*******************************************************************************************
ESTATE ADDIO
Equinozio d’autunno
Il 22 settembre 2016 alle 16:21 ora astronomica si entrerà ufficialmente in autunno
A partire da oggi le ore di luce diminuiranno sempre più, fino ad arrivare all’apice del solstizio d’inverno, con la giornata più corta dell’anno.
Gli uomini, a parte le spiegazioni scientifiche, hanno sempre amato trovare delle ragioni di fantasia, usando la loro immaginazione e creando i miti.
L’autunno e l’inverno sono legati al mito di Persefone, chiamata così dai greci ma Proserpina dai romani.
È una bella storia
Persefone, (Proserpina per i romani), era figlia di Zeus (Giove per i romani) e di Demetra (Era o Terra). Era una giovane fanciulla, semplice e obbediente alla madre, che non la lasciava mai. Un giorno di primavera però, mentre era con le sue amiche, sotto la vigilanza di Demetra, correndo in una vallata nei pressi di Enna, in Sicilia, Persefone si perse e nonostante chiedesse aiuto nessuno riuscì a sentirla; improvvisamente la terra si aprì sotto i suoi piedi, e dal baratro che si formò uscì un carro tirato da quattro cavalli neri come la pece. Era il carro dell’oscuro dio dell’Erebo ( o Inferi), Hades (Plutone per i romani), che afferrò la fanciulla, la portò sul carro e via giù nel baratro sprofondò nell’abisso; nessuno poté sentire le urla e i pianti della fanciulla spaventata. Demetra cercò inutilmente sua figlia e quando si accorse che era sparita fu presa dall’ansia. Si mise subito a cercarla nei dintorni, nella vallata, nei boschi, con la disperazione nell’anima; quando si accorse che stava calando la notte le venne in mente di invocare Ecate, che della notte era la signora. Ecate, che aveva sentito le urla di Persefone, fu molto ambigua nella sua risposta ma le consigliò di racarsi dal Sole al cui sguardo nulla può sfuggire. Dopo un lungo si trovò al cospetto del sole che le spiegò che per volere di Zeus, Persefone era stata rapita da Hades che l’aveva portata giù nel regno tenebroso.
Afflitta per la terribile notizia e arrabbiata con Zeus che aveva disposto di sua figlia senza dirle niente, Demetra si rifiutò di tornare sull’Olimpo e abbandonò il suo aspetto di dea; assunse le sembianze di una vecchia decrepita, vestita di cenci e riprese il suo lungo cammino, sperando di consumare il suo dolore, quando dalla Sicilia si ritrovò finalmente in Grecia, nell’Attica in Eleusi. Esausta si accasciò a terra, accanto a un pozzo e scoppiò a piangere.
Passava di lì una donna che ebbe pietà della vecchia e la condusse a casa sua. Era una casa molto povera, un capanna da pastore dove abitava infatti il pastore Celeo e sua moglie Metanira. Da essi erano nati due figli, Trittolemo e Demofoonte. I due pastori furono molto buoni e vicini a Demetra, che aveva raccontato della perdita della sua giovane figlia. Demetra allora riprese le sue sembianze di dea e fece innalzare un tempio e come sacerdote scelse Trittolemo al quale Demetra insegnò tutti i riti del proprio culto e dell’arte della coltivazione. Trittolemo fu il primo uomo a costruire un aratro, a lui si attribuisce infatti la diffusione dell’agricoltura.
Demetra riprese il proprio vagabondare, il suo cuore e il suo pensiero erano sempre rivolti all’amata figlia e al suo triste destino. Trovò il modo per risolvere il problema: con il semplice tocco delle sue mani rese la terra infruttuosa, tanto che gli uomini stavano morendo tutti; Zeus il dio supremo di tutti gli dei, per salvare il genere umano dovette scendere a patti. Mandò Hermes ( Mercurio per i romani) da Hades per ottenere che Persefone tornasse a rivedere la luce del sole. Il dio del regno oscuro obbedì, purché poi sua moglie potesse tornare da lui, e per maggior sicurezza di questo ritorno, fece mangiare alla sua sposa alcuni chicchi di melagrana, simbolo del matrimonio, poiché una eterna legge del Destino stabiliva che chi avesse mangiato nella casa del marito alcuni chicchi di questo frutto presto avrebbe fatto ritorno.
Persefone tornò alla luce del sole e la madre per questo evento festeggiò ricoprendo la terra di fiori e frutta. Zeus poi, per conciliare l’amore materno con le esigenze del marito, stabilì che Persefone avrebbe vissuto sei mesi con la madre e sei con Hades nell’Erebo, tanti erano i chicchi di melograno che lei aveva mangiato.
Questo mito nasconde un simbolo: Persefone che deve scendere ogni anno nel regno sotterraneo non è che la figura del seme, del chicco del grano, che viene seppellito sotto terra e vi rimane appunto un terzo dell’anno, fino a primavera, Persefone ritorna da sua madre e il grano germoglia alla luce del sole. Persefone veniva rappresentata come giovane e bella, col capo incoronato dall’edera e con una fiaccola in mano come sua madre.raccontato da Musa e PCA
(adattamento del mito preso dal web)
Si deve a Gian Lorenzo Bernini (Napoli 1598 – Roma 1680) la rappresentazione scultorea di questo mito molto amato. La statua, in marmo bianco, fu commissionato dal cardinale Scipione Borghese nel 1620 e eseguita, tra il 1620 e il ’21. Ora è conservata alla Galleria Borghese a Roma.
Vi lascio questo bel racconto di Leonardo Sciascia
Spero vi piaccia il modo diretto di raccontare le cose, del grande scrittore siciliano.
