Mi è venuto in mente di rileggere e di proporre la lettura di un ormai vecchio libretto (J.K. Galbraith, L’economia della truffa, Rizzoli, 2004).
In questo libro l’autore si pone l’obiettivo di chiarire la differenza fra “opinioni condivise” e realtà. Sostiene G. che la realtà, il più delle volte, è “deformata dalle preferenze e inclinazioni sociali, nonché dal tornaconto personale e di gruppo”. In questo caso l’opinione sostituisce la realtà: ed è ciò che si può chiamare la “truffa innocente”.
Sulla base di questo assunto egli sottopone al vaglio vari concetti ”truffa”: come l’economia di mercato (usata in luogo di capitalismo), il potere del consumatore (che, malgrado sia celebrato, è in realtà quasi inesistente), il prodotto interno lordo (come misura dello sviluppo di una società, in luogo dei prodotti dell’arte o della scienza), il lavoro (con il riconoscimento, ingiustamente condiviso, di retribuzioni alte per attività gratificanti e basse per attività sgradevoli e penose), il management onnipotente (anche nella grande impresa privata, che meglio sarebbe chiamare “burocrazia di impresa”, spesso inefficiente), il mito della differenza tra “pubblico” e “privato” quando anche nei settori eminentemente pubblici (quello della difesa, ad esempio) chi comanda è l’impresa privata, la finanza (in cui, pur non essendo possibili previsioni valide sull’andamento economico, sono mantenuti, con alte retribuzioni, manipoli di “truffatori” che predicono il futuro), ecc.
Il tutto con ragionamenti acuti e gradevoli, che si leggono d’un fiato. Ma i capitoli finali, e specialmente l’ultimo, producono angoscia perché dall’applicazione quasi incosciente, innocente, dei teoremi “truffa” possono trarsi conclusioni tragiche. Mentre “nei secoli, osserva G., la civiltà ha fatto grandi passi avanti nella scienza, nella difesa della salute, nelle arti e in gran parte, se non in tutto, ciò che è benessere in senso economico”, “le carneficine sono diventate l’ultimo prodotto della civiltà”. E conclude che ”…per l’umanità, la guerra segna la più grave delle sconfitte”.
Che dire in proposito? Non vorremmo che il libro, bellissimo nell’analisi, fosse interpretato in sintesi come un invito a schierarsi “contro”, contro tutto ciò che in definitiva c’è e funziona. C’è il pericolo, con interpretazioni maliziose ed “interessate”, che un ottimo Maestro divenga suo malgrado un cattivo maestro.
Non deve essere così. Il libro costituisce un suggestivo esempio di approfondimento inteso a scavare nel fondo dei sistemi capitalistici maturi. Consentendo riflessioni di alto rilievo. E miglioramenti, anche radicali, nei sistemi stessi.
Con questo spirito deve essere letto e meditato.
Lorenzo.rm 19 aprile 2009
Ho letto d’un fiato sulla rivista “Alternative” le suggestioni di Fausto Bertinotti sulla rinascita dei conflitti come strumento per ricreare l’opposizione di sinistra.
Suggestioni tanto più necessarie in un momento di grande “stanca” che attraversa tutti i sentieri della politica.
Di fronte a tanta sollecitazione viene voglia di prendere la vanga e mettersi immediatamente a scavare, approfondire, dire la propria senza coperture e timidezze.
Perché, se si deve dar vita ad un’opera così improba, difficile, bisogna essere chiari con gli altri e, soprattutto, con se stessi.
In proposito, metto sul tappeto qualche osservazione alla rinfusa, senza alcuna pretesa di organicità.
Prima di tutto. Rinascita della sinistra, appunto. E’ forse l’obiettivo che mi lascia più freddo. Personalmente non vedrei un grande impegno per far rinascere una “cosa” dai contorni così indeterminati, quasi irreali. Emoziona una rinascita del comunismo, del socialismo come fede, come idea totalizzante, come somma di credo politico e di azioni concrete per realizzarlo. Ma, “sinistra”, via. La prima risposta che ci sentiremmo dare è forse quella classica: “che cos’è la sinistra”, “che cos’è la destra”? Il commento rinato del Signor G. di qualche anno fa. La macchina è di sinistra o di destra? E l’autobus? E l’aereo?
Il socialismo, il comunismo erano fede e speranza in una società diversa, giusta, con la classe “generale”, il proletariato, al comando per far scomparire tutte le disuguaglianze. Le ingiustizie. E’ in quella direzione che dovremmo continuare a lavorare.
Ma in quella direzione ci fu ad un certo punto, e non certo per colpa della “classe” dei lavoratori, un’involuzione statalista che fronteggiò a sua volta l’altra involuzione, quella del capitalismo senza regole, determinando un terreno tempestoso, quasi fra Scilla e Cariddi, una lotta fra ciechi e sordi.
Sicché fu gioco-forza che vincesse a sinistra, almeno in certe condizioni date, la socialdemocrazia, che dette ai lavoratori quello che il capitalismo poteva dare senza correre il rischio di andare a gambe all’aria.
Non bastava? Certo, non bastava e bisognava andare avanti, raggiungere nuove conquiste, nuovi traguardi. Ecco l’esigenza della rifondazione.
Ma qui nasce il vero nodo da sciogliere, che continua, perdonatemi, a rimanere evanescente: il nuovo modello di sviluppo, di stato, da indicare come mèta, come traguardo.
Senza di questo non si va da nessuna parte. Il sindacato potrà uscire dalla stanza della concertazione lasciando da solo un capitalismo scalcagnato, senza, d’altra parte, essere in grado, da solo, malgrado tutti i conflitti di cui sarà capace, di produrre situazioni significativamente nuove, giuste, vantaggiose per tutti.
E questo non in un solo paese, soprattutto se esso appartiene al novero dei più ricchi, ma portando “giustizia e libertà”, come si diceva una volta, in tutto il mondo degli sfruttati, diseredati.
Sono problemi, mi rendo conto, che fanno tremare i polsi. Ma sono ineludibili.
Dunque, modelli diversi per il capitalismo ed il comunismo, che sarebbe meglio chiamare socialismo viste le connotazioni che storicamente ha assunto il comunismo e che sarebbero d’intralcio ad un’operazione simpatia da proporre alla gente.
Ma oggi quali diversità ci sono fra i modelli economico-sociali?
Giustamente si parla delle nefandezze del capitalismo, del neocapitalismo. Ma che cosa c’è di alternativo ad esso? Tutti dicono le stesse cose, vogliono le stesse cose, si comportano allo stesso modo e a volte viene il dubbio che il vero problema per molti consiste semplicemente nell’idea di mettersi al posto dell’avversario.
Ma non è così. Non basta. Oggi, ma non è sempre vero, dovrebbe essere scomparsa qualsiasi infatuazione statalistica, se non altro per mancanza di espliciti estimatori. Naturalmente non per i compiti fondamentali dello stato, come la scuola, la giustizia, le regole di vario tipo che assicurino giustizia, protezione ai poveri, ecc.
