Ramadan Ramazan
La mia vicina di casa è mussulmana. L’altro giorno l’ho invitata per un caffè ed ha declinato l’invito dicendomi: <Non posso venire perché non posso mangiare in questo periodo: è Ramadan>
Che cosa significa?
Non è la prima volta che si parla di religione in questo blog. Sono stati postati articoli che spiegavano la Pasqua, altri che parlavano delle differenze tra la Pasqua Cattolica e Pasqua Ortodossa.
Nel quadro delle “feste degli altri” si è raccontato del capodanno Iraniano (Norouz = Nuovo giorno) e recentemente è stata fatta una bella riflessione sulla Pentecoste.
Dato che risiedono in Italia un milione e mezzo di mussulmani e attualmente siamo arrivati alla fine del mese sacro di Ramadan, del digiuno e della purificazione, mi sembra giusto cercare di capire e di conoscere questa ricorrenza.
È importante sottolineare che cristiani, mussulmani ed ebrei hanno un solo Dio ed è lo stesso per tutte e tre le religioni. Cambia nome, ma è sempre lo stesso.
Nel mondo l’Islam è la seconda religione dopo il cristianesimo (inteso come cattolici, protestanti e ortodossi insieme)
In Europa i mussulmani sono circa: 53 milioni, di cui 16 milioni nell’Unione europea.
in Germania ci sono 4 milioni di mussulmani (su circa 80 milioni di abitanti)
in Francia sono 3,5 (su circa 65 milioni di abitanti)
in Uk 2.8 (su circa 63 milioni di abitanti)
E in Italia 1,5 milioni (su circa 60 milioni di abitanti)
Da qui l’importanza dell’Islam ed anche la necessità di saperne qualcosa di più, per capire e rispettare anche gli altri.
Durante il mese di Ramadan, i mussulmani non mangiano, non bevono e non fumano nelle ore diurne per tutto il mese. Quest’anno dal 28 giugno al 27 luglio.
È un sacrificio che si fa dall’alba al tramonto. È un’esperienza d’auto-disciplina che permette a ciascuno di conoscere la rinuncia e la privazione della povertà.
Il significato spirituale del digiuno è di insegnare all’uomo l’autodisciplina, l’appartenenza a una comunità, la pazienza e l’amore per Dio. Ricorda inoltre le privazioni dei poveri e mette il fedele praticante nelle stesse condizioni dei diseredati.
Quando tramonta il sole il digiuno viene rotto (Iftar) secondo la tradizione mangiando un dattero, perché così faceva il Profeta Maometto.
E poi comincia la festa, con cibo tradizionale e musiche.
Ho pensato che fosse interessante parlarne.
Abbiamo fatto un viaggio nel magico, sia io che Enrica, in due momenti diversi, ma poi le impressioni e lo stupore, addirittura lo sbigottimento sono stati gli stessi. Siamo rimaste affascinate, abbagliate, sedotte, da questa città assolutamente speciale, dove la gente è gentilissima, ospitale e serena, anche se tanta, tanta, tanta.
La città è affollatissima, sempre, in qualunque ora del giorno e della notte, ma i mezzi di trasporto funzionano molto bene e, dopo pochissimo tempo, ci si orienta senza grandi difficoltà.
Lascio ad Enrica la descrizione dettagliata di alcuni monumenti, non tutti, perché sono talmente tanti e talmente tante le cose da vedere, che ci vorrebbero almeno cento pagine per descriverli. Io mi limiterò a darvi un’impressione generale ed a postare una piccola parte (non abbiate paura, una piccolissima parte) delle più di mille foto che ho fatto.
Istanbul: “la città per eccellenza” come la chiamavano i greci. L’etimologia forse non è certa, ma quello che è certo è che Istanbul è stata, per sedici secoli, una grande capitale ed ancora esercita un fascino sottile sui suoi visitatori.
Prima, capitale dell’impero bizantino, poi dell’impero ottomano. Bisanzio, Costantinopoli, Istanbul…
Istanbul 14 milioni di abitanti forse 20 milioni. Immensa, caotica, preziosa, segreta, misteriosa.
La leggera brezza che ti accarezza verso sera, sul Bosforo, dopo una calda giornata, ti fa rivivere.
Una lieve foschia… un vento fresco ed i gabbiani che danzano intorno al battello che ti porta in Asia, a Kodiköy, in questo quartiere vivacissimo, pieno di mercati e di ristoranti di pesce .
Costruita in un luogo strategico, dotato di difese naturali e dal quale si potevano controllare i commerci sul Bosforo, Istanbul è stata una città chiave, ricchissima.
Stanboul… dove Asia ed Europa si incontrano, si mescolano i colori, i suoni, gli odori ed i profumi più differenti.
Suoni di preghiere, del muezin, di tamburi e di strumenti a corde o a fiato; le grida dei mercanti che propongono le loro merci colorate o le pannocchie di granturco o le ciambelline tipiche, i simit ricoperti di sesamo.
Odori di spezie, pungenti, aspri, dolciastri. E poi i colori… il rosso e il blu dei tramonti sul Bosforo, il rosso del tram tradizionale in İstiklal Caddesi, la strada lunga ed elegante di Galatasaray che va fino a Taksim. E i colori del Bazar… gli splendidi colori delle mattonelle di İznik… quanto
Quanto ci sarebbe ancora da dire…quanto…
Orhan Veli Kanik poeta turco1914-1950
Ascolto Istanbul ad occhi chiusi
Spira una leggera brezza dapprima
Lentamente oscillano
Le foglie sugli alberi
Da lontano, molto lontano
I perenni trilli degli acquaioli
Ascolto Istanbul ad occhi chiusi[…]
ISTANBUL RACCONTATA IN POCHE PAROLE da Enrica
…Istanbul raccontata…
Istanbul, ha una storia di più di 2.500 anni, è situata su una penisola circondata dal Mar di Marmara, dal Bosforo e dal Corno d’Oro (in turco Haliç).
Unica città al mondo a cavallo tra due continenti, divisa in quattro settori principali : il Parco Archeologico (Piazza Sultanahmet e l’area circostante), la Moschea di Solimano, la Moschea del quartiere di Zeyrek (in precedenza Chiesa di Cristo Pantocratore) e l’area circostante di tutela e le mura della città di Istanbul.
E’ una città santa, dove moschee, chiese e sinagoghe vivono fianco a fianco proclamando la loro fraternità. Famosa per i suoi palazzi, le ville e gli edifici monumentali: ciascuno, un esempio unico degli stili architettonici ereditati dagli Ottomani.
Il Palazzo Topkapi si trova sul Corno d’Oro a due passi da Santa Sofia e dalla Moschea Blu. L’intera area del palazzo, viste le sue grandi dimensioni, occupa da sola buona parte del promontorio. In passato era usato non solo come residenza privata del sultano, ma anche come luogo del potere, non a caso per tre secoli è stato il centro politico dell’Impero Ottomano.