(i numeri si riferiscono alle note che si trovano alla fine del racconto ed anche alla fine, si trova una piccola biografia dello scrittore, presa dal web)
BUONA LETTURA ED ANCORA BUONA ESTATE
IL LUNGO VIAGGIO
Era una notte che pareva fatta apposta, un’oscurità cagliata1 che a muoversi quasi se ne sentiva il peso. E faceva spavento, respiro di quella belva che era il mondo, il suono del mare: un respiro che veniva a spegnersi ai loro piedi. Stavano, con le loro valige di cartone e i loro fagotti, su un tratto di spiaggia pietrosa, riparata da colline, tra Gela e Licata2 ; vi erano arrivati all’imbrunire, ed erano partiti all’alba dai loro paesi; paesi interni, lontani dal mare, aggrumati nell’arida plaga del feudo3 . Qualcuno di loro, era la prima volta che vedeva il mare: e sgomentava4 il pensiero di dover attraversarlo tutto, da quella deserta spiaggia della Sicilia, di notte, ad un’altra deserta spiaggia dell’America, pure di notte. Perché i patti erano questi – Io di notte vi imbarco – aveva detto l’uomo: una specie di commesso viaggiatore per la parlantina, ma serio e onesto nel volto – e di notte vi sbarco: sulla spiaggia del Nugioirsi5 , vi sbarco; a due passi da Nuovaiorche6 … E chi ha parenti in America, può scrivergli che aspettino alla stazione di Trenton, dodici giorni dopo l’imbarco… Fatevi il conto da voi… Certo, il giorno preciso non posso assicurarvelo: mettiamo che c’è mare grosso, mettiamo che la guardia costiera stia a vigilare… Un giorno più o un giorno meno, non vi fa niente: l’importante è sbarcare in America. L’importante era davvero sbarcare in America: come e quando non aveva poi importanza. Se ai loro parenti arrivavano le lettere, con quegli indirizzi confusi e sgorbi che riuscivano a tracciare sulle buste, sarebbero arrivati anche loro; “chi ha lingua passa il mare”7 , giustamente diceva il proverbio. E avrebbero passato il mare, quel grande mare oscuro; e sarebbero approdati agli stori e alle farme8 dell’America, all’affetto dei loro fratelli zii nipoti cugini, alle calde ricche abbondanti case, alle automobili grandi come case. Duecentocinquantamila lire: metà alla partenza, metà all’arrivo. Le tenevano, a modo di scapolari9 , tra la pelle e la camicia. Avevano venduto tutto quello che avevano da vendere, per racimolarle: la casa terragna10 il mulo l’asino le provviste dell’annata il canterano le coltri. I più furbi avevano fatto ricorso agli usurai, con la segreta intenzione di fregarli; una volta almeno, dopo anni che ne subivano angaria11: e ne aveva soddisfazione, al pensiero della faccia che avrebbero fatta nell’apprendere la notizia. “Vieni a cercarmi in America, sanguisuga: magari ti ridò i tuoi soldi, ma senza interesse, se ti riesce di trovarmi”. Il sogno dell’America traboccava di dollari: non più, il denaro, custodito nel logoro portafogli o nascosto tra la camicia e la pelle, ma cacciato con noncuranza nelle tasche dei pantaloni, tirato fuori a manciate: come avevano visto fare ai loro parenti, che erano partiti morti di fame, magri e cotti dal sole; e dopo venti o trent’anni tornavano, ma per una breve vacanza, con la faccia piena e rosea che faceva bel contrasto coi capelli candidi. Erano già le undici. Uno di loro accese la lampadina tascabile: il segnale che potevano venire a prenderli per portarli sul piroscafo. Quando la spense, l’oscurità sembrò più spessa e paurosa. Ma qualche minuto dopo, dal respiro ossessivo del mare affiorò un più umano, domestico suono d’acqua: quasi che vi si riempissero e vuotassero, con ritmo, dei secchi. Poi venne un brusìo, un parlottare sommesso. Si trovarono davanti il signor Melfa, che con questo nome conoscevano l’impresario12 della loro avventura, prima ancora di aver capito che la barca aveva toccato terra. – Ci siamo tutti? – domandò il signor Melfa. Accese la lampadina, fece la conta. Ne mancavano due. – Forse ci hanno ripensato, forse arriveranno più tardi… Peggio per loro, in ogni caso. E che ci mettiamo ad aspettarli, col rischio che corriamo?.
Tutti dissero che non era il caso di aspettarli. Se qualcuno di voi non ha il contante pronto – ammonì il signor Melfa – è meglio si metta la strada tra le gambe13 e se ne torni a casa: che se pensa di farmi a bordo la sorpresa, sbaglia di grosso: io vi riporto a terra com’è vero dio, tutti quanti siete. E che per uno debbano pagare tutti, non è cosa giusta: e dunque chi ne avrà colpa la pagherà per mano mia e per mano dei compagni, una pestata che se ne ricorderà mentre campa14; se gli va bene… Tutti assicurarono e giurarono che il contante c’era, fino all’ultimo soldo. – In barca – disse il signor Melfa. E di colpo ciascuno dei partenti diventò una informe massa, un confuso grappolo di bagagli. – Cristo! E che vi siete portata la casa appresso? – cominciò a sgranare bestemmie, e finì quando tutto il carico, uomini e bagagli, si ammucchiò nella barca: col rischio che un uomo o un fagotto ne traboccasse15 fuori. E la differenza tra un uomo e un fagotto era per il signor Melfa nel fatto che l’uomo si portava appresso le duecentocinquatamila lire; addosso, cucite nella giacca o tra la camicia e la pelle. Li conosceva, lui, li conosceva bene: questi contadini zaurri16, questi villani. Il viaggio durò meno del previsto: undici notti, quella della partenza compresa. E contavano le notti invece che i giorni, poiché le notti erano di atroce promiscuità17, soffocanti. Si sentivano immersi nell’odore di pesce di nafta e di vomito come in un liquido caldo nero bitume18. Ne grondavano19 all’alba, stremati, quando salivano ad abbeverarsi di luce e di vento. Ma come l’idea del mare era per loro il piano verdeggiante di messe20 quando il vento lo sommuove, il mare vero li atterriva: e le viscere gli si strizzavano, gli occhi dolorosamente verminavano21 di luce se appena indugiavano a guardare.
