Pubblico, così come me l’ha mandata, una riflessione di Cactus. A voi i commenti.
Senza titolo scritto da Cactus
Ho letto il commento di Topino ad un mio scritto dal titolo: “Ma in che mondo viviamo?” che mi ha colpito. Non per quanto da lui detto, che è naturalmente da me condiviso, ma piuttosto perché sembra aver anticipato il mio pensiero. Quanto segue, venne da me scritto alcuni mesi dopo la tragedia dell’11 settembre ed erano delle considerazioni che speravo dovessero diventare obsolete in pochi anni.
Purtroppo mi sbagliavo!
Senza titolo
Tanto tempo fa in un Paese molto grande e ricco, chiamato Occidente, vivevano centinaia di milioni di persone, tutte indaffarate e prese dalle mille preoccupazioni quotidiane: il lavoro, la scuola, la palestra per i figli, la partita di domenica, il tempo libero.
Insomma… queste persone non trovavano un momento per fermarsi e riflettere su ciò che li circondava, prese dalla frenesia dell’Avere.
Grazie al loro lavoro potevano permettersi tutto o quasi tutto: una bella casa, l’auto da far ammirare ai vicini, figli cui nulla mancava, week-end fuori città e vacanze esotiche, cure mediche quando ciò si rendeva necessario ecc.
In questo Paese esistevano anche i Poveri naturalmente, ma questi erano così pochi, e sempre per colpa loro, che nessuno faceva caso… se non durante i grandi raduni, nei quali si doveva nominare il nuovo Capo, e durante i quali si facevano tante promesse, raramente mantenute.
Oltre i confini di questo grande Paese ne esisteva un altro, molto ma molto più grande, chiamato Terzo Mondo. In esso vivevano altre centinaia di milioni di persone… probabilmente molte più di quante abitavano il paese Occidente.
Anch’esse si muovevano indaffarate, spinte dalle necessità giornaliere… solo che i loro sforzi, anche se encomiabili, ottenevano pochissimo: una vittoria era arrivare alla fine della giornata e aver consumato un pasto.
La maggior parte era al corrente della vita che altre persone, in un altro paese, conducevano… mentre vi era anche chi pensava fosse solo una favola da raccontare ai più piccoli, durante le lunghe giornate quando la neve, la pioggia o il troppo caldo rendevano impossibili anche le loro poche attività.
Come nel paese Occidente, anche qui la vita era intensa: quando c’era la possibilità si lavorava, quando c’era la possibilità si mangiava, quando c’era la possibilità ci si curava, anche se, frequentemente, si preferiva non farlo per risparmiare quei pochi soldi, tanto prima o poi….
I Capi (esistevano più Capi) del paese Occidente, vedevano tutto questo e avevano pensato che era giusto aiutare i cittadini di quest’altro Paese. Infatti, inviarono i loro Professori più insigni per studiare il modo migliore per fornire un aiuto, che, effettivamente, ottenne lo scopo di portare in quei posti arretrati la Civiltà.
Costruirono fabbriche, aprirono miniere, sorsero complessi commerciali e molte persone trovarono un lavoro, anche se poco pagato… ma questo è un dettaglio di nessuna importanza.
Spinti da una generosità quasi folle, concessero anche prestiti rilevanti perché, dicevano, volevano dare la possibilità al paese Terzo Mondo di arrivare a godere della Civiltà in modo pieno.
Naturalmente i Capi del paese Occidente erano costretti, malgrado non lo volessero, a chiedere una contropartita che si traduceva nel portare a casa loro la maggior parte dei prodotti che uscivano dalle fabbriche, dalle miniere, dai centri commerciali… effettivamente che potevano farne gli abitanti di questo Paese? Non erano in grado di comprarli e quindi usarli!
Anche i prestiti dovevano essere rimborsati… i Capi avrebbero rinunciato (loro hanno un cuore), ma le Banche no, devono guadagnare e quindi… solo che questo ingenuo Paese (il Terzo Mondo, non confondetevi) non riusciva neppure a pagare gli interessi sui prestiti e questi salivano… salivano e il prestito iniziale rimaneva sempre da rimborsare.
Ma c’era una soluzione a questo e i Capi, sempre pronti ad aiutare, pensarono bene di alleviare questi problemi offrendo delle dilazioni alle scadenze, chiedendo però ulteriori concessioni per estrarre le ricchezze che, nonostante tutto, il Terzo Mondo conservava nel suo sottosuolo. Naturalmente i Capi si affrettarono anche ad affermare che le richieste venivano non da loro ma dalle Banche che, come tutti sappiamo, il cuore non lo hanno.
E così il tempo passava e il paese Occidente diventava sempre più ricco, macchine sempre più belle, bambini sempre più rosei, vacanze sempre più esotiche e il paese Terzo Mondo sempre più povero, però felice: aveva la Civiltà!
Ma non tutti nel paese Terzo Mondo erano felici… anzi… iniziarono tra questi irrispettosi e irriconoscenti cittadini le proteste, che diventarono sempre più rumorose, minacciando anche gli interessi economici del paese Occidente.
