Elisabetta8.mi, ha espresso il desiderio di veder pubblicato uno scritto della sua amica Enrica.
Viene subito accontentata, ma prima lascio la parola alla stessa Elisabetta.
(è una storia talmente toccante di per sé, da non meritare altro che immagini di fiori)
Buona domenica a tutti, sono Elisabetta8.mi, faccio solo una premessa:
sono entrata in Eldy, perché mi sentivo sola, come tante persone più o meno della mia età, qui, ho trovato qualche amico virtuale, ma anche tanti argomenti diversificati a seconda delle stanze: c’è informazione, narrativa, poesie, arte.
Sono convinta che era questo l’intento di chi ha creato questo blog: riempire dei vuoti con cui le persone anziane, volenti o nolenti, si devono confrontare.
Poi sono stata assente per malattia, quando sono potuta rientrare però mancava qualcosa, non mi interessa sapere perché o per come, ho cercato di rintracciare qualcuno e tramite un’amica ho contattato Enrica, sono entrata nel suo blog, ma per me, che non sono brava col computer, è una fatica.
Poi ho trovato un suo scritto e le ho chiesto di pubblicarlo, c’è voluto un po’, ma poi mi ha autorizzato a farlo.
AMICO PERSO – AMICA TROVATA
Enrica raconta…
Ho ricevuto la notizia che un mio carissimo compagno di infanzia, malgrado stesse uscendo da un percorso di dipendenza dalla droga, è stato trovato morto nel bagno di casa, la moglie si era addormentata sul divano e non sa dare una spiegazione, una vicina di casa dice di aver visto qualcuno mettere un piccolo pacchetto sulla finestra del bagno.
Non si sa cosa dire a questa donna, magra, stanca, sfinita da una situazione che sembrava quasi risolta,
Volevo bene a questo amico, me ne sono resa conto nel momento in cui mi hanno detto con una telefonata….”Non c’è più”.
In un attimo mi è tornato alla mente tutto quel che da ragazzini facevamo insieme, le nostre scorrerie per i nostri prati, per la nostra voglia di ridere di tutto, per il nostro giocare a dama nei giorni di pioggia, di quando veniva a casa nostra a mangiare con noi tutti, è stata una delle prime persone che mi è venuta a trovare in ospedale dopo la nascita dei miei figli, era buono, troppo forse, non aveva il carattere per affrontare le debolezze, non aveva quella forza, per scegliere di cambiare vita, ma sono solo congetture, in realtà non si sa perchè non sia riuscito ad uscirne, e ha provato tante volte.
Forse quei vigliacchi che glielo hanno messo a portata di mano conoscevano quanto fosse debole….
Cosa dire a questa donna, cosa dire a quel ragazzo, niente, le parole non servono …
Lei piange tanto, mi guarda e mi dice: “tu sai quanto l’ho amato….”
Non trovo parole, la guardo e le lacrime mi scendono dagli occhi, mi dice se non mi capisci tu….
Io la capisco,….. mi dice: ” se non mi fossi addormentata”
la guardo e scuoto la testa, “non avresti potuto fare nulla, chi sei la Digos?
Entravi anche quando era in bagno, non lo lasciavi mai solo?…Sei indistruttibile?”
Sua sorella, perde la pazienza stizzita le dice:
“Smettila ti ha fatto solo tribolare, finiscila di piangere, per te dovrebbe essere una liberazione”.
Rigirando un fazzoletto nervosamente tra le mani risponde:
“Io gli volevo bene”.
Arrivano tutti i parenti di lui, quelli che come sempre, avevano accantonato il problema, che li hanno lasciati soli e la aggrediscono di domande, di come, di perchè e di come mai, le dicono perchè non hai fatto questo o quello, avresti dovuto fare così, lei persona dolce non ribatte, piange sempre di più, per fortuna la sorella e il figlio prendono in mano la situazione e con coraggio dicono loro di andarsene.
Faranno sapere quando ci sarà la camera ardente e il funerale…. li cacciano letteralmente di casa.
Un copione che si ripete, quando una dipendenza entra nelle famiglie, la colpa è sempre di chi vive con il dipendente, la rabbia mi prende e mi sembra di tornare indietro.
La guardo e mi sento impotente lei mi allunga una mano mi ringrazia.
Davvero non so cosa dire, cosa fare, mi appoggia la testa sulla spalla e piange disperata….
Maledette tutte le dipendenze, alcool, droga, gioco, maledetto chi le produce, maledetto chi le vende, maledetta la poca voglia di riuscire.
La sento tutti i giorni al telefono, passo quasi tutti i giorni a trovarla,mi dice che sta bene…
Un po di tempo è passato, il mio amico era lui, ma ora lei mi dice: sei più amica mia. La dolcezza di questa persona non mi appartiene, io non potrei vivere così, sono a volte dura forse troppo, ma mi sono resa conto che se non avessi avuto questo, non ce l’avrei fatta, mentre per lei, la dolcezza, è l’arma che le consente di continuare, come siamo diversi, uno dall’altro, ma dietro ad ogni volto, c’è comunque un mondo di emozioni che a volte non si vedono….
Ero convinta che sarebbe crollata, e invece ha una forza diversa, una forza pacata, è stato fatto il funerale, ha trovato anche un piccolo lavoro e con qualche aiuto sta pagando i debiti che lui aveva contratto….
Le dipendenze tolgono, tolgono e tolgono solamente, non danno niente se non sofferenza.
Sono tutte uguali nessuna è diversa, solo il modo di rapportarsi cambia da persona a persona.
Speriamo che tutto si risolva, e che, come dice il proverbio dopo il brutto tempo esca il sole ……
Aggiungo solo una riflessione, purtroppo chi questi problemi non li ha vissuti, o non li vive, non si rende minimamente conto e sa solo “giudicare”, aprire la bocca e darle fiato e fare del male gratutito.
Ma questi problemi ci sono, spesso si vivono in silenzio, si pensa di farcela da soli e non se ne parla. Invece anche un vicino di casa può dare una mano, un conoscente che ci è passato, qualcuno che conosce associazioni a cui rivolgersi.
Ecco, se qualcuno di voi Eldyani conosce indirizzi di associazioni serie, potrebbe condividerli?
Potrebbe scriverli nei commenti e chi esclude che non possano essere utili a qualcuno, forse troppo timido per chiedere?
Vi ringrazio.
Nel blog Incontriamoci si parla di Sofia, e del suo tragico amore a pagamento; oggi vorrei attirare la vostra attenzione su un altro tipo di amore che è stato proposto in un film recentissimo: l’amore attraverso la tecnologia. È amore? o è unicamente solitudine?
Sono andata al cinema recentemente ed ho visto “Her-Lei” un film americano che potrebbe però essere stato girato in qualunque paese del nostro mondo occidentale.