Si compone di quattro corti progressive: le più esterne erano destinate alla vita pubblica e politica, mentre quelle più interne erano private del sultano.
La prima corte ospitava le guardie del palazzo, mentre la seconda era uno spazio semi pubblico dove si svolgevano le attività di governo.
Nella seconda corte c’è anche l’accesso all’harem, e ai locali delle immense cucine dove si preparavano pranzi e cene per l’enorme quantità di persone che abitavano il palazzo.
La terza era la zona personale del sultano, dove accoglieva ambasciatori e diplomatici da ogni parte del mondo, ma con i quali non parlava se non tramite la mediazione dei suoi visir (era impensabile che si rivolgesse direttamente ad una persona di nazionalità diversa da quella turca) . Ora in questa corte ci sono delle esposizioni di abiti, armi, gioielli e pietre preziose dell’epoca.
La quarta corte il giardino terrazzato che si affaccia sul Bosforo.
Mentre l’harem merita un discorso a parte: l’harem era la zona del palazzo dove vivevano le tantissime mogli e concubine del sultano, con gli innumerevoli figli e le schiave, inoltre c’era anche una zona completamente dedicata agli eunuchi che erano i guardiani dell’harem. Storie di donne, concubine, sultani ed eunuchi… Ma era la mamma del sultano che decideva con quale delle mogli, il sultano dovesse passare la notte.
Le moschee di Istanbul:
Nelle moschee di Istanbul, sedersi a terra, guardare i grandi soffitti e le cupole e stare lì in silenzio per un po’, è quasi una fatto normale, il bisogno di un po’ di riposo, di ammirare i bellissimi affreschi, o solamente fare il turista col naso all’insù, oppure per fermarsi a riflettere.
La Moschea Blu, la Moschea del Sultano Ahmet, è la più affollata, le pareti sono tappezzate di piastrelle che recitano versi del corano e rendono l’ambiente molto suggestivo, oltre 21.000 piastrelle in maioliche di Iznik, dalle diverse tonalità di azzurri e blu, ricoprono l’interno della moschea, trasformandola in una vera e propria opera d’arte.
Le centinaia di lampade che scendono dall’alto formano cerchi di luce rendendo ancor più bello e suggestivo l’intero contesto.
Con i suoi imponenti minareti e la forma aggraziata, la moschea venne realizzata dal sultano esattamente di fronte ad Aya Sofia per competere in bellezza e grandiosità con l’opera di Giustiniano.
E’ la più grande e maestosa moschea di Istanbul, elegante e suggestiva. La luce che filtra dalle moltissime finestrelle dai vetri colorati regala un’atmosfera magica.
Situata al centro della piazza di Sultanahmet, questa moschea è il vero e proprio simbolo di Istanbul. Punto di riferimento sia per i turisti che per gli abitanti della città. Unica nel suo genere. Il giardino esterno è ben curato (come tutti i parchi presenti a Istanbul) e l’interno è ancora più spettacolare. Si entra naturalmente scalzi, le donne anche con il velo e i pantaloni lunghi.
La Moschea Rüstem Pasha è talmente bella, un piccolo capolavoro di architettura ottomana, un po’ difficile da raggiungere, alle spalle del mercato delle spezie, ma vale la visita. Un vero gioiellino di ceramica nascosto nel caos di questo quartiere.
La Moschea di Solimano collocata in cima ad un colle, poco distante dal gran bazar, gode di una posizione fantastica, anche se molto simile alla moschea Blu o alla moschea Nuova, è forse la più bella delle tre e sicuramente meno affollata! E’ bellissimo ammirarla dal ponte di Galata, dove il suo profilo svetta imponente.
Ma è la chiesa – moschea, ora museo, la Basilica di Santa Sofia (Ayasofya) la più importante per grandezza e per decori.
La basilica di Santa Sofia è decisamente molto bella. I mosaici sono stupendi e la visita interessante. Si trova a poche centinaia di metri dal Palazzo di Topkapi, imponente, con all’interno un misto di stili e reperti sia cristiani che musulmani, arte e storia unite da due religioni che non si sono sovrapposte una all’altra.
Davvero originale il miḥrāb (è simile come idea al nostro pulpito e da lì l’imam dirige la preghiera, il miḥrāb è costruito in direzione della Mecca) che non coincidendo con il vecchio altare, risulta invece decentrato. Ad ogni modo il risultato di questa fusione di stili e culture è eccezionale. Nessun posto al mondo racchiude in sé tanto fascino.
La Cisterna basilica, altro luogo fantastico, le luci, l’ambiente umido molto particolare, con le colonne che escono dall’acqua, producono un effetto davvero suggestivo.
È una cisterna sotterranea, costruita durante l’impero romano, che in passato raccoglieva le acque da fornire a tutta la città.
Più di 300 colonne immerse nell’acqua, che gocciola anche dal soffitto. Un’atmosfera magica, immersa nel buio più totale del sotterraneo, illuminato da alcune luci artificiali. L’enorme distesa di acqua, le colonne che vi emergono, le passerelle sull’acqua, i pesci che si vedono sott’acqua e al termine del percorso le due teste di Medusa che sorreggono 2 colonne.
Il Gran Bazar è considerato il più grande mercato coperto del mondo. Una curiosità: sembra che i sultani amassero passeggiarvi in incognito, non solo per osservare la merce esposta, ma anche per sentire i commenti del popolo sul loro operato. Il Gran Bazar rispecchia sostanzialmente la sua architettura originaria. Conta 12 accessi principali e altri 20 secondari. Si sviluppa su una superficie di 200 mila metri quadrati e conta circa 4000 esercizi commerciali. Qui gli odori i colori, i profumi delle spezie, inebriano l’olfatto e la vista, mentre non si può fare a meno di assaggiare i pistacchi, nel gran bazar si incrociano i colori delle pelli e il brillare di anelli e collane, orologi e pentolame di rame.
Nella parte della città denominata Beyoğlu una curiosità è visitare, nel quartiere di Galata, la torre omonima che fu costruita dai genovesi dopo la quarta crociata.
Fare la crociera sul Bosforo è il modo migliore per apprezzare le due sponde, imbarcandosi su uno dei tanti traghetti che ne solcano le acque.
Con il vento in faccia, i tempi rallentati e qualche ora a disposizione, si ha il modo di osservare la costa di Istanbul e di ammirare le costruzioni sulle rive, i colori del mare e della vegetazione, i palazzi e le residenze da una prospettiva assolutamente particolare.
La sera al ritorno ammirare dal ponte di Galata, che unisce le due sponde, il tramonto, è uno spettacolo suggestivo.
