il 2 febbraio:
la Candelora con i suoi detti, e le sue tradizioni e la ricetta delle crêpes.
La commemorazione della presentazione di Gesù al Tempio, 40 giorni dopo la sua nascita ed anche la benedizione delle candele; tutto questo lo sappiamo bene.
Io vi dò un detto in dialetto
« Col dì de’a Candeòra
de l’inverno semo fora;
ma se piove o tira vento,
de l’inverno semo ancora ‘rento. »
(dialettale veneto)
Mi pare che più dentro di così con neve in tutta Italia…
C’è una leggenda, che risale al quinto secolo, che dice che le crepes hanno avuto origine un giorno di Candelora. Infatti Papa Gelasio avrebbe sfamato i pellegrini, provenienti dalla Francia, con sottili sfoglie di pasta fritta. I francesi chiamarono questo cibo “crepes” cioè, ‘arricciate’ (dal latino, “crispus”) e da allora, in Francia divenne il dolce tradizionale del 2 febbraio e si dice anche che, quando si rovescia la crepe nella padella si debba esprimere un desiderio. Ma tenendo anche una moneta in mano… é importantisimooooo!
Oggi, come ogni anno, faccio le crespelle dolci e nel quadro del “non ci credo, ma lo faccio ugualmente” mentre friggo le crespelle tengo una moneta in mano.
Io vi dò la ricetta… poi fate come volete…
Ma mi piacerebbe sapere se ci sono altre tradizioni speciali per il giorno della Candelora!!!!
Crêpes
Per circa 6 persone
Tempo di preparazione una mezzoretta
125 g farina
2 grosse uova
60 g zucchero
50 cl di latte intero
Un cucchiaio olio vegetale
del sale
40 g burro
Mescolare tutti gli ingredienti eccetto il burro
Deve risultare una pasta fluida e densa della consistenza della panna liquida
Lasciare riposare un po’
In una padellina sciogliere un poco del burro e mettere una mestolata dell’impasto
Fare la crepe girando la padellina affinché il liquido si distribuisca bene sul fondo
poi con un colpo secco e con una moneta nella mano fare saltare la “frittatina” per farle cambiare di verso e farla dorare dall’altro lato
Se si attacca al soffitto non preoccupatevi, ricominciate: sciogliere il burro, mettere una mestolata e cercare di non farle più appiccicare al soffitto.
Spolverate le crepes sopravvissute di zucchero al velo e buon appetito
Sandra, con la consueta grazia che la caratterizza, si “confessa” e ci racconta, senza reticenza, un episodio accadutole di recente .
La fretta nel giudicare, la precipitazione nell’arrivare alle conclusioni… l’equivoco, il malinteso che poi fa soffrire. Ecco di che ci parla Sandra.
Molti di noi non l’avrebbero ammesso così pubblicamente, invece Sandra ce lo narra proprio per farci riflettere, tutti quanti.
Il suo è anche un ottimo esempio di onestà morale: riconoscere i propri errori (piccoli o grandi, poco importa), ammettere di aver sbagliato.
Quanti di noi si fissano alla prima impressione? Quanti danno un giudizio affrettato e superficiale e da quella posizione non si smuovono?
Quanti si sentono offesi da quella che pensano sia la realtà, la loro interpretazione della realtà e vanno avanti sulla base di un equivoco, senza approfondire e fermandosi solo alle apparenze?
Ammettere con semplicità di aver preso un abbaglio, riconoscere con onestà di aver sbagliato, è proprio questo il modo di superare gli equivoci. (pcon)
EQUIVOCI
Equivoci, se cerco questa parola sul vocabolario trovo: “capire una cosa per un altra” oppure, io aggiungo, non fermarsi all’apparenza.
Infatti quante volte ci è capitato di non riflettere su una piccola cosa mal interpretata, star male e far star male chi ci sta attorno, inquadrandola solo dal nostro punto di vista, ingigantendola nella nostra mente, fino a farla diventare quasi un dramma, mentre, con un piccolo ragionamento, una semplice spiegazione fatta subito, avrebbe chiarito tutto, rimettendo le cose nella loro giusta dimensione.
L’apparenza inganna sempre, vale la pena di chiarire subito i fatti quando si ha qualche dubbio, non lasciare passare del tempo inutilmente.
Questo serve solo a scavare un solco fra due persone allontanandole e rendendo sempre più difficile riallacciare i contatti; ognuno intestardito nella sua posizione, ostinato, offeso senza apparente motivo, resta così difficile fare il primo passo e così si rischia di rovinare delle belle amicizie, sorgono degli inutili rancori mentre, con una franca e chiara spiegazione al momento, tutto si sarebbe risolto e svanito come una bolla di sapone, della quale aveva la consistenza.
Parlavo qualche giorno fa con una cara amica, di come è facile equivocare quando si deve trattare con tante persone, non è semplice, molte volte si finisce per non essere capite.
Finimmo cosi per parlare di un amico comune, caro ad entrambe.
Ci domandavamo il perché lui, che aveva scritto tanto per Eldy, articoli interessanti e molto apprezzati, bellissime poesie e validissimi commenti, ora da tempo non scrivesse più niente.
A questo punto mi sfogai, ero dispiaciuta, da mesi non lo sentivo più, era sempre stato il mio amico più caro, ma in amici il suo nome era sempre disconnesso. Mi chiedevo se potevo averlo offeso, cosa potevo avergli fatto involontariamente… mi mancava il suo saluto scherzoso, la sua battuta, la sua gentilezza, avevo perso un punto d’appoggio. Ma per orgoglio non lo cercavo.
La mia amica mi tranquillizzò, avrebbe avuto modo di sentirlo in serata, poteva parlargli, e riferirmi qualcosa.
Poco dopo la mia amica mi chiamava ridendo: “il nostro amico, è arrabbiatissimo con te perché non ti sei fatta più sentire”…
La più banale delle spiegazioni: aveva cambiato pc e nick, avvisando tutti convinto di averlo fatto anche con me……
Dring dring: una richiesta d’amicizia… era lui; ci scambiamo due ciao un po’ freddini poi… è riaffiorata la vecchia amicizia mai morta, la facile battuta, la risatina, “Ora puoi camminare da sola in Eldy” “certamente grazie a te” rispondo “però al bisogno verrò a cercarti, sta tranquillo”.
Ci salutiamo con l’affetto di sempre. Mi sono sentita più serena, però un brivido mi è corso per la schiena, ecco dove poteva portare un semplice equivoco…
Stavo per perdere un caro amico che era stato tanto comprensivo con me quando avevo intrapreso una nuova attività ed entravo titubante in un mondo a me poco familiare.
Imparerò a non equivocare più e vedere le cose dal lato positivo, non fermandomi alle apparenze?
Avete altri episodi da raccontare? La pensate diversamente? Qual è la vostra opinione?
Ed ora la parola a voi.
Marc52 ci propone un articolo e ci pone tante domande.
Riflessione su noi stessi, sulla nostra condizione e sul nostro modo di concepire e organizzare l’esistenza. Marc si interroga, siamo felici? Il successo è compatibile con la felicità? Oppure dobbiamo fare una scelta?
Mi è capitata in questi giorni sotto mano la rivista trimestrale del: Corpo della Polizia di Stato. Sfogliandola, mi sono soffermato su di un articolo a mio parere, molto interessante “L’origine antropologica del bullismo” di Leandro Abele, sociologo e sovrintendente della Polizia.
L’articolo mi ha dato spunto per soffermarmi e … “filosofare” un po’, e bonariamente, sulla nostra società capitalistica/occidentale, dove sin da bambini ci insegnano a ricercare e rincorrere il successo.
Emergere economicamente, primeggiare, essere il “migliore”, cercare la professione, il mestiere che ci permetta di guadagnare tanto per rincorrere il benessere economico, la posizione individuale, sociale, come punto di arrivo, come panacea per il raggiungimento della felicità.
Non basterebbe essere felici di fare un lavoro che ci piaccia? Io mi domando, e mi permetto di domandarvi: La felicità è il successo?