Uscendo dalla sala ho avuto una sensazione di sollievo: il film non mi era piaciuto. Ero delusa. Però, poi, mi sono accorta che qualcosa mi aveva trasmesso e mi aveva lasciato dentro più di quanto non pensassi e ci ho riflettuto.
Se non lo avete visto riassumo, cercando di sintetizzare il più possibile, la trama del film.
Nel 2025 Theodore Twombly (Joaquin Phoenix) lavora per una piccola agenzia di Los Angeles, è redattore di lettere personali piene di sentimento, scritte a pagamento per chi non le sa scrivere. Theodore vive da solo, perché sta per divorziare da sua moglie Catherine, che conosce fin dall’infanzia, ma esita ancora a firmare le carte definitive del divorzio.
Un giorno Theodore compra il primo sistema operativo (OS1) di intelligenza artificiale parlante, che dovrebbe adattarsi, intuire ed evolvere, anche affettivamente, a seconda della persona con cui interferisce.
Theodore sceglie di interagire con una voce femminile: è Samantha (Scarlett Johansson nella versione originale).
Pian piano imparano a conoscersi e Samantha che è contemporaneamente perspicace, sensibile e dotata d’uno straordinario senso dell’umorismo, si adegua sempre più alle esigenze ed ai desideri di Theo. Intraprendono una relazione “normale” che appaga tutti e due, almeno per qualche tempo.
La loro amicizia cresce e si trasforma in amore Theodore sente di amare davvero Samantha come non ha mai amato.
Quando Theo e Catherine si incontrano in un ristorante per firmare i documenti definitivi del divorzio, lui si sente di raccontare alla ex moglie la Sua relazione con Samantha.
Catherine è sconvolta che lui possa essere affezionato a un pezzo di software e accusa Theodore di avere una relazione con un computer, con una macchina, con una voce che non esiste, perché lui è incapace di avere a che fare con reali emozioni umane.
A questo punto Theodore entra in conflitto con se stesso ed è nel panico quando un giorno Samantha non gli risponde e risulta assente. Ma poi la normalità ritorna perché Sam spiega che stava facendo un aggiornamento. Theo le chiede se lei comunica anche con altri esseri umani ed è sconvolto dalla risposta: Sam interagisce contemporaneamente con 8.316 individui mentre parla con lui e inoltre confessa di avere cominciato relazioni affettive con 641di loro.
Tra l’altro ormai per lei, la relazione con lui, è come leggere un libro di cui conosce tutte le parole.
Il rapporto si è esaurito.
Quest’esperienza l’ha cambiato e Theo, alla fine, scrive una lettera a Catherine, chiedendole scusa per tutto e soprattutto le dice che l’amerà sempre, perché sono cresciuti insieme. L’amerà in modo maturo, non cercando di cambiarla, riconoscendo che le sarà sempre grato per quello che lei gli ha dato e che a lui è rimasto di lei. Sarà sempre suo amico.
Questa è la storia, ma si sono aperte molte domande
Non è un caso che il sottotitolo del film Her-Lei, potrebbe essere “l’amore al tempo della tecnologia”.
È questo amore vero?
Come si spiega?
O siamo solo di fronte ad una fantasia, possibile o impossibile che sia, ma proiettata nel futuro?
Dietro lo schermo non c’è nulla di nulla, una voce, ma non una figura umana, non un’immagine… …
La realtà è cosi lontana dalla finzione?
Se avete visto il film o se avete solo letto la storia, mi piacerebbe commentare con voi Eldyani. Sentire che ne pensate
Abbiamo parlati di ponti… qui si parla di un altro ponte… molto generoso ed umano
In questi giorni un’ennesima tragedia nei nostri mari…
La gloriosa Marina Militare come sempre si è distinta per generosità.
Mario Calabresi, il direttore de “la Stampa” ha scritto un editoriale ieri, non so se lo avete letto, io l’ho trovato molto “onesto” e mi piacerebbe parlarne con chi ne ha voglia. Non c’è bisogno di immagini, basta lo scritto già forte di per sé.
Un ponte di cui essere orgogliosi
Editoriali della “Stampa”
21/05/2014
Un ponte di cui essere orgogliosi mario calabresi
Parlare di immigrati ormai è diventato difficilissimo, nessuno ha più pazienza d’ascoltare, i più moderati restano in silenzio, gli altri o invitano a rispedire ogni barca a destinazione o a girare la testa dall’altra parte quando fanno naufragio.
La questione è trattata solo in termini economici: prima ci si preoccupa dei costi di salvataggio e accoglienza, poi della minaccia che rappresentano per la sicurezza o per il nostro già disastrato mercato del lavoro. Inutile cercare di discutere razionalmente, guardare i numeri che mostrano che sono molti di più quelli che si stabiliscono in Germania, in Francia o in Svezia. Noi siamo terra di passaggio non meta finale.
Poi leggi il racconto di quella madre che è riuscita a tenere a galla per un’ora il figlio di otto anni, prima di morire all’arrivo dei soccorsi, e senti che qualcosa non funziona più, dentro e fuori di noi. Guardi la foto qui accanto e scopri che su questa barca verde e rossa alla deriva ci sono 133 bambini, che ieri sera sono stati asciugati, rifocillati e hanno dormito sotto una coperta grazie alla Marina Militare italiana che li ha salvati. Sono siriani, in fuga dalla guerra con i loro genitori.
L’operazione Mare Nostrum ne ha salvati 30 mila da ottobre a oggi. Per molti è una colpa, un ponte che andrebbe ritirato al più presto. Ma forse è anche l’unica mano che tendiamo verso una serie di conflitti che non vogliamo vedere.
Il nostro sport nazionale è ripetere ad alta voce che l’Italia fa schifo, che non c’è niente da difendere, che siamo perduti. E se il nostro riscatto stesse nel riscoprire che siamo capaci di umanità? Mi attirerò una bella dose di critiche, ma ho voglia di dire che sono orgoglioso di appartenere a una nazione che manda i militari a salvare le famiglie e non a sparargli addosso.
Leggo sul giornale e già il titolo è inquietante…
“Un paese che non sa guardare ai giovani”
Poi l’inizio dell’articolo…
“Oltre 2 milioni i cervelli italiani fuggiti all’estero, il 7% dei nuovi dottori.
Troppe tasse, troppa burocrazia, troppo nepotismo, zero investimenti in Italia.
Il risultato?
Più di un miliardo all’anno regalato a chi sa valorizzare queste eccellenze…”
Ce ne parla Marc. Cerchiamo di capire insieme perché succede
Fuga dei giovani cervelli
In questo momento tragico della nazione, con la disoccupazione giovanile ai massimi livelli, disoccupati over 40/50/60/, disperati, esodati, che non troveranno più un posto di lavoro, se non cambierà veramente la situazione economica con delle risposte prammatiche e concrete della nostra politica, c’è un’altra cattiva notizia!