Ma all’undicesima notte il signor Melfa li chiamò in coperta: e credettero dapprima che fitte costellazioni fossero scese al mare come greggi; ed erano invece paesi, paesi della ricca America che come gioielli brillavano nella notte. E la notte stessa era un incanto: serena e dolce, una mezza luna che trascorreva tra una trasparente fauna di nuvole22, una brezza che allargava i polmoni. – Ecco l’America – disse il signor Melfa. – Non c’è pericolo che sia un altro posto? – domandò uno: poiché per tutto il viaggio aveva pensato che nel mare non ci sono né strade né traz-. zere23, ed era da dio24 fare la via giusta, senza sgarrare25, conducendo una nave tra cielo ed acqua. Il signor Melfa lo guardò con compassione, domandò a tutti – E lo avete mai visto, dalle vostre parti, un orizzonte come questo? E non lo sentite che l’aria è diversa? Non vedete come splendono questi paesi? Tutti convennero, con compassione e risentimento guardarono quel loro compagno che aveva osato una così stupida domanda. – Liquidiamo il conto – disse il signor Melfa. Si frugarono sotto la camicia, tirarono fuori i soldi. – Preparate le vostre cose – disse il signor Melfa dopo avere incassato. Gli ci vollero pochi minuti: avendo quasi consumato le provviste di viaggio, che per patto avevano dovuto portarsi, non restava loro che un po’ di biancheria e i regali per i parenti d’America: qualche forma di pecorino qualche bottiglia di vino vecchio qualche ricamo da mettere in centro alla tavola o alle spalliere dei sofà. Scesero nella barca leggeri leggeri, ridendo e canticchiando; e uno si mise a cantare a gola aperta26, appena la barca si mosse. E dunque non avete capito niente? – si arrabbiò il signor Melfa. – E dunque mi volete fare passare il guaio?… Appena vi avrò lasciati a terra potete correre dal primo sbirro27 che incontrate, e farvi rimpatriare con la prima corsa: io me ne fotto, ognuno è libero di ammazzarsi come vuole… E poi, sono stato ai patti: qui c’è l’America, il dovere mio di buttarvici l’ho assolto… Ma datemi il tempo di tornare a bordo, Cristo di Dio! Gli diedero più del tempo di tornare a bordo: che rimasero seduti sulla fresca sabbia, indecisi, senza saper che fare, benedicendo e maledicendo la notte: la cui protezione, mentre stavano fermi sulla spiaggia, si sarebbe mutata in terribile agguato se avessero osato allontanarsene. Il signor Melfa aveva raccomandato – sparpagliatevi – ma nessuno se la sentiva di dividersi dagli altri. E Trenton chi sa quant’era lontana, chi sa quando ci voleva per arrivarci. Sentirono, lontano e irreale, un canto. “Sembra un carrettiere nostro”, pensarono: e che il mondo è ovunque lo stesso, ovunque l’uomo spreme in canto28 la stessa malinconia, la stessa pena. Ma erano in America, le città che baluginavano29 dietro l’orizzonte di sabbia e d’alberi erano città dell’America. Due di loro decisero di andare in avanscoperta30. Camminarono in direzione della luce che il paese più vicino riverberava nel cielo. Trovarono quasi subito la strada: “asfaltata, ben tenuta; qui è diverso che da noi”, ma per la verità se l’aspettavano più ampia, più dritta. Se ne tennero fuori, ad evitare incontri: la seguivano camminando tra gli alberi. Passò un’automobile: “pare una seicento”; e poi un’altra che pareva una millecento31, e un’altra ancora: “le nostre macchine loro le tengono per capriccio, le comprano ai ragazzi come da noi le biciclette”. Poi passarono, assordanti, due motociclette, una dietro l’altra. Era la polizia, c’era da sbagliare: meno male che si erano tenuti fuori della strada. Ed ecco che finalmente c’erano le frecce32. Guardarono avanti e indietro, entrarono nella strada, si avvicinarono a leggere: Santa Croce Camerina – Scoglitti. – Santa Croce Camerina: non mi è nuovo, questo nome. – Pare anche a me; e nemmeno Scoglitti mi è nuovo. – Forse qualcuno dei nostri parenti ci abitava, forse mio zio prima di trasferirsi a Filadelfìa: che io ricordo stava in un’altra città, prima di passare a Filadelfìa. – Anche mio fratello: stava in un altro posto, prima di andarsene a Brucchilin33… Ma come si chiamasse, proprio non lo ricordo: e poi, noi leggiamo Santa Croce Camerina, leggiamo Scoglitti; ma come leggono loro non lo sappiamo, l’americano non si legge come è scritto. – Già, il bello dell’italiano è questo: che tu come è scritto lo leggi… Ma non è che possiamo passare qui la nottata, bisogna farsi coraggio… Io la prima macchina che passa, la fermo: domanderò solo “Trenton?”… Qui la gente è più educata. Anche a non capire quello che dice, gli scapperà un gesto, un segnale: e almeno capiremo da che parte è, questa maledetta Trenton. Dalla curva, a venti metri, sbucò una cinquecento: l’automobilista se li vide guizzare34 davanti, le mani alzate a fermarlo. Frenò bestemmiando: non pensò a una rapina, che la zona era tra le più calme; credette volessero un passaggio, aprì lo sportello. – Trenton? – domandò uno dei due. – Che? – fece l’automobilista. – Trenton? – Che Trenton della madonna – imprecò l’uomo dell’automobile. – Parla italiano – si dissero i due, guardandosi per consultarsi: se non era il caso di rivelare a un compatriota la loro condizione. L’automobilista chiuse lo sportello, rimise in moto. L’automobile balzò in avanti: e solo allora gridò ai due che rimanevano sulla strada come statue – ubriaconi, cornuti ubriaconi, cornuti e figli di… – il resto si perse nella corsa. Il silenzio dilagò. – Mi sto ricordando – disse dopo un momento quello cui il nome di Santa Croce non suonava nuovo – a Santa Croce Camerina, un’annata che dalle nostre parti andò male, mio padre ci venne per la mietitura. Si buttarono come schiantati35 sull’orlo della cunetta perché non c’era fretta di portare agli altri la notizia che erano sbarcati in Sicilia.
(Leonardo Sciascia, Il mare colore del vino, Einaudi)
*************************************************************************************
NOTE e SPIEGAZIONI DELLE PAROLE IN DIALETTO SICILIANO
1 cagliata: densa, fitta.
2 Gela e Licata: paesi della costa meridionale della Sicilia.
3 aggrumati… feudo: raccolti sulla terra riarsa della regione.
4 sgomentava: spaventava
5 Nugioirsi: New Jersey, stato della costa atlantica degli Stati Uniti, dove si trova la città di Trenton. Il nome straniero è pronunciato con una storpiatura dialettale.
6 Nuovaiorche: altra storpiatura popolare per New York.
7 “chi ha lingua… mare”: il senso del proverbio è che chi sa parlare è capace di arrangiarsi e può arrivare dovunque.
8 agli stori e alle farme: pronuncia dialettale per i termini inglesi stores (“magazzini”) e farmes (“fattorie”).
9 scapolari: immaginette sacre su stoffa che si tenevano sotto i vestiti, appese al collo.
10 terragna: bassa, modesta.
11 angaria: sopruso.
12 l’impresario: il signor Melfa è l’organizzatore del trasporto: dovrebbe imbarcare i contadini e sbarcarli in America
13 si metta… gambe: si rimetta in cammino di corsa [modo di dire popolare].
14 mentre campa: finché vive.
15 traboccasse: cadesse.
16 zaurri: zoticoni.
17 di atroce promiscuità: passate in una terribile mescolanza di corpi.
18 bitume: liquido denso e appiccicoso, nerastro.
19 Ne grondavano: se ne liberavano.
20 messe: messi, grano.