La risposta è un po’ intrinseca in noi e tocca l’individuale, il collettivo della nostra cultura, della nostra mentalità. La risposta io credo la conosciamo ma, siamo influenzati dai media, dalla pubblicità, dal consumismo, dall’avere per essere. Non riusciamo a fare mente locale e risponderci seriamente e serenamente. Siamo sin da bambini delle spugne che assorbono dalla famiglia, dalla scuola, dal contesto sociale, dall’educazione, dall’habitat. Ci comportiamo, ci adeguiamo, desideriamo, pensiamo ,facciamo collettivamente e/o personalmente (nel bene e nel male), quello che ci hanno insegnato. Siamo delle menti plasmate(il contesto è sociale), e ci comportiamo in modo consequenziale. Viviamo per il successo, qualunque esso sia, onesto, o disonesto.
Riflettiamoci (molti lo fanno per fortuna): ma l’equazione successo = felicità funziona veramente? L’impostazione data alla nostra società sin dal passato remoto è giusta? Abbiamo intrapreso la “strada” giusta? Oggi che a livello economico, ecologico, siamo, per certi versi ad un bivio (domanda molto stupida), possiamo dirci che siamo nel giusto? Che siamo felici? Che siamo appagati? Che dobbiamo perseverare?
Mi viene da pensare a culture come quella Pellerossa, Aborigena, Africana, che, da quel poco che conosco, vivevano in simbiosi con la natura, che si procuravano il necessario per vivere, che insegnavano ai figli la lealtà, il coraggio, la sincerità, l’altruismo. In cui essere uomo, non significava essere maschio, in cui se esisteva la competizione era una sana competizione, quasi giocavano a farsi la guerra tra tribù (sic), in cui il collettivo e l’individuale si fondevano in un’unica entità sociale, in cui “ era un bel giorno per morire”. Forse non erano loro nel giusto? E… avevano capito il vero senso della vita e della Felicità
L’articolo che mi ha dato lo spunto per questo mio “post”, l’ho anche trovato sul web.
Chi fosse interessato:
http://www.anpsitalia.it/public/file/PDF%20Fiamme%20d%27Oro/FO%202012- felicita?
Io concluderei con un frase di Albert Schweitzer
Il Successo non è la chiave per la felicità. Ma la felicità è la chiave per il successo. Se ami quello che stai facendo, avrai certo successo.
A. Schweitzer
Prima lettera aperta diretta a chi vorrebbe scrivere commenti o articoli… ma non se la sente, a chi vorrebbe esprimersi ma si intimidisce ed ha paura dei giudizi altrui.
L’altro giorno Rosa.pc, un’eldyana tanto simpatica e gentile, a proposito di un articolo postato precedentemente, sulla nebbia, chattando nel blog, ha fatto delle osservazioni, ha detto che lei la nebbia la conosce bene, perché vive in Val Padana. A questo punto, in modo molto cortese Alba le ha fatto notare che era libera di mettere un commento, di scrivere anche lei qualcosa, di condividere le sue esperienze.
La risposta di Rosa è stata negativa, non se la sentiva, aveva paura del giudizio degli altri.
E immediatamente sotto questo scambio di battute alessandro22.rm ha scritto: “non conta il giudizio che altri possono avere dei propri scritti, ma conta la spontaneità di quello che si scrive, l’autenticità dell’emozioni e non credere Rosa che tra i tanti frequentatori dei vari blog non ci siano persone che sappiano aprezzare certi semplici ma indispensabili valori. Credo che se uno scrive e condivide le proprie emozioni sia un momento di crescita collettiva, (perciò non ci si deve preuccupare dei criticoni che criticano perche non hanno emozioni) buona serata. vedi quanti errori faccio io ahahah”
È già da molto tempo che qualcuno, un caro amici di Eldy (che non vuole essere nominato), ne parla e fa notare che ci sono persone, tra noi, che vorrebbero scrivere, esprimersi, ma non lo fanno, perché si sentono giudicati. Il nostro amico si è molto battuto per la causa, ma ha precorso i tempi, non è stato subito ascoltato.
Molti di noi sono stati un po’ sordi, non hanno voluto capire… hanno dato più importanza alla forma che al contenuto, ponendo il nostro blog in una posizione che non ha.
Io faccio pubblica ammissione di questo, mi rimetto in causa ed ecco la ragione per cui mi è venuta voglia di postare qualcosa in proposito e di trattare il problema in modo più frontale, non lasciandolo sommerso.
Certo è vero, per chi non è abituato a scrivere, per chi non l’ha mai fatto, per chi scrivere non è un mezzo consueto d’espressione, manifestare i propri pensieri pubblicamente e per giunta nero su bianco, può rappresentare un blocco. Ci si sente pieni di paure, di timidezze, si è titubanti, frenati dai dubbi.
Ma qui nessuno è giornalista o scrittore professionista. Chi “scrive” veramente o ha scritto per lavoro non è qui con noi. Siamo tutti allo stesso livello, perché quello che interessa è ciò che abbiamo dentro di noi.
In fondo anche quando abbiamo cominciato ad usare la chat si esitava e si era insicuri, poi abbiamo preso dimestichezza un po’ tutti ed ora non ci imbarazziamo più a scrive in chat, a rispondere agli altri. Tutti leggono le nostre repliche sul rullo della chat, anche se ci sono errori di battitura, refusi, sviste, papere e lapsus. Non interessano, importa l’idea.
Siamo anziani ed abbiamo lasciato la scuola da tanto tempo ormai, la nostra laurea l’abbiamo avuta tutti dalla vita, in tanti e tanti anni di gavetta e poi di pratica; abbiamo esperienza, abbiamo un mondo dentro, abbiamo cose vissute e da condividere.
Ci sarà un po’ di batticuore le prime volte, esitazione, ma se ci preoccupano i refusi nello scritto, si possono sempre correggere velocemente.
Nella nostra vita ci sono state cose molto più importanti di queste ed il giudizio degli altri ci ha sempre accompagnato, inesorabilmente, per cui dovremmo esserci abituati ormai e dargli la giusta importanza.
Allora condividiamo le nostre esperienze che sicuramente sono tante, variate differenti e cerchiamo di superare l’apprensione che potremmo avere. E come ha detto Alessandro: “ i criticoni che criticano non hanno emozioni” (pcon)
A SEGUIRE ARTICOLO DI GIULIAN.RM
Tutti sono liberi di scrivere o commentare come meglio credono senza temere il giudizio degli altri, ogni persona dovrebbe essere apprezzata per quello che è.
Anche il più povero di cultura ha in sé qualcosa da dire.
Non si deve aver paura delle critiche, o di non piacere sono proprio le critiche che fanno migliorare.
La paura non porta a niente, fa solamente indietreggiare sulle cose che si vogliono esprimere. Affrontare la paura di scrivere davanti a un “pubblico”, sì perché chi legge è un pubblico.
E’ anche vero che c’e’ tanta gente che sputa sentenze, per motivi vari, spesso per nascondere le proprie debolezze.
Sicuramente fa sempre piacere un bel commento, un pensiero gentile, ma quello che si scrive non è fatto per ricevere i bei giudizi, ma è fatto col cuore, per rendere partecipe chi legge attraverso il racconto sia di felicità sia di tristezza o altro ancora.
Il giudizio non deve essere considerato come un limite per impedire di essere realmente noi stessi, ma uno stimolo, un incentivo per esprimere i nostri pensieri, emozioni…
…AVANTI SENZA ALCUN TIMORE!
Impossibile non essere criticati…come l’uomo che era criticato sia che facesse viaggiare la moglie in sella all’asino, perché la viziava, sia lo montasse lui, allora era insensibile, sia nessuno montasse l’asino nel qual caso erano entrambi stupidi….
VIVI COME CREDI
di Charlie Chaplin
C’era una volta una coppia con un figlio di 12 anni e un asino. Decisero insieme di viaggiare, di lavorare e di conoscere il mondo. Così partirono tutti e tre con il loro asino.
