Il tremolio della fiamma della candela rendeva l’atmosfera suggestiva e particolare.
-Sandro, serve una tazzina da caffè col manico!
Ramona apre il foglio scritto a mano e comincia a leggere la “preghiera-formula magica” che introduce alla chiamata degli spiriti.
Dispongo la tazzina capovolta al centro del cerchio di lettere di carta. Mentre Ramona legge, noi tutti appoggiamo il dito indice della mano sinistra sul fondo della tazzina secondo le istruzioni date dai ragazzi.
Finita l’invocazione agli spiriti….. silenzio……….
Qualcuno sogghigna sommessamente…..

seduta-spiritica1
Mi concentro. Voglio vedere che succede. Sono curioso di osservare il comportamento degli altri. Voglio scoprire il trucco, perché sono convinto che il trucco ci sia………
Sono scettico, molto scettico, ma decido di calarmi nella parte, seriamente.
Sara chiede a voce alta se gli spiriti sono presenti.

La candela pare abbia un sobbalzo.candela-

Sotto le nostre dita la tazzina comincia a camminare, a scivolar sul piano del tavolino, va a fermarsi in prossimità della lettera ESSE e immediatamente dopo alla lettera I …… SI….
Sono sconcertato: sei persone diverse non possono concertare di spostarsi tutti nella stessa direzione spingendo o tirando la tazzina.
Cerco di fare ancora più attenzione per scoprire il trucco.
-Chi sei, spirito?- chiede Ramona?
La tazzina prende a muoversi scivolando dalla U alla Enne alla Bi….. fino a comporre la frase: UN BAMBINO!
Gira sotto le nostre dita spostando il manico per segnare le lettere da leggere……
Non riesco a capacitarmi……. non è possibile………
Mi lascio coinvolgere totalmente e urlo: -SPIRITO!!!! PALESATI!!!!
Mimmo terrorizzato si alza, scappa via dalla roulotte….. Gianna anche lei esce dicendo che non le riesce di concentrarsi…
Restiamo in quattro……
Alle nostre domande seguono risposte logiche, segnate lettera per lettera seguendo la tazzina, che a momenti sembra impazzita e pare voglia scappare dal ripiano del tavolino, arrivando al bordo senza mai cadere.
Sollevo il mio dito dalla tazzina, sfiorandola appena, per essere certo di non essere complice involontario di un trucco: prosegue lo stesso nella scrittura rispondendo alle domande formulate.
Sara chiede: -che dobbiamo fare?
lettera PI poi O poi ERRE poi TI e via di seguito fino a comporre la frase: portate dei fiori sulla tomba di LEONE TREDICI.
Quel giorno era un giorno di luglio, era il 20 luglio.

Ero scettico ancora ma avevo assistito a qualcosa di inspiegabile.
Controllai quella data sull’enciclopedia: PAPA LEONE XIII morì il 20\7\1903.

 LeoneXIII

Renato Sacchelli ci vuole fare partecipi di questo suo scritto anche se si rende conto che è piuttosto lungo.
Ho ritenuto interessante pubblicarlo oggi, 4 novembre, giornata celebrativa delle forze armate, per stimolare un dialogo, che sia esso pro o contro e conoscere le vostre opinioni.

Con questo mio elaborato, intitolato “Le forze armate: il coraggio della solidarietà”, ho partecipato al concorso di letteratura indetto nell’anno in corso dal circolo ufficiali in congedo di Chiavari, riservato ai militari in servizio ed in congedo.. Non  figuro tra i tre concorrenti premiati. Dovrei essere stato classificato al quinto posto.  Grazie, buona lettura e cordiali saluti,
Renato Sacchelli