5.000 giovani, tra i migliori, con lauree da 110 con lode emigrano, scappano, con l’impiego già in mano in altri paesi come: Inghilterra, Germania, Francia, Svizzera, Usa, Belgio, Portogallo, Spagna, etc. I nostri migliori ragazzi se ne vanno allettati da un guadagno che è mediamente il doppio del nostro. La nostra intellighenzia se ne va. Economisti, medici, ingegneri, traduttori. I nostri ragazzi con la voglia di emergere con i migliori voti, fuggono dall’Italia.
Già assunti da aziende all’estero. Lo stato spende per farli studiare 175 milioni di euro. Noi li formiamo, spendendo la rispettabile cifra di 34.950 euro pro capite, e loro li assumono. Questo export di cervelli e competenze ci costano due volte:
1° portandosi dietro l’ossatura, la futura l’economia del paese, 2°lo stato per la loro istruzione spende 3.000 euro a semestre per universitario, visto che hanno frequentato corsi per 5 anni diamo addio a 175 milioni di euro. Migliaia di venticinquenni da 110 con lode che si trasferiscono altrove per poter impiegare le loro conoscenze. Esperti, che servono per assicurare profitti, ma… anche per far crescere un paese. Che non è il nostro. Laureati in ingegneria, in economia, in lingue, e letterature comparate e in materie politico sociali, i più ambiziosi, i più capaci, scappano anche dal nord est dell’Italia. A guardare queste statistiche da Roma, sette su cento universitari, ad un anno dalla laurea è fuori paese. Un quarto degli economisti laureatisi alla Bocconi nel 2013, oggi è assunto a Parigi, a Shangai, a New York. Nel portale dell’unione europea sono presenti 190 mila curriculum di giovani che sperano di andarsene. Il doppio di portoghesi, polacchi, rumeni.
La fuga di cervelli, sta diventando una valanga! “In patria ci sono troppo poche opportunità per i giovani ambiziosi”, commenta Giovanni Peri, professore (italiano) di Economia del lavoro a Davis, in California. Queste persone sono motori di crescita economica e scientifica, “forze di cui adesso beneficiano altre nazioni. Negli States, in cui vivo da venti anni, il 30 per cento degli scienziati e degli ingegneri viene da fuori. È un ciclo virtuoso: più cervelli, più imprese, più ricerca, più produttività. Ecco: in Italia rischiamo la tendenza inversa”, conclude lo studioso.
Anche gli atenei facendosi concorrenza tra di loro per internazionalizzazione, cercano di accaparrarsi nuove leve, offrendo loro “carte” allettanti. “Se vogliamo garantire un futuro ai nostri allievi dobbiamo avere una rete globale di società pronte ad assumerli” spiega Marco Taisch, docente di Ingegneria al Politecnico di Milano e direttore dell’ufficio per l’occupazione. “Per me che sono stato loro docente l’idea che trovino successo altrove non è affatto una sconfitta”, rovescio della medaglia: “potrebbe essere una vittoria” controbatte il professore Massara. “Anche se fuori, hanno imbroccato la loro strada. Ed è questo l’obiettivo”.
Come a dire: è un bene essere capaci di formare professionisti che le imprese migliori nel mondo si contendono. Ed è l’inevitabile corollario di mobilità e globalizzazione.
Auguriamoci che alcuni di essi rientrino arricchiti di abilità e competenze, e questo è un valore», sostiene Giovanni Peri, da Davis,: “Altri ci aiuteranno a stabilire rapporti tra le imprese italiane e le città cinesi o americane dove hanno trovato fortuna. Può essere possibile ma non sicuro. Auguriamoci che ciò accada.”
“Bel Paese” la leggenda del Ponte del Diavolo
Non è un caso che l’Italia sia chiamata “il Bel Paese” Infinite sono le ragioni che tutti sappiamo e aggiungo che anche le leggende, i miti legati al territorio, sono parte della sua “bellezza”.
Bracco, che già una volta si è interessato al blog Parliamone, manda questa bella saga, sperando che stimoli i ricordi di molti di noi e invogli a raccontare anche le storie del proprio paese.
Ma non solo! Lo sapete che di “ponti del diavolo” ce ne sono tanti?
Chi li conosce?
Qualcuno ce li vuole raccontare?
Accettiamo la sfida?
L’Italia poeticamente è chiamata “Belpaese” in ragione del suo clima e delle sue bellezze naturali e artistiche…
“del bel paese là dove ‘l sì sona”, Dante, Inferno.
“il bel paese | Ch’Appennin parte e ‘l mar circonda e l’Alpe”, Petrarca…
Le città sono piene d’immagini del nostro vivere quotidiano che formano una storia con curiosità, leggende…
Ecco proprio di una di queste vorrei parlare. L’autore si chiama Paolo Marzi, giovane appassionato di storia e in particolare della sua terra:
La Garfagnana, che è la parte “Alta” della Valle del Serchio, a nord della Regione Toscana, e vicinissima a importanti centri storici come Lucca, Pisa e Firenze.
La leggenda, è narrata in maniera semplice, diretta per far si che tutti si appassionino e siano a loro volta stimolati a raccontare fatti curiosi, leggende delle loro città.
Benedetto Croce diceva:
La storia nostra è storia della nostra anima;
e storia dell’anima umana è la storia del mondo.
Buona lettura da parte di Bracco.
La porta della valle: il Ponte del Diavolo…(storia e leggenda)
Chissà quanti ponti del diavolo ci sono nel mondo, ma sono certo che pochi, se non nessuno, possa eguagliare il fascino del Ponte del Diavolo, la porta della nostra valle. Le notizie storiche certe sulla costruzione del ponte sono scarse. Nicolao Tegrimi (scrittore lucchese del XV secolo) nella sua biografia di Castruccio Castracani (1281-1328) ne attribuisce la costruzione alla contessa Matilde di Canossa (1046 – 1115), “veramente virtuosa e donna bellissima”. Secondo le ipotesi di Massimo Betti (ex sindaco di Borgo a Mozzano) durante il governo di Castruccio (fine ‘300) furono realizzati gli archi minori del ponte sostituendo precedenti strutture di legno. Ciò spiegherebbe la differenza tra l’arco maggiore e quelli minori, e anche la diversa pendenza della via sul lato sinistro del ponte, costruito dall’arco preesistente. Il ponte comunque sia fu edificato per consentire l’attraversamento del fiume Serchio ai viaggiatori che desideravano recarsi a Bagni di Lucca. Subì poi altri maneggiamenti, tra i quali l’apertura di un nuovo arco (1899) per il passaggio della linea ferroviaria Lucca-Aulla. Si chiamò dapprima “Ponte di Chifenti”, poi, non più tardi del 1526, fu chiamato “Ponte della Maddalena”, in relazione ad un oratorio che si trovava ai piedi del ponte. Il consiglio generale della Repubblica di Lucca nel 1670 poi proibiva di passarvi sopra con ceppi e macine da mulino, con l’intento di preservare il ponte nella sua integrità.