21 verminavano: formicolavano, come abbagliati dopo la lunga oscurità.
22 trasparente fauna di nuvole: nubi evanescenti di tutti i tipi e le forme
23 trazzere: sentieri per gli animali [termine siciliano].
24 era da dio: bisognava essere molto abili.
25 sgarrare: sbagliare.
26 a gola aperta: a piena voce.
27 sbirro: poliziotto.
28 spreme in canto: esprime, trasferisce nel canto.
29 baluginavano: brillavano.
30 in avanscoperta: in esplorazione.
31 seicento… millecento: sono automobili di piccola cilindrata, di marca italiana.
32 frecce: cartelli stradfali.
33 Brucchilin: storpiatura per Brooklyn, quartiere di New York.
34 guizzare: balzare.
35 schiantati: straziati, distrutti
***********************************************************************************
LEONARDO SCIASCIA (1921-1989) nasce a Racalmuto, in provincia di Agrigento, da una famiglia della borghesia siciliana. Intellettuale di grande impegno politico e civile, negli anni Settanta fu anche deputato del parlamento nazionale ed europeo. Nelle sue opere (saggi, romanzi, articoli giornalistici) egli denuncia i mali della sua terra natale, visti spesso come un sintomo del più vasto degrado sociale e morale di tutta l’Italia. In particolare, nel romanzo “Il giorno della civetta” affronta per la prima volta in modo diretto il problema della mafia e dei suoi legami con i politici corrotti attraverso il genere letterario del giallo, capace di avvicinare il grande pubblico a queste tematiche.
Nella raccolta di racconti “Il mare colore del vino” (1973), tratta alcune piaghe sociali del Sud dell’Italia, tra cui il grave problema dell’emigrazione clandestina.
Nel “Il lungo viaggio”, tratto dalla raccolta Il mare colore del vino, Sciascia racconta la terribile beffa di cui sono vittime alcuni poveri contadini siciliani che, all’inizio del Novecento, vorrebbero emigrare in America per sfuggire a una vita di stenti e miseria. Dopo aver preso accordi con un losco individuo, il signor Melfa, e avergli pagato un’ingente somma di denaro, gli emigranti si ritrovano di notte, pieni di paura ma anche di speranza, su una spiaggia vicino a Gela, e si imbarcano sulla nave che dovrebbe portarli a New York.
Dopo un lungo e difficile viaggio, durato undici notti, Melfa li fa sbarcare.
Ma i loro sogni di ricchezza e benessere saranno atrocemente delusi: una brutta sorpresa li aspetta…
LE OPERE Oltre al Giorno della civetta, e ai racconti Il mare color del vino altre opere di Sciascia sono: Todo modo e A ciascuno il suo.(Dal web)
***********************************************************
Estate… tempo di riposo, di pensieri, di sogni, di meditazioni, di vacanze anche mentali.
Non ci sarò per qualche tempo,
ma vi lascio un racconto di Leonardo Sciascia: “Il lungo viaggio”
Forse vi farà un po’ riflettere e un po’ pensare a come eravamo noi, non molto tempo fa…
Buone cose serene per tutti, con tanta simpatia.
(Il racconto lo trovate sotto questo post e, se volete, potete commentare senza problemi, perché qualcuno mi aiuta a moderare.)
***********************************************************
****************************************************************************************
Eccovi tutti i raccontini scritti da voi, giocando con le parole che vi erano state date, gli autori sono in ordine alfabetico; ho aspettato un po’ a pubblicarli tutti insieme, perché mi auguravo che ce ne fossero ancora.
Sono uno più bello dell’altro, COMPLIMENTI A TUTTI!!!
E un grazie a tutti i partecipanti!
Potremmo ripetere l’esperimento, che ne dite?
*****************************************************************
Le parole da usare erano:
ALBERO, ARTIGIANA, ARTIGIANO, COLORI, DISPIACERE, LAMPADA, OBBEDIRE, SERA, SONNO, TAVOLO, TAZZA
ALFRED-SANDRO
vieni via… vieni VIAAAAAA….. qui tra poco ci sarà il finimondo..!!!
no!…perchè dovrei..??
Sali ti dico, ti conviene obbedire! Ti porto al sicuro!!
Ma cosa vi è saltato in mente? Perchè fare tutto quel casino?
Ti sei preso una bella botta in testa, perdi sangue.
Dai, siedi qui al tavolo che ti medico, accendi la lampada!!
Che dispiacere vedere dei giovani come te comportarsi da stupidi per una partica di calcio, ma che vi prende quando siete allo stadio?
Non vi bastano i goals , i falli, i fischi dell’arbitro?
Macchè fischi e goals!! a noi piace fare casino, creare confusione, fare danni e fracassare tutto e magari fare anche male a qualcuno!
Ma siete pazzi? ti sei preso una bella botta in testa e lo chiami divertimento? Piuttoso stai attento se ti venisse sonno prima di sera.
Toh! bevi un po’ di te’ in questa tazza.
Ma non ti potevi nascondere dietro a quell’albero?
Sarei stato un vigliacco: tutti i miei compagno dell’istituto artigiano erano la a combattere ed io mi nascondo? Se mi avessero visto mi avrebbero fatto loro a colori…….
Beh , grazie di avermi curato, torno a casa perchè è già sera e i miei quando mi vedranno conciato cosi ……sa che dispiacere!
Mia madre, artigiana del cucito, è molto conosciuta e non me lo perdonerà di certo!
ALFRED-SANDRO
Chiara
Le piaceva quel gioco: guardare in fondo alla tazza con la quale faceva colazione, vedere i colori, i riflessi irridescenti della lampada posta sopra il tavolo, mentre beveva l’ultimo sorso di latte prima andare a scuola.
Strizzava gli occhi, Chiara: un po’ uno, un po’ l’altro…… le sembrava che la tazza e i suoi riflessi si spostassero come per obbedire ai suoi ordini.
Aveva ancora sonno a quell’ora presto: doveva andare a scuola e la scuola era laggiù, lontana, quasi in fondo alla valle, di fianco al grosso e vecchio albero di quercia del quale nessuno in paese conosceva l’età.
Circolava voce che l’avesse piantata un bisbisbis-nonno di Anchise il fabbro: artigiano fabbroferraio da sempre, da generazioni. La tradizione vuole che i suo antenati li, in quella bottega artigiana, vi forgiassero le migliori lame del paese; tanto che i regnanti, per assicurarsi la garanzia della sua fedeltà, gli assegnarono quel pezzo di terreno dove ora, fino al calar del sole, nelle calde sere d’estate ancora si sente il suono del martello che, con rintocchi regolari, batte sulla grossa incudine come ad annunciare la fine di un’altra serena giornata.