Le Forze Armate: il coraggio della solidarietà

Ne ha fatta di strada l’uomo da quando accese il fuoco e inventò la ruota, uscì dalla grotte e dalle palafitte e costruì le città. Le sue opere hanno esaltato la propria intelligenza in tutti campi della scienza, della medicina e dell’arte. È arrivato persino a mettere i piedi sulla Luna e a “passeggiare” nello spazio. Soltanto in un campo non è progredito: sin dall’antichità, infatti, anziché vivere in pace ha sempre combattuto sanguinose battaglie coi propri simili,  con milioni e milioni di morti, feriti e cumuli di rovine. Le guerre, motivate quasi sempre da mire espansionistiche e dalla brama di appropriarsi delle ricchezze altrui, considerate bottino di guerra, hanno rallentato il progresso umano.
Mettere in campo forze armate per difendersi e, ove necessario, attaccare, ha comportato e sempre comporterà lo spreco di ingenti somme di denaro che, se impiegate nella costruzione di opere pubbliche e nella ricerca scientifica, ad esempio per trovare nuove cure alle malattie, ci avrebbero consegnato se non un mondo perfetto quantomeno uno migliore. Nel 1950, quando i caschi blu dell’Onu intervennero nella guerra scatenata dalla Corea del Nord contro quella del Sud, per ripristinare lo “status quo ante” e restituire l’indipendenza a Seul, ebbi modo di pensare che soltanto le Nazioni Unite, avvalendosi di contingenti militari internazionali, potessero far cessare gli scontri armati senza far incancrenire i conflitti tra gli Stati e ripristinando in tempi abbastanza rapidi la pace. Purtroppo le numerose guerre che si sono susseguite fino ai nostri giorni mi inducono a pensare che mi ero sbagliato. Le mie convinzioni iniziarono a vacillare negli anni della guerra civile in Libano. Il 23 ottobre 1983, una domenica, un contingente militare costituito da marines americani, sotto l’egida dell’Onu, inviato pochi mesi prima per porre termine a una guerra fratricida, fu preso d’assalto in una caserma: persero la vita 241 soldati americani, e in un altro attentato, quasi simultaneo, furono trucidati altri 56 militari francesi. La storia va avanti ma le tragedie si ripetono. Il 12 novembre 2003 a Nassiriya, nel sud dell’Iraq, un altro sanguinoso attentato stroncò la vita a 28 uomini, tra cui 19 italiani (diciassette erano militari) e nove iracheni. Sono anni che mi domando a cosa servano davvero le Nazioni Unite se non riescono a impedire i conflitti che scoppiano nel mondo, tenuto conto che questi è il loro primo compito istituzionale.
Mi soffermo su due recenti interventi militari: la prima guerra del Golfo (1991), che una coalizione internazionale, sotto l’egida dell’Onu, dichiarò all’Iraq che aveva invaso il Kuwait; la seconda guerra del Golfo (2003), voluta da Stati Uniti e Gran Bretagna, per eliminare il regime di Saddam Hussein, accusato di essere un pericolo per la sicurezza internazionale perché in possesso di pericolose armi di distruzione di massa (mai trovate). Persa la guerra Saddam fu catturato, processato e condannato a morte per i crimini commessi nel corso degli anni sia contro i propri oppositori, sia contro le popolazioni curde. Se nel primo caso l’intervento militare fu legittimato dalla palese violazione da parte dell’Iraq di una risoluzione dell’Onu, tesa a ridare piena sovranità ad uno Stato invaso, nel secondo a scatenare la guerra furono motivazioni geopolitiche, e il Palazzo di Vetro fu beffato da chi spacciò per vero, un rapporto sulla sicurezza, palesemente inventato (quello che dava per certo il possesso, da parte di Bagdad, degli ordigni di distruzione di massa).
Un breve accenno anche alla guerra in Afghanistan, dove tuttora operano, su mandato Onu, i contingenti militari di diverse nazioni, tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Italia e altri otto Stati. Il conflitto è scoppiato nel 2001 per porre fine al dominio dei talebani, che davano asilo a Osama Bin Laden e da anni facevano vivere il paese nel terrore. I militari italiani inviati in Afghanistan, è bene ricordarlo, sono soldati di pace, alla luce dell’articolo 11 della nostra Costituzione (“L’Italia ripudia la guerra…”). I nostri soldati avrebbero dovuto essere accolti con gioia, invece fino ad ora ben 54 di loro sono stati uccisi nel corso di scontri armati e attentati compiuti dai filo talebani. È incredibile che così tanti giovani militari inviati in quella terra non per aggredire, uccidere o conquistare terreni, ma per riportare sicurezza e pace tra la popolazione afgana, siano rimasti uccisi. Ma torniamo alle Nazioni Unite.
Cosa fecero per evitare la violenza criminale del dittatore serbo Slobodan Milosevic, che si macchiò di un’efferata pulizia etnica, da Vukovar a Dubrovnik e nel Kosovo, dai campi di concentramento di Prjedor e Omarska, all’eccidio di Sebrenica, causando ovunque morti e distruzione?
L’Onu non riuscì ad opporsi con fermezza a quel dittatore sanguinario: per bloccarlo fu necessario un intervento della Nato, sotto l’ombrello giuridico della palese violazione dei diritti umani. E il Palazzo di Vetro nulla riesce a fare per porre termine alle gravi tensioni che da decenni minacciano il Medio Oriente, la terra in cui nacque Gesù, dove non si placa lo scontro tra israeliani e palestinesi.
Dopo la Prima guerra mondiale, su iniziativa del presidente americano Woodrow Wilson, nacque la Società delle nazioni, con sede a Ginevra, allo scopo di salvaguardare la pace e la sicurezza universale e favorire la cooperazione economica, sociale e culturale fra tutti gli Stati. Si estinse il 18 aprile 1946, a causa della sua manifesta impotenza nell’aver impedito lo scoppio del secondo tragico conflitto mondiale. Dalle sue ceneri nacque l’Organizzazione delle Nazioni Unite, con sede a New York, costituita dalle potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale: Cina, Francia, Gran Bretagna, Unione sovietica e Stati Uniti d’America. In considerazione della brutta situazione che stiamo vivendo in questi tempi, con numerosi focolai di guerra accesi in vari angoli del mondo, dobbiamo purtroppo prendere atto che l’Onu è priva degli strumenti necessari a imporre, agli stati membri, le proprie risoluzioni per la salvaguardia della pace e della sicurezza. Le Nazioni unite, infatti, non dispongono di proprie forze armate e non hanno, quindi, un’opzione militare su cui far leva come minaccia e per intervenire tempestivamente laddove necessario. Restano solo i moniti del segretario generale dell’Onu, che quasi sempre rimangono inascoltati, a meno che qualche altro organismo più ristretto (G8) non agisca per proprio conto, facendo leva sulle sanzioni economiche (vedi caso della Russia per l’occupazione della Crimea) o su interventi militari veri e propri promossi dai singoli stati: uno degli ultimi casi è la guerra in Libia contro Gheddafi (2011), combattuta da una coalizione internazionale composta in tutto da 19 stati e guidata dalla Nato. Autorizzata da una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che aveva istituito una zona d’interdizione al volo sul paese nordafricano, la guerra “ufficialmente” fu combattuta per tutelare l’incolumità della popolazione civile dai combattimenti tra le forze lealiste e i ribelli.