Tutti, però, lo conoscono come “Ponte del Diavolo”, perché la sua leggenda è più forte della storia.
Com’è già noto, una leggenda racconta che in un borgo sulle rive del Serchio, a un capomastro bravo e apprezzato fu affidato il compito di costruire un ponte tra i due borghi. Passarono i giorni e siccome il lavoro procedeva lentamente, fu preso dallo sconforto e dalla disperazione per il disonore che sarebbe derivato nell’ultimare il lavoro fuori dal tempo pattuito. Gli sforzi effettuati non contrastavano il veloce passare del tempo e una sera, quando scoraggiato, si era fermato a vedere il suo lavoro, apparve un rispettabile uomo d’affari sotto le cui sembianze si nascondeva il diavolo.
Quest’ultimo si avvicinò al capomastro promettendogli
di terminare il ponte in una sola notte. Egli, dopo aver ascoltato un po’ sbigottito le parole del diavolo, accettò la proposta. In cambio di questo favore costui voleva l’anima della prima persona che avrebbe attraversato il nuovo ponte. Il giorno successivo gli abitanti di Borgo a Mozzano si svegliarono e trovarono il ponte terminato. L’artigiano ricevendo i complimenti delle persone, raccomandò loro di non oltrepassare il ponte prima del calar del sole e si recò a Lucca per consultarsi con il Vescovo.
Egli lo tranquillizzò e gli suggerì di far sì che passasse un maiale per primo: il Diavolo arrabbiato per essere stato giocato si buttò nelle acque del Serchio e da allora non se ne hanno più notizie.
Europa sì o Europa no; che ne dite?
Come dice Cactus nella sua premessa, si avvicinano le elezioni europee… Bene, lui ci espone il suo punto di vista e non credo che tutti siano d’accordo. A voi questo spazio per esprimere liberamente i vostri pareri. Io, come spesso faccio, non lo dico, per non influenzarvi. Buona lettura e buona riflessione. Parliamone. (pca)
Si stanno avvicinando le tanto attese (?) elezioni europee e le Segreterie dei vari partiti, con un bel corollario di uomini politici più o meno noti, stanno entrando in fibrillazione.
Ma per cosa?
Chiedo scusa a tutti voi per la mia profonda ignoranza su questo tema, ma ripeto: per cosa?
Perché si fanno queste elezioni? Normalmente le elezioni si fanno per eleggere delle persone che si facciano carico di guidare un Paese nel rispetto della Democrazia… e la scrivo in maiuscolo perché ancora io credo in questa parola.
Quindi le elezioni europee servono perché un gruppo di Eletti si prenda a cuore l’insieme dei Paesi che formano l’Unione Europea per portarli verso un futuro migliore. E fino a questo punto nulla da eccepire.
L’Unione Europea? Ma esiste? Spiegatemi, perché io vedo soltanto un elenco di Paesi preoccupati di pensare esclusivamente ai propri interessi nazionali.
Avevo sempre pensato che la parola “unione” identificasse un insieme di cose o persone teso a rendere più forte il singolo componente facente parte di una coalizione… e mi spiego con alcuni esempi:
Un fascio di sottili verghe offre più resistenza rispetto a una singola (favola di Esopo); un team di ricercatori può arrivare prima ad ottenere risultati concreti (equipe medica della Cattolica di Roma nella cura del diabete); un gruppo di stati che si confederano unendo le forze per arrivare a un miglioramento della vita dei cittadini (Stati Uniti d’America)…ecc. ecc.
Se ne può dedurre che l’Unione Europea abbia pensato e fatto questo o (almeno) lo ricerchi.
Premetto che sono un fautore di questa unione, perché penso che servirebbe a dare una stabilità economica e politica ai Paesi che ne fanno parte… praticamente tutta l’Europa occidentale con l’esclusione dei pochi che ancora ne sono fuori. Ma un’unione non significa soltanto avere una moneta comune, l’eliminazione delle frontiere e dei dazi doganali, norme comunitarie (che non sempre vengono rispettate) e così via.
Ma una vera “Unione” si raggiunge:
Quando si arriva ad avere un Parlamento europeo che legiferi in nome di tutti i Paesi membri, dai quali non deve arrivare nessun veto.
Quando si ha un solo esercito, che purtroppo serve.
Quando si abbandonano gli interessi personali di quel dato Paese per privilegiare quelli comuni, a prescindere dall’ importanza che esso riveste nell’ambito comunitario.
Quando si obbligano i Paesi membri ad osservare le leggi emanate, aiutandoli in caso di difficoltà ma pronti a colpire se queste leggi vengono evase.
Naturalmente non intendo dire che un Paese membro non sia libero di promulgare leggi proprie, ma queste leggi non dovrebbero essere in contrasto con quelle promulgate dall’Europa. Caso mai, tese a un loro miglioramento.
Queste sono solo alcune delle cose che mi rendono perplesso quando penso a queste prossime elezioni. Ci si litiga da decenni ormai su importanti decisioni non prese… e temo che così sarà per altri decenni! Credo che si potrà parlare di “Unione Europea” solo quando i vari rappresentanti dei Paesi membri capiranno il significato di questa parola!
Ci sono troppi meschini interessi da parte dei politici che noi, popolo europeo, dovremmo, tra un mese, mandare su quei banchi a rappresentarci.
Stiamo già assistendo ai vari balletti dei partiti pro e contro l’euro, ai quali poco importa se ciò che dicono abbia un senso. A queste persone molte volte importa solo cavalcare l’onda del dissenso o, al contrario, quella che per loro identifica, a torto o a ragione, la maggioranza.
Ecco… tra poco ci recheremo come tanti bravi scolaretti a fare il nostro compito con diligenza e serietà. Temo che la diligenza e serietà ci sarà soltanto da parte nostra.
Che tristezza!
É finito da poco il primo Maggio dove i lavoratori sfilavano con la bandiera rossa e il fazzoletto rosso al collo, sono nata e cresciuta da proletaria cantando “bandiera rossa”.
Vivevo più nella sezione del pc che in casa ed a quel modo ho iniziato ad avere la cultura comunista.
Perciò quando mi proposero di diventare capo gruppo dei Pionieri dissi subito sì.
I “Pionieri” era una organizzazione seguita da donne di sinistra U:D:I: (unione donne Italiane) nate per placare la manipolazione del clero.