Arrivati nel primo paese, la gente commentava: “Guardate quel ragazzo quanto è maleducato… lui sull’asino e i poveri genitori, già anziani, che lo tirano”. Allora la moglie disse a suo marito: “Non permettiamo che la gente parli male di nostro figlio.” Il marito lo fece scendere e salì sull’asino.
Arrivati al secondo paese, la gente mormorava: “Guardate che svergognato quel tipo… lascia che il ragazzo e la povera moglie tirino l’asino, mentre lui vi sta comodamente in groppa.” Allora, presero la decisione di far salire la moglie, mentre padre e figlio tenevano le redini per tirare l’asino.
Arrivati al terzo paese, la gente commentava: “Povero uomo! Dopo aver lavorato tutto il giorno, lascia che la moglie salga sull’asino; e povero figlio, chissà cosa gli spetta, con una madre del genere!”
Allora si misero d’accordo e decisero di sedersi tutti e tre sull’asino per cominciare nuovamente il pellegrinaggio.
Arrivati al paese successivo, ascoltarono cosa diceva la gente del paese: “Sono delle bestie, più bestie dell’asino che li porta: gli spaccheranno la schiena!”. Alla fine, decisero di scendere tutti e camminare insieme all’asino.
Ma, passando per il paese seguente, non potevano credere a ciò che le voci dicevano ridendo: “Guarda quei tre idioti; camminano, anche se hanno un asino che potrebbe portarli!
Conclusione: Ti criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà difficile che incontri qualcuno al quale tu possa andare bene come sei.
Quindi: vivi come credi.
Fai cosa ti dice il cuore… ciò che vuoi… una vita è un’opera di teatro che non ha prove iniziali.
Quindi: canta, ridi, balla, ama… e vivi intensamente ogni momento della tua vita… prima che cali il sipario e l’opera finisca senza applausi.
Charlie Chaplin
Questa metafora di Chaplin è utile per capire che, qualsiasi cosa facciamo, troveremo sempre persone che ci criticheranno o che parleranno male di noi e che non serve a niente modificare il nostro comportamento per “piacere agli altri”. Preoccupati più della tua coscienza che della reputazione.
Perché la tua coscienza è quello che tu sei, la tua reputazione è ciò che gli altri pensano di te.
E quello che gli altri pensano di te è problema loro.
Io abito in un paese dove c’è un po’ di nebbia ogni tanto, soprattutto il mattino in inverno e gli alberi spogli, con i loro rami neri, fanno ricami, come di merletti, contro un cielo opaco e sfumato. Bello da vedere, mi piace.
La nebbia riesce a nascondere le cose che forse non amiamo troppo e lascia intravedere solo delle sagome, con i rumori attutiti, ovattati e fantastichiamo un po’…
Ne parlavo l’altro giorno con Sandra, che è cresciuta in Lombardia e la nebbia “il nebiun” lo conosce bene
Confrontavamo le nostre esperienze e ne è nata questa simpatica conversazione.(pcon)
Sandra racconta:
<Pensa Paola, sono in GRECIA dai miei ragazzi, ed è una splendida giornata di Gennaio con un sole caldo ed un cielo d’azzurro così intenso da sembrare quasi cristallino.
Di ritorno da una passeggiata in mezzo agli ulivi, appena entrata in casa, la televisione accesa. Mi colpisce la voce che annuncia nebbia fitta in Val Padana: si raccomanda la massima prudenza, di mantenere le distanze di sicurezza… È un tale contrasto col tempo che ho lasciato alle mie spalle, al di là della porta che ho appena chiusa…
La nebbia, la nebbia della mia Milano, chiudo gli occhi e sull’onda dei ricordi mi sembra ancora di sentirmi avvolgere, pur così impalpabile, rende tutto irreale, attutisce i suoni, cala di colpo e tu non sai più dove ti trovi, ti fa perdere la direzione, e di colpo, non sai più dove ti trovi.>
Hai ragione Sandra ho provato una volta questa sensazione, in effetti per chi non ci è abituato è terrificante ed al tempo stesso affascinante. Hai paura e curiosità, tutto insieme. Ti prende un po’ allo stomaco…
Sandra continua a raccontare:
<Una canzone Milanese diceva:
“ma la nebbia cha belessa, la va gio’ per i pulmun”. Eppure la mia mamma diceva che i bei nebbioni di una volta non c’erano più, quei bei nebbioni così fitti che si potevano tagliare con un coltello. Per me era un divertimento uscire, tuffarmi nella nebbia, perdermi e faticare a trovare la strada di casa. E, soprattutto, il suo odore così caratteristico. Ma quando cominciai a guidare, iniziai a vedere le cose con un’ottica diversa.>
“El nebiun” allora, una parete di umidità che avvolge tutto e come dici tu ha un odore speciale.
Sandra ma non hai mai avuto davvero paura? Io si una volta che mi sono trovata in autostrada… e non si vedeva nulla, nemmeno il davanti dell’auto…
Sandra dimmi…
<Sì infatti qualche anno dopo fu la causa di un viaggio da incubo che fortunatamente finì bene. Solitamente verso il 7\8 Dicembre, ad Ancona, prendevo il traghetto per la Grecia, per raggiungere i miei. Così decisi quell’anno, assicuratami delle condizioni del tempo, della strada, preparata la macchina, chiusa casa, partii.
Alle 10 entravo al casello dell’autostrada del Sole, c’era una leggera foschia, ma la cosa non mi preoccupò molto perché era mattino. La strada era libera, contai d’essere ad Ancona verso le 15. Pero più proseguivo, più la foschia s’infittiva ed era ancora molto chiaro. Ad un tratto dopo pochi km. dovetti rallentare c’era coda …………. si erano formate due file di macchine che avanzavamo lentamente, mentre la foschia si trasformava in nebbia, chiara fin che si vuole, ma era sempre quella che io temevo. Dopo pochi km la polizia ci fece uscire dall’autostrada per immetterci sulla provinciale per Piacenza: erano arrivate le 15, avevamo fatto circa 50 km fermi, su una strada di provincia senza nessuno che desse informazioni, in piena nebbia, una lunga doppia colonna di macchine.
Ero veramente disperata, chiusi le sicure della macchina e….. mi misi ad aspettare. Sentii bussare al finestrino ed abbassai, era una ragazza con un amica, veniva da Pavia, mi chiedeva se sapevo qualcosa, si sentiva confortata di poter parlare con una signora. Aveva la macchina due macchine avanti la mia, decidemmo di rimanere in contatto………
Furono ore quasi da incubo, la nebbia infittiva deformando tutto quello che ci circondava, si ignorava dove ci si trovava….. finalmente, lentamente, la colonna cominciò a muoversi e, verso le 19 fummo in vista di Piacenza. La Polizia segnalava o di tornare in autostrada o di proseguire per la città. Vidi una delle ragazze che mi faceva cenno di fermarmi, loro non continuavano, si fermavano.
Risposi che le seguivo, cercassero un albergo col garage, mi sarei fermata anch’io. Trovammo un albergo, misi la macchina in garage, chiesi una camera e chiamai mia cugina, cercando di spiegarle in poche parole il tutto, pregandola di avvertire tutti…. che stavo bene, di non telefonarmi per lasciarmi riposare…….
Infatti… ,messa la testa sul cuscino, il telefono………basta…….
Al mattino dopo come ripresi l’autostrada c’era un sole smagliante che mi accompagnò fino ad Ancona, dove un altro traghetto partiva per la Grecia…….. Il sole aveva fugato tutti gi incubi, però la nebbia oramai aveva cambiato volto, non potevo più ricordarla come la cara amica della mia fanciullezza.>
Che piacevole conversazione con Sandra, così ricca di ricordi.
E voi l’avete mai vissuta la nebbia, quella vera e terrificante? Ce lo raccontate anche voi?
Dopo la Befana, vecchietta buona, che porta regali anche se un po’ streghetta, Alba ci propone una riflessione sulle suocere, partendo da un fatto di cronaca e da una storia reale. È vero che soddisfano lo stereotipo che la suocera e la nuora non possono andare d’accordo? Oppure è solo un luogo comune? Chi lo smentisce? (pcon)
Roma, taglia la gola alla nuora: “Lei ha tradito mio figlio”
Ha tagliato la gola alla nuora perché avrebbe tradito suo figlio, che si trova in carcere.