L’ultima tappa per me è stata la stazione Sirkeci, dove hanno allestito un museo, con cartelli e divise, che ricordano l’Orient Express, il treno di lusso che collegava Istanbul a Parigi, che permise alla Turchia di allacciare scambi non solo diplomatici, ma anche turistici e industriali, trasformando Istanbul in una delle mete più ambite.
Il giorno successivo per l’ultima volta ci sveglia il canto del muezin che richiama i fedeli alla preghiera, sono le cinque del mattino questo canto per sette giorni ci ha accompagnato.
Istanbul suoni colori profumi di spezie e tante cose da vedere.
Inserisco questo filmato che dà un’idea abbastanza precisa della città, abbiate pazienza e superate il primo minuto che è solo introduttivo
Questo secondo filmato mostra uno dei quartieri più carateristici di Istanbul
Infine un filmato sul Gran Bazar di Istambul
BUONA LETTURA A TUTTI DA ENRICA E PAOLA!
Monet e la sua casa a Giverny
Claude Monet, nella primavera del 1883 si trasferì con la sua famiglia a Giverny, un piccolo centro della Normandia, una delle regioni più ricche di fascino della Francia. Nel piccolo villaggio trovò una grande casa rosa, con le persiane verdi, un frutteto che era protetto da alti muri perimetrali, costeggiato da siepi di bosso, tassi e pini. Non era il genere di alberi che il pittore amava, tanto che li fece abbattere, solo i due tassi davanti alla casa furono salvati, grazie alle insistenze della moglie Alice.
Durante il suo soggiorno in Olanda, aveva molto ammirato le distese di tulipani e narcisi e giacinti; proprio per questo motivo e per creare un giardino da dipingere, molte delle piante vennero soppresse, vennero create aiuole strette e lunghe dove vennero piantati anemoni, gladioli, papaveri orientali, aster, tulipani, dalie, che, a seconda della fioritura nelle diverse stagioni, cambiavano creando giochi di colore.
I fiori, con colori, luci e trasparenze, le piante scelte per essere accostate in base ai loro colori e poi lasciate crescere spontaneamente intervenendo il minimo indispensabile, in modo da imitare il più possibile la semplicità della natura. Sul grande prato aveva disseminato fiordalisi, margherite e papaveri, fece piantare dei Prunus ornamentali, ciliegi e meli, amava le leggere fioriture primaverili, molto simili a nuvole.
Le rose rampicanti e le clematidi fanno scena ai bordi del grande viale, attorcigliate su degli archi di metallo mentre a terra le rose, le peonie, i gigli, e anche girasoli.
Molto bello è il tappeto di nasturzi di tutti i colori.
Dopo dieci anni dall’acquisto della casa, Monet acquistò un lotto di terreno confinante, dove scorreva un affluente del Reno, qui iniziò a costruire un giardino con ispirazione giapponese, fece costruire un ponte e un laghetto di ninfee. Il glicine, quando era in fiore, ricopriva il ponte, i salici piangenti, con bambù e azalee facevano da cornice a questo incanto. Considerato dai vicini di casa come un personaggio eccentrico, (sospettavano che potesse avvelenare le acque con i fiori che vi galleggiavano sopra) riuscì a vincere anche la loro diffidenza.
Questo delizioso giardino d’acqua, ricco di luci filtrate, trasparenze e immagini riflesse, ispirò gli oltre 200 quadri del ciclo delle Ninfee, oggi ospitati nel museo dell’Orangerie a Parigi.
Appassionandosi sempre di più alla botanica, Monet era in continua ricerca di nuove varietà, accostando con semplicità e maestria specie semplici (primule e non ti scordar di me) a specie molto più sofisticate, che acquistava senza badare a spese.
Leggeva libri di giardinaggio e scambiava con i propri amici semi e bulbi.
Orgoglioso di questa sua creatura, in parte copiata dalle stampe cinesi che collezionava, permetteva agli amici di visitarlo, l’unica regola da seguire era che: ” dovevano essere presenti prima delle cinque pomeridiane” ora in cui i fiori iniziano a chiudersi. In questo piccolo paradiso Monet trascorse quasi 40 anni della sua vita dipingendo questi fiori bianchi che scivolano sulla superficie dell’acqua, creando delle vere e proprie sensazioni.
Pochi luoghi furono studiati con tanta assiduità come lo stagno di Giverny.
Monet morì nel 1926, la figlia Blanche continuò ad avere cura di questo paradiso, ma alla sua dipartita, la casa subì parecchi anni di degrado.
La casa e i suoi giardini nel 1980, sono stati aperti al pubblico; dal 1° aprile al 1° novembre di ogni anno sono vistabili, fanno parte della fondazione Monet, che si è impegnata nel restauro, per ritornare all’immagine poetica di colore, che solo il pittore poteva creare.
Con l’estate si parla anche di vecchi e di panchine… non solo di vacanze e viaggi.
Vivere con lentezza, trovare il tempo di soffermarsi a pensare, seduti su una panchina.
Per un giovane la lentezza è un momento di relax, un piccolo regalo.
Per una persona anziana la lentezza è un handicap, una disabilità, un ingombro alla libertà, limita.
Che pensa un anziano seduto in un parco su una panchina? Medita? Si lascia vivere e prende le cose come vengono?
O invece è solo arrabbiato con la vita?
Spesso i pensieri non devono aver fretta, vanno centellinati ed assaporati, sono ricordi che passano.
Ma il tempo è tanto a volte, forse troppo per un vecchio e fa caldo.
Torna al solito parco, solo.
Sceglie un angolo consueto, un’abitudine che abbia il sapore di casa e l’anziano si siede all’ombra, al solito posto, e considera con lentezza.
Bene, Franco Muzzioli ci invita a riflettere; ci provoca un po’ com’è sua abitudine… ma ci stimola a parlare. (pca)
Ed ora ecco la riflessione di Franco
In altro sito, si è parlato giustamente dei cani e del loro abbandono estivo, ma girando per giardini pubblici e parchi, è facile vedere un vecchio seduto su di una panchina, appoggiato al bastone, che si deterge il sudore con un fazzoletto antico e cerca di raccogliere tutta la frescura che l’albero, sotto il quale si è seduto, gli può dare.
Ha lo sguardo rassegnato, forse stanco, guarda nella sua mesta solitudine i pochi bambini che giocano a palla e cerca ogni tanto di abbozzare un sorriso, nella speranza che qualcuno lo veda e possa scambiare con lui qualche confortevole parola.
Mostrare sensibilità ed interesse verso gli animali ci fa sentire più buoni, ma con la consapevolezza che in fondo si tratta di cani e di gatti.
Il vecchio, lasciato solo nell’afa estiva, perché è ovvio che si deve andare al mare, penso sia un’altra cosa.