Bisognava trovare un rimedio. Consultazioni ad alto livello tra i Capi e la soluzione fu pronta.
Nel paese Terzo Mondo vivevano molte etnie diverse con differenti costumi, religioni, leggi ecc.: niente di più facile che mettere un’etnia contro l’altra… le motivazioni non mancavano. Inoltre il paese Occidente avrebbe potuto esportare armi per una o l’altra etnia e quindi anche la sua economia interna ne avrebbe giovato. Le armi si sarebbero pagate, un domani, con altre concessioni da richiedere al governo vincitore.
L’uovo di Colombo… diremmo noi!
E, infatti, le aspettative di questi strateghi funzionarono.
Ma non tutti gli abitanti del paese Occidente erano d’accordo con i loro Capi e anche in questo Paese iniziarono le proteste per queste azioni non propriamente caritatevoli.
Esse aumentarono sempre più e ci furono manifestazioni, alcune volte anche violente, e i Capi dovettero tenerne conto. Iniziarono allora le riunioni ed i congressi ad alto livello in un organismo fondato anche per questi problemi, chiamato ONU.
Quanti insigni Professori si alternarono a parlare… quante soluzioni… quante promesse!
Si dettero anche delle date: entro il….. scomparirà la fame nel mondo (forse intendevano il mondo dove è situato il paese Occidente), entro il….. l’analfabetismo sarà un ricordo (anche per questo vale quanto sopra), entro il….. le malattie endemiche non esisteranno più (mi spiace ripetermi, ma leggete la riga sopra), ecc. ecc. ecc.
Quante belle promesse e quante belle parole!
E gli anni passavano e la rabbia negli abitanti del paese Terzo Mondo aumentava, anche fomentata dall’interno, e le promesse continuavano ad essere parole. Le guerre si aggiungevano ad altre guerre; persone morivano inseguendo l’idea di una pace giusta ed equa; bambini crescevano nell’odio e nella violenza; poveri lottavano contro altri poveri per avere una terra; criminali si mettevano alla guida di persone disperate promettendo l’Eden…
I Capi del paese Occidente erano dispiaciuti per questo stato di cose e, ogni volta, risolvevano con un altro convegno… con altre promesse… fino a che…
giunse l’11 settembre 2001 (Cactus)
Ma in che mondo viviamo?
Penso che tutti, almeno coloro che possiedono una coscienza, molte volte si siano posti questa domanda.
La risposta che io mi sono dato è questa: viviamo nel mondo che, purtroppo, noi abbiamo costruito.
Un mondo in cui ciò che più conta è il raggiungimento del potere, a qualsiasi livello. Un mondo in cui l’egoismo ha occupato il posto dell’altruismo. Un mondo in cui la tanto decantata globalizzazione, ha creato, e continuerà a creare, fasce sempre più ampie d’esseri umani costretti sotto la soglia di povertà.
Tutto questo in nome di quel dio che insegna che la vita, la nostra vita, ha un unico scopo: il profitto! È in nome di questo dio che stiamo perdendo i valori che ci sono stati tramandati da generazioni…. valori che predicavano il rispetto, l’amore e la tolleranza.
I “signori” che ci governano, dai politici ai banchieri, dai petrolieri ai grandi capitani dell’industria, continuano a martellarci, grazie anche ai Media, della bontà di questo mondo.
Ma quale bontà? Quella che costringe gli abitanti dei Paesi più sfortunati ad emigrare in massa? Quella che permette ai pochi di continuare ad arricchirsi alle spalle dei molti? Quella che esporta le guerre, causando centinaia di migliaia di morti, distruggendo intere famiglie?
Per favore, lasciatemi fuori da questa bontà: non mi ci riconosco!
Ciò che più mi rende triste…anzi…scusatemi l’espressione…incazzato, è che poi ci si meraviglia di ciò che succede nel nostro meraviglioso mondo occidentale.
Ci si lamenta dell’invasione da parte dei “migranti”.
Già…definire queste persone in questo modo, è molto più elegante che chiamarli, come una volta si faceva, “emigranti”. Vedete? Basta togliere una vocale e sparisce la memoria dei nostri nonni, quando volgevano le loro speranze per un futuro migliore, ad altri Paesi.
Questa mancanza di valori ci sta portando verso una degradazione morale e materiale che non può non lasciare indifferenti.Le violenze quasi non fanno più audience, tanto sono frequenti e sempre più efferate. Omicidi, stupri, rapine, droga…ogni giorno i giornali sono pieni di queste notizie.
E’ di qualche tempo fa la denuncia delle violenze fatte su bambini di una scuola materna, da parte, com’è scritto nel mandato di carcerazione, d’alcune maestre e altri complici.
Pedofilia….è questa l’accusa.