Ma torniamo al nostro Paese. Le Forze armate italiane sono il primo baluardo per la difesa delle nostre frontiere. Fra i propri doveri vi è anche quello della solidarietà, che impone comportamenti relativi agli alti valori di carattere etico-sociale in ordine ai quali occorre aiutare chi è in difficoltà. Con il “Trattato di Lisbona” del 2007 (in vigore dal 2009) è stato modificato il “Trattato istitutivo della Comunità Europea” che ha introdotto una clausola di solidarietà (art. 222) che impone agli Stati membri di agire con spirito di solidarietà, impiegando tutti i mezzi possibili, compresi quelli militari, in caso di richiesta di aiuto per attentati terroristici e per calamità naturali o causate dall’uomo. Gloriosa è la storia delle nostre Forze armate, ricca di pagine di epico valore scritte col sangue dei soldati che le hanno vissute. Mi riferisco, in primo luogo, ai conflitti combattuti per unificare la nostra Patria, per secoli divisa in diversi piccoli staterelli, com’era solito dire il mio maestro della scuola elementare – che frequentai durante gli anni ’30 – che mai ho dimenticato, tanto da farmi pensare che l’eroismo con cui furono combattute dai nostri soldati le battaglie sul Carso, sull’Adamello, sul Piave e su ogni altro fronte fosse derivato dall’amore per la Patria. Un sentimento che, unito ad altre circostanze a nostro favore, ci permise di vincere la Prima guerra mondiale. Da bambino mi capitava di piangere quando la banda musicale del mio paese suonava l’inno del Piave, davanti al monumento ai Caduti del mio paese, durante la ricorrenza della vittoria celebrata ogni anno il 4 novembre. Ancora oggi, dopo tanti anni, quando ascolto le note musicali del nostro inno i miei occhi si riempiono di lacrime. Mi è di conforto sapere che i nostri Padri costituenti nell’articolo 11 della Carta Costituzionale abbiano scritto: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…”. Al di là di ogni retorica, per l’importanza che hanno, queste parole dovrebbero essere “scolpite” nella Carta costituzionale di tutte le nazioni il mondo. Molto importanti e significativi sono anche gli articoli 52 e 54 della Carta costituzionale: il primo sancisce che la difesa della Patria è un dovere sacro del cittadino e che l’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica; il secondo precisa che tutti i cittadini hanno il dovere di fedeltà alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato. Inoltre chi esplica funzioni pubbliche ha il dovere di adempierle con disciplina e onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.
Devo riconoscere che, nel corso degli anni, mi ha favorevolmente impressionato la sensibilità dimostrata dai governi che si sono succeduti e dalle autorità militari, sempre protesi a garantire il soccorso alle popolazioni colpite da terremoti, allagamenti o altri disastri. Ricordo la tragedia del Vajont, provocata dall’enorme massa d’acqua fuoriuscita dalla diga quando una parte del monte Toc sprofondò nel bacino: acqua e fango spazzarono via Longarone con tutti suoi abitanti. Rivedo, davanti ai miei occhi, le immagini trasmesse dalla tv, coi soldati che cercavano nella melma i corpi delle vittime. Una straziante operazione di soccorso che qualcuno doveva pur fare e che vide i nostri militari in prima linea. Anche nel terremoto di Messina, nel 1908, i primi a portare aiuto ai superstiti di quell’immane tragedia furono i nostri marinai e soldati. E lo stesso avvenne nei terremoti che sconvolsero il Friuli e l’Irpinia. Per assicurare tranquillità e sicurezza alla popolazione, i nostri militari sono stati impiegati anche in alcune città del Sud Italia, dove la criminalità organizzata è responsabile di reati gravissimi che minacciano il vivere civile di tutti noi. Non ci possono essere dubbi: altissimo è sempre stato il senso del dovere manifestato con zelo, disciplina e coraggio dai nostri soldati nei confronti degli abitanti delle zone in cui sono stati mandati a espletare il loro servizio.