Ma ormai sembra pacifica l’adozione della forma aziendale, di impresa, per quasi tutte le attività economico-sociali. Ebbene, a sinistra qualcuno ha creato qualcosa di alternativo al modello d’impresa? L’unica alternativa fu, ma sono passati anni luce, la cooperazione. E dopo nulla. C’è stata un po’ troppa acquiescenza al “tutto sindacato”? Quando in periodi di vacche grasse era possibile colloquiare e confliggere più facilmente con l’imprenditore privato? E strappargli parte del suo profitto? Non è una critica, s’intende, ma in periodi meno grassi sarà necessario approfondire. Capire quali ruoli alternativi si intende svolgere, quali novità immettere nel sistema.
Anche il mondo “privato” non è tutto lo stesso, ci sono imprese che puntano al profitto ed imprese che, pur private, svolgono attività non di lucro e socialmente prevalenti.
Come vogliamo comportarci con queste e con quelle? E quale ruolo dovrebbero le une e le altre svolgere nel sistema che vogliamo?
Poi c’è Il neocapitalismo. Che informerebbe di sé l’intero stato quasi che tutte le colpe siano da ascrivere ad esso. Qualche anno fa qualcuno aveva fatto il panegirico dei manager rispetto ai capitalisti d’antan. L’innamoramento è finito salvo, forse, che nel partito democratico. Ma questo neocapitalismo, che si ritiene fortissimo, per me ha le pezze ai piedi. Cerca alleanze più che nemici, solidarietà più che contestazioni. Per non morire, forse. Ma se muore il capitalismo con che cosa lo sostituiamo?
Ci sono, certo, le morti, gli incidenti in fabbrica. Inaccettabili. Esecrabili. Ma lo vogliamo dire che i morti sono spesso dei poveracci che non hanno niente a che fare con i capitalisti?
E vogliamo dire che l’esercito d’immigrati che vengono da noi “non può” essere trattato benissimo perché, non giustificando ovviamente il razzismo d’ogni genere ma offrendo da fratelli tutto quello che possiamo dare, tuttavia non possiamo accoglierlo tutto?
Dobbiamo recuperare un ruolo internazionale, che è il vero problema dei paesi ricchi, dobbiamo darci traguardi importanti, saper fare sacrifici, non per noi ma per i popoli più bisognosi del mondo, per l’ambiente, ecc, ma il discorso porterebbe assai lontano.
E’ certo più comodo, ma non basta, protestare contro i tagli della Gelmini, ma certo non chiama a questo compito chi voglia proporre modelli di sinistra diversi dal capitalismo. Vorrei chiudere con due altre considerazioni.
La prima. La zona grigia delle menti attanaglia tutti, purtroppo anche i giovani, che parlano una lingua comune, giovani di destra, di centro, di sinistra: gioco, discoteca, piercing, droga, ecc. un tutto indiscriminato. Li puoi chiamare alle manifestazioni ma non applicano profondità di ragionamento, sacrificio per una causa, impegno reale e visibile. Certo, ci sono delle eccezioni, ma siamo in un campo minato.
La seconda. Dispiace che nelle spire del neocapitalismo siano caduti e cadano anche lavoratori, pensionati. Tutti con le stesse idee “capitaliste” in testa: il gioco, il guadagno, il maggior interesse da strappare, la maggiore convenienza da perseguire. Si tratta di clienti fedeli del capitalismo, o del neocapitalismo, e sono tanti sì da rendere ardua una decisa azione di recupero.
Perché, e Bertinotti lo sa bene e certamente condivide, se il breve termine può essere gestito anche dalle minoranze, il lungo termine è una chimera se non ci sono i grandi numeri capaci di dare la vittoria alle elezioni.
Lorenzo.rm 19 aprile 2009
Questa lettera aperta è stata inviata e dedicata a Calcio da un suo amico,mi ha chiesto di inserirla in riflettiamo e lo faccio ben volentieri in quanto si ricollega idealmente all’articolo dedicato a ROBERTO SAVIANO
Oggi avresti avuto ventisette anni.
Il nome da darti non era ancora stato scelto.
C’era tempo per pensare a quale fosse più bello per te. Ma non è stato così.
Saresti stato un altro figlio di questa terra : per questo motivo voglio chiamarti semplicemente Casalese.
Non so se sarà stata la volontà di Dio, il destino, il Caso o qualche altra cosa, a tenerti lontano dal mondo, a trasportarti in quello che ancora non conosciamo e che per noi dovrebbe venire (per chi è credente ovviamente).
Mi ritorni in mente mentre guardo questa città ferita, militarizzata, che si indigna e che subisce, che vive l’eterno dramma dell’essere o non essere una città normale.
Provo ad immaginare la tua vita, quella che non è stata, e di come sarebbe potuta essere in questa città.
Sai, mio caro Casalese, in questo periodo non saresti stato felice.
Avresti visto una città, già a pezzi per conto suo, terra di contraddizioni esasperate, in pasto a tutto quello che c’è di mediatico.
Specchio di malaffare e di camorra, di bontà umana e di ferocia, divorata dal di dentro e dal di fuori, bevuta come fosse un bicchier d’acqua da quelli che sono assetati di sangue e calpestata da chi la circonda, che spesso non sa di cosa parla.
Provo a immaginare la tua vita: le strade che avresti potuto prendere una volta nato qui, in questa landa desolata, terra di nessuno e di tutti, la vita che sarebbe cominciata anche per te.
Gli anni dell’infanzia sarebbero stati abbastanza felici, avresti avuto la tua bicicletta ed avresti potuto scorazzare libero, non curandoti di ciò che avveniva intorno a te: i morti, il cemento che cresceva sempre più, la paura della gente perbene, i pianti, le sirene, gli arresti, i rifiuti tossici scaricati nel sottosuolo, le speranze spesso disattese.
Non ti avrebbero scalfito queste cose.
Avresti pedalato e rincorso un pallone nel tuo cortile, libero ed inconsapevole di crescere in quella che sarà chiamata, tanti anni dopo, “Gomorra”, a torto o a ragione.
Con la scuola che ti avrebbe dato i primi strumenti per comprendere la vita, per capire il senso delle cose attorno a te e su cui avresti iniziato a porti semplici domande, che molto spesso avrebbero fatto tenerezza.
Le tabelline sarebbero sembrate così difficili ma così importanti. Avresti guardato le tue mani e avresti fantasticato sui numeri partendo dalle tue dita.
Poi saresti cresciuto, avresti iniziato a porti sempre più domande, mentre il mondo intorno a te girava.
Questo avrebbe generato in te, allo stesso tempo, paura e gioia, voglia di creare qualcosa di nuovo e di buono, misto alla paura di sbagliare.
Avresti iniziato a frequentare queste piazze, o per meglio dire questi “marciapiedi”, e ti saresti accorto che non avevi dove andare, perché non vedevi nessun luogo di ritrovo, nessun centro di aggregazione, nessun punto dove poter pensare, discutere e poter crescere insieme con gli altri.
Solo bar e cemento.