Una donna è stata arrestata a Roma dalla polizia con l’accusa di tentato omicidio dopo aver colpito con la lama di un taglierino una giovane di 27 anni, che si trova ora ricoverata in ospedale in gravi condizioni. L’episodio è accaduto ieri sera intorno alle 20,40 nella Capitale, in via Naide, in zona La Rustica. La giovane è stata operata d’urgenza al Policlinico Casilino ed è ora in prognosi riservata.
La suocera della 27enne si è costituita ammettendo di aver colpito la ragazza con la lama di un taglierino per un presunto tradimento di quest’ultima nei confronti del figlio, che attualmente si trova in carcere. La donna è stata arrestata dagli agenti della Squadra mobile. In un primo momento, in merito alle cause dell’episodio, era stato ipotizzato un tentato omicidio: all’interno dell’appartamento della 27enne erano stati trovati dei messaggi su Facebook che manifestavano volontà suicide. La vittima, italiana, era stata poi trasportata dal 118 in ospedale per un intervento chirurgico urgente.
Lunedì 07 gennaio 2013 16:36 (dal Web)
Le suocere cattive anche a Natale scritto da Alba
Che fra consuocere non scorra simpatia è vero, ma da persone civili, come crediamo di essere, almeno ci dovrebbe essere la buona educazione.
Siamo mamme entrambe e dobbiamo avere solo il compito di fare il meglio per i nostri figli, anche se abbiamo idee diverse non dovremmo intrometterci, dovremmo aiutarli senza avere la pretesa di educarli.
Vi racconto la storia di due consuocere.
Si avvicinano le feste dove farle?
Erano due anni che le riunioni natalizie si facevano in casa della più piccola dei miei tre figli, e poiché io ero rimasta sola, lei non intendeva farlo senza la sua mamma.
Ma la sua suocera aveva deciso che tutti sarebbero andati a casa sua escludendo la presenza della consuocera non essendo un ospite a lei gradito.
Per tutta risposta fu un bel NO: “la mia mamma non la lascio sola ed ognuno a questo punto con la sua famiglia”.
Ecco la risposta della suocera “Finché durerà la tua famiglia”
Da quella lingua, come una vipera avvelenata, un male così grande non poteva uscire.
Arrivare al punto di augurare lo sfascio della sua famiglia al proprio figlio è il massimo…
Spero solo che sia stato un momento di impulso negativo..
Voi che ne pensate?
Riporto qui, a contrasto, un giudizio positivo di Guglielmo da Firenze, Gugli5 per gli amici eldyani
Si parla male dei suoceri/re, le ragioni possono essere tante e varie, ma in questo spazio voglio dire che non sempre è vero nel mio caso ho una suocera formidabile e anche mio suocero lo era anche se ora non c’è più. Quando si parla male dei suoceri penso che l’errore sia da ambo le parti e che le cose non si chiariscono mai a volte si è portati a (parlare alle spalle). Mettetevi nei panni di una suocera che ce l’ha con la nuora, mi chiedo se la nuora ad esempio non tratti male il figlio? la mamma naturalmente si risente di questo e tratta male la nuora e cosi diventa un circolo vizioso dal quale non se ne esce più Bisogna sempre cercare di andare d’accordo, certamente in alcuni casi e molto difficile anzi difficilissimo, Quando i suoceri/re sono invadenti, dobbiamo frenarli, lo so come dicevo prima è molto difficile, ma proviamoci.
E poi un’ultimissima cosa perché si parla sempre di suocere e nuore? Perché solo di donne e mai di suocero e genero? È un caso?
Anche in questo caso il vostro parere è prezioso.
La notte di Natale è una notte magica e speciale e tante sono le tradizioni ad essa legate. Una di queste è il balletto “lo Schiaccianoci” che ha fatto sognare tutti con la sua musica celestiale.
Lo Schiaccianoci, messo in musica da Tchaikovsky, è il balletto di Natale per eccellenza e va sempre in scena, durante le feste natalizie, nei più importanti teatri del mondo. Ha incantato tutti con la sua storia, soprattutto i bambini; una favola gentile che fa sognare.
Lo offro come regalo di Natale a tutti gli eldyani che amano la musica e il balletto in particolare.
L’azione si svolge la vigilia di Natale: un eccentrico inventore di giocattoli, viene invitato a casa di un ricco signore, il cui salone, pieno di ospiti, è decorato con un meraviglioso albero di Natale. Clara, la figlia del ricco signore, riceve un pupazzo a forma di schiaccianoci costruito dall’originale inventore.
La festa è molto bella, giochi e balli si susseguono e anche si inscena uno spettacolo di marionette e burattini in cui il Re dei topi vuole rapire la Principessa, ma il coraggioso Schiaccianoci lo uccide e salva la fanciulla.
La festa finisce, le luci si spengono e Clara va a dormire lasciando tutti i regali nel salone.
Nel sogno di Clara, grandi topi invadono la sala da pranzo e lo Schiaccianoci guida i soldatini di piombo all’attacco. L’intervento di Clara, che
getta la sua pantofola contro il Re dei Topi, in un momento decisivo della battaglia, salva lo Schiaccianoci e sconfigge il nemico.
Clara è trasformata in una Principessa e lo Schiaccianoci in un bel Principe, navigano su un fiume magico, viaggiano in una terra incantata, assistono a spettacoli straordinari e sono felici.
Ma è l’alba, il sogno magico di Clara svanisce e la bambina si risveglia.
Buon divertimento e buone feste!
http://www.youtube.com/watch?v=lEYBeYc2X_w
Giornalisti zittiti! Rete parlante? Scritto e proposto da Marc52
Bisogna dire che le dittature sono (forse) alla stretta finale, stanno dando il colpo di coda finale. Leggevo un articolo su lifegate new: record di arresti tra i giornalisti, freelance, etc. Nel 2012 sono stai 232.
Questi dati indubbiamente spaventano per l’acutizzarsi della censura in alcune nazioni con modello capitalistico, ma con accentramenti dittatoriali governativi. Ma… se letti tra le righe, potrebbero, anche voler dire una paura maggiore di perdere attraverso le voci del dissenso, la libertà di informazione, la oggettiva verifica delle condizioni situazionali, attraverso la condanna internazionale, il dissenso, dell’opinione pubblica locale, ed internazionale, la perdita di controllo/potere dittatoriale. Mentre qui in occidente alcuni giornali aumentano le tirature in stupidate da gossip, o sono di parte difendendo interessi occulti o politici, (ok! va bene, fa parte del la cultura instauratasi in questi ultimi decenni nel mondo occidentale) preoccupandosi molto meno( spesso) dei diritti violati in altre Nazioni, o forse interessano poco, a noi cittadini, ci lascano indifferenti, oberati… dalla nostra quotidianità.
Penso che molto stia facendo internet con le sue distanze rese ai minimi termini, con la possibilità infinita di comunicazione a livello sociale e personale. Una “tela di ragno” che tesse in modo indiscriminato, pluralistico, con i suoi fili d’interscambio, di comunicazione, per tutti i cittadini del mondo. Anche se alcune Nazioni, la controllano la censurano, la zittiscono, chiudendo moltissimi siti (Cina, Iran, etc.).
Fino a che punto non so? Che, ormai… diventata così capillare, e dagli infinitesimali sbocchi planetari, alle censure e alle false verità, gli si sono accorciate le gambe. Vorrei fare un esempio: un anno fa ci fu un incidente ferroviario in una provincia cinese: la censura statele non ne parlo bastò un telefonino con cam di un cittadino cinese che riprese il disastro lo mise in rete e la censura per forza di cosa… cadde! Il governo dovette ammettere il fatto.
http://youtu.be/4bYHDrFdx6E
A mio parere (mi sbaglierò) ma le dittature con una concezione di vecchio stampo sono destinante a lasciare il passo (forse) a nuove forme di controllo della popolazione tipo “1984” di George Orwell’s, una… sorta di grande fratello. Inserisco l’articolo!