Il “coraggio della solidarietà” è una bellissima qualità. Ma dove la si può trovare? Nel cuore nobile di ciascun uomo, se permeato dall’amore nei confronti dei propri simili e se sane e robuste sono le Istituzioni. Ma credo anche che vi sia un fondamento culturale frutto dell’umanesimo cristiano. Il primo a manifestare questo “coraggio della solidarietà”, infatti, fu Gesù Cristo, quando disse agli uomini: “Amate il prossimo come voi stessi”. Che si abbia fede, oppure no, come spiegò Benedetto Croce in un famoso saggio, “non possiamo non dirci cristiani”. Per il filosofo il cristianesimo aveva compiuto una rivoluzione: “Operò nel centro dell’anima, nella coscienza morale, e conferendo risalto all’intimo e al proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fino allora era mancata all’umanità” che grazie proprio a quella rivoluzione non può non dirsi “cristiana”.

Se desideriamo vivere in un mondo di pace, come credo sia nel cuore di tutti gli uomini, è fondamentale adoperarsi per risvegliare la coscienza di quei governanti che vorrebbero costruire bombe atomiche per distruggere altre nazioni, pronti a scatenare “guerre sante” strumentalizzando la religione e sfruttando l’ignoranza delle persone. Non c’è fede al mondo che possa predicare la morte anziché la vita. Chi afferma il contrario, se ha studiato i propri testi sacri di riferimento sa di dire il falso. Non è possibile, purtroppo, prevedere tragedie come quella generata dall’ideologia folle professata da Adolf Hitler, che scatenò la Seconda guerra mondiale e causò la morte di milioni e milioni di persone, provocando enormi distruzioni. L’unica cosa che sappiamo con certezza è che, se vogliamo evitare che in futuro fatti analoghi si ripetano, servono adeguati strumenti di prevenzione. Occorrerebbe, ad esempio, che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu (l’organo esecutivo delle Nazioni unite) disponesse di un contingente militare fornito da tutte le nazioni iscritte all’Associazione, per agire come deterrente o, nei casi più gravi, intervenire in modo tempestivo per spegnere i conflitti. Ma bisognerebbe anche rivedere le regole, perché il sistema dei veti (un solo no espresso da un membro fisso del Consiglio di sicurezza può bloccare ogni decisione), figlio delle logiche dei blocchi del secondo dopoguerra, è ormai anacronistico e impedisce ogni decisione. Se soffermiamo la nostra attenzione sul nostro Paese, dobbiamo riconoscere che è un dovere morale attenersi ai principi filosofici dell’etica, che studia e ci mostra le scelte e i comportamenti che ogni governo nazionale dovrebbe assumere, sia per governare i popoli che per utilizzare al meglio i propri militari. Dalla condizione delle forze armate si hanno due connotazioni peculiari: la prima è quella del “professionista militare”, inteso come dirigente, la cui etica è di matrice tecnica, mentre di matrice eroica è la seconda, che qualifica “un capo per vocazione”. La matrice tecnica riguarda la modernizzazione sempre crescente dei mezzi, strumenti e armi in dotazione, mentre la matrice eroica attiene al fattore morale, che si impernia su valori etici quali,  ad esempio, lealtà, coraggio, rigore morale, senso del dovere, rispetto dei diritti e della dignità, spirito di dedizione al prossimo.