Auto, moto, caos, bar e cemento, neppure una bicicletta (perché ti avrebbero spiegato che quella “la portano gli sfigati, i neri ed i marocchini”).
Le impennate con la moto, rigorosamente senza casco, ti sarebbero sembrate assurde e pericolose eppure ne avresti viste tante.
“E se cade con la testa a terra?” ti saresti chiesto. “No, non cade” ti avrebbe detto qualcuno, “ci sap’ fa’” (ci sa fare).
Ed ecco quindi attorno a te il mondo che sarebbe iniziato a girare sul serio : le risate grasse ed i commenti nei bar, gli scherzi agli amici, e tanto altro avrebbero colorato le tue giornate.
Il tuo primo piaggio SI ti avrebbe fatto sentire padrone del mondo : nemmeno tu avresti portato il casco, ma solo perché, per il contesto culturale, a volte sbagliato, che ti circondava, non ne avresti capito il senso.
Avresti iniziato a sviluppare in te quel senso di contraddizione che vive questo paese : eccoti qui a contatto per la prima volta con la triste realtà di questa terra.
Avresti potuto scegliere l’una o l’altra strada, ma provo ad immaginarle entrambe.
Avresti potuto incontrare chi si atteggia, che non paga a nessuno e si fa rispettare. “ Perché non mi fai compagnia? devo andare a fare un servizio urgente” E tu avresti potuto chiederti che c’è di male. “Sabato sera andiamo ad una discoteca, vuoi venire?: non ti preoccupare per i soldi, noi non paghiamo a nessuno anzi sono gli altri che ci pagano per stare tranquilli”.
Di soldi ne avresti visti tanti ed avresti anche tu partecipato al divertimento effimero di qualche ora, magari senza chiederti come fosse stato possibile.
“Ti piace quel cappotto e quella maglia? Vai là non ti preoccupare : vai a nome mio e non ti preoccupare, noi non paghiamo a nisciuno”.
E ti saresti chiesto : in fondo che male c’è, sarà uno che conosce e che gli deve qualche cortesia.
Poi sarebbero arrivate le prime bravate e le prime prove di coraggio. I primi reati.
In fondo che male c’è, stiamo nel gruppo, noi non paghiamo a nisciuno, siamo forti, litighiamo e rompiamo la testa a tutti; a volte sarebbe bastato solo dire “song ‘i Casale” per dare un triste e velato avvertimento di come sarebbe potuta finire la cosa.
In fondo che male c’è andare fuori e farsi rispettare.
E non ti saresti accorto che il baratro si sarebbe aperto davanti ai tuoi piedi: questa sarebbe stata una parte della “bella vita”, ma non tutta la vita. Perché quel senso di onnipotenza ti avrebbe portato poi a percorrere strade sbagliate (molte volte battute da chi si era sentito come te) e che non portano da nessuna parte.
Avresti potuto maneggiare soldi facili, ma quale sarebbe stata la contropartita?
A prezzo di faide e guerre di camorra, di latitanze e di sangue versato senza motivo, di paure; non avresti mai potuto godere della felicità di veder crescere i tuoi figli secondo quello che è il naturale ciclo della vita.
Rincorso e braccato da chi ti avrebbe odiato perché appartenente ad un clan avverso (e con l’intento di eliminarti fisicamente) o rincorso e braccato dalle forze dell’ordine, che ti avrebbero voluto rinchiudere in una stanza di cemento freddo, come sono le stanze del 41 bis.
Ecco, questa sarebbe potuto essere una prima strada.
Provo ad immaginare invece anche un’altra strada per te.
Saresti potuto essere una persona onesta con tanta voglia di cambiare questo paese, cercando, giorno per giorno, di renderlo più civile e più bello di com’è.
Saresti potuto crescere lo stesso su questi “marciapiedi” ma cercando di aggregarti a quelli che non fanno male a nessuno.
Nelle parrocchie e nelle associazioni di volontariato.
Aiutare, insomma, questo paese ad alzarsi da terra, cercando anche di venire incontro a chi sta in difficoltà , tenendoti per mano con i tuoi amici ed i tuoi fratelli.
Quella voglia di cambiamento ti avrebbe guidato per tanti anni, sarebbe stato l’unico motore della tua vita sociale.
Avresti cercato di crescere culturalmente, magari interessandoti di libri, di politica, di mostre, di musica e tanto altro, per cercare di dare un’immagine diversa di questo posto.
Ma avresti visto anche come, molte volte, l’opinione pubblica tratta il tuo paese, la tua terra.
Mescolando al veleno portato e seppellito qui da mani ignobili, l’ipocrisia tutta italiana di dare aiuto a parole ma mai con i fatti.
In fondo chi se ne sarebbe fregato se nella tua Casale dieci, cento,mille giovani o mille famiglie potevano essere persone perbene, grandi lavoratori, e con il desiderio e la speranza di uscire dal pantano in cui si trovavano?
Saresti stato, al di là di questa provincia (e molto spesso anche in essa), sempre e comunque un figlio maledetto di questa terra, guardato a vista e trattato da appestato.
Nell’ottica di chi sente perbenista, avresti potuto essere (chi lo sa) un altro camorrista, figlio, parente o conoscente di camorrista, uno con la pistola facile, uno che alla comunione aveva avuto in regalo una pistola.
Senza poter spiegare che nemmeno sapevi come poteva essere fatta una pistola o che le responsabilità di alcuni non possono e non devono ricadere su tutti gli altri.
Ad un colloquio di lavoro, magari per qualche grossa azienda, ti avrebbero fatto intendere che nonostante tutti i requisiti giusti, (cerca di capire!) un figlio di questa terra non potrebbe fare quel lavoro, insomma avresti potuto essere incline al malaffare, perché sulla carta d’identità c’è quel marchio “residenza Casal di Principe”.
È come se, solo per il fatto di aver avuto la sfortuna di nascere qui, tu avessi un senso di rispetto e di legalità inferiore a chi abita invece a Rovigo e a Padova o a Milano.
E questo ti avrebbe fatto sentire ancora più solo e scoraggiato.
Allo stesso tempo saresti stato sia circondato dai tuoi carnefici che tenuto a debita distanza da chi ha visto e sentito alla TV che lì sono tutti camorristi, sono casalesi e basta, una razza maledetta insomma.
Senza poter spiegare a nessuno che spesso chi sceglie la strada della camorra ha sempre un nome e cognome e non può avere mai quello di un popolo.
Questa realtà non va solo fotografata da chi si sente reporter per un giorno in terra di camorra , perché con le foto e le immagini si danno solo dei volti, in quel momento ed in quel posto, ma non si riesce a cogliere appieno la realtà.
Questa terra va invece annusata ed osservata, per poter capire che di mele marce ce ne sono tante ma altrettante sono buone.
Ecco amico mio, Casalese mai nato, le contraddizioni di questa terra.
A te che non sei mai nato, la fortuna di non aver dovuto subire tutto questo.
Voglio solo immaginare e sperare che nell’aldilà, dove tu ti trovi adesso, quando un giorno ci ritorneremo anche noi , non chiedano da dove vieni ma solo cosa hai fatto nella tua vita.