FRANCO
La sera giunse all’improvviso con una luminosità strana che smorzava i colori e allungava le ombre , me ne stavo rannicchiato sul divano guardando oltre la finestra un passero che svolazzava di ramo in ramo su di un albero nel giardino , sul tavolo nella bella tazza di pregevole fattura artigiana che lei mi aveva regalato , il te si stava raffreddando.
Se ne era andata così , con un biglietto appoggiato ad una lampada , senza pensare troppo al dispiacere che mi avrebbe procurato . Un bigliettino artistico creato di certo da un bravo artigiano , anche in questi dettagli era maestra , tutta perfettina, senza sbavature , persino nelle stringatissime parole…” non abbiamo più niente da dirci ” …scritte con bei caratteri svolazzanti.
Erano le parole che non sapevamo più dirci o non riuscivamo più ad obbedire a un sentimento che si era affievolito giorno dopo giorno ?
Una storia passata, ora non sapevo neppure se ne era valsa la pena.
Pian piano lasciai cadere sul pavimento l’artistico foglietto e mi lasciai prendere da un sonno liberatorio.
In fondo…come in tutte le storie d’amore che finiscono…domani è un altro giorno !
GIANNA
Dopo una giornata di stres, sentivo che arrivava un dolce sonno, mi feci la solita tisana per potere rilassarmi dalla stanchezza,presi la mia tazza di porcellana di cui mi era stata regalata da amici di famiglia mi sono impadronita perche’ all’esterno cerano tantissimi fiorellini,e quella avevo scielta tra le due,mentre versavo la tisana nel fondo nella tazza,vidi una piccola scritta che per leggere presi la lente di ingrandimento, cera scritto sogni d’oro rimasi stupita ma poi continuai a sorseggiare perche’ il sonno era tanto,nel finale non vidi piu’ nulla, allora pensai era una mia immaginazione da allora quella tazza è diventata la tazza dei mie sogni.e molto bella fatta da pittori di grande bravura. porta molta allegria per i suoi delicati colori!
LUCIA
Si era fatto sera, ho preparato una tazza di tisana per conciliare il sonno. La mattina dopo sarebbe arrivato un artigiano per riparare una vecchia lampada, ricordo caro della zia di Volterra, che con grande dispiacere l’aveva fatta cadere dal tavolo. La lampada raffigura un albero dai colori tenui, ora fa bella mostra in angolo del salotto, quando la sera l’accendo, ripenso con nostalgia e con un po’ di dispiacere ai tempi passati!
MARCO
La leggenda della bimba chiamata “tazza”
C’era una volta, una bimba con un nomignolo strano tazza cosi la chiamava la gente della vicina contea, figlia di un artigiano, vedovo commerciante di carbone.
Tutte le mattine con gli occhi ancora pieni di sonno si preparava, per uscire da casa, per recarsi nella vicina piazza.
In cerca della sua zia anch’essa artigiana.
Lei costruiva una lampada, una lampada, magica e miracolosa. Pensa che una volta accesa brilla di mille colori.
E quando giunge la sera la zia, la posa sul tavolo. Di fronte alla finestra, e la luce e talmente forte che illumina tutta la corte.
Da anni nella corte della casa vive un albero un albero magico, dove devi credere e obbedire. E la zia crede nella profezia, e cosi l’albero al pronunciare le tre parole magiche comincia a riempirsi di frutti buonissimi, e per raccoglierli la zia chiamava la bimba.
Finche una sera un losco individuo la vide stracarica di frutti e ridendo le disse sei talmente carica di frutti che assomigli a una grande tazza.
E fu cosi che il losco individuo divertito raccontò ai cittadini della sua contea la storia della bimba carica di frutti che sembrava un’enorme tazza.
Passarono giorni mesi e anni
e ancor oggi la gente della vicina contea racconta la storia della bimba chiamata tazza.
MARCO
Giunge la sera, e il cielo si colora di mille colori un angelo artigiano dipinge il tuo dolce viso.
Stupito, rimango seduto hai piedi di un albero gigante, abbagliato dalla bellezza del dipinto. I suoi colori sono talmente belli che il mio cuore si concilia con un bellissimo sonno. E infine, al mattino, sei lì con la mia tazza, piena del tuo amore. Buongiorno vita mia.
MARIEJOSE
La lampada appesa sotto l’albero, illuminava il tavolo, creata da un artigiano, di cui non conoscevo niente.
Bevevo la mia tisana, nella mia tazza di fine porcellana, mentre i colori luminosi, giocavano con l’ombra della Sera.
Crepuscolo, ora di malinconia, ora dell’indefinito all’anima, ora dei pensieri dolci, dei sogni svelati, che scelgono cammini dei castelli in aria, ora senza età a vedersi donna e ragazza.
Esse, mi sembrano obbedire senza dispiacere ai giochi strani, che mi conducevano al sonno.
MARIEJOSE
La goccia fa traboccare la tazza, artigiana.
Artigiano, uscite delle vostre stanze, non è più tempo del sonno, né di ubbidire.
Alzate le bandiere, i Colori. Andate gridare il vostro dispiacere dal mattino alla sera.
Appuntamento, sotto l’albero della libertà, una lampada in mano.
ROBERTADEGLIANGELI
Venerdì mattina la sveglia suona alle 6,45 la piscina mi aspetta accendo la lampada sul comodino, gli occhi sono disturbati dalla sua luce. Il sonno non vuole abbandonarmi e accompagna i miei passi lenti verso la cucina. Eccomi davanti alla macchinetta del caffè, non ce la mia tazza!!!! Dové controllo ma è stato solo il sonno, ha confuso il mio vedere. Come al solito è al suo posto. Prendo le gallette, la marmellata, le appoggio sul tavolo, torno in cucina il caffè è pronto. Di tutto punto vestita mi avvio verso la macchina raggiungo la piscina, non sto imparando a nuotare ma… cercherò di obbedire alla mia istruttrice.
SANDRA
Era stata una bella gita ,tutto quel verde in mezzo agli alberi mi aveva rilassata e ritemprato lo spirito. Una strana sonnolenza mi aveva invasa, una bella tazza di the appena a casa sarebbe stato l’ideale. Ma mi ricordai che dovevo passare dall’artigiano a ritirare la mia lampada che mi era caduta sul tavolo la sera prima ,ero un caro ricordo ,e temevo non si potesse fare piu’ niente,Lui non c’era ,ma la moglie me la mostro’ perfetta dicendomi “Guardi signora e’ venuta benissimo, i colori sono perfetti”
SEBA
Da bambino la sera dopo cena scendevo in cantina, dove il nonno, vecchio artigiano del legno, creava piccoli oggetti.