Un anno nero per i giornalisti di: Tommaso Perrone
Il numero di giornalisti finiti dietro le sbarre nel 2012 ha raggiunto un nuovo record da quando il Commitee to project journalists (Cpj) ha cominciato le rilevazioni nel 1990. Le accuse più comuni: terrorismo e reati contro lo stato. La Turchia è il paese che ha ridotto al silenzio più persone al mondo. I giornalisti imprigionati nel 2012 sono stati 232 secondo le rilevazioni del Cpj (dati aggiornati al primo dicembre). 53 in più rispetto all’anno precedente. Superato di gran lunga anche il record registrato nel 1996 quando i giornalisti finiti in carcere erano stati 185 .I primi tre paesi hanno tutti fatto ampio ricorso a leggi che prevedono reati contro lo stato interpretandole in modo molto esteso per impedire a personalità scomode per le autorità di esprimere le proprie idee. La Turchia guida la classifica con 49 giornalisti arrestati, per lo più inviati e freelance che hanno cercato di raccontare quanto stesse accadendo nella regione del Kurdistan. Al secondo posto l’Iran. 45 persone sono state arrestate soprattutto a causa del giro di vite messo in atto dal governo di Teheran dopo le elezioni del 2009 che ha spinto migliaia di cittadini a scendere in piazza per manifestare contro il presidente Mahmud Ahmadinejad. La Cina è al terzo posto. Tra dissidenti politici e giornalisti impegnati a raccontare i soprusi subiti dalle minoranze etniche, sono stati arrestati 32 giornalisti, 19 per aver dato voce a tibetani e uiguri Delle 232 persone arrestate, merita una menzione Sattar Beheshti. Iraniano, 35 anni, blogger e freelance, è morto in una prigione dopo essere stato arrestato a ottobre per “aver agito contro l’interesse nazionale” a causa delle percosse. Una buona notizia però c’è: per la prima volta dal 1996 la Birmania non appare in questa lista. Anzi, in seguito alla transizione civile intrapresa dalla giunta militare nel 2012 sono stati liberati 12 giornalisti arrestati nel corso degli anni. lifegate.it
Guarda un po’, non c’è stata la fine del mondo !
Questa mattina aprendo la finestra , ho visto gli stessi alberi spogli di ieri, gli uccellini infreddoliti che saltellavano attenti in cerca di briciole , un nebbioso cielo invernale e mi son chiesto …”che cosa sarà finito ieri del nostro mondo?”
Spero la irrazionale paura , la superstizione e l’errato culto di un sanguinario popolo scomprarso oltre cinquecento anni fa . Ma la speranza andrebbe oltre e mi verrebbe da fare un lungo elenco di tutte quelle cose che in questo nostro martoriato mondo, possono anche sparire.
Santi, mistici ,filosofi, astronomi , rabbini, vescovi, preveggenti ecc. in duemila anni hanno previsto veramente tante volte “la fine del mondo”…penso sia simpatico farne una cronologia…..metto solo il nome per non annoiare troppo:
992 Bernarduino di Turingia
999 “mille non più mille”
1186 Giovanni da Toledo
1524 Stàffler e Pflaumen
1532 Frederik Nausea
1533 Stifeliu ed anabattisti
1537 Pierre Tourrel
1584 Cipriano Leowite
1588 Regiomontanus
1648 Sabbati Zevi
1654 Heliseaus Roeslin
1665 Solomon Eccles
1704 Nicholas de Cusa
1719 Jacques Bernoulli
1732 profezia di Nostradamus
1757 Emanuel Swedenberg
1774 setta religiosa inglese
1761 William Bell
1820 John Turner
1836 John Wesley (metodisti)
1844 profezie di Daniele
1914 Testimoni di Geova
1918 Testimoni di Geova
1925 Testimoni di Geova
1947 John Ballow Newbrogh
1967 Sun Myung Moon
1975 Armstrong e Testimoni di Geova
1977 John Wroe
1980 presagio arabo
1999 presagi di Nostradamus(fine di millennio)
2000 Millenium Bag
2012 profezie Maya
E questi sono i più importanti , almeno quelli dove ci sono documentazioni scritte ……pensate che c’è una profezia di Nostradamus che ci porta al 3797….eh…eh….eh …abbiamo tempo!
Dopo aver tirato un sospiro di sollievo che allineamenti di pianeti , meteoriti giganti e super terremoti sono rimasti nelle sceneggiature dei film catastrofici , ho pensato che fra tre giorni è Natale , giorno in cui tutti gli uomini festeggiano la nascita di un bambino , che oltre a rappresentare Dio (per chi ci crede) , rappresenta anche tutti i bambini del mondo.
Ecco che cosa vorrei finisse , soprattutto per loro : la fame , le guerre , la crudeltà delle religioni integralistiche , le diseguaglianze , l’ignoranza , la solitudine ecc. ecc. ecc.
Sono utopistici pensierini di Natale , lo sò , ma se non li facciamo ora ,dopo esser scampati a questo pericolo ( eh eh eh !) ed alla vigilia del giorno dedicato alla bontà , quando li possiamo fare?
Sarebbe bello che ognuno di noi , in una ipotetica letterina a Babbo Natale , elencasse tutto quello che invece dovrebbe veramente finire.
Buon Natale alla grande famiglia di Eldy!!!
Cactus intitola l’articolo “un popolo fantasma” io direi un popolo fuori dalle regole comuni (e per comuni si intende della comunità).
Un popolo che ispira paura e curiosità, con quelle roulottes su dei percorsi senza fine, che ha anche suscitato dei sogni d’evasione, di fuga dalla normalità.
Dei viaggiatori, dei vagabondi, dei musicisti tzigani, degli artisti di circo che hanno ispirato i poeti. Senza disciplina, ai margini, ma ugualmente con delle regole loro e con delle tradizioni molto forti. Un fortissimo senso della famiglia e spirito di clan.
Vivere senza ostacoli, può essere una scelta, una convinzione, ma anche uno stato al quale uno è relegato dalle leggi e dai codici sociali. La libertà è un concetto che la storia ha continuamente ridefinito. E i nomadi hanno suscitato, oltre a dei forti sentimenti di diffidenza per il diverso e per la loro vita “fuori dalle righe”, anche un buon senso di invidia. C’è sicuramente stato un momento, nella nostra vita, in cui abbiamo provato questa sensazione.
I francesi li chiamano “gens du voyage” = viaggianti, gente del viaggio, invece di nomadi.
Ma hanno dato fastidio, il loro stile di vita alla fine, più che intrigare, disturbava, e così ci hanno pensato i Nazisti a sterminarli nei lager ed anche ora non si può dire che siano ben accetti. (pca)
Rom: un Popolo fantasma scritto da Cactus
Mi rendo conto di affrontare un argomento ostico e di non facile interpretazione, in quanto questa etnia è vista da una gran parte della popolazione italiana, e non solo, con sospetto.
Chi, incontrando uno o due “zingari” (è con questo nome che li identifichiamo) in un mercato o in una piazza affollata non ha istintivamente messo una mano a protezione del portafoglio o stretta a sé la borsetta?
Già, lo zingaro è sinonimo di ladro o, comunque, di persona da cui guardarci. Proviamoci a chiedere il perché, allontanando dalle nostre menti i preconcetti e quanto potrebbe sviarci in una serena disanima del problema.
Iniziamo col porci alcune domande: chi sono queste persone? da dove vengono? Meritano la “fama” che li circonda? Sono veramente un popolo che vive ai margini o fuori dalla legge?
[Romanì è la parola giusta per designare i nomadi europei, che si riconoscono come popolo ed hanno origini indiane].
Questo popolo, conosciuto come Rom (che non significa rumeno), in Europa è diviso in due grandi e distinti gruppi: Sinti e Kalè. In Italia troviamo i Sinti mentre i Kalè vivono nella penisola iberica (meglio conosciuti col nome di Gitani).
Si pensa, anche se non è stato dimostrato, che il ceppo originale da cui provengono sia da far risalire all’India; hanno una lingua in comune: il Romanì, diviso in vari dialetti e anche una bandiera i cui colori (azzurro e verde) rispecchiano i colori del cielo e del verde dei prati, mentre la ruota simboleggia il loro nomadismo.