E se da lassù vorrai dare ogni tanto un’occhiata su questa terra, troverai tanta gente, che non fa notizia, sempre dalla stessa parte: in quella laboriosa, solidale, onesta e civile.
Quella parte insomma che non si arrende alle angherie che quotidianamente subisce, ma s’impegna invece, anche con piccolissimi gesti quotidiani, a cambiare questa terra di nessuno.
EMILIO LANFRACO AMICO DI CALCIO
Il 6 e 7 giugno 2009 si terranno le elezioni del parlamento europeo.
Alla luce della delicata situazione economica del paese sarebbe stato ottimale accorpare i referendum e le elezioni del parlamento europeo; ciò avrebbe prodotto un risparmio di risorse da destinare con urgenza alla ricostruzione post-terremoto dell’Abruzzo.
La scelta del Premier di seguire la linea della lega Nord, comporta uno sperpero di denaro degli Italiani di circa 400 milioni d’euro, non poco ma si continua sulla linea del passato. Tanto paga Pantalone!
Il mancato “election day” è stato criticato dalla Confindustria, dall’opposizione e non ultimo dal presidente della camera Fini, sulla linea di una più attenta e omogenea razionalizzazione della spesa pubblica.
Comunque il cinismo dei politici è ben stato riassunto dal Premier con molta chiarezza: “non posso permettere una crisi politica istituzionale e gl’italiani brava gente comprenderanno”, in sintesi gli Abruzzesi aspettino tempi migliori, le varie visite dei politici ai terremotati, con parole, promesse di mare e monti sono stati un trampolino preelettorale. Per chi non l’avesse compreso siamo al paradosso: prevale la Polotrona su tutto, cosa è cambiato?
In 60 anni di Repubblica nulla……..
Un consiglio: VOTA ANTONIO – VOTA ANTONIO !!!!!!
http://www.youtube.com/watch?v=ery3NjSjOOAfelpan 17 aprile 2009
Ricevo dal Rotary Club di Palermo l’invito a partecipare al Forum interdistrettuale, abbinato al premio Pasquale Pastore, dal titolo “Testamento biologico e/o eutanasia”. Il Forum, interessantissimo, avrà luogo il 2 e 3 maggio in Mondello Palermo) e, purtroppo, dovrò privarmi del piacere di essere presente a causa di precedenti impegni di lavoro. Ma qualche riflessione, adesso, mi piace farla.
Devo dire, innanzitutto, che mi capita sempre più spesso, da qualche tempo, di soffermarmi a riflettere su qualcosa della vita e mi accorgo di farlo, adesso, con un’ intensità maggiore rispetto a quella profusa in età più giovane o, anche, rispetto a qualche anno fa. Deduco, quindi, che la mia età attuale – ovviamente parlo solo per me stesso – mi consente (o mi obbliga?!) a vedere gli aspetti e le cose della vita in maniera diversa rispetto a qualche anno addietro; cioè, oggi forse mi soffermo a riflettere con più sensibilità, più intensità, più profondità? Forse, con più saggezza?
Qualche, settimana fa, leggevo, su un settimanale, un intervento di Giuliano Ferrara in difesa della vita e, più recentemente, dell’attività che il Parlamento italiano s’accinge ad affrontare, dopo i poco edificanti scontri istituzionali, per mettere d’accordo gli italiani sul problema del cosiddetto “testamento biologico”. Quindi, al momento in cui ho letto l’invito del Rotary, per me l’abbinamento è stato istintivo ed istantaneo, ricordando quali e quante battaglie Ferrara stia conducendo su tale argomento, battaglie che trovano la mia piena approvazione e solidarietà. Però, devo confessarlo, sono andato in crisi. Sono crollato di fronte ad un problema che effettivamente stimo essere enorme: lasciare a terzi la decisione della vita morente (vita vegetativa)di un cittadino.
Riflettendo, con quella capacità che oggi mi riconosco,sul mio stato di crisi, ho potuto dedurre che certamente un complesso di colpa, che mi porto dentro e mi rode, sia pure allo stato latente, da diversi anni, potrebbe esserne la causa. Sicuramente, la considerazione e lo sprezzo della vita che si hanno in età giovanissima, cioè in una stagione in cui tutto ci sembra permesso e nulla vietato, che mi portavano a considerare questo argomento in maniera diversa ed opposta rispetto ad oggi, hanno lasciato nel mio subconscio uno strascico che aleggia ed affiora di tanto in tanto….
Tornando alle mie elucubrazioni mentali intorno all’ argomento principe, sono venuto alla conclusione, innanzitutto, che la “vita morente” e la “vita nascente” sono da mettere sullo stesso piano, giuridico, morale e teologico. Non si può accettare una legge in cui ciascuno di noi è chiamato a stabilire come desideri morire, e quando lo desideri, nel caso venga a mancare coscienza o capacità cognitiva o impossibilità a trasmettere un pensiero compiuto. Mi riferisco al testamento biologico o “dichiarazione anticipata di fine vita”. Chiunque può capire che è una finzione, una forzatura per la quadratura del cerchio!…
Come si fa, una volta abbattuto il tabù o il mistero della vita umana, una volta consegnata la decisione sulla vita alla volontà soggettiva, all’arbitrio di ciascuno protetto dalla norma valida per tutti, come si fa poi a porre condizioni ed a stabilire limiti? Il dubbio e la paura mi assalgono: Il nulla, come ideologia, non sopporta limiti. Il nulla non ha confini.
L’uomo è un animale libero. Può rifiutare le cure. Può fare quel che vuole, come ha sempre fatto, determinando le condizioni della propria vita ed anche quelle della propria morte. Ma stabilire questo potere come un diritto, farne una norma universale, vuol dire fare cultura nichilista, vuol dire non già trasgredire il tabù della vita, il suo mistero, ma abbatterlo per scelta ideologica. Lo abbiamo già fatto con l’aborto. Che è un atto di distruzione della creatura umana del quale abbiamo stabilito non solo la legalità (questione discutibile almeno da un punto di vista di “civiltà”, di etica e di morale cristiana), ma anche la legittimità moralmente indifferente. Ora, dopo la vita nascente, lo faremo per la vita morente. E dopo il testamento, passato quel principio, seguirà la sequenza dell’eutanasia e del suicidio assistito.
Penso che, ormai, non sappiamo più come morire. Forse perché non sappiamo più molto bene come vivere. Quindi, ci assale un’assurda paura di morire, che si accompagna, anzi, è la conseguenza della paura di perdere la propria libera disponibilità di se stessi. Ed oscilliamo tra due retoriche vitaliste di opposta valenza e la confondiamo l’una con l’altra. “Ha combattuto fino alla fine” è il complimento alla volontà di vita determinata e consapevole. “E’ morto senza soffrire, istantaneamente, come desiderava” è il complimento rivolto alla persona che vuole scomparire senza nemmeno saperlo.