Nella scala dei valori non ci dovrebbero essere dubbi, ma non ci stupiamo se i supermercati, con aria condizionata, sono pieni di anziani che si litigano le rare panchine e gironzolano vani, tra vetrine di negozi nei quali non entreranno mai.
Sono in fondo vecchi, a loro non interessano più le spiagge affollate o le faticose montagne, “stanno bene a casa loro”, non importa se sono senza condizionatore e se l’unico amico è una televisione accesa.
Loro, la vita, l’hanno già vissuta !
Come al solito cerco con le mie parole di graffiare, di mettere la coscienza (la mia compresa), alla prova.
È facile vedere il mondo dalla parte del bello ……
ogni tanto val la pena infilare le mani nei nostri egoismi ed in quelli dei nostri figli, ricordando a tutti che se non si muore giovani, inevitabilmente si diventa vecchi!!!!!!!!!!!!!!
Quanta strada ha fatto Bartali !
Anche il tour de France esce dai confini in un afflato europeo, quest’anno inizia in Inghilterra…..chissà che cosa ne penserebbe Bartali ?….Che il 18 luglio compierebbe cent’anni !!!!
Lo ricorda Paolo Conte……..” quanta strada nei miei sandali , quanta ne avrà fatta Bartali, quel naso triste come una salita , quegli occhi allegri da italiano in gita “…..
Vinse quel Tour del 1948, l’anno dell’attentato a Togliatti e si dice che fu proprio la sua vittoria ad evitare una guerra civile.
Come scrive Leonardo Coen, non era solo un caparbio ciclista …quello del: “tutto sbagliato, tutto da rifare”, era un uomo meraviglioso che nel 1946, vinse il giro della Ricostruzione, tra macerie morali e materiali.
“Pochissimi sapevano che aveva vinto sfide molto più pericolose. Con i nazisti e i repubblichini. La Resistenza pedalata di Gino Bartali era stata sempre sul filo del rasoio: – staffetta – della rete messa in piedi dal rabbino Nathan Cassuto e dal cardinale Elia Angelo Della Costa.
Sotto il sellino e nel telaio della sua bici, Bartali celava foto e documenti contraffatti. Furono 800 le persone salvate in questo modo; moltissimi ebrei, ma anche antifascisti, soldati alleati e partigiani. Lui non se ne fece mai vanto. Tenne per se il segreto “Certe cose si fanno e non si dicono” rispose a suo figlio Andrea che gli aveva chiesto perché era stato zitto in tutti questi anni. Eroe silenzioso, per Yad Vashem merita il sacrario della Memoria di Gerusalemme, che un anno fa lo ha eletto – Giusto tra i Giusti delle Nazioni –
Auguri caro Gino, vai ancora sulla tua pesante bicicletta tra le nuvole nel paradiso delle brave persone, noi che abbiamo gioito delle tue vittorie … cerchiamo di scorgerti tra le luce del tramonto per salutarti con la mano.
…..se tu vuoi andare vai ….e vai….che io sto qui e aspetto Bartali …tra i francesi che si incazzano …..e i giornali che svolazzano……la…la….la
http://www.youtube.com/watch?v=irRvBhUA7DA
Gugli ci propone una “piccolissima storia del letto” ed io, per voltare pagina per un po’, dagli articoli precedenti, ve la passo, corredata da tante foto di letti d’epoca o stravaganti, letti dei ricchi e letti dei contadini. Letti modernissimi e letti antichi. Letti esotici… E per finire in allegria un filmatino comico…
Torneremo anche sul paesaggio e sulla situazione della donna, ma per ora una piccola digressione allegra.
Buona lettura!
Letti moderni, posizionati in modo personale nella camere da letto, letti di tutte le forme, a volte di forme strane, girevoli, rotondi, col baldacchino.
Sono tornati di gran moda il letto in ferro battuto con il tubo di ferro che l’artigiano lo piegava e dava le forme, quel tocco di genialità. Nella testata, nel centro, veniva inserito un’immagine sacra, e ai lati delle testate le sfere che le dava quel tocco di eleganza.
Erano letti presenti in quasi tutte le case. Ricordo il letto di mia nonna è stato recuperato ed è nella casa di campagna, con una rete a doghe di legno e di un materasso a molle molto confortevole, ci si dorme benissimo.
I materassi a molle non esistevano negli anni trenta quaranta, a parte le testate che abbiamo ampiamente descritto, ma come era fatto il resto del letto, il materasso, le reti?
Queste camere che vi descrivo sono quelle del popolo, dei contadini, della gente normale, non certamente dei signori dei borghesi.
Nelle case dei contadini il letto non aveva la rete le testate erano unite da due sbarre di ferro laterali, sulle quali poggiavano delle striscie di lamiera intrecciata e su cui veniva disteso il saccone.
Il saccone era un grande sacco fatto di una stoffa di canapa fatto a telaio (nelle famiglie contadine vi era presente in ogni casa un telaio per tessere il lino per il fabbisogno della famiglia) il saccone viene riempito di foglie di grano turco, naturalmente fatte seccare al sole. Ecco il letto di quei tempi.
Per comodità e per renderlo più morbido, sopra il saccone di foglie si metteva un altro sacco, riempito di piume di gallina, ma siamo già nel moderno.
Si arriva alle reti di ultima generazione…… ed a letti molto molto strani
Ed infine, a gentile richiesta… “il MATERASSO”
Belle le leggende del nostro Paese… Bracco ce ne ripropone un’altra, raccontata da Paolo Marzi.
Continuiamo il viaggio nella storia e nelle leggende del nostro “Belpaese”.
Ancora una volta Paolo Marzi ci racconta, in modo semplice e comprensibile, un’altra storia, un’altra leggenda della Garfagnana e nel suo racconto c’è tutta la passione per questa valle.
E’ bene ricordare che le leggende traggono il loro contenuto dalle vicende di una comunità, da eventi che si presumono realmente accaduti, da fatti storici. Le leggende hanno una posizione precisa nel tempo, una determinazione di luoghi, date e personaggi.
In questo blog ritengo sia interessante questo tipo di narrazione perché appartiene a un genere popolare che più degli altri era raccontato per le vie e per le piazze. Intorno a uno stesso evento ciascuna regione, ciascun paese elaborava la “sua” leggenda inserendo notizie e aggiungendo informazioni diverse. In questi racconti perciò ognuno può ritrovare qualcosa di magico che lo ricollega alla propria terra.
Infatti, a supporto di quanto scritto sopra riporto integralmente il commento di un vostro caro amico, Giulio Salvatori, nel precedente racconto del Ponte del Diavolo:
“Si Bracco, le nomino spesso le Apuane, ma vista la tua capacità descrittiva, lascio a te la penna, da già che parlerai del Monte Procinto, non ti dimenticare il Monte Forato, semmai, ti sarò di supporto con qualche commento: Alla prossima”.