Si può dire che i pionieri erano gli scout di adesso, centrale era l’educazione dei sentimenti e il rispetto della natura.
Alla domenica si andava porta a porta a vendere il giornalino il “Pioniere”
Prima di fare il giro mi fermavo su un gradino e me lo leggevo tutto gratis, seguivo attentamente pagina per pagina, riga per riga, il mio giornale preferito, che si batteva per una vita migliore per tutti i suoi lettori e per tutti i bimbi d’Italia.
Riuscivo a vendere anche 150 copie.
Solo ora, e da nonna, che leggo hai nipotini Gianni Rodari ho scoperto che era lui lo scrittore del giornalino, quello che mi faceva sognare.
Il giornale durò dal 1950—1962
Una domenica mattina mentre mi apprestavo a fare il mio giro mi vide il parroco e mi strappò tutti i giornali di sotto il braccio e li bruciò.
Allora non potevo immaginare che quel gesto era perché Gianni Rodari era stato scomunicato dal clero, e per tale motivo le parrocchie bruciavano i suoi libri e scritti.
Nel 1962 avevo già lasciato i pionieri per anzianità, facevo parte della FGC, quando per sempre il giornalino finì di esistere, e con lui i suoi personaggi Cipollino, Chiodino, Pif, Aquila Bianca e il Gabbiano Rosso.
Quando il giornale morì fu a lungo pianto e rimpianto, anche se ora io sono adulta non ha mai smesso di parlare del Pioniere come si parla di una gloriosa avventura giovanile.
E leggo i libri di Rodari ai miei nipotini.
Gianni Rodari
Biografia di Gianni Rodari presa dal web
L’infanzia a Omegna
Gianni Rodari nasce il 23 ottobre 1920 a Omegna sul Lago d’Orta in cui i genitori originari della Val Cuvia nel Varesotto si trasferiscono per lavoro. Gianni frequentò ad Omegna le prime quattro classi delle scuole elementari. Era un bambino con una corporatura minuta e un carattere piuttosto schivo che non lega con i coetanei. È molto affezionato al fratello Cesare mentre a causa della notevole differenza di età è poco in confidenza con il fratello Mario.
Il padre Giuseppe fa il fornaio nella via centrale del paese e muore di bronco-polmonite quando Gianni ha solo dieci anni. In seguito a questa disgrazia la madre preferisce tornare a Gavirate il suo paese natale.
La gioventù e l’adolescenza a Gavirate e l’esperienza del seminario
Nel varesotto vive dal 1930 al 1947.
Frequenta la quinta elementare a Gavirate.
Il 5 agosto 1931 fa richiesta di entrare in seminario per frequentare il ginnasio. Nell’ottobre dello stesso anno entrerà quindi nella IC del seminario di Seveso. Gianni si distingue subito per le ottime capacità e risulterà infatti il migliore della classe. Risultati che furono poi confermati anche nella seconda classe. All’inizio della classe terza, nell’ottobre 1933 si ritirò. Concluse l’anno scolastico a Varese, ma non proseguì gli studi liceali bensì optò per le scuole Magistrali. Frequentò con profitto la quarta classe nel 1934-35 e venne ammesso al triennio superiore. Il 25 febbraio 1937 abbandonò gli studi per presentarsi alla sessione estiva con l’intento di sostenere direttamente gli esami e guadagnare così un anno.
Già a partire dal 1935 Rodari militava nell’Azione Cattolica. Dai verbali delle adunanze di Gavirate risulta che nel dicembre dello steso anno Gianni svolgeva già la funzione di presidente. Anche l’anno successivo fu dedicato molto all’organizzazione cattolica.
Nel 1936 pubblicò otto racconti sul settimanale cattolico L’azione giovanile e iniziò una collaborazione con Luce diretto da Monsignor Sonzini.
Nel 1937 iniziò un periodo di profondi cambiamenti. Nel marzo lasciò la presidenza dei giovani gaviratesi dell’Azione cattolica e da allora i rapporti con questa si allentarono molto. Tra la primavera e l’estate il suo massimo impegno venne dedicato allo studio e a soli 17 anni conseguì il diploma magistrale.
In quegli stessi anni Rodari leggeva molto e amava la musica. Andò per tre anni a lezione di violino. Molto sensibile, si confidava solo con pochi amici. Aveva una grande curiosità intellettuale e cominciò a leggere le opere di Nietzsche, Stirner, Schopenhauer, Lenin, Stalin e Trotzkij. “Queste opere, – commenta- ebbero due risultati: quello di portarmi a criticare coscientemente il corporativismo e quello di farmi incuriosire sul marxismo come concezione del mondo”.
Nel 1939 si iscrive all’Università cattolica di Milano, alla facoltà di lingue. Abbandonerà poi l’esperienza universitaria dopo alcuni esami, ma senza laurearsi. Nel frattempo inizia ad insegnare in diversi paesi del varesotto.
Nel 1940, quando l’Italia entra in guerra Rodari viene dichiarato rivedibile e non viene richiamato alle armi.
Nel 1941 vince il concorso per maestro ed incomincia ad insegnare ad Uboldo come supplente. Fu un periodo molto duro di cui ha un forte ricordo. Si iscrive al partito fascista e accettò di lavorare nella casa del fascio pur di tirare avanti. I drammatici avvenimenti della guerra lo colpiscono profondamente negli affetti personali quando apprende la notizia della morte degli amici Nino Bianchi e Amedeo Marvelli, mentre il fratello Cesare nel settembre del 1943 viene internato in un campo di concentramento in Germania.
Subito dopo la caduta del fascismo Gianni Rodari si avvicina al Partito Comunista, a cui si scrive nel 1944 e partecipa alle lotte della resistenza.
Gli anni del giornalismo politico tra Milano e Roma
Subito dopo la guerra viene chiamato a dirigere il giornale”Ordine Nuovo”, nel 1947 viene chiamato all’Unità a Milano, dove diventa prima cronista, poi capo cronista ed inviato speciale.
Mentre lavora come giornalista incomincia a scrivere racconti per bambini. Nel 1950 il Partito lo chiama a Roma a dirigere il settimanale per bambini, il “Pioniere”, il cui primo numero esce il 10 settembre 1950. Nel 1952 compie il primo dei diversi viaggi che farà Urss.
In quegli anni pubblica Il libro delle filastrocche ed il Romanzo di Cipollino. Nel 1953 sposa Maria Teresa Feretti, dalla quale quattro anni dopo ha la figlia Paola.
Dal settembre 1956 al novembre 1958 torna a lavorare all’Unità diretta da Ingrao. Farà l’inviato e poi il responsabile della pagina culturale e infine il capocronista. Nel 1957 supera l’esame da giornalista professionista.