Un tempo, quando il mondo era diverso, meno “colto”, meno libero, meno complicato, la persona che giungeva al declino provava, si, l’antica ed eterna paura di morire, ma sapeva affidarsi, si consegnava, in modo esemplare e senza cerimoniale, alla cura altrui, la cura della medicina e quella dell’amore familiare o degli amici. A decidere dell’ultimo istante era la discrezione e, perché no, anche l’amore. Nel bene e nel male. Morire non era l’effetto di una norma, era l’avvenimento finale, naturale della vita; del misterioso corso della vita faceva parte come una necessità, un fatto ineluttabile ed ineludibile e, per la gente di fede, come una speranza. Non si può morire “per legge”.
E mi piace chiudere questa riflessione con alcuni versi di un poeta a me molto caro:
…………….Sul punto di varcare
In un attimo il tempo,
quando pur la memoria
di noi s’involerà,
lasciaci, o Morte, dire al mondo addio,
concedici ancora un indugio.
L’immane passo non sia precipitoso.
Al pensier della morte repentina
Il sangue mi si gela.
Morte non mi ghermire
Ma da lontano annunciati
E da amica mi prendi
Come l’estrema delle mie abitudini.
( Da “Alla morte” di Vincenzo Cardarelli)
Brindisi, 16 aprile 2009
fgiordano 17 aprile 2009
Una ragazza stava aspettando il suo volo in una sala d’attesa di un grande aeroporto. Siccome avrebbe dovuto aspettare per molto tempo, decise di comprarsi un libro. Comprò anche un sacchetto di biscotti. Si sedette nella sala VIP per stare più tranquilla. Accanto a lei c’era la sedia con i biscotti e dall’altro lato un signore che stava leggendo il giornale. Quando lei cominciò a prendere il primo biscotto anche l’uomo ne prese uno. La ragazza si sentì indignata ma non disse nulla e continuò a leggere il suo libro. Tra sé pensò: “Ma tu guarda se solo avessi un po’ più di coraggio gli avrei già dato un pugno…”
Così ogni volta che lei prendeva un biscotto, l’uomo accanto a lei, senza fare un minimo cenno, ne prendeva uno anche lui. Continuarono fino a che non rimase che un solo biscotto e la donna pensò “ah, adesso voglio proprio vedere cosa mi dice quando saranno finiti tutti!!”
L’uomo prese l’ultimo biscotto e lo divise a metà!
“Ah! questo è troppo” pensò lei e cominciò a sbuffare indignata, si prese le sue cose, il libro, la borsa e si incamminò verso l’uscita della sala d’attesa. Quando si sentì un po’ meglio e la rabbia era smaltita, si sedette su una sedia lungo il corridoio per non attirare troppo l’attenzione ed evitare altri dispiaceri.
Chiuse il libro e aprì la borsa per infilarlo dentro e, nell’aprire la borsa, vide che il pacchetto di biscotti era ancora tutto intero nel suo interno.
Sentì tanta vergogna e capì solo allora che il pacchetto di biscotti uguale al suo era di quell’uomo seduto accanto a lei. Lui però aveva diviso i suoi biscotti con lei senza sentirsi indignato, nervoso o superiore, al contrario di lei che aveva sbuffato e addirittura si sentiva ferita nell’orgoglio…
Piccola riflessione:
Quante volte nella nostra vita avremo mangiato o mangeremo i biscotti di un altro senza saperlo?
Prima di arrivare ad una conclusione affrettata e prima di pensare male delle persone, guarda attentamente le cose, molto spesso non sono come sembrano!!!!
Esistono 4 cose nella vita che non si recuperano più:
1. Una pietra dopo averla lanciata.
2. Una parola dopo averla detta.
3. Un’opportunità dopo averla persa.
4. Il tempo dopo esser passato.
Ora tu puoi fare due cose:
Alzare le spalle e leggere l’articolo seguente.
Riflettere e lasciare un commento su quello che ne pensi.
Spero che tu scelga la seconda opzione!
paolacon 16 aprile 2009
Dedico questo articolo alla cittadina che ha dato i natali alla mia mamma e che lei adora,Mamma guarisci presto cosi potrai tornarci a trascorre l’estate! Ovviamente anche a tutti gli amici siculi di Eldy.(Lina,erpistacchio,Semplice,dolce,maria etc)
Pozzallo negli ultimi anni è stata menzionato spesso dai media per lo sbarco dei clandestini,ma non è solo approdo di speranza e anche una cittadina turistica molto ambita nel periodo estivo ,si trova in provincia di Ragusa ed è l’unico comune della provincia stessa ad essere lambito dal mare.
Il territorio pozzallese risulta essere poco esteso, compreso tra i comuni di Modica ed Ispica. Oggi Pozzallo conta circa 19.000 abitanti.
Nel XIV secolo Pozzallo sale alla ribalta della storia grazie ai Chiaramente che vi costruiscono un “Caricatore”; Pozzallo diventa lo sbocco al mare dell’intera Contea di Modica.
Esistono però testimonianze sulla storia di Pozzallo precedenti al XIV secolo; il territorio pozzallese risulta abitato già nel periodo romano-bizantino; sono infatti state ritrovate diverse monete romane risalenti ad un periodo storico che va dal 72 d.c. al 250 d.c.
Il nome Pozzallo significa “Pozzo al mare”; infatti nel periodo romano-bizantino le navi di passaggio attingevano dai pozzi di acqua dolce presenti nel territorio. Inizialmente questo territorio veniva chiamato “Pausisalos”, cioè “Approdo al mare”; denominazione che si trasformerà in “Puteusalos”, “Pozzo al mare” con la dominazione dei Saraceni.
Il nome cambierà ancora quando sotto la dominazione araba Pozzallo diventerà un importante scalo per quelle navi, chiamate “dromoni”, attrezzate per lanciare ordigni di fuoco verso le navi nemiche. Proprio per la presenza di queste navi la città prese il nome di “Marsa as Deramini”, cioè “Porto dei dromoni”.
Terminata la dominazione dei musulmani, tra il XV e XVI secolo, il nome cambia varie volte fino ad arrivare al nome definitivo “Pozzallo” che compare per la prima volta nel 1664 nella carta geografica di Roussin e poi nella carta del Regno di Sicilia del 1721.
La svolta nella storia di Pozzallo si ha con la costruzione del Caricatore da parte dei Chiaramente. La realizzazione del caricatore fu fondamentale per la Contea di Modica perché consentiva l’esportazione dei prodotti agricoli.
Il territorio di Pozzallo rimane un borgo di Modica fino al 1829 quando con un decreto, Francesco I di Borbone, re delle Due Sicilie, ne decreta la separazione, creando così il comune di Pozzallo.
Il caricatore e la Torre Cabrera perdono d’importanza a partire dal 1816 quando l’abolizione del feudalesimo in Sicilia determina la fine dell’obbligo di consegna del grano al conte.
La Torre Cabrera con il passare del tempo viene quasi abbandonata, salvo un breve periodo di tempo, durante la II guerra mondiale, in cui la torre viene utilizzata come postazione antiaerea.
Oggi invece la Torre Cabrera rappresenta il simbolo e lo stemma della città.