Il Monte Forato: la sua origine, la sua storia, la sua leggenda.
Tante cose nella Garfagnana sono uniche e meravigliose e proprio perché sempre sotto i nostri occhi poco le apprezziamo…Ad esempio, il monte Forato forse è unico nel suo genere mai però ci siamo domandati la sua origine e la sua storia.
Bene, allora facciamo un po’ di ordine. In passato era chiamato anche Penna o Pania Forata si trova (è bene dirlo) nonostante che sia ritenuto (giustamente) anche patrimonio garfagnino interamente nel comune di Stazzema (Versilia).
La geologia freddamente ci dice che: l’arco è naturale e cominciò a formarsi circa 220 milioni di anni fa e ci dice che la causa di ciò è dovuta dall’erosione di acqua e vento sulla roccia calcarea. Il monte ha una campata di 32 metri e lo spessore della roccia che forma l’arco è circa 8 metri mentre l’altezza è circa 12 metri. Da sempre, ha attirato scienziati, escursionisti e curiosi. Inoltre ha stimolato la fantasia popolare nella creazione di storie e di leggende sull’origine del foro stesso. Difatti si dice che un giorno San Pellegrino venne tentato dal diavolo a Bocca di Fornello (antico valico del sentiero tra Garfagnana e Frignano) mentre era intento a costruire una grande croce di faggio che voleva sistemare bene in vista, sulla vetta dell’Alpe.
Dapprima si manifestò in un drago spaventoso con viscide squame e narici infuocate, poi lo stesso drago si trasformò in un’affascinante fanciulla che tentò di sedurre il santo, ma San Pellegrino rimase tranquillo per niente turbato dalla presenza di quelle strane creature di cui conosceva bene la natura e l’intento. Il diavolo decise allora di presentarsi di persona sotto il suo terribile aspetto e quando si trovò di fronte a San Pellegrino gli rifilò un bel ceffone, che lo fece girare tre volte su se stesso e cadere poi a terra tramortito.
L’eremita, ormai stanco delle angherie del diavolo, si alzò e ricambiò il ceffone con un altro più energico, che fece attraversare al diavolo tutta la valle del Serchio, mandandolo
a sbattere contro le Panie trapassandole da parte a parte.
L’impatto dette così origine a quella bizzarra apertura nella montagna oggi conosciuta come il monte Forato.
Ed infine ultima curiosità un quadro di Andrea Markò (pittore paesaggista di origini austriache) intitolato “Il monte forato nelle Alpi Apuane” del 1871 e conservato nel Museo di Palazzo Pitti a Firenze.
Gli onori quindi non finiscono mai!
http://www.youtube.com/watch?v=T3hcMzKDcUg&feature=youtu.be
Lucia1.Tr ci ricorda che ieri è stato un anniversario importante: il centenario della scintilla che decretò l’inizio del primo conflitto mondiale che vide coinvolte nazioni europee, asiatiche, americane, in un lungo e sanguinoso conflitto.
28 giugno 1914, Sarajevo. Giorno di San Vito, festa nazionale serba.
L’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria-Ungheria, e sua moglie Sofia sono in visita ufficiale nella città bosniaca. Mentre la loro auto attraversa la città un’esplosione distrugge la vettura che segue l’arciduca, ma lo studente Gavrilo Princip, membro della Mlada Bosna (Giovane Bosnia), gruppo politico che mirava all’unificazione di tutti gli jugoslavi (slavi del sud), riesce successivamente a sparare alcuni colpi di pistola, ferendo a morte Francesco Ferdinando e Sofia.
Il gesto fu assunto dal governo di Vienna come il casus belli che diede formalmente inizio alla prima guerra mondiale. Infatti dopo solo un mese dall’uccisione della coppia, il 28 luglio, l’Austria-Ungheria dichiarò guerra alla Serbia.
……..Il conflitto sarebbe stato senza precedenti nella storia: oltre settanta milioni di uomini mobilitati, con la perdita di oltre nove milioni di soldati e cinque milioni di civili. Fu una reale ecatombe, per cielo, per terra e per mare e in trincea.(informazioni dal web)
Riflessione:
Poiché le guerre cominciano nelle menti degli uomini, è nelle menti degli uomini che si devono costruire le difese della Pace
(Costituzione Unesco, preambolo, 1945)
Dopo aver letto e discusso il post precedente di Bracco, Alba ha avuto voglia di scrivere e di raccontare vita vissuta.
Così mette a contrasto la sua esperienza di quando era ragazzina, con un episodio al quale ha assistito in questi giorni e che l’ha particolarmente scioccata.
Due epoche, due generazioni a confronto e devo dire due eventi estremi.
La nostra morale si è evoluta in 50 anni, ha subito una trasformazione quasi radicale e atteggiamenti che suscitavano scandalo allora, attualmente sono diventati normali.
Ma che cosa è accaduto realmente?
Quale è stato il percorso compiuto per arrivare ad un cambiamento così drastico?
In ogni epoca storica ci sono stati mutamenti, trasformazioni, modifiche, evoluzioni, ma, come dice Alba, sembra che in questa nostra stagione tutto avvenga più rapidamente.
Lascio la parola ad Alba e poi a voi Eldyani per aprire una discussione sul tema “cambiamenti”. Considerate che questi sono due episodi estremi e che non tutta la generazione attuale si specchia nelle ragazzine che ha incontrato Alba. F o r t u n a t a m e n t e. (pca)
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Viviamo in un’epoca dove tutto fila veloce e le ragazzine sono precoci, anche nella preparazione sessuale sia teorica che pratica.
Come ogni bimba degli anni 50 io ero all’oscuro di come avveniva la crescita e lo sviluppo del nostro corpo.
Un ricordo indelebile è quando mi sono sviluppata.
Come ho già scritto ero piuttosto prosperosa per l’età ed il ciclo mestruale non tardò ad arrivare.
Ero in 5a elementare e una mattina vedo il banco che sanguinava, corsi dalla maestra, lei dalla bidella che mi accompagnò a casa e farfugliò qualcosa con mia madre.
Lei non parlò, aprì un cassetto a noi bimbi proibito, tirò fuori una pezza bianca con delle granfie e mi disse in dialetto genovese, l’unica lingua che parlava, “ti dei diventà donna”.
NoOOOOOOOO! io ero bambina, non capivo e poi mi sono tagliata ecco perché esce il sangue .
Solo che io morivo dalla vergogna, non volevo più uscire di casa, sono stata la prima tra le amiche che avevo e tutte volevano sapere quello che io non sapevo; ecco come eravamo noi ragazzine, allora.