Seduto su uno sgabello davanti a un tavolo vecchio e traballante, lavorava alla luce di una piccola lampada d’acetilene.
Per i suoi lavori si serviva di un tronco d’albero caduto in giardino durante un forte temporale.
-Nonno, a cosa stai lavorando?
-E’ per te figliolo, una tazza con i colori della tua squadra.
-Ogni volta che la userai penserai al tuo vecchio nonno.
Non l’ho mai usata, la tengo chiusa in una vetrinetta e quando il sonno tarda a venire la prendo e mi ritornano in mente i dialoghi con il nonno.
-Nonno, insegnami a lavorare il legno da grande vorrei fare il tuo mestiere.
-No figliolo devi obbedire ai tuoi genitori e studiare per diventare un ragioniere.
E così è stato sto seduto a una scrivania a fare conti tutti i giorni con il dispiacere di non aver aperto una bottega artigiana creando, magari, giochi per bambini più educativi di quelli tecnologici di oggi.
Ho una PROPOSTA per chi ha voglia di scrivere un piccolo racconto, una storia inventata o vissuta realmente, dato che i casi della vita sono a volte impensati.
Allora vi presento una decina di parole, prese a caso dal dizionario o suggerite da amici.
Sceglietene 5 o 6 e raccontate una storia usando le parole da voi preferite.
Il racconto sia un raccontino e cercate di non superare le 30/35 righe;
ma anche più corto sarà perfetto.
Non ci sono premi, non ci sono correzioni, non ci sono bocciature: sarà solo un puro, allegro, divertimento per chi è libero di partecipare, di provare a scrivere, di usare la propria immaginazione e di giocare con le parole.
Tutti gli eldyani che ne abbiano voglia sono invitati ad intervenire.
Scegliete tra queste le 5 / 6 parole che poi compariranno nella vostra piccola storia:
TAZZA
SONNO
OBBEDIRE
ARTIGIANO
ARTIGIANA
DISPIACERE
LAMPADA
COLORI
TAVOLO
SERA
ALBERO
Buon lavoro e buonumore!
PAUL KLEE
Münchenbuchsee (Svizzera) 1879 – Muralto (Ticino) 1940
“Il colore mi possiede. Non ho bisogno di tentare di afferrarlo. Mi possiede per sempre, lo sento. Questo è il senso dell’ora felice: io e il colore siamo tutt’uno. Sono pittore”. Paul Klee
Di padre tedesco e di madre svizzera ebbe la nazionalità tedesca pur essendo nato in Svizzera, Paul Klee fu poeta, musicista, pittore.
Per lungo tempo la musica contese alla pittura il primo posto nel suo cuore.
Paul Klee era un ottimo violinista, ereditò infatti, dal padre, l’amore per la musica. Cominciò presto gli studi di pittura a Monaco di Baviera, poi passò diversi mesi viaggiando in Italia, sentendo il fascino dell’architettura e pittura rinascimentali.
Approfondì gli studi di pittura per diversi anni e nell’inverno 1911 si avvicina al gruppo del Blaue Reiter (Cavaliere Azzurro), dopo aver conosciuto Van Gogh e Cézanne e divenendo amico di Kandinsky. Un viaggio a Tunisi sarà motivo di approfondire l’uso del colore ed è proprio dopo questo viaggio che si afferma il suo stile inconfondibile.
Nel 1931 Klee fu professore all’Accademia di Düsseldorf, ma con l’avvento del nazismo, fu costretto a rifugiarsi in Svizzera, infatti la sua produzione fu giudicata “arte degenerata”, nella primavera del 1933 e lui stesso fu accusato di “bolscevismo culturale” e destituito.
Purtroppo già nel 1935 si palesarono i primi sintomi di una maligna affezione della pelle che lo condusse alla morte il 29 giugno 1940.
Sulla sua lapide sono incise le seguenti parole:
“Non appartengo solo a questa vita. Vivo bene con la morte, come con coloro che non sono mai nati. Più vicini di altri al cuore della Creazione”.
Artista atipico del XXsecolo ha il suo posto tra i fondatori dell’arte moderna. Si espresse in molteplici forme: quadri, acquarelli, grafica, pittura su vetro, fino alle marionette.
Le sue composizioni utilizzano sia elementi figurativi che colori astratti e la sua produzione ricchissima ci permette di apprezzare tutte le sfaccettature della sua fertile immaginazione, della sua poesia e del suo umorismo. Nelle sue opere si sente il grande amore che Paul Klee aveva per la musica. Spesso i suoi quadri fanno pensare ad un pentagramma.
Infine c’è da dire che l’importanza che Paul Klee ha per l’arte del novecento e per quanto l’ha influenzata, è pari a quella che ha avuto Leonardo da Vinci nel 1400.
Dopo il primo viaggio nordafricano, in Tunisia, ripetuto tra la fine del 1928 e l’inizio del 1929, è la volta dell’Egitto. E “Strada principale e strade secondarie”, uno dei quadri che meglio rappresentano l’arte di Klee, è realizzato proprio nel 1929. Del paesaggio egiziano gli occhi del pittore colgono subito i colori, il movimento e il rapporto con lo spazio – sia urbano, con le sue strade secondarie, sia agricolo, di appezzamenti sfiorati dal Nilo – che questi instaurano. L’astrattismo, ereditandola dall’espressionismo, si fonda su una teoria artistica divergente da quella tanto cara agli impressionisti, ovvero l’arte come rappresentazione della realtà. Qui, al contrario, è l’io ad essere espresso, la pittura è musicale: il paesaggio diventa un pentagramma, e i campi suddivisi dalle tante strade secondarie, orizzontali e oblique, sono come note sparse a macchia. Domina un’atmosfera di libertà associativa, rigorosamente tesa a intuire il carattere primitivo delle cose, per poi riportarne su tela la forza creativa.
Amante del violino, Klee non ha mai smesso di suonare la sua polifonia di colori, seppure a qualcuno sembri solo un nodo di linee.(preso dal web)
Accludo un notevole filmato esplicativo.
Cambio di pagina.
Dopo la scrittura (ma poi ci torneremo…) un quadro…
Vi propongo un quadro e, se ne avete voglia, provate a pensare all’effetto che vi fa, che sentimenti ispira e che reazioni suscita.
Osservatelo con calma.
Vi piace?
Vi disturba?
Lo trovate gradevole?
Lo vorreste in casa?