Intorno alla torre si sviluppa il I° quartiere di Pozzallo, denominato “Scaro”. Le vie del quartiere “Scaro” sono vie strette, tipiche dei centri mediterranei. Pozzallo inoltre è conosciuto per aver dato i natali a GIORGIO LA PIRA, amato sindaco di Firenze e grande uomo di pace conosciuto in tutto il mondo.
Nel cuore della notte,tra la domenica e il lunedì,alle ore 3.42, un brivido, dalle visceri della terra, sale a pelle, un brivido più forte di altri che lo hanno preceduto e che lo seguiranno, un fremito lungo 20 secondi;di solito 20 secondi sono un nulla, un tempo quasi impercettibile nella nostra corsa quotidiana e invece quella notte sono diventati un tempo interminabile.
Venti microscopici secondi che hanno fatto crollare secoli di storia, interrotto sogni, deviato progetti e cosa ancor più triste spezzate ad oggi 289 vite.
Il paesaggio cambia come una rapida sequenza cinematografica, ridenti paesini come presepi con il campanile come bandiera, superbe piazze con splendidi monumenti e chiese , vicoli antichi , strutture pubbliche (ospedale e casa dello studente)non ci sono più.
Davanti gli occhi uno scenario da post -bombardamento e … tutt’intorno polvere, pietre, lacrime, il silenzio della paura, il silenzio della morte.
Ancora una volta l’Aquila e i suoi comuni si ritrovano nella tragedia ..nella catastrofe.
La terra trema si sa, i terremoti sono fenomeni naturali , incontrollabili, imprevedibili ma perchè altrove (es. Giappone), un terremoto di eguale entità non avrebbe prodotto simili danni a cose e sacrifici umani cosi alti?
Perchè purtroppo in questo caso, forse più che in altri, vale la regola che prevenire è meglio che curare.
Se al momento di costruire, di progettare, si tenesse presente che l’Italia è un territorio a forte rischio sismico, se la sicurezza avesse la meglio sul profitto,se ci fosse una costante revisione dei centri storici, se si stimassero le stuazioni pericolose, se il governo emanasse regole inderogabili e le facesse rispettare, se, e non ultimo per importanza, il buon senso prevalesse sempre, sicuramente i danni ad ogni calamità sarebbero contenuti.
Certo non si annullerebbero tutti gli effetti di un terremoto, rimarrebbero la grande paura, lo stress che accompagna tutti i fenomeni naturali non controllabili dall’uomo, ma non ci sarebbero quantomeno morti da piangere!.
Ci sono poi morti ancora più difficili da accettare (premesso che la morte non è mai accettabile): sono gli studenti .
Come può non reggere una struttura costruita solo pochi decenni fa e deputata ad ospitare studenti fuori sede a non reggere ?….si è seduta su se stessa intrappolando vite , speranze, riscatti, realizzazioni ,sogni .
Che criteri di costruzione erano stati adottati?
Nssuno potrà mai consolare il dolore e la disperazione dei loro cari.
E così pure l’ospedale, un edificio di lunghissima gestazione edilizia, non ha retto.
Adesso cè la corsa alla solidarirtà, agli aiuti, la presenza dello stato, l’informazione …ma quanto durerà?….che succederà quando si spegneranno i riflettori ?
Serve l’impegno, la serietà.
Gli Abruzzesi sono gente forte con straordinaria volontà e speranza e con un legame fortissimo alla terra, si risolleveranno come hanno già fatto in passato, ma speriamo che l’esperienze negative possano indirizzarli ad un cambiamento e ad un maggior controllo delle opere di ricostruzione e agli aiuti (sperando che si mantengano sempre come un fiume che arriva a mare intero e non si disperda in rivoli senza via d’uscita).
Certo, l’impegno è grande, si ricostruirà, magari in sicurezza, stavolta, ma il rischio che si formino agglomerati dormitori esiste.
L’uomo ha bisogno di ritrovarsi nel tempo , nella casa dell’anima,dell’essenza, ed ecco che si deve coniugare :costruire a norma e mantenere l’essenza, l’unione della comunità.
Non semplici case sicure ma riprendere i luoghi dell’anima, della memoria perchè anche i monumenti non sono solo pietre ma rappresentano la densità della nostra storia, della nostra cultura , delle nostre emozioni.
Buona Vita Abruzzo!.
Semplice 10 aprile
Sono estremamente commossa per questo terremoto che ha sconvolto parte della popolazione abruzzese,mi associo al dolore delle famiglie che hanno perso i propri cari,a chi ha perso tutto!! E’ inutile elencare ci sono già i tg e gli speciali dei tg che danno ampio spazio alle immagini e ai commenti,dico solo che è vergognoso come i politici del governo e dell’opposizione affrontino queste situazioni facendo le star in tv..scaricandosi le responsabilità l’uno con l’altro Sono sconcertata nell’apprendere come edifici ,quali scuola ,prefettura e ospedale, siano sgretolati a pochi anni dalla loro costruzione . Ben consapevoli di costruire in una zona ad alto rischio sismico..purtroppo ad ogni terremoto ci sono sempre le stesse polemiche … ma resta il dolore per le vittime che immancabilmente accompagnano questi eventi .
Proviamo a ricordare (sarà successo a tutti almeno una volta nella vita ) quella mattina che appena alzati abbiamo scoperto che dai nostri rubinetti non usciva nulla, nemmeno una goccia. Panico!!
La doccia, la lavatrice, i piatti, le verdure, il giardino, l’orto….tutto a secco!!
La disperazione, il disagio ci hanno attanagliato, ma sapevamo che era solo un’emergenza momentanea, da lì a prestissimo, fresca, cristallina, abbondante sarebbe ritornata a scorrere.
Il nostro pianeta è coperto d’acqua per il 75% ma, escludendo il 97% di acqua salata e il 2% congelata nei ghiacciai,rimane solo un misero 1% a disposizione .
L’acqua è una risorsa che non soddisfa solamente i bisogni fondamentali degli uomini ma è la chiave dello sviluppo, producendo e sostenendo il benessere attraverso l’agricoltura, la pesca, la produzione di energia, l’industria, i trasporti e il turismo, ma è anche vitale per tutti gli ecosistemi globali.
Ciononostante ci troviamo di fronte ad una crisi mondiale delle risorse idriche.
L’esplosione demografica (nell’ultimo secolo è triplicata) e il conseguente aumento dei consumi fanno propendere scienziati, personalità politiche ed esperti di strategie a confermare la tesi che le guerre del XXI secolo scoppieranno a causa delle dispute per l’accesso all’acqua.
Mark Twain sosteneva: il whisky è per bere, l’acqua per combattersi.
Tra il 2020 e il 2025 è stato stimato che tre miliardi di persone resteranno senza acqua e gli Stati economicamente più sviluppati invece di portare solidarietà ed aiuti, condividendo ciò che hanno ottenuto non per bravura ma per fortuna, stanno già sfruttando la situazione per trasformare questa risorsa in bene commerciabile:”l’oro blu”la chiamano.
Occorre prendere coscienza per scongiurare quegli scenari apocalittici che prevedono tra meno di un ventennio d paragonare l’acqua al petrolio:un bene prezioso in via di esaurimento .