Nei secoli scorsi questo popolo si manteneva con diverse attività artigianali legate ai metalli, al commercio dei cavalli, alla musica o al “teatro” di quei tempi, con rappresentazioni eseguite sulle piazze dei vari paesi che attraversavano nel loro girovagare. Questo spiega il perché del loro nomadismo, unito anche al grande senso della libertà che sempre li ha contraddistinti e che, ancora adesso, li spinge a rifiutare la stanzialità.
La religione professata è legata ai Paesi in cui sono nati e troviamo quindi tra loro musulmani, cristiani (cattolici, ortodossi e greco-ortodossi), induisti e di altre religioni… ma non sono particolarmente osservanti. La loro cultura e storia viene da secoli trasmessa oralmente, anche se i Cagè (nome con cui i Rom identificano tutti coloro che non appartengono alla loro etnia e quindi “non Rom”) si sono ultimamente assunti il compito di renderne testimonianza scritta. Nei tempi recenti lo sviluppo industriale ha obbligato questo popolo a una riconversione economica, anche se la struttura sociale è rimasta quasi invariata e continua a reggersi sulla famiglia, intesa come gruppo e che si riconosce in un antenato comune.
Il fatto di essere stati per secoli oggetto di violenza e discriminazioni li ha portati ad avere un atteggiamento ostile verso il mondo esterno e ad elaborare un proprio sistema sociale basato sul rispetto di norme etico – morali che disciplinano la comunità, tutelando la dignità e l’onore dei Rom. Questo non è però un deterrente contro il furto a danno dei Cagè, ma mai ruberebbero a un altro membro del Gruppo. Se ciò succedesse, il colpevole sarebbe sottoposto alla loro giustizia e allontanato… il che significherebbe la sua morte sociale. Purtroppo il modello che la moderna società offre loro, sta spingendo i giovani lontano dalla tradizione portandoli verso il soddisfacimento di bisogni che prima erano inesistenti e questo li porta anche all’avvio di attività illecite ben più gravi del furto, causando un notevole danno all’immagine dell’intera etnia Rom.
Adesso che sappiamo qualcosa di più circa questo bistrattato popolo, perché di popolo si tratta, anche se non ha una Patria come noi la intendiamo, cerchiamo di capire i motivi per cui nutriamo verso gli Zingari o Rom (chiamateli come meglio credete) una così generalizzata diffidenza.
Una delle colpe che più frequentemente viene a loro imputata, è quella del furto
E’ veramente così? Rubano?
Sì… purtroppo non si può sconfessare questa realtà. La loro cultura, e questo succede da secoli e secoli, non disapprova il furto ai danni dei “Non Rom”, anche se ultimamente questo fenomeno si è rallentato moltissimo tra le famiglie che hanno abbandonato il nomadismo e si sono integrate nella nostra società.
Già il fatto di far frequentare ai figli le scuole pubbliche, ha portato i giovani a guardare al furto con occhi diversi dai loro padri e ad accettare e rispettare le leggi del Paese che li ospita. Naturalmente la delinquenza è presente tra di loro come tra qualsiasi altro popolo e anche quando si parla degli zingari come rapitori di bambini, non pensiamo che sia una loro aberrante “abitudine”. Le cronache ci raccontano di bambini scomparsi… ma quanti sono attribuibili a loro e quanti invece a persone che vivono accanto a noi? In ogni caso sono fenomeni di delinquenza che vanno combattuti e pesantemente colpiti. Teniamo comunque presente che il Rom, pur essendo nato in Italia o in Francia o in altri Paesi, non rinuncerà mai alla sua origine e si porterà sempre nel cuore l’orgoglio che caratterizza questo Popolo!
Forse, con il succedersi delle generazioni, si arriverà un giorno all’integrazione completa, ma in questo modo scomparirà anche una parte del patrimonio culturale che portano con sé.
Inoltre l’opinione pubblica è spesso influenzata da episodi negativi portati a conoscenza dei cittadini in modo a volte esagerato, facendo pesare l’errore di un singolo come condanna di un intero popolo. Quante possibilità ha un Rom di mostrarsi positivamente nei confronti dell’opinione pubblica? Si cerca di far frequentare la scuola ai bambini che vivono all’interno delle comunità rom, ma esiste un adeguato supporto psicologico per aiutare l’inserimento di questi bambini? Che fine hanno fatto quegli insegnanti che, in previsione anche di questi eventi, seguirono un corso per “mediatore culturale”? Soldi gettati al vento?
A volte potrebbe essere sufficiente un insegnante capace di mediare tra le due culture rispettandole entrambe, ma già mi aspetto un coro di critiche scandalizzate: “Ma come… oltre a offrire la possibilità dell’istruzione dobbiamo anche sobbarcarci il costo di un supporto psicologico quando la scuola sta riducendo gli insegnanti di sostegno?”. Per carità, critica condivisibile, ma che non risolve il problema: se lo Stato vuole che i figli dei Rom entrino a far parte del sistema scolastico e quindi diventino cittadini a tutti gli effetti, faccia la sua parte fino in fondo e non si limiti a sterili programmi!
C’è però un punto sul quale, pur con tutto il rispetto verso la cultura Rom, sono assolutamente critico: lo sfruttamento dei bambini da parte dei genitori o del Gruppo. Tutti noi abbiamo avuto occasione di vedere bambini, anche di pochi anni, chiedere l’elemosina vicino a centri commerciali o agli angoli delle strade e questo con qualsiasi condizione meteorologica. In questi casi lo Stato dovrebbe intervenire e duramente, perché se è pronto a far intervenire i servizi sociali per casi a volte meno gravi contro famiglie italiane in difficoltà, non capisco il perché con i Rom si limiti a interventi puramente simbolici o quasi. Capisco che la questua è una forma radicata nella loro cultura, ma qui siamo di fronte a un reato che lede l’integrità fisica di un bambino e non ci devono essere scusanti! Esiste una carta internazionale dei Diritti del Bambino e lo Stato italiano è tenuto alla sua piena osservanza e a farla rispettare senza concedere sconti a nessuno. Anche questo porta il cittadino a nutrire verso questo popolo una forma di risentimento che certo non spinge verso la sua accettazione.
C’è poi la convinzione per cui un campo Rom sia sinonimo di pericolo. Effettivamente è già successo che fossero commessi crimini nelle vicinanze dei loro campi, dove hanno perso la vita donne sole la cui sola colpa era stata quella di passare vicino agli accampamenti, ma questo non deve scatenare una caccia al mostro, com’è successo più di una volta, arrivando all’estremo con l’incendio dei loro accampamenti. Se esiste un colpevole, costui deve essere arrestato e condannato come qualsiasi altro delinquente che violi la legge… ma questo non significa andare dove abita, incendiare la sua casa e coloro che la abitano! Questo sistema era usato negli Stati Uniti dalla famigerata setta del Klu Klux Klan di cui conosciamo le forti tendenze razziste che distinguevano i suoi membri! Per colpa di pochi delinquenti, adesso ci ritroviamo quasi intimoriti nel passare vicino a uno dei tanti campi allestiti dai Comuni nelle varie città e ci domandiamo il perché, attribuendo questa nostra inquietudine al fatto della loro ritrosia nel rapporto con gli “altri” e nel volersi tenere al di fuori della società.
Non sono uno studioso e quindi posso solo formulare una mia ipotesi e cioè che questo sia dovuto al fatto che i secoli li hanno visti protagonisti come vittime di varie persecuzioni. E’ questo un dato costante nella storia del popolo Rom che li ha visti ridotti in schiavitù fino alla deportazione e allo sterminio nei campi nazisti. La storia ci insegna che hanno dovuto difendersi fin dal medioevo a causa dei mestieri che esercitavano e che erano considerati, nella superstizione popolare, riconducibili alla stregoneria perché utilizzavano il fuoco o come magia quando predicevano il futuro. I paesi europei adottarono anche bandi di espulsione nei loro confronti fino ad arrivare, nel secolo scorso, al genocidio condiviso con ebrei. Tutto ciò li ha portati a nutrire diffidenza verso la società dei “Non Rom” al punto che, ultimamente, il Ministero competente non è riuscito a portare a compimento, se non parzialmente, il censimento degli abitanti dei campi esistenti nelle grandi città, che aveva il nobile scopo di elaborare un piano d’interventi a loro favore. Questo a significare la diffidenza che ancora permane tra loro. Possiamo criticarli?