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L’altro giorno ero seduta su una banchina e, di fronte ad una scuola media, vi era un gruppo di ragazzine che penso più di 15anni non potevano avere.
Una si rivolge a un’altra: “tu sei ancora vergine?”
Che risponde “Sì perché?”
“mi dispiace” dice la prima “non puoi far parte del gruppo”.
“Cosa devo fare?” per tutta risposta ecco la frase: “fatti riempire”.
Salta fuori una terza ragazzina che dice: “vedi ieri sera mi hanno stappato ”
si io ho pensato come fosse stata la bottiglia della visci.
Senza parlare, con la bocca asciutta, mi sono allontanata e, strada facendo, riflettevo molto.
Il mio disgusto era talmente tanto che avevo lo stomaco sotto sopra.
ED ORA LA PAROLA A VOI ELDYANI
Voltiamo pagina, oggi è il primo giorno d’estate e col caldo si fa più turismo.
Bracco ritorna a scrivere e ci fa riflettere su un certo tipo… di turismo. Una formula che si sta facendo strada…
E’ arrivato il caldo…finalmente, tempo di vacanze, tempo di turismo.
Già… il turismo… quando si legge:
turismo sessuale cosa viene subito in mente?
Uomini naturalmente!
Perché il turismo sessuale per le donne si chiama “romance tourists“.
Viaggiatrici romantiche in cerca di un po’ di “amore” e un po’ di tenerezza nei tropici, donne che spesso hanno una storia di relazioni infelici.
La meta preferita è il Senegal. Lo stato africano vanta la frequentazione di un gran numero di donne, che scelgono di ‘divertirsi’ con prestanti accompagnatori del posto. Anche la Giamaica, Barbados e la Repubblica Dominicana hanno la loro buona parte di questo turismo femminile.
E’ un fenomeno in continua crescita le stime parlano di 600mila donne occidentali (tra cui almeno 30mila italiane), che nel corso degli ultimi anni, hanno cercato l’avventura con un tuareg, un beach boy o un big bamboo, com’è chiamato in gergo il gigolò di colore. Lo scopo di questo turismo non è solo il sesso ma il desiderio di avere un compagno accanto che la faccia sentire, se necessario, speciali, insomma qualcosa che gli manca a casa.
Ci sono delle domande essenziali:
Il turismo sessuale delle donne è meglio o peggio di quello degli uomini?
O sono semplicemente donne che esercitano il loro diritto di scegliere cosa fare con i loro corpi?
O rappresenta solo una nuova svolta sullo sfruttamento dei poveri del Terzo Mondo? Che da schiavi diventano padroni, almeno per una notte.
Voi che ne pensate?
MATURITà, SI PARTE, oggi è il gran giorno!
Un pensiero ai quasi 500mila maturandi che affrontano stamani la prima prova dell’esame più importante della loro carriera scolastica: la maturità. Ed un ricordo…
C’è un film “La notte prima degli esami” che parla delle trepidazioni di fine adolescenza. Era un film in chiave comica, un po’ grottesca e surreale. Ma la paura e l’ansia c’erano tutte, anche se i ragazzi si nascondevano dietro un atteggiamento spavaldo.
Bene, questo pomeriggio si chattava un po’ in Eldy (con Lucia.tr e Franci) e noi, ormai nonne e lontane dall’apprensione degli esami, ci siamo ricordate che domani cominciano le grandi prove della “maturità”, per tutti gli studenti italiani.
L’esame fondamentale, la fine della carriera scolastica, poi l’indecisione per una scelta: il lavoro o il proseguimento degli studi.
La fine di un ciclo importantissimo, formativo, impegnativo. Un alone di leggenda… il primo grande esame della vita.
Tutti gli esami sono importanti, sempre. Che siano stati quelli di quinta elementare, di terza media o di maturità, hanno visto i ragazzi applicarsi a fondo e mettersi alla prova.
Tutti gli esami che si sostengono alla fine di un ciclo scolastico rappresentano una fine ed un principio.
Ma questo è una sorta di battesimo del fuoco perché, “dopo”, è la vita che aspetta al varco.
In un primo momento non volevo sottolineare questo evento, qui in Parliamone, ma poi mi sono ricordata di me, di come ho affrontato la prova, dell’inquietudine e dell’incertezza, e del senso di liberazione una volta terminata. Allora mi sono ricordata di tante cose, di tanti attimi messi in un cassetto dell’anima, della corsa per non arrivare tardi, delle attenzioni affettuose dei miei genitori e della loro partecipazione alle mie ansie.
Il ricordo della maturità è un composto di mito e nostalgia. La prima grande prova della vita superata. La sensazione che tutto stia per cambiare ed in effetti cambierà. L’odore dei libri sottolineati e risottolineati. I bignami. Le perfette strategie per copiare che inevitabilmente naufragarono. Tutti i rituali coscienziosamente seguiti per sfuggire alla sfortuna. I quadri con i voti appesi alla parete e guardati col cuore a mille.
Sono sicura che siano poche le persone che non rammentano gli esami sostenuti, in particolare quello di maturità, l’esame per antonomasia.
Sembra che il 6% degli italiani, che l’hanno superato da tempo, sogni ancora questo mitico e terribile esame.
È possibile che questo accada, perché legato ad anni formativi e fondamentali per la crescita di ciascuno di noi, e vissuti con intensità.
Eppure, gli esami scolastici, soprattutto una volta passati, come appaiono più semplici, confrontati con quelli della vita.
Ma chissà se, rifacendoli, saremmo promossi e “maturati”.
Ci si domanda anche quanto utili siano questi esami, se lo sono davvero, che importanza abbia affrontare una simile prova.
Ne discuterei e ci riflettere su volentieri. Che ne pensano gli eldyani?
Ma poi torniamo ai ricordi…
E voi, che ricordi avete dei vostri esami? Vi fa voglia di raccontare?
In ogni caso un grande “in bocca al lupo”! ai giovani.
Una pausa dagli argomenti seri, un intervallo mentale e visivo. Alfred-Sandro, girovagando nel web, ha trovato cose interessanti e straordinarie e vi augura buon divertimento.
Una passeggiata svogliata in internet per cercare non so cosa.
Devo far venire l’ora di cena.
Non che in rete ci si annoi, ma arriva un certo momento, che non sai più che cercare ed allora ti inventi nomi, numeri, cose; inventi acronimi, sigle.
A tutto c’è una risposta, a tutto corrisponde qualcosa, devi solo dare libero sfogo alla fantasia: soltanto che, spesso, quello che trovi non ti interessa, ed allora continui nelle ricerche.
Poi frequentemente succede che da un sito, con un link, salti ad un altro e da lì ad un altro e ad un altro ancora e poi non ricordi più dove eri ed allora esci e ricominci d’accapo.