Il 1° dicembre 1958 passa a lavorare a Paese sera. Si realizza finalmente la scelta che contrassegnerà tutta la sua vita: affiancare al lavoro di scrittore per l’infanzia quello di un giornalismo politico non partitico.
Gli anni della scrittura per l’infanzia e della notorietà
Nel 1960 incomincia a pubblicare per Einaudi e la sua fama si diffonde in tutta Italia. Il primo libro che esce con la nuova casa editrice è Filastrocca in cielo ed in terra nel 1959.
Solo nel 1962-63 raggiunge una certa tranquillità economica grazie alla collaborazione a La via migliore e a I quindici.
Dal 1966 al 1969 Rodari non pubblica libri, limitandosi a una intensa attività di collaborazioni per quanto riguarda il lavoro con i bambini. Lascia Paese sera e nel l970 vince il Premio Andersen, il più importante concorso internazionale per la letteratura dell’infanzia, che accresce la sua notorietà in tutto il mondo.
Nel 1970Ricomincia a pubblicare per Einuadi ed Editori Riuniti, ma la sua prodigiosa macchina creativa non sembra più girare a pieno regime. Non è solo a causa del grande successo, ma anche della grande mole di lavoro e della sua condizione fisica.
Nel 1974 si impegna nel rilancio del Giornale dei genitori, ma subito cerca di disimpegnarsi. Cosa che accadrà agli inizi del 1977.
Al ritorno da un viaggio in Urss Gianni Rodari nel 1979 comincia ad accusare i primi problemi circolatori che lo porteranno alla morte dopo un intervento chirurgico il 14 aprile del 1980.
Una riflessione su un fatto di cronaca
Ma già il primo caso fu nell’ormai lontano 1982 quando fu lanciata una banana contro Uribe, poi purtroppo è diventata una triste abitudine in tutti gli stadi europei: Neymar, Balotelli, R.Carlos ed Eto’o ne sono stati vittima.
Considerarlo un frutto razzista è ridicolo, ma si è costretti a riflettere su questo frutto, dopo gli ultimi fatti di cronaca, merita ben altra considerazione, perché come cibo è importantissimo, ricco com’è di oligominerali, primo tra tutti il potassio.
Dai! Mangiamoci una banana.
Prendo da un bell’articolo di Crosetti su la Repubblica , qualche frase , per argomentare su di un fatto avvenuto durante la partita di calcio Villareal-Barcellona.
“Siccome l’ironia e l’intelligenza sono più contagiose della stupidità , adesso tutti mangiano banane”.
Ad Alves, giocatore brasiliano del Barcellona , un imbecille tifoso del Villareal , ha tirato una banana mentre il forte terzino si apprestava a calciare un corner , solo perché è MULATTO e della squadra avversaria.
“Ma lui, grandissimo, invece di indignarsi o andare dall’arbitro piagnucolando , ha raccolto il frutto , lo ha sbucciato e se l’è mangiato , tirando il calcio d’angolo mentre ancora masticava”.
Per la cronaca , il Barcellona ha vinto !
“Nella stagione del razzismo da stadio più becero , dei cori contro il Napoli a favore del Vesuvio, dei buuuuu contro i calciatori di colore , a tutte le latitudini ed in tutte le categorie , il gesto di Daniel Alves rappresenta una specie di rivoluzione culturale”.
Non mi limiterei però agli idioti del calcio , ci sono tanti razzisti nostrani , politici e non , che hanno fatto sberleffi ad un ex Ministro solo per il suo colore della sua pelle.
A loro mangerei volentieri una banana davanti alla faccia…….ma no……sono buono……la tirerei dentro la gabbia che potrebbe accoglierli in uno zoo.
http://www.youtube.com/watch?v=ahiWKAu8huA&hd=1
Un ricordo, una sensazione, un pensiero, un ritorno nel passato o un riflettere sul presente, a voi la parola: qual è il vostro Primo Maggio?
Quanti “Primo Maggio” ricordi? i souvenirs di Paolacon
Il mughetto del primo maggio
Ricordo i “1° maggio” di quando ero ragazza, a Roma, in Piazza San Giovanni. Allora non c’erano i concerti, ma solo comizi, bandiere e tanta gente. Ci sentivamo molto uniti e coinvolti.
Ma non c’è solo il ricordo del “primo maggio” politico, c’è anche quello di un viaggio a Parigi, un viaggio cominciato la sera del 30 aprile, con il treno di notte e l’arrivo la mattina del 1°, molto presto, in una stazione fumosa e grigia, come quasi tutte le stazioni di Parigi, ma piena di fiori, di mughetti e inondata del loro profumo. Che stupore! Mazzetti di questo piccolo fiore fragrante, candido e dalla forma delicata di campanella, da per tutto, in cesti di vimini, in banchetti, offerto per pochi spiccioli a tutti gli angoli.
Non conoscevo questo simpatico costume francese e dei paesi francofoni, di donare un ramo di mughetto, come simbolo di felicità che ritorna e come portafortuna.
Nel maggio del 1561, Carlo IX di Francia rese ufficiale l’uso d’offrire il mughetto come porta fortuna, rifacendosi ad una antica tradizione, del tutto pagana…
Viene celebrato l’arrivo della primavera donandone tre rametti alla persona della quale si è innamorati, agli amici ed alle donne come segno d’amicizia.
Il mughetto glorifica il rinnovo della vita e dà l’opportunità di fare le prime passeggiate dell’anno, nei boschi e fuori al sole, per cercare i suoi rametti più belli.
Mi hanno raccontato anche una antica leggenda greca che vuole che questo profumatissimo fiore sia stato creato da Apollo, dio del monte Parnaso, per tappezzarne il suolo, affinché le sue nove Muse non si sciupassero i piedi…
Buon Primo maggio a tutti.
Quanti “Primo Maggio” ricordi? Alfred-Sandro
Non so, credo di ricordarli tutti anche se tanti.
Primo Maggio, festa dei lavoratori ma da sempre praticamente festa festaiola da passare fuori porta con la famiglia, con gli amici, colazione al sacco, plaid sull’erba, le frittate, i polpettoni, i bicchieri di plastica a soffietto e quelli di alluminio, enormi panini ed il termos del caffè, che era ancora appena tiepido, ma faceva schifo lo stesso.
Di tanti “Primi Maggio” uno in particolare mi è rimasto nella memoria: uno dei miei primi.
Ero molto piccolo, forse sei anni, forse meno, l’Anpi della nostra zona aveva organizzato un raduno nel bosco di Pannesi, una località nell’entroterra di Recco, proprio per celebrare la festività.
A quei tempi le auto erano ancora rare e prerogativa di pochi ricchi.