I Media hanno dato ampio risalto alla notizia, senza prima preoccuparsi di verificare la reale fondatezza delle accuse. L’importante era poterne parlare al più presto, prima degli altri giornali, quasi fosse una gara e non un evento tragico. L’importante è lo scoop…e non importa se le accuse risulteranno poi infondate. Intanto sarà raggiunto lo scopo primario: più vendite di giornali, più profitti per gli editori.
Sono d’accordo sul fatto che quanto succede nel mondo debba essere reso pubblico, ma mi sto accorgendo che, più gli avvenimenti sono aberranti, più si tende a dare loro risalto.
Personalmente condanno, senza alcuna attenuante, chi si rende colpevole di simili barbarie, perché si colpiscono bambini innocenti che si trascineranno per tutta la vita il male subito. Condanno però, allo stesso modo, anche quei Media che, senza ancora averne le prove, mettono alla gogna persone ancora non riconosciute colpevoli.
Nel caso risultassero estranee a quanto loro imputato, anche la loro vita sociale sarebbe finita e non solo.
Come sempre succede in questi casi, l’opinione pubblica si è già divisa in due gruppi: quello degli innocentisti e quello composto da coloro che giustizierebbero volentieri, con le loro mani, questi “criminali”.
Ma è poi possibile che un evento così drammatico arrivi ad avere contorni da derby calcistico? Interviste a personaggi della strada per carpire una parola o una frase “ghiotta”; filmati trasmessi e ritrasmessi in ogni occasione, quasi si temesse in un calo della solita, morbosa curiosità; dibattiti con pediatri, psichiatri e di altre specializzazioni, ben contenti di mettersi in mostra.
Mi stupisco che ancora non abbiano trasmesso le foto degli arrestati o, ancor peggio, quelle dei bambini. Ma, forse, non siamo ancora arrivati a questo livello di imbecillità.
Certo… ciò che è successo è di una gravità estrema, ma per favore, aspettiamo che la giustizia faccia il suo corso, che ci siano dei riscontri seri su quanto avvenuto. Non condanniamo a priori persone che potrebbero risultare innocenti!
Se in seguito fosse dimostrata la loro colpevolezza, sia loro inflitta una pena esemplare, che non conceda né attenuanti generiche né infermità o semi infermità mentali o, ancor peggio, patteggiamenti della pena. Chi si macchia di simili nefandezze, non merita alcuna considerazione.
Per concludere, vorrei anche dire due parole sull’aumento di criminalità che si sta verificando nel nostro Paese dove le nostre carceri sono sovraffollate, specialmente a causa di extracomunitari.
Questo può giustificare il convincimento di molti italiani e cioè che la maggior parte di quanti mettono piede nel nostro Paese, legalmente o illegalmente, siano criminali?
Io non la penso così.
E’ vero che una parte di coloro che preferiscono vivere ai margini della legge, agiscono sul nostro territorio in “proprio”, ma è altrettanto vero che moltissimi di loro sono ingaggiati da italiani, i quali sono ben felici di “passare” a questi delinquenti di bassa forza, le operazioni più rischiose. Guardiamo i capofila di tante organizzazioni criminali: troveremo molti nomi italiani.
Non fraintendetemi… non è mio desiderio né giustificare gli extracomunitari che si macchiano di un delitto né di considerarli meno colpevoli perché “nel bisogno”.
Chi sbaglia deve pagare… e fino all’ultimo giorno di pena. Niente indulti o cose varie per sfoltire i carceri, che poi non servono altro che a dare delle possibilità, a chi esce per questi motivi, di delinquere nuovamente, com’è successo con l’ultimo in ordine di tempo.
Neppure però consideriamo tutti gli extracomunitari dei potenziali criminali. Vivono tra noi tantissime persone di nazionalità diverse, le quali meritano tutto il nostro rispetto.
Sono impiegati, per la maggior parte, in lavori che molti italiani rifiutano e lavorano duramente per permettere alla loro famiglia di avere una vita almeno decorosa. Se sono tra noi non è per turismo, ma per sfuggire alla miseria se non alla morte per fame. In molti casi, specialmente per i lavori stagionali, sono sfruttati fino allo sfinimento, senza contratto, per poche decine di euro al giorno.
All’inizio avevo parlato di “perdita della memoria”.
Questo non vi ricorda nulla?
Leggiamoci un libro sugli “emigranti”, in partenza dai porti di Napoli, Palermo, Genova, Trieste… tutti con il sogno delle “Americhe”; oppure dalle stazioni ferroviarie di tutte le principali città italiane con destinazione Germania, Belgio, Svizzera, Inghilterra…
Troverete anche molte foto. Vedrete famiglie intere, con le loro poche cose ed i loro sogni racchiusi in una valigia legata con lo spago, sporgersi dalla ringhiera del ponte più basso di una nave in partenza, per l’ultimo saluto a chi rimaneva. Oppure altre foto, certo non meno tristi, che mostrano persone in attesa sul marciapiede di una stazione ferroviaria, con accanto i loro pochi averi.
Quei visi così malinconici, ma con gli occhi pieni della speranza che