Magari hai lasciato Eldy aperto e ogni tanto dai un’occhiata e… qualcuno mugugna…..scagli la prima pietra (non contro il monitor perché serve ancora)… chi non l’ha mai fatto?
Ebbene, l’altra sera sera era proprio questo che stavo facendo, quando all’improvviso mi compare sullo schermo un’immagine molto strana: al centro di un marciapiedi di una città che non so, mi appare una enorme rana dentro un laghetto, posata comodamente su di enorme ninfea e che seriosa osserva un bimbo, anche lui posato placidamente su una foglia.
La cosa mi appare subito anomala in quel contesto e mi colpisce per questo.
Non è una vasca, neppure una fontana: è una pozzanghera. Una pozzanghera enorme su un marciapiede nel centro di una grande città! Una città apparentemente americana!
Con questo non che manchino le pozzanghere nelle città “apparentemente americane”, forse non sono grandi e profonde come quelle che siamo abituati a scansare noi sui nostri marciapiedi, ma sinceramente non ho mai visto al loro interno grosse rane, sedute su grosse ninfee, chiacchierare con bimbi anch’essi seduti su foglie.
Incuriosito faccio scorrere la pagina, velocemente perché nel frattempo è quasi l’ora di cena: altre immagini spettacolari e inusuali appaiono.
Ecco, fin’ora pigiavo svogliato sui tasti e cliccavo col mouse in cerca di chissà che, ed ora che sapevo che la cena era quasi pronta e che la voce di mia moglie mi avrebbe chiamato, avevo trovato qualcosa di davvero interessante: vabbè, questo sito non mi scappa; clic col tasto dx del mouse, crea collegamento su desktop… cosi ti ritrovo subito dopo cena!
Durante la cena spiego a mia moglie, o meglio cerco di spiegare, quello che ho trovato su quel sito ma non mi riesce di renderle esattamente l’idea: senza vedere le immagini è difficile descrivere la genialità di quei disegni, apprezzarne il senso prospettico, il contrasto di contestualità solo apparente tra il disegno e la realtà circostante.
Ci rinuncio, glieli farò vedere dopo.
Appena finita la cena corro al pc e riprendo a scorrere le immagini, sono estasiato.
Si estasiato: personalmente non sono mai stato capace di disegnare, neppure una O fatta col bicchiere! L’ultimo disegno che ho fatto era all’esame di 5ª elementare: me ne vergogno ancora adesso al pensiero di quanto era brutto!
Però quelle immagini mi rispolverano nella memoria cose lette, cose come, prospettiva, punto di fuga, dimensioni, scala, ombre, chiaroscuro, controluce, risalto, tonalità del colore, saturazione e contrasti, ecc, ecc. ecc!
Scorro le immagini di Beever:
un ameno laghetto con un gabbiano che pesca, …
e molte altre bellissime immagini.
Viene spontaneo il confronto con i madonnari sempre più rari o i graffiti writing che si vedono nelle nostre città che “decorano” muri, sottopassaggi, treni e metrò!
Ma questo artista è molto diverso. Si distacca da tutti con il suo genere.
Ho creduto potesse intressare e portare nel blog notizie simili, sono convinto che molti avranno piacere di conoscerlo se ancora non lo conoscono.
Inserisco altri link del sito, se qualcuno avesse piacere di cercarlo.
Buon divertimento.
su google: http://users.skynet.be/J.Beever/pave.htm
http://www.julianbeever.net/index.php?option=com_phocagallery&view=categories&Itemid=7
http://www.attivissimo.net/antibufala/madonnaro/artista.htm
molto interessante ed esaustivo su wikipedia riguardo i “graffitari”
http://it.wikipedia.org/wiki/Graffitismo
Una riflessione sulla Pentecoste
La Pentecoste è una solennità religiosa che ricorda il dono dello Spirito Santo fatto da Dio agli uomini e la nascita della Chiesa. Già Giovanni il battista, che aveva il compito di indicare agli Ebrei chi fosse il Messia, ebbe a preannunciare un battesimo di fuoco agli uomini, ad opera di Gesù, con queste parole: “… Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, al quale io non sono neppure degno di sciogliere il legaccio dei sandali; egli vi battezzerà con lo Spirito Santo e col fuoco.” (Luca 3:16).
Negli Atti degli Apostoli al capitolo 2, versetti 1-4, è riportata la cronaca del fatto prodigioso avvenuto agli apostoli e gli altri seguaci di Gesù: “Come giunse il giorno della Pentecoste, essi erano tutti riuniti con una sola mente nello stesso luogo. E all’improvviso venne dal cielo un suono come di vento impetuoso che soffia, e riempì tutta la casa dove essi sedevano. E apparvero loro delle lingue come di fuoco che si dividevano, e andarono a posarsi su ciascuno di loro. Così furono tutti ripieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, secondo che lo Spirito dava loro di esprimersi.”
La Pentecoste, termine greco che tradotto indica: cinquantesimo giorno, è una festa religiosa anche per gli Ebrei e già si festeggiava al tempo di Gesù. Con tale ricorrenza, che cadeva cinquanta giorni dopo la Pasqua, gli Ebrei ricordavano la consegna della legge data da Dio a Mosè sul monte Sinai.
Anche la Pasqua veniva già festeggiata dagli Ebrei e con tale festa religiosa essi ricordavano la liberazione, ad opera di Dio, del loro popolo dalla schiavitù egiziana, liberazione che avvenne con eventi prodigiosi ed infine con l’apertura delle acque e l’attraversamento del Mar Rosso.
Gesù ha voluto mutare il significato di entrambe le feste e con la sua offerta al Padre in un unico sacrificio di ringraziamento ha voluto che la Pasqua, più che ricordare la liberazione degli ebrei dalla loro schiavitù in Egitto, ricordasse la liberazione dell’uomo dalla schiavitù del peccato scaturita, nel tempo, da un cattivo rapporto dell’uomo col suo Dio. Gesù con la sua risurrezione, promessa anche a tutti quelli che credono in Lui, ha di fatto liberato l’uomo da paure, gravami e torpori ancestrali, che lo limitavano nel primario rapporto di Amore voluto da Dio con la sua creatura.
Anche la Pentecoste, per i cristiani, assume un significato tutto nuovo e più che ricordare la consegna della legge di Dio agli uomini, ha ricordato all’uomo tutte le cose fatte e dette da Gesù nella vita terrena e come quest’Ultimo si sia posto come unico oggetto di Amore per gli uomini alla ricerca di un rapporto tutto nuovo con Dio, un Dio Amore desideroso solamente di includere l’uomo, previa una sua libera scelta, in una vita felice, che dura per sempre, alimentata da una progressiva ed inesauribile conoscenza del “Vero Amore” racchiuso nell’Essenza Divina stessa.