Giova evidenziare che al militare può essere richiesto, quando gravi momenti lo rendano necessario, il sacrificio della cosa più preziosa che ciascuno di noi possiede, la vita. Non può essere imposto a nessun altro. Il militare è tenuto a credere nei valori e nei compiti che gli vengono affidati, in quanto programmati nell’interesse della collettività nazionale. La sua condizione è molto diversa dalle altre professioni in quanto comporta la totale adesione ai valori che si pongono alla base della solidarietà e della capacità, di ogni soldato, a combattere. Come ricordavo prima, per tentare di costruire un mondo migliore occorrerebbe che le Nazioni Unite fossero messe nelle condizioni di agire, attraverso opportune riforme giuridiche e organizzative. E un primo intervento operativo da mettere in cantiere con urgenza sarebbe quello di impedire la produzione di gas asfissianti e di altre altre pericolose armi chimiche, o nel caso in cui esistano già, provvedere allo smantellamento degli arsenali, il cui impiego può causare spaventose stragi di esseri umani. Anche se spesso sono divisi da odi e incomprensioni, i popoli della terra sono accomunati da alcuni elementi imprescindibili: tutti sognano di vivere in pace, lavorare e acquistare il pane quotidiano e quant’altro necessario alla propria sussistenza. Hanno bisogno di amore, perché è amore lavorare, seminare la terra, far crescere le piante, raccogliere i frutti, impedire che fiumi, laghi e le acque del mare siano inquinati dai rifiuti di ogni genere. Crescere sani e forti e vedere i propri figli e nipoti farsi strada nel mondo. Qualcuno pensa che vi siano persone che, nel profondo del loro cuore, sognino davvero morte, miseria, disperazione e distruzione? Impossibile. Se non nella mente di chi vuole instillare odio nelle persone, perseguendo finalità malate.

Grande è il sentimento di amore che il popolo italiano deve sempre sentire per le proprie Forze armate, pronte a mantenere fede al giuramento di fedeltà prestato, come avvenne ad esempio all’indomani dell’Otto Settembre 1943 a Cefalonia, dove la divisione Aqui si rifiutò di consegnare le armi ai tedeschi e iniziò a combattere contro di essi. Feroce fu il comportamento dei tedeschi che, per vendetta, massacrarono i superstiti dell’intera divisione, con in testa il comandante Generale Gandin e migliaia e migliaia di uomini tra ufficiali, sottufficiali e soldati. Sappiamo per certo che le nostre Forze armate sono pronte ad aiutarci nei momenti di maggiore difficoltà, quando la vita è appesa a un filo a causa di qualche imprevedibile evento naturale. O aiutare i nostri simili che, sognando una vita migliore, scappano dal loro paese e, sfidando le onde del mare, il fame, il freddo e la sete, salgono su barconi di fortuna per raggiungere le nostre coste alla ricerca della felicità. E trovando, spesso, solo miseria e disperazione. Quanti di loro hanno trovato la morte nel Mediterraneo. Quanta indifferenza e quanto odio da parte di molti. Ma quanta bellissima solidarietà da parte, ad esempio, del popolo di Lampedusa e, soprattutto, delle nostre Forze armate, impegnate nel prestare soccorso a chi è in difficoltà in mezzo al mare. Una solidarietà che non ha confini, ideologie o secondi fini. Ma è frutto solo di amore e umanità.
Sono fermamente convinto che il coraggio della solidarietà lo debbano avere, in primis, tutti i governi e i vertici delle forze armate. Ma anche, nel proprio piccolo, ciascuno di noi. Solo questa “rivoluzione culturale” ci potrà permettere di realizzare quel fantastico sogno che hanno nel cuore tutti gli uomini di buona volontà: costruire un mondo migliore, senza più guerre, perché, come disse Papa Pio XII nell’agosto 1939, alla vigilia dello scoppio della Seconda guerra mondiale, “con le guerre tutto è perduto mentre con la pace niente è perduto”. Auspico che la “rivoluzione” da me propugnata, ancorché difficile da realizzarsi, possa compiersi per il bene delle generazioni future, che potranno finalmente vivere in un mondo permeato dai valori eterni della pace e dell’amore, e dal naturale spirito di fratellanza che appartiene a ciascun essere umano.
Renato Sacchelli