Considerando quanto essa sia indispensabile appare evidente la follia a cui stiamo giungendo: se potessero commercializzare l’ossigeno lo farebbero.Non è una battuta spiritosa ….non commercializzano l’ossigeno perchè ancora non hanno trovato il modo di appropriarsene.
L’acqua elemento naturale , condizione indispensabile per ogni specie vivente non è illimitata inesauribile e soprattuto non è per tutti!.
Non è per tutti?…Un bene inalienabile , naturale, vitale non è per tutti?
Purtroppo no! Solo in nove Paesi è localizzato il 60% delle risorse naturali di acqua, invece per 80 Paesi si può parlare di stato di penuria.
Oggi sono circa 1.400.000.000 le persone che nel mondo non hanno accesso all’acqua potabile, inoltre più di due miliardi di persone non hanno alcun sistema sanitario domestico e una persona su tre al mondo non beneficia di sistemi d’epurazione delle acque usate; sono otto milioni i decessi annui attribuiti alla carenza di acqua, 3.900 bambini muoiono ogni giorno a causa della sua mancanza.
Il 22 marzo in Turchia si è concluso il forum mondiale sull’acqua, una settimana di lavori che ha visto coinvolti 155 paesi e oltre 25.000 addetti ai lavori .Il punto di contesa sta nella definizione “di acqua come bene, portata avanti dalle multinazionali, o invece acqua come diritto”.
Ebbene la conclusione finale, la risposta alla crisi è stata :”l’accesso all’acqua potabile e alla bonifica è una necessità umana fondamentale, ma non un diritto “. VERGOGNA!!
Negando la sacralità del diritto all’acqua si nega ogni forma di diritto alla vita .
Semplice 4 Aprile 2009
Guerre dimenticate! Un mondo di sofferenze nell’indifferenza piu’ assoluta dei telegiornali dei mass media, della stampa . Nel 2009 nessun reportage nessun articolo; un silenzio assordante,il silenzio degli Innocenti dei deboli.
Ma tutti sappiamo che le guerre hanno da sempre arricchito coloro che le finanziano, altrimenti, non si trova spiegazione logica al fatto che paesi dell’Africa con problemi immensi che vanno dall’acqua, all’ agricoltura, alla sanità con un tasso di mortalità elevato nell’infanzia,L’HIV, pensino a farsi la guerra! Chi tira i fili ed implementa l’odio e costringe ad una non -vita esseri umani ? Di fronte la sofferenza dei prufughi vessati e trattati da animali e ai milioni di uomini che muoino di fame, il mondo occidentale si lava la coscienza mandando i cosidetti Aiuti Umanitari alimentari e ricorrendo alle organizzazioni non governative come emergency- medici senza frontiere- caritas- mezza luna.
Altra cosa sono i conflitti, sempre dimenticati, generati da sopraffazione etnica e per un nuovo assetto geopolitico del mondo dopo la caduta dell’impero sovietico.
Se i soldi spesi per le guerre fossero utilizati per scopi diversi, e ci fosse una più equa ripartizione
di ciò che la madre natura ha messo a disposizione d’ogni essere umano, senza distinzione di razza, di colore, di confessione religiosa, di credo politico quanto vivrebbe meglio il mondo !!
Sarà utopia sperare e desiderare che ciò avvenga ma ci vuole il cuore e la mano di tutti gli Uomini con una grande sensibilità e volontà di cambiare il mondo.
* Cecenia (Russia): dal ’94 al ’96, 100 mila morti, dal ’99, 150 mila morti
* Abkhazia (Georgia): centinaia di morti e centinaia di migliaia di profughi
* Nepal: 1.800 morti e centinaia di “desaparecidos”
* Nigeria: migliaia di morti
* Congo: 2 milioni di morti e 3 milioni di rifugiati
* Uganda: 10 mila morti e 400 mila rifugiati
* Sudan: 1 milione di morti e 4 milioni e mezzo di profughi
* Angola: 800 mila morti e 4 milioni di profughi
* Algeria: 100 mila morti
* Somalia: 500 mila morti
* Eritrea – Etiopia: 40 mila morti e 500 mila profughi
* Sierra Leone: 100 mila morti e 2 milioni e mezzo di profughi
* Senegal: (Casamance): alcune migliaia di morti
* Sri Lanka: 80 mila morti e 1 milione di profughi
* Indonesia
* Aceh: 10 mila morti e 100 mia profughi
* Molucche: 5 mila morti e 500 mila profughi
* Papuasia Occidentale: alcune centinaia di morti
* Cina
* Tibet: 1 milione e 200 mila morti
* Mongolia interna: 50 mila morti
* Sinkiang – Uighur: centinaia di vittime
* Per tutti gli altri paesi dati sulle vittime non disponibili
*Questi dati sono stati rilevati dalla rete
roma li 03-aprile 2009 felpan
Beh voi che frequentate i forum penso sappiate cosa siano..
frequentare internet, questo mondo virtuale..attraverso chat, forum e altre cose..porta a conoscere nuove persone..si creano amicizie virtuali..penso non meno importanti di quelle reali..col tempo arrivi sicuramente a trovarti degli amici veri..a volte perchè no, pure l’amore..
comunque sia rimane sempre un mondo virtuale..non bisogna dimenticarsene..a meno chè certi rapporti non si portino avanti anche nel reale, dal vivo..che è un’altra cosa..
mi domando io..farsi amici virtuali è facile..ma quello che mi lascia sconcertata, perplessa..come sia altrettanto facile cancellare dalla propria vita una persona virtuale..un click e tutto svanisce..
lo trovo così squallido..soprattutto dopo tanti discorsi..che implicavano amicizia vera..ecc ecc..bah
voi che ne pensate?!..fa parte del gioco e bisogna accettarlo?..
insomma dall’altra parte ci stanno persone in carne e ossa..bisogna comunque stare attenti a come ci si comporta…
Io sono convinta profondamente che l’immigrazione sia un arricchimento per la nostra nazione, ma anche un trauma per la società: la convivenza ha bisogno di molta pazienza, di saggezza, di tempo e soprattutto di adattamento.
Per noi italiani gli stranieri in casa, non sono ancora una consuetudine radicata. Sono con noi da troppo poco tempo. Altre nazioni, come la Francia e il Regno Unito per esempio, che hanno avuto le colonie, ci sono più abituate (ma questa è un’altra storia).
Per un andamento migliore serve collaborazione. Il discorso sul multiculturalismo è una balla troppo intellettuale: serve che gli sforzi che vengono fatti, affinché gli immigranti si integrino, siano rispettosi di tutt’e due le parti: sia dei vecchi residenti che dei nuovi arrivati, che lo vogliano o no. Se osserviamo Zurigo, Copenhagen, Berlino e Amburgo ci renderemo conto che svizzeri e danesi sono drastici, in materia. In Germania c’è un controllo capillare, ma un’accoglienza costruttiva egenerosa.