Probabilmente molti lettori commenteranno queste righe portando esempi di atti più o meno gravi di delinquenza commessi da Rom a suffragio delle loro critiche. Scusate se mi ripeto, ma vorrei essere chiaro su questo: anch’io condanno chiunque, sia esso Rom, Italiano o Extracomunitario, che compia atti illegali a danno di un cittadino, ma permettetemi di darvi una breve testimonianza positiva di alcune esperienze personali avute con persone appartenenti a questo Popolo. Sono soltanto due piccoli esempi, forse di scarsa importanza rispetto ai gravi fatti di cui i Media ci hanno informati, ma che vogliono puntualizzare come la maggior parte del popolo Rom non sia formato da persone sfaticate dedite al furto o all’accattonaggio. Molti di loro lavorano e soddisfano i bisogni della famiglia portando avanti lavori umili, ma onesti.
Durante il mio periodo lavorativo ho avuto il piacere di conoscere una famiglia Rom composta da padre, madre e tre figlie di età compresa tra i 2 e i 6 anni. Possedevano un furgoncino scassatissimo col quale si presentavano, a intervalli regolari, all’azienda dove lavoravo per ottenere gli scarti metallici provenienti dal processo produttivo. Era questa una famiglia molto unita, con delle bambine educatissime che si erano conquistate la simpatia di tutto il personale, Direzione compresa. Quando arrivavano era un gara per accompagnare le bambine alla macchina distributrice bevande per offrire loro una bevanda calda, un dolcetto o un caffè per i genitori. A tutti regalavano un sorriso e a volte era il capofamiglia o la moglie che arrivavano con dei bracciali in rame da loro costruiti, da regalare al personale. Tra noi si era stabilita un’amicizia che, scavalcando le barriere etniche, eliminava anche le diffidenze. Niente di trascendentale, lo so… ma ho voluto farvene partecipe per far capire che a volte basta poco per accettare chi non conosciamo.
In Romania ho conosciuto e frequentato alcune famiglie Rom che in questo Paese chiamano “Tzigani”. Entrambe vivevano in condizioni, che noi definiremmo al limite della sussistenza, in due appartamenti contigui a livello della strada, senza elettricità e riscaldamento e con un servizio igienico maleodorante situato all’esterno. L’unica fonte di reddito era costituita da piccoli lavori saltuari del capofamiglia e da quanto riuscivano a racimolare i figli con l’elemosina e con qualche lavoretto. Nonostante questo, all’interno delle due famiglie regnava la serenità ed era tra loro quasi una lotta per aiutarsi reciprocamente. Eppure anche in questo Paese, che dà ospitalità a tantissimi tzigani, è tangibile il disprezzo che la popolazione riserva verso questa etnia, isolandola e confinandola in ghetti ai confini delle città senza offrire loro almeno i servizi essenziali… aggiungo che in tanti mesi di mia permanenza non ho mai sentito di crimini commessi da tzigani se non relativi a piccoli furti, ma sempre senza far uso di violenza.
Certo… anche questi sono da condannare ma non sono sufficienti a spiegare il loro isolamento.
Perché questo succede? In Romania, come nel resto d’Europa e nel mondo, ovunque tu vada, dove trovi queste persone, siano esse chiamate Tzigani, Rom, Sinti, Gitani o Zingari, avvertirai intorno a loro il vuoto. Un vuoto che non permette di entrare nella società se non rinunciando alla propria identità. Ma questa non è la libertà tanto decantata da un popolo civile!
Vorrei terminare con le parole pronunciate da Lucica Tudor, regina dei Rom d’Europa, massima autorità morale del suo popolo nel nostro continente. Nel 2003 è stata nominata regina dei Rom d’Europa dal vescovo della chiesa ortodossa per i meriti acquisiti nella lotta contro l’isolamento del suo popolo e che adesso ha un grande sogno: “Vorrei unire tutta la Nazione Rom e lavorare con i Governi per il bene del mio Popolo. Vorrei che tutti sapessero che il popolo Rom non è un pericolo per l’Italia. Abbiamo tanto in comune con gli italiani, spesso è l’ignoranza a dividerci, chi non conosce odia…….., ora mi sembra di vivere un incubo, si parla di espulsioni. C’è un odio profondo mai sentito prima, un clima di tensione che toglie il respiro. Un attacco di questo tipo coinvolge, direttamente o indirettamente, bambini e anziani senza colpa. I Rom che da generazioni vivono in Italia, amano questo Paese”.
Lucica lancia poi un appello alle autorità ”Riflettete bene prima di prendere qualsiasi iniziativa” e inoltre “Ciò che fa più male è il silenzio, l’assenza di gesti di solidarietà dalla destra come dalla sinistra, dagli intellettuali. Non uno che abbia parlato per difenderci. Le porte erano chiuse prima e ancora di più oggi. Da qualche tempo insieme con altri Rom stiamo preparando una ‘Carta dei Diritti del popolo Rom’ da presentare all’Unione Europea”. La ‘regina’ dei Rom d’Europa aggiunge infine: ”……. ho intenzione di chiedere un incontro al nuovo sindaco di Roma e spero che mi ascolti……, una cultura come quella dei Rom va tutelata, non distrutta. Non si può trasformare un Rom in Italiano, non si cancella un’identità. Sono venuta a Roma anche perché non sono d’accordo con tutto quello che si vorrebbe fare. È sbagliato distruggere quella che è la nostra cultura, la nostra tradizione e le nostre leggi. Il nostro popolo ormai si è integrato, i nostri figli vanno a scuola, quindi ci dovrebbe esser data una possibilità».
Uomini di Governo, siete disposti a dare a Lucica Tudor questa possibilità?
Avete sentito tanti pareri pro e contro, la storia di questo popolo raccontata da altri e da loro stessi, avete ascoltato un piccolo esempio della loro vasta produzione musicale.
Adesso è il momento di esprimere il vostro pensiero se ne avete voglia e di condividere vostre esperienze se ne avete.
Ieri sera ascoltavo una trasmissione radio sul web ed una bella voce ha letto un racconto con morale che mi ha particolarmente colpito.
Sono andata a ricercarlo in rete (http://nostripensieri.altervista) e ve lo propongo, ma non vi metto la morale, lascio a voi, se vi va , il compito di farlo.
Dedico questo racconto ad un’amica che ci ha appena lasciati, “libera e fiera combattente”, le sarebbe piaciuto molto, perché è questo il mondo al quale aspirava.
LE STELLE MARINE
Una tempesta terribile si abbattè sul mare. Lame affilate di vento gelido trafiggevano l’acqua e la sollevavano in ondate gigantesche che si abbattevano sulla spiaggia come colpi di maglio, o come vomeri d’acciaio aravano il fondo marino scaraventando le piccole bestiole del fondo, i crostacei e i piccoli molluschi, a decine di metri dal bordo del mare.
Quando la tempesta passò, rapida come era arrivata, l’acqua si placò e si ritirò. Ora la spiaggia era una distesa di fango in cui si contorcevano nell’agonia migliaia e migliaia di stelle marine. Erano tante che la spiaggia sembrava colorata di rosa.
Il fenomeno richiamò molta gente da tutte le parti della costa. Arrivarono anche delle troupe televisive per filmare lo strano fenomeno.
Le stelle marine erano quasi immobili. Stavano morendo.
Tra la gente, tenuto per mano dal papà, c’era anche un bambino che fissava con gli occhi pieni di tristezza le piccole stelle marine. Tutti stavano a guardare e nessuno faceva niente.