Che cosa vi fa venire in mente? Che ricordi?
Lo collegate a qualche altro quadro?
E poi provate a pensare in che periodo può essere stato dipinto. E in quale nazione. E da chi? Ma in un secondo tempo.
Sempre che vi vada, commentate la vostra reazione (senza cercare di scoprire qualcosa su google… ehm ehm)
La soluzione a breve…
Abbiamo esaurito soluzioni, commenti, giudizi, interpretazioni, pareri, illazioni, osservazioni tutte tinte di giallo.
L’esperimento ha riscontrato consensi? Non è piaciuto?
Chi ha scelto liberamente di partecipare si è divertito ed è questo quello che conta.
Potrebbe anche ripetersi se c’è approvazione, fatecelo sapere.
Intanto vi propongo un piccolo divertimento scritto in forma di poesia da:
Ernesto Ragazzoni (Orta Novarese, 8 gennaio 1870 – Torino, 5 gennaio 1920) un poeta, traduttore e giornalista italiano vissuto a cavallo tra ‘800 e ‘900.
Sembra una cosa da nulla, ma fa anche riflettere e poi ce la legge Vittorio Gassman.
Ballata
Se ne vedono nel mondo
che son osti… cavadenti
boja, eccetera… (o, secondo
le fortune grand’Orienti).
C’è chi taglia e cuce brache,
chi leoni addestra in gabbia,
chi va in cerca di lumache…
Io… fo buchi nella sabbia.
I poeti anime elette,
riman laudi e piagnistei
per l’amore di Giuliette
di cui mai sono i Romei!
I fedeli questurini
metton argini alla rabbia
dei colpevoli assassini…
Io… fo buchi nella sabbia.
Sento intorno sussurrarmi
che ci sono altri mestieri…
Bravi… A voi! Scolpite marmi,
combattete il beri-beri,
allevate ostriche a Chioggia,
filugelli in Cadenabbia,
fabbricate parapioggia
Io… fo buchi nella sabbia.
O cogliate la cicoria
e gli allori. A voi! Dio v’abbia
tutti quanti, in pace, e gloria!
Io… fo buchi nella sabbia.
Ernesto Ragazzoni (1870-1920)
Ed ecco, come promesso, la soluzione di Alfred-Sandro.
Ma sento che non tutti sono d’accordo, se avete delle obiezioni fatevi pure avanti!
*******************************************
Bene, avviamoci alla conclusione.
Il contadino era appena uscito dal negozio di erboristeria dove aveva acquistato uno scacciatalpe elettronico ad ultra suoni.
Ne aveva letto la pubblicità su uno di quei giornaletti che arrivano per posta due o tre volte l’anno.
“Scaccia talpe, elettronico, di grande potenza, da installare in giardino o in grandi spazi aperti coltivati. Produce un forte ultrasuono non udibile dall’orecchio umano garantendo la sicurezza e la tranquillità degli utlizzatori”
Produzione made in China.
Resosi conto del guaio che aveva arrecato , coraggiosamente e onestamente si reca ella stazione dei carabinieri e racconta tutto.
– Mentre stavo recandomi a casa, ho visto un grosso topo fare capolino dalla griglia di un tombino stradale per la raccolta delle acque piovane.
Non ho resistito alla tentazione di provarne l’effetto che avrebbe avuto, dato che è praticamente impossibile vedere le talpe mentre ti buttano all’aria il terreno.
Poggiandomi sul cofano di una macchina, carico il dispositivo, l’ho acceso, l’ho diretto verso il tombino che è nei pressi del panificio,
e nel frastuono della città… un boato: la vetrina in frantumi e una ragazza innocente ferita……
Istintivamente sono scappato ma, dopo, come vede…….. sto qui……–
IL FINALE è APERTO… piccolo racconto “da completare” scritto da Alfred-Sandro
Alfred ci propone un episodio: reale… inventato… non è dato saperlo.
Non è del tutto completo però, manca qualcosa.
Vogliamo provare noi a completarlo?
A trovare un finale?
Ma anche una spiegazione a quanto viene narrato.
Che cosa può essere successo veramente?
Una piccola sfida che sta a voi accettare e che spero vi piaccia.
Buona lettura e buona eventuale scrittura
<<************************************************************************>>
Signor brigadiere, glielo ripeto, è tutto quello che so….
Ed io glielo ribadisco, Signora, lei si trova in una stazione dei Carabinieri, ed è sotto interrogatorio, per cui è tenuta a rispondere alle domande che le vengono poste. Mi ridica tutto dall’inizio!
Ancora?
Ancora!
Allora come ho già spiegato, la commessa….
La signorina Michela?
Sì, Michela…. stava pulendo la vetrina, dato che in quel momento in negozio non c’erano clienti…
E’ un lavoro di sua competenza lavare le vetrine?
Beh!, brigadiere, la commessa è lei e io sono la padrona, che facciamo al contrario?
Le ho chiesto se è un lavoro che le compete: ESISTONO DEI MANSIONARI PER I DIPENDENTI! la sa?
Non lo so, brigadiere, ma è sempre usato che i commessi facciano anche le pulizie quando è necessario.
Va bene. Appureremo in seguito. Proceda.
Allora, dicevamo, Michela stava pulendo il grande vetro della vetrina quando all’improvviso, con un botto fortissimo,
è andato in frantumi, investendola in pieno.
Il vetro?
Si, il vetro…..
Lei dove era in quel momento?
Stavo ritornando nel negozio dal retro, avevo appena terminato una telefonata con mio marito.
E dove stava suo marito in quel momento?
Non lo so. Mi ha chiamata col cellulare. Non posso sapere dove stava! Ha preso la sua Mercedes ed è uscito.
Va bene, vada avanti! Cosa ha fatto dopo?
Credo di aver urlato. Ho creduto per un momento potesse trattarsi di una bomba, un attentato, una sparatoria…… sa di questi tempi!
Capisco!
Ho visto Michela portare le mani al volto e l’ho sentita urlare spaventatissima….
Immagino.
… è stata quella macchina che è appena passata! quella grossa auto blu……… mi hanno sparato da quell’auto, sono le prime cose che ha detto.
Che auto era?
E che ne so? Siamo sulla strada principale, passano auto in continuazione! Michela è solo stata in grado di dire di avere intravvisto una grossa auto blu! Brigadiere!!! dovrà fare delle indagini per individuare il responsabile del danno mio e il danno alla ragazza!
Non ha visto altro?
Non lo so, ma ero molto preoccupata e spaventata: aveva un grosso pezzo di vetro conficcato appena sotto l’occhio destro.
L’ha portata suo marito all’ospedale?