Infatti, quando Giuda non l’Iscariota chiede a Gesù «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?». Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi …” (Giovanni 14, 21-25).
In sostanza Gesù ingloba in sé la legge di Dio sublimandola nell’amore verso la Sua persona, cioè chi diventa capace, grazie allo Spirito, di mettere Gesù al centro della propria esistenza, in automatico riesce a comprendere e camminare secondo la volontà di Dio, ma tutto ciò non fa sentire l’uomo ingabbiato e costretto ad una osservanza legalistica della legge, ma anzi lo libera completamente; infatti, l’uomo che ama Gesù si sente libero perché, dal di dentro, lo Spirito gli suggerisce, in ogni situazione, quei comportamenti idonei ad allargare sempre più la sua capacità di accogliere “l’Infinito” e di amare gli altri uomini e tutta la natura con gli stessi sentimenti di Dio.
E’ proprio tale prospettiva che fa dire al filosofo Gustave Thibon: “L’Uomo non è Libero nella misura in cui non dipende da niente e da nessuno: è libero nella misura in cui dipende da ciò che ama, ed è schiavo nella misura in cui dipende da ciò che non può amare. Il problema della libertà non si pone in termini di indipendenza ma di “Amore” . La forza del nostro amore determina la nostra capacità di essere liberi”; così pure, secondo la stessa prospettiva Sant’Agostino suggeriva al cristiano “… Ama e fa ciò che vuoi” . Ma amare chi? Amare cosa? Se non chi l’Amore e la Vita rappresenta in sé stesso? Solo lo Spirito di Dio fa comprendere all’uomo che Gesù è il vero oggetto di Amore che apre la strada alla conoscenza di Dio.
Quindi, i discepoli di allora e di sempre, nell’accogliere il dono dello Spirito di Dio gustano la bellezza di essere amati dal Padre e di amare con quello stesso “Amore” tutti gli uomini fratelli di fede e non, ai quali devono, sempre per dono ed esigenza dello Spirito, quasi come una espansione di “Amore”, recare la buona notizia del riscatto; insomma, proprio nel giorno di Pentecoste, con la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli e sui seguaci di Gesù nacque la Chiesa: “l’ecclesìa” cioè l’adunanza di persone che mettendo Gesù al primo posto coltivano quel rapporto nuovo realizzando quell’unità di Amore sia degli uomini verso Dio sia quella verso i fratelli di fede, nonché verso gli altri e la natura che attendono il riscatto finale.
Ma c’è da chiedersi ma tale battesimo di fuoco, -cioè il dono e la libera accoglienza dello Spirito di Dio, che conduce alla conoscenza di Dio, attraverso la persona di Gesù,- è riservato solo a pochi privilegiati? La risposta è: No! . Infatti, lo stesso Gesù, dopo aver ancora una volta evidenziato la bontà del Padre e la necessità di mantenere con Lui un rapporto, ci insegna che ogni persona a cuore ben disposto davanti a Dio può essere battezzata con lo Spirito Santo, infatti dice: “Ebbene io vi dico: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!» (Luca 11, 9-13).
L’uomo, sempre alla ricerca di cose che lo possano rendere felice, non sa che, molto spesso, lo Spirito di Dio è già operante dentro di lui in attesa del suo libero “Sì” .
In questi giorni due commemorazioni molto importanti che hanno cambiato il corso della storia: 70 anni dalla Liberazione di Roma (4 e 5 giugno 1944) dal giogo naziasta e il settantesimo anno dal D Day (6 giugno 1944) la sbarco e la battagla di Normandia.
Gli alleati accerchiavano da Nord e da Sud.
Penso che sia doveroso ricordarlo pure qui, anche se solo con imagini.
Chi ne ha un ricordo vivo lo condivida. Farebbe un regalo a tutti.
Sulla scia della festa della Repubblica Italiana Alba ha voluto ricordare un grande uomo, ma soprattutto un grande italiano: Sandro Pertini.
E con questo episodio di “Vita vissuta” ci riserba una sorpresa
Presidente Sandro Pertini e Alba.
Voglio raccontarvi di una persona che penso sia rimasta nel cuore di molti italiani: il Presidente Sandro Pertini.
Sandro Pertini nato a Stella, un piccolo paese nell’entroterra di Savona (Sanna in dialetto ligure )
Parlare di lui, uomo dai mille pensieri schietti, puliti, mi sembra quasi inopportuno.
So solo che il suo modo di esprimersi, con i concetti di lealtà, sincerità, entravano nel nostro cuore come le parole ed amico Papa Karol Wojtyla
Nella lotta antifascista non si è mai risparmiato, ha combattuto nella resistenza e sapeva cosa voleva dire lavorare con le mani; lo aveva fatto a Nizza in Francia durante il suo esilio.
Era un vero socialista, adorato da tutti ed è stato il Presidente d’Italia più amato.
Il nostro incontro è stato semplicemente una casualità.
Lui a Genova per impegni, ma molto spesso trasgrediva il protocollo ed io sono stata il suo fuori programma.
Era entrato in un caffè pasticceria: “Mangini”, dove Pertini, quando era direttore del giornale il Lavoro, si fermava a fare uno spuntino.
A Genova la Superba, in un signorile palazzo ottocentesco, vi è il caffè Mangini.
Una targa in marmo posta all’esterno del locale ricorda il Presidente.
L’eleganza del caffè in stile liberty, con stucchi, porte a specchio, il pavimento a scacchiera, sono ancora oggi gli originali, dal 1876.
Un arredo raffinato, elegante, dove il bancone di rovere esalta la sua bellezza. Dove Lui era abituato a sedersi hanno chiamato la saletta col suo nome .
Al Presidente piaceva un nostro dolce la “sacripantina” preparata con strati di pandispagna imbevuti di liquore, caffè, cacao, crema di burro.
Il bar si affaccia in una delle piazze più belle di Genova, piazza Corvetto, dove c’è il monumento a Vittorio Emanuele, bellissime aiuole, e vicino ad un grande parco con molte fontane. La belle Genova sconosciuta al turista frettoloso.
Allora ditemi quando il Presidente viveva a Genova vi era di casa al Mangini; non ha potuto resistere, ha fatto un fuori programma, ed è qui che uscendo dal caffè mi ha vista.
Io allora attraversavo un momento triste e pur di dar da mangiare ai miei figli lavavo delle scale ed ero alla fontana a sciacquare lo straccio, quando mi sentii una mano sulle spalle ed una voce che disse “Voglio stringere questa mano piena di sale della sapienza” Io mi rigirai e lo vidi. Tanta fu l’emozione che mi ingambai nel secchio, tremavo come una foglia, non riuscivo a parlare, è stata una grande emozione.
Non dimenticherò mai quell’uomo minuto con la pipa in bocca che sprigionava amore per il prossimo.