All’improvviso, il bambino lasciò la mano del papà, si tolse le scarpe e le calze e corse sulla spiaggia. Si chinò, raccolse con le piccole mani tre piccole stelle del mare e, sempre correndo, le portò nell’acqua. Poi tornò indietro e ripetè; l’operazione.
Dalla balaustrata di cemento, un uomo lo chiamò: “Ma che fai ragazzino?”.
“Ributto in mare le stelle marine. Altrimenti muoiono tutte sulla spiaggia” rispose il bambino senza smettere di correre.
“Ma ci sono migliaia di stelle marine su questa spiaggia; non puoi certo salvarle tutte. Sono troppe!” gridò l’uomo. “E questo succede su centinaia di altre spiagge lungo la costa! Non puoi cambiare le cose!”.
Il bambino sorrise, si chinò a raccogliere un’altra stella di mare e gettandola in acqua rispose: “Ho cambiato le cose per questa qui!”.
L’uomo rimase un attimo in silenzio, poi si chinò, si tolse scarpe e calze e scese in spiaggia. Cominciò a raccogliere stelle marine e a buttarle in acqua. Un istante dopo scesero due ragazze ed erano in quattro a buttare stelle marine nell’acqua.
Qualche minuto dopo erano in cinquanta, cento, duecento, centinaia di persone che buttavano stelle di mare nell’acqua.
Così furono salvate tutte.
Qual è la morale secondo voi?
Parliamo ancora di progresso o regresso, progresso o declinio.
Infatti che combinazione, ma dopo la riflessione che ci ha proposto Franco Muzzioli, riportando in parte l’articolo di Pietro Ottone dal Venerdì di Repubblica del 14-9-12 e che tratta del “progesso o del declinio” del genere umano, ecco che, proprio sulla Repubblica di oggi, 25 novembre, appare un articolo firmato da Sara Ficocelli, e che ci dice che “il progresso danneggia l’intelligenza”
Allora come la mettiamo?
Secondo uno studio dell’università di Stanford (California) “l’uomo ha raggiunto il picco della sua evoluzione cerebrale oltre 2000 anni fa, poi la ‘rete di sicurezza’ della società ha causato l’impigrimento e la recessione dell’intelletto”
Se io ho capito bene l’articolo di Repubblica, sembra che l’evoluzione ci sia stata sfavorevole, infatti le nostre abilità cognitive si sono impigrite a causa della maggiore comodità della vita.
Gli studiosi di Stanford affermano che siamo meno intelligenti di 2500 anni fa ed una delle cause è proprio il progresso tecnologico.
Quindi siamo più stupidi.
Infatti la tesi che viene portata avanti è che l’uomo nel passato, per sopravvivere, doveva affrontare mille difficoltà e, se non era abbastanza intelligente, non ce la faceva, capitolava, per cui “pagava spesso con la vita il prezzo della propria stupidità”, in quanto bastava un piccolo errore, una distrazione banale per soccombere.
“La selezione naturale a favore dei soggetti più astuti avveniva dunque in maniera spietata e istantanea, salvo sporadici colpi di fortuna. Oggi, proprio grazie al progresso, tutti abbiamo non una, non due, ma infinite possibilità di sopravvivenza, salvo sporadici colpi di sfortuna”…
Parlando dal punto di vista della vita quello che sembra un vantaggio, in realtà è un regresso per l’evoluzione dell’intelligenza.
“Un tempo, se un cacciatore non riusciva a risolvere il problema di come trovare il cibo, moriva e con lui tutta la sua progenie – spiega Crabtree, genetista di Stanford – mentre oggi un manager di Wall Street che fa un errore … tutto al più viene declassato. La selezione naturale non è più così estrema”.
“In rapporto al nostro antenato di qualche migliaio di anni fa, la nostra intelligenza è sicuramente più debole – precisa Crabtree – per fortuna la società è abbastanza forte da contrastare l’effetto”.
Insomma, secondo lo studioso, è possibile che l’umanità sia sul “viale del tramonto” dato che nel passato “ad andare avanti e a riprodursi erano i più forti e intelligenti”. Intellettualmente parlando -conclude Crabtree- è probabile che il massimo dell’intelligenza sia stato raggiunto nel periodo della Grecia classica (circa 700/600 avanti Cristo) epoca intellettualmente molto fertile.
Insomma la vita più comoda, il cibo coltivato e facile da reperire, le risorse tecnologiche, hanno reso gli umani più stupidi.
In ogni caso, bisogna riconoscere che l’essere umano è dotato di grandi capacità di adattamento e di utilizzazione dell’esperienza, per cui si potrebbe controbattere che la teoria proposta sia un po’ troppo semplificativa e non è detto che i cambiamenti, apportati dal progresso, siano stati negativi.
E voi che ne dite? A voi la parola.
Un articolo di Piero Ottone apparso sul “Venerdì di Repubblica”, mi ha dato lo spunto per parlare di progresso e demografia.
Il giornalista si pone la domanda: “progresso o declino?” Esamina la nostra “civiltà”, quella occidentale ed afferma che essa è progredita verso la fine dell’800 con l’evoluzione industriale ..quando si pensava ad un progresso inarrestabile del genere umano…..
< Oggi, in tempi di recessione, c’è chi crede al progresso …..? Non mancano argomenti che inducono all’ottimismo.
La medicina moderna risuscita i morti (o quasi), l’elettronica fa miracoli: siamo a passeggio in una strada di Roma, tiriamo fuori un telefonino e ci mettiamo a discorrere con un amico che si trova a Thaiti, come se fosse la cosa più normale del mondo. Non è un miracolo ?>
Poi passa ad una analisi che si riferisce espressamente al calo di natività dei paesi occidentali.
….<Se guardiamo però l’andamento demografico dei bianchi, tanto in America quanto in Europa, il bilancio è scoraggiante, noi siamo sempre di meno …i gialli ed i neri sempre di più. E ancora fra i bianchi, i mussulmani crescono, noi (chi?!?) diminuiamo. Non è questa la prova che la nostra “stirpe”, quindi la nostra “civiltà” è destinata a spegnersi poco a poco ?> (i virgolettati sono stati messi da me).
Ottone ho l’impressione abbia una visione “cattolica” limitata alla sopravvivenza di una “stirpe” (la nostra occidentale), ma non considera che nel 2011 gli uomini sulla terra hanno superato i 7 miliardi, (nel 1952 erano poco meno di 3 miliardi, quindi in sessant’anni sono più che raddoppiati). Entro il 2100 supereranno i 15 miliardi, questo porterà all’aumento dell’estinzione di altre specie viventi, per la deforestazione sempre maggiore, per la cementificazione dei terreni agricoli, per l’endemica carenza d’acqua, inoltre saranno privilegiate quelle specie che serviranno alla produzione di carne e di latte
Le attività umane porteranno sempre ad un maggior inquinamento e quindi ad un aumento del riscaldamento globale.
Gli scienziati parlano di “capacità di carico”, che è la massima quantità di persone che un ecosistema può sostenere, con i ritmi di consumo attuali e senza mettere a repentaglio l’equilibrio vitale e l’abitabilità per le future generazioni ….questa “capacità di carico” è stimata intorno agli 8 miliardi ….quindi fra qualche anno ci dovremo porre in maniera seria il problema……ma forse è troppo tardi .
Anne e Paul Ehrlich nel libro ” la cicogna e l’aratro”, scrivono che la terra può sostenere un numero importante di esseri umani. ….se questi saranno disposti a cooperare tra di loro, se saranno previdenti, buoni, pacifici e …..vegetariani………..cioè stiamo parlando di alieni!
A me poco importa se fra duecento anni il genere umano sia di prevalenza giallo o nero di pelle o se muteranno religioni e costumi, a me interessa, per i miei discendenti, che la terra non diventi un brulicante deserto di esseri che lottano per un tozzo di pane ed un goccio d’acqua.
Basta leggere il libro di Harry Harrison “Make Room! Make Room!”, o vedere il film “i sopravissuti ” con il vecchio Charlton Heston, per spaventarci a sufficenza….ed incominciare a pensare.
Che ne pensate? Mi sembra che ci sia un buono spunto per la discussione.