Si viaggiava in treno, in tram, in corriera, quelle corriere col muso lungo con due palle rosse che sporgevano dai parafanghi per delimitare il mezzo al conducente nei passaggi stretti e nelle manovre.
Eravamo tanti quel giorno, era finita la guerra da poco e tutti avevano voglia di festeggiare: avevano tutti voglia di una pace agognata per lunghissimi anni.
A Pannesi non arrivava né treno né corriere ed allora tutti sui camion.
Sui camion seduti sulle panche prese nelle sedi dell’Anpi, nelle sedi dei partiti, nelle sedi delle società di mutuo soccorso, prese a prestito dove era possibile prenderle, perché non tutti erano disposti a collaborare. Sì, perché in quegli anni e per molti anni ancora, festeggiare il Primo Maggio era da sovversivi, da comunisti.
Festeggiare il Primo Maggio era prerogativa dei comunisti, era condannato dalla chiesa, osteggiato dal governo, dalle autorità di allora.
Dal Governo Americano…
Dalla Chiesa…
[tratto da Wikipedia]
“L’avviso sacro del 1949”
In diverse parti d’Italia il decreto del Sant’Uffizio venne reso pubblico attraverso la stampa e l’affissione di manifesti, che presentavano i punti salienti della scomunica. Un esempio di questi manifesti è il seguente:
« Avviso Sacro
Fa peccato grave e non può essere assolto
1.Chi è iscritto al Partito Comunista.
2.Chi ne fa propaganda in qualsiasi modo.
3.Chi vota per esso e per i suoi candidati.
4.Chi scrive, legge e diffonde la stampa comunista.
5.Chi rimane nelle organizzazioni comuniste: Camera del Lavoro, Federterra, Fronte della Gioventù, CGIL, UDI, API, ecc…
È scomunicato e apostata
Chi, iscritto o no al Partito Comunista, ne accetta la dottrina atea e anticristiana; chi la difende e chi la diffonde. Queste sanzioni sono estese anche a quei partiti che fanno causa comune con il comunismo.
Decreto del Sant’Uffizio – 28 giugno 1949
N.B. Chi in confessione tace tali colpe fa sacrilegio: può invece essere assolto chi sinceramente pentito rinuncia alle sue false posizioni. »
Gli Eminentissimi e Reverendissimi Padri preposti alla tutela della fede e della morale, avuto il voto dei Consultori, nella riunione plenaria del 28 giugno 1949 …”
Una vicina di casa stava passando in quel momento e, vedendo mia madre sul camion, con me in braccio, le chiese scandalizzata:
<ma ti vai con tuo figlio con questa gente?>
Poi, per fortuna, le cose sono cambiate e del Primo Maggio se ne sono impadroniti un po’ tutti……..
Buon Primo Maggio a tutti.
Un piccolo intervallo simpatico che ci ha mandato Alfred-Sandro, per distrarci un pochino
IL RIMEDIO…
Ecco vede?
la straordinaria novità di questo kit è contenuta in questa piccola scatoletta, che può poi essere benissmo riposta in un qualunque cassetto quando non la si usa, non darà nessun fastidio e sarà sempre a portata di mano!
Le faccio un piccola dimostrazione, permette vero?
La scatoletta, come vede, si apre con estrema facilità e il suo contenuto ricorda molto da vicino le cassette di pronto soccorso che noi tutti avevamo sulle nostre auto, qualche tempo fa: infatti può notare un laccio emostatico, cotone idrofilo, garze, cerotti ed un flaconcino di disinfettante.
Inoltre mi permetta di farle notare la grande idea innovativa che consiste in questo piccolo lettino pieghevole, appositamente progettato da una equipe di medici e chirurghi tedeschi, che hanno impiegato anni di studi e ricerche per raggiungere questi risultati.
Ed infine, spalanchi gli occhi e trattenga la sua merviglia:
queste siringhe strerili monouso, già pronte!
Esse contengono la sostanza iniettabile di cui abbiamo bisogno.
Mi permetta una piccola divagazione: anche in questo caso sono stati necessari lunghi anni di studi, sperimentazioni e ricerche di grandi istituti privati e istituzioni statali che ne giustificano il prezzo apparentemente elevato, ma con la garanzia della sua effettiva efficacia.
Vedo e comprendo la Sua perplessità, ma vedrà che dopo la dimostrazione le sembrerà tutto molto più semplice.
Innanzi tutto è necessario agire nella stagione più adatta ed attenderne il passaggio.
Mi scusi ma è necessario che le chiarisca ancora una cosa:
la sostanza da noi usata ha l’approvazione di tutte le maggiori associazioni ambientalistiche più rappresentative a livello internazionale.
Dicevamo del passaggio:
durante il loro passaggio si prelevano delicatamente una alla volta e, sempre delicatamente, si sistemano sul lettino preventivamente
preparato.
Disinfettando con l’apposito prodotto contenuto nel kit si procede con la dovuta cautela e si fa l’iniezione con una delle siringhe monouso, iniettando lentamente il liquido nella parte alta posteriore, avendo l’avvertenza di non iniettare direttamente in una vena.
L’effetto è pressocchè immediato: il soggetto cosi trattato viene poi riposto nella scatoletta nera alloggiata in alto a destra del kit.
Si procede allo stesso modo con tutte le altre.
Se le istruzioni vengono seguite scrupolosamente, il risultato è garantito.
Naturalmente, e questo è necessario chiarirlo in anticipo, potrebbe verificarsi il caso che siano necessarie più confezioni del prodotto:
è tutto in rapporto alla quantità di formiche che infestano la sua casa.
Vedrà che dopo i primi risultati positivi ci farà altre ordinazioni:
faccia conoscere il prodotto anche ai suoi amici, gliene saranno grati.
A questo punto la posso salutare. Questo è tutto.
Come ha potuto constatare è tutto molto semplice e, considerati i risultati è anche molto conveniente.
Allora daccordo… aspettiamo un suo ordine!
Arrivderci. arrivederci!
Marc ci manda un post per ricordare il 25 Aprile la storia non va mai dimenticata;
è successo, non si può restare indifferenti e silenziosi. Raccontiamolo ai nostri nipoti, che sappiano.
Dopo una guerra sanguinosa e molto crudele, gli italiani si sono uniti per riconquistare una libertà perduta. Anche ora avrebbero bisogno di unirsi. Fa riflettere e parliamone.
25 APRILE 1945
Oggi ricorre l’anniversario della liberazione dell’Italia, dopo 3 anni di guerra, 20 anni di fascismo! l’Italia è libera! 69 anni fa si consumava l’ultimo atto.