scritto da paolacon il 29 10 2014

Sulla “Stampa”, proprio di ieri, è apparso un articolo sui sefie e sull’uso di genere. Ho chiesto a Franco di leggerlo e sintetizzarlo per noi, può essere interessante.


Paola  mi ha chiesto di leggere l’articolo di Giovanni Cantone …”selfie , le donne lo fanno di più”, da una ricerca condotta dalla Fondazione Ibsa e dall’Università Cattolica.
Chiedere ad un maschio di stigmatizzare un poco le femmine è come invitare un oca a bere.
Sembra che il selfie sia più amato dagli estroversi e quindi il mondo femminile ne è più coinvolto.
…”le regine del selfie sono le donne che si fotografano più degli uomini , risultano più interessanti anche le motivazioni interiori (mi faccio selfie per mostrare come sono e come mi sento). Inoltre le esponenti del gentil sesso affermano di sperare maggiormente di ricevere commenti positivi dagli amici e sui social network , ma temano anche di ricevere commenti negativi dagli altri “( o dalle altre !?!?).
…….” un selfie, spiega Giuseppe Riva, docente di psicologia ,è da considerarsi differente dall’autoscatto , il quale non prevede la componente “social” nella condivisione ,è differente anche dal self-shot , termine che nel contesto dei nuovi media identifica la fotografia di se stessi a sfondo erotico.”…. (in questi casi l’universo femminino ha certamente “più argomenti”).
Ora le donne fotografano tutto di se stesse ..oltre al corpo e al viso …..i tatuaggi , i piercing , le unghie colorate in mille modi ecc. ecc. basta apparire !
La tecnologia e la società incoraggiano queste forme comportamentali di auto espressione e narcisismo …….in fondo “la vanità è donna”………..ma noi stiamo prendendo la rincorsa.

 

Se ci fossero stati i selfie...

Parto da un articolo di Filippo Ceccarelli che appunto parla di selfie……”  Ferma emozioni. Amplifica il caos. Reinventa  le identità. Veicola la popolarità. Disperde la memoria. Scaccia la solitudine . Moltiplica gli specchi di Narciso. Decontestualizza le parole . Assolve i pensieri . Esemplifica le opere. Polverizza la storia. E dice , in buona sostanza : noi esistiamo ! “
Basterebbero queste elencazioni per definire questa “moda” che parte dai cosiddetti telefonini , dagli smartphone , insomma da tutte queste nuove  diavolerie che fanno anche “le foto”.
Ormai è diventato un vezzo mostrare il nuovo ” galaxy ” e fare “selfie” con gli amici al sabato sera mentre mangi la pizza , o quando vai alla fiera di Roccacannuccia  e ti fotografi davanti alla coloratissima bancarella dello zucchero filato. Se poi incontri un vip , che potrebbe essere anche solo un  partecipante a qualche stupito talk show  ….ecco che scatta il selfie.

E si ammucchiano a migliaia nella memoria del cellulare……queste faccette sorridenti, che spesso verranno guardate una sola volta per poi perdersi nei meandri dei circuiti elettronici. Forse solo per qualche signora , che ha la fortuna di fare selfie con George Clooney …… il suo  scatto rubato potrà assurgere alla dignità di poster.
Ma perché lo facciamo ?
Per far vedere il nuovo smartphone ? Per mettere nella memoria ogni attimo della  vita , come se fosse sufficiente una lunga sequenza di immagini per essere certi che esiste una realtà ?
Cartesio viene superato…… il suo “penso quindi esisto” ……ora sarà ….”faccio selfie quindi esisto !”