Le ho detto che mio marito era fuori con la macchina.
Vero.
Ora Michela, mi ha fatto sapere tramite il fidanzato che mi citerà in giudizio per il risarcimento dei danni.
Beh! certo…. qualcuno dovrà rimborsare quella povera ragazza. Rischia di rimanere cieca!
Brigadiere, ma noi che c’entriamo?
Era al vostro servizio in quel momento no?
Certo, ma la pietra venuta da fuori! E’ venuta da fuori, e ha frantumato il vetro.
Oltre a Michela chi c’era in vetrina?
Come chi c’era? era sola! E’ una panetteria questa, mica un sexi-shop!!
Si certo, ha ragione signora! Questo signore appena entrato chi è?
Buon giorno brigadiere, sono il marito della proprietaria della panetteria.
Piacere…….. Mi può dire dove era questa mattina???
Certo, sono stato dal commercialista.
A piedi?
No con l’auto, quella parcheggiata la di fronte, vede?
Quella Mercedes blu?
Si, quella!
…………………………
…………….
E allora? Che cosa può essere successo? Cosa succederà?
Come si conclude secondo voi?
Fantasia… immaginazione… inventiva… suspense
a voi il rebus
Hopper foto e autoritratti
Non potevo esimermi dal visitare la Mostra di Hopper a Bologna , perché considero questo pittore uno dei maggiori artisti americani .
Nasce in una cittadina vicino all’Hudson nel 1882 e comincia la sua attività artistica come illustratore , sente poi il fascino degli impressionisti e va a Parigi dove inizia la sua vera carriera di pittore.
Non si lascia coinvolgere dalle mode del tempo , il futurismo, l’astrattismo e il cubismo sono lontani dalla sua visione fotografica delle cose, predilige i tagli di luce in una sorta di realismo o iperrealismo statico.
Nei ruggenti anni venti del novecento , dipinge le solitudini , ghiaccia paesaggi e personaggi in una sorta di teca di vetro dove lo spettatore può cogliere in quell’attimo cristallizzato tutto il patos del momento , la difficoltà di esistere in una staticità introversa e fuori dal tempo.
Suggerisce tagli e scorci cinematografici ai registi maggiori della filmografia di quell’epoca come Hitchcock , Wenders, Shirley ed altri ,che copiano queste atmosfere di ambienti silenziosi dove l’incomunicabilità si fa arte .
Hopper personaggio schivo ed introverso sposa Josephin (Jo), caratterialmente diversa. Sarà la sua musa e il suo mentore e vivrà accanto a lui fino alla morte avvenuta nel 1967.
Il suo ultimo quadro si intitola “due attori ” , vero e proprio testamento artistico. Il quadro rappresenta un palcoscenico dove sotto una intensa luce di riflettori i protagonisti (Hopper e Jo) si inchinano davanti agli spettatoti, manca solo la scritta finale….. THE END.
INFORMAZIONI PRATICHE – La mostra è a Palazzo Fava – Palazzo delle Esposizioni
Via Manzoni, 2
40121 Bologna
Aperta dal Lun – dom 10.00 – 20.00 Fino al 24 luglio 2016
Senza Titolo
volevo chiedervi quanto e come, i così detti social o blog, compreso questo, influenzino il vostro pensiero individuale e il vostro linguaggio.
Leggendo un po’ di qua e un po’ di là riflettevo di come può cambiare la funzione del linguaggio e del comportamento delle persone.
Vorrei fare un esempio concreto.
Prendiamo il caso di un post con uno o più argomenti contrapposti.
Di solito questi argomenti sono seguiti da diversi commenti. A prescindere dal tema del post appare evidente che molte dichiarazioni nei commenti siano piuttosto rare nella “realtà”.
Vuoi che sia per una questione del monitor che fa da “corazza”, vuoi che sia per una questione di timore per esprimersi dal vivo, poco importa. Sta di fatto che nel blog o social può capitare spesso di leggere dichiarazioni piuttosto “condite”, cattive anche offensive, ma che in un ambiente reale non si riscontrano.
Ma poi siamo certi che questa identità reale ci sia ancora o la stiamo perdendo?
Vi sarà capitato di trovarvi su un mezzo pubblico o una sala d’attesa su dieci persone almeno otto hanno in mano un cellulare. Ovviamente ognuno concentrato sul piccolo video.
Secondo me potrebbe essere l’immagine che, perdendo di fatto la vita reale, con un’autentica chiusura a tutto quello che è fuori dal piccolo schermo, si scambi per vero ciò che di reale non lo sia più, diventando quindi più aggressivi, perché abbiamo uno “schermo” piccolo o grande che ci divide.
Bracco
Oggi 23 Aprile giornata mondiale del libro e del diritto d’autore.
Ma perché proprio il 23 aprile?
Il 23 aprile è stato scelto in quanto è il giorno in cui sono morti nel 1616 tre importanti scrittori: lo spagnolo Miguel de Cervantes (1547-1616), l’inglese William Shakespeare (1564-1616) e il peruviano Inca Garcilaso de la Vega (1539-1616). E in più il 23 aprile 1564 a Stratford-upon-Avon, era nato Shakespeare.
Quindi l’UNESCO trovò che questa data era la più appropriata.
In occasione di questa Giornata, ho scelto diversi aforismi, frasi e citazioni sui libri e sulla lettura
La prima citazione è del grande Umberto Eco ma penso la conosciate già
Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria! Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è una immortalità all’indietro (Umberto Eco)
I libri sono stati i miei uccelli e i miei nidi, i miei animali domestici, la mia stalla e la mia campagna; la libreria era il mondo chiuso in uno specchio; di uno specchio aveva la profondità infinita, la varietà, l’imprevedibilità. (Jean-Paul Sartre)
Un libro è un giardino che puoi custodire in tasca. (Proverbio arabo)
I libri, loro non ti abbandonano mai. Tu sicuramente li abbandoni di tanto in tanto, i libri, magari li tradisci anche, loro invece non ti voltano mai le spalle: nel più completo silenzio e con immensa umiltà, loro ti aspettano sullo scaffale. (Amos Oz)
Capisci di aver letto un buon libro quando giri l’ultima pagina e ti senti come se avessi perso un amico. (Paul Sweeney)
I libri sono riserve di grano da ammassare per l’inverno dello spirito. (Marguerite Yourcenar)
Si scrive soltanto una metà del libro, dell’altra metà si deve occupare il lettore. (Joseph Conrad)
Vorrei che tutti leggessero. Non per diventare letterati o poeti, ma perché nessuno sia più schiavo.
(Gianni Rodari)