3 giorni dopo Mussolini veniva preso è giustiziato. In particolare il 25 aprile 1945 l’esecutivo del Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia, presieduto da Luigi Longo, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo Maliani (presenti tra gli altri anche Rodolfo Morandi che venne designato presidente del CLNAI, Giustino Arpesi e Achille Marezza), alle 8 del mattino via radio viene proclamata ufficialmente l’insurrezione. Finisce una vera e propria guerra civile. Consumata più al centro nord che nel meridione. Quanti poveri ragazzi sono morti da ambo le parti? quante famiglie divise da un’ideologia? quanti fratelli, contro fratelli, dove i torti e le ragioni si confondevano. Quante nefandezze perpetrate da le due le parti? Fra la popolazione civile, bisognava essere fortunati, ad aver scelto la fazione giusta. Ricordiamo i nostri fratelli maggiori, i nostri padri, che hanno dato la vita credendo fermamente nella liberà, nella democrazia, nell’uguaglianza. Oggi è il giorno della liberazione (non ci piove) ma dovrebbe essere anche il giorno della riappacificazione. Dopo una guerra combattuta con l’alleanza dei nazisti, che ci ha portato al baratro delle deportazioni, dei fronti a cui noi non eravamo preparati attrezzati logisticamente, tatticamente. Una guerra che ci ha consumati, ci ha portato alla rovina. Grazie a Dio l’Europa è 69 anni che vive in pace.
Oggi 25 Aprile 2014, stiamo vivendo un momento economico da guerra civile 8 milioni di italiani non hanno reddito, sono disoccupati, sono disperati, non esiste un apparente avvenire per i nostri giovani. Gli anziani (i più fortunati) costretti a mantenere i loro figli disoccupati. I rimanenti pensionati arrancano fanno fatica con le loro pensioni da fame a tirare fine mese. Auguriamoci che possa venire in un prossimo futuro un 25 aprile anche per l’economia, per i giovani, per i disoccupati, per i pensionati, per tutta la popolazione che vive in difficoltà economiche.
In piazza Taksim, a Istambul, nel quadro delle manifestazioni contro la dittatura di Erdoğan, i manifestanti turchi hanno usato la canzone della Resistenza italiana “Bella ciao”, tradotta con Çav Bella (ciau bella)
Mi ha emozionato vedere come è cantata, da tutti questi giovani e non solo, con sete di libertà.
Marc 52 ci augura la Buona Pasqua riportandoci informazioni, prese in rete, sull’origine e il significato di questa grande festa.
Ci propone anche due video
PER UNA PASQUA MIGLIORE
Le origini della Pasqua
Pasqua La Pasqua Cristiana è la massima festività della liturgia cristiana, perché celebra la Passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo. Il nome “Pasqua “deriva dal latino “pascha” e dall’ebraico “pesah”. La datazione della PASQUA è legata alla crocefissione di Gesù, che avvenne, dietro Nuovo Testamento, alla vigilia di Pasqua.
Nei primissimi tempi del cristianesimo, i cristiani di origine ebraica celebravano la Resurrezione di Cristo subito dopo la Pasqua ebraica, che veniva calcolata in base al calendario lunare babilonese e cadeva ogni anno in un diverso giorno.
Mentre i cristiani di origine pagana celebravano la Pasqua ogni domenica,questo portò nell’interno del mondo cristiano a gravi controversie, che si risolsero nel 325 con il concilio di Nicea, in cui si stabilì definitivamente che la Pasqua doveva essere celebrata da tutta la comunità cristiana la prima domenica dopo la luna piena che seguiva l’equinozio di primavera, inoltre nel 525 si stabilì che la data doveva trovarsi fra il 22 Marzo e il 25 Aprile.
Anche per gli Ebrei la Pasqua era una festa molto importante,inizialmente era una festa agricola, in cui si offrivano le primizie della mietitura attraverso la cottura del pane azzimo, solo più tardi Mosè ne diede un nuovo significato, la fece coincidere con la fuga del popolo ebraico dall’Egitto.
Mosè dopo aver ordinato ad ogni famiglia prima di abbandonare l’Egitto,di immolare un capo agnello, pecora o capra senza difetto e di 1 anno di età, di bagnare quindi gli stipiti e il frontone delle porte delle case affinché i primogeniti al passaggio dell’angelo di Dio fossero risparmiati.
In piedi col bastone in mano i membri delle famiglie consumarono il pasto, nel corso dei secoli,il rituale della Pasqua, pur sottoposto a variazioni e a modifiche, è rimasto sostanzialmente uguale e la festa è tuttora celebrata da tutti gli Ebrei con la massima sollenità e per la durata di 7 giorni.
Secondo una narrazione evangelica, fu proprio nel corso di una celebrazione pasquale che Gesù Cristo istituì il Sacramento dell’Eucarestia.
La polvere dell’aia … un ricordo che torna con le belle giornate…
Nel lontano 1944 ero a Campogalliano
nella villa dello zio e l’odore della polvere dell’aia la sento ancora , come se la memoria rimanesse nell’olfatto. Sapeva di stallatico , di terra bagnata , di erba e di fieno , era il centro di questo grosso agglomerato di case , dove scorrazzavano le oche e noi ragazzi.
Eravamo in tanti , io , nipote del padrone ed una decina di figli dei contadini ….bimbetti dai cinque agli undici anni. Li ricordo ancora, Maria , la mia fidanzata (aveva sette anni come me) , la Cippa , la Romilde , Romano, Mirko , Pepo , Ghega , la Germana e le gemelle Bocia e Grìlein (una grassotella ed una magrina). Molti avevano un soprannome e come si usa dalle nostre parti , davanti al nome delle femmine c’era sempre l’articolo.
In quell’aia si trebbiava il grano , si ammazzava il maiale , si batteva il frumentone (mais) ,si ballava e si cantava all’epoca della pigiatura dell’uva. Ecco perché quella terra conservava tanti odori , era una polvere fina che col vento della sera si sollevava leggera assieme a qualche piuma d’oca o a qualche foglia secca.
Noi correvamo sempre , scalzi o con le scarpe , scansando buazze ed escrementi dei cavalli che transitavano lenti trainando i carri colmi di erba. Andavamo verso il canale a catturare rane , Ghega , che era il maschio più grande , era il cacciatore specializzato , aveva un fil di ferro ad anello posto nella cintura e ad una ad una infilzava le rane , che continuavano a scalciare nella crudele agonia. Poi tutti a fare pipì , le femmine accovacciate nelle erbe alte , e noi maschi a zampillare nelle lente acque del canale , che mandavano bagliori dorati nella luce del tramonto.
La sera l’aia non era morta , si riempiva di sedie e i contadini stanchi , bevevano, fumavano e chiacchieravano alla luce della luna , uno intonava …”vilàn pèra so chi boò” (villano guida quei buoi) …e il canto …quasi sottovoce , accoglieva la notte tranquilla il quel piccolo territorio, mentre non molto lontano c’era chi moriva per una assurda guerra.