Certamente ogni nazione ha caratteristiche, storia e posizione geografica molto diverse. Ma una strada da seguire deve venir scelta , quella che si vuole, ma poi va seguita, con costanza e serietà. Beppe Severgnini dice che in Italia “è la sciatteria che ci ha fregato, e sta fregando molti nuovi arrivati, che lavorano onestamente e si ritrovano circondati dal sospetto”; io dico che è la mancanza della certezza del diritto e di una cultura del rispetto dell’altro.
Questa mancanza crea delle insicurezze nei comportamenti da parte degli immigrati e dei residenti.
Secondo me non si deve essere, come dice il ministro Maroni: “cattivi con i clandestini”. Si deve essere severi , conseguenti, applicare le leggi in maniera equa.
La convivenza, da per tutto, è basata su regole precise di diritto-dovere e il rispettarle da parte di tutti, rende la vita migliore e ci dà moltissimi vantaggi. Ben venga il momento in cui ce ne renderemo conto!
Osserviamo questa tabella!
UNIONE EUROPEA. Cittadini stranieri comunitari e non (dati aggiornati al 31.12.2005)
Paese———–Stranieri————-% su popolazione
Belgio————900.500——————8,6
Danimarca——-270.100——————5,0
Francia———-3.263.200—————-5,6
Germania——–7.287.900—————-8,8
Italia————-2.286.000—————-3,9
Paesi Bassi——-691.400—————–4,2
Regno Un.——–3.066.100—————5,2
Spagna———–4.002.500—————9,1
Svezia————479.900—————–5,3
Da questa tabella si nota che il paese con la più alta presenza di immigrati per abitante è la Spagna (9,1%), seguita dalla Germania, (8,8), dalla Francia (5,6), dal Belgio (8,6) e dal Regno Unito (5,2); l’Italia è il paese con la percentuale più bassa (3,9).
Per numero assoluto di presenze straniere la Germania ha il numero più alto seguito dalla Spagna. L’Italia è al quinto posto.
FONTE: Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes. Elaborazioni su dati Eurostat, OECD, Council of Europe, Istat
APPROFONDIMENTO: www.paceediritti.it/wcm/pace_diritti/sezioni_primopiano/primo_piano/immigrati_paure.htm –
Paolacon 27 marzo 2009
Quante volte diciamo: butto tutto! E…invece amorevolmente conserviamo.Siamo sommersi dalle cose, oggetti a cui ci attacchiamo, ci affezioniamo e li nutriamo della nostra attenzione. Oggetti nella stragrande maggioranza inutili ma che noi conserviamo con la giustificazione che prima o poi ci torneranno utili.Qualcuno accumula denaro solo per non spenderlo, perchè pensa che nel futuro potrà mancare.
Attaccarsi alle cose è uno dei meccanismi psichici più arcaici, fin da quando, nella prima infanzia, ci affezioniamo ad un pupazzo e non ce ne separiamo mai.In psicologia si chiama “oggetto transazionale”, investito di grandi significati (l’amore per i genitori, una compagnia protettiva), che rappresenta un gradino verso una fase più matura in cui ci si potrà sentire amati dalle persone care anche quando non si trovano nel campo visivo.
Crescendo, l’attaccamento cambia i suoi “oggetti” a seconda dei periodi, per poi gradualmente ridursi quanto più la nostra identità si definisce e si rinforza. Solo una piccola quota di forte “affezione” ad alcuni oggetti significativi rimane: una foto, un dono, un oggetto appartenuto a qualcuno. Ed è fisiologico che sia così.
Ma spesso non solo questa riduzione non avviene anzi aumenta: tutto acquista, proprio nel momento in cui dovremmo disfarcene perché non serve più, un grande senso affettivo, accompagnato da commozione e malinconia per “le cose che furono”.Per alcuni buttare via il vecchio equivale inconsciamente a tradire la propria storia, gli affetti, una parte di sé, assumendo connotazioni di insicurezza e scarsa stima di sé.
Non sono gli oggetti conservati quelli che stagnano la nostra vita, bensì il il significato dell’artteggiamento di conservare.Quando si conserva, si considera la possibilità di mancanza, di carenza, si crede che domani potrà mancare, e che non avremo maniera di coprire quelle necessità.Con quest’idea inviamo al cervello e alla nostra vita due messaggi :
1)che non ci fidiamo del domani ;
2)che pensiamo che il nuovo e il migliore non sono per noi.
Così fanno pure i nostri pensieri nella nostra mente …idee vecchie, obsolete ci incatenano, i ricordi occupano spazio soffocando l’ingresso a nuovi pensieri.Dentro di noi conserviamo rimproveri, risentimenti, rdtristezze, paure.
Finchè ci carichiamo materialmente ed emozionalmente di sentimenti vecchi e inutili non avremo spazio per nuove opportunità.E’ necessario lasciare uno spazio, un vuoto, affinchè cose nuove arrivino alla nostra vita .La forza di questo vuoto è quella che assorbirà ed attrarrà tutto quello che desideriamo.
Riuscire a trovare un po’ di coraggio, liberarsi delle cose che hanno fatto il loro tempo significa fare ordine e spazio nel cervello per far sì che nuove esperienze entrino nella nostra vita e dentro noi stessi. Per fare questo occorre guardare con occhi nuovi, fare come i bambini: stupirsi, sorprendersi, incuriosirsi, trovare la magia.
Semplice 23/03/2009
La Festa del Papà ricorre il 19 Marzo in concomitanza con la Festa di San Giuseppe, che nella tradizione popolare oltre a proteggere i poveri, gli orfani e le ragazze nubili, in virtù della sua professione, è anche il protettore dei falegnami, che da sempre sono i principali promotori della sua festa.
Pare che l’usanza ci pervenga dagli Stati Uniti e fu celebrata la prima volta intorno ai primi anni del 1900, quando una giovane donna decise di dedicare un giorno speciale a suo padre.
Agli inizi la festa del papà ricorreva nel mese di giugno, in corrispondenza del compleanno del Signor Smart alla quale fu dedicata, poi solamente quando giunse anche in Italia si decise che sarebbe stato più adatta festeggiarla il giorno della Festa di San Giuseppe.
In principio nacque come festa nazionale, ma in seguito è stata abrogata anche se continua ad essere un’occasione per le famiglie, e sopratutto per i bambini, di festeggiare i loro amati padri. La festa del 19 marzo è caratterizzata inoltre da due tipiche manifestazioni, che si ritrovano un po’ in tutte le regioni d’Italia: i falò e le zeppole. Poiché la celebrazione di San Giuseppe coincide con la fine dell’inverno, si è sovrapposta ai riti di purificazione agraria, effettuati nel passato pagano.
In quest’occasione, infatti, si bruciano i residui del raccolto sui campi, ed enormi cataste di legna vengono accese ai margini delle piazze. Quando il fuoco sta per spegnersi, alcuni lo scavalcano con grandi salti, e le vecchiette, mentre filano, intonano inni per San Giuseppe. Questi riti sono accompagnati dalla preparazione delle zeppole, le famose frittelle, che pur variando nella ricetta da regione a regione, sono il piatto tipico di questa festa.