Oggi è l’immagine che conta …..l’amica ti telefona agitatissima ….”Guarda la TV locale XY alle 14 ….perché al supermercato mi hanno intervistata” ….e per trenta secondi di ripresa …ti senti vivo….importante….sei stato in TV.
Non dobbiamo stupirci … “selfie” vien fatto dai i capi di stato, dai ministri, dai pontefici ….quindi andiamo avanti così …un bel “cheese” con un sorriso a 32 denti e sommiamo immagini ad immagini , in fondo spectaculum facti sumus !!!!!

Vietato fare selfie con le banane

scritto da paolacon il 16 10 2014

Bracco, dopo molto tempo ci manda un articolo e c’è di che riflettere tanto, già dal titolo.

                                                  NELLA VITA TUTTO PASSA

 Se tutto passa attraverso la vita, solo attraverso di essa possiamo arrivare a capire che cosa significa esistere. La nostra vita avanza attraverso i suoi diversi cicli, dove ogni cosa passa. 
Quante volte ci chiediamo qual è il senso della vita, e cerchiamo di dare un significato. Nel momento che la vita la viviamo, il senso lo diamo noi, con le azioni del presente e con il progettare il futuro. Il senso della vita potrebbe essere semplicemente quello di viverla.

Se da un lato è indubbio che la vita oltre ad essere stupefacente, per certi aspetti, significa sofferenza.

La sofferenza è generata dal legame, dalla relazione dell’amore perché nel profondo di noi stessi
c’è la paura di perdere questo legame, di perdere qualcuno dei nostri cari.
L’accettazione del nuovo stato di vita è un qualcosa facile a dirsi e difficile a farsi.

Mi viene in mente un racconto di “qualche tempo fa


C’era una volta un re molto buono e saggio, nella sua lunga vita aveva costruito un regno solido, giusto e combattuto anche dure battaglie. Giunto ormai in vecchiaia senti avvicinarsi l’ora della propria morte, era sempre più debole e stanco, così una notte chiamò al suo capezzale il figlio beneamato, che sarebbe dovuto succedergli nel portare il faticoso fardello della corona.

Con le ultime forze rimaste, alla luce delle candele, gli parlò:

“Caro figlio, il mio tempo è ormai trascorso, ora tocca a te continuare ciò che io incominciai. A sigillo di quanto ti dico ti dono questo mio anello, è un anello magico e molto prezioso, al suo interno vi è un’iscrizione, io l’ho letta sempre nei momenti difficili della mia vita, ma anche nei momenti belli, dove la vita mi sorrideva meravigliosamente e mi ha sempre aiutato. Tienilo, mio caro, è il dono più importante che ti faccio”.
Queste furono le sue ultime parole, si spense serenamente il mattino come le candele che avevano rischiarato la sua ultima notte.
Il figlio, ormai re, con le lacrime agli occhi prese l’anello dalle dita ormai fredde del padre, ma prima di infilarselo al dito lesse all’interno i piccoli caratteri antichi, c’era scritto:
Tutto passa“.
Tutto passa, tutto si trasforma.

Accettare questa semplice verità richiede una grande forza, perché per natura tendiamo ad attaccarci a ciò che ci piace, a ciò che amiamo.

Per concludere una simpatica meditazione di Woody Allen.
La cosa più ingiusta della vita è come finisce.

Voglio dire: la vita è dura e impiega la maggior parte del nostro tempo…

Cosa ottieni alla fine? La morte.

Che significa! Che cos’è la morte?

Una specie di bonus per aver vissuto?

Credo che il ciclo vitale dovrebbe essere del tutto rovesciato.

Bisognerebbe iniziare morendo, così ci si leva subito il pensiero.

Poi in un ospizio dal quale si viene buttati fuori perchè troppo giovani.

Ti danno una gratifica e quindi cominci a lavorare e

per quarant’anni, fino a che sarai sufficientemente giovane per goderti la pensione

Seguono, feste, alcool, erba ed il liceo.

Finalmente cominciano le elementari, diventi bambino, giochi e non hai responsabilità,

diventi un neonato, ritorni nel ventre di tua madre,

passi i tuoi ultimi nove mesi galleggiando e finisci il tutto con un bell’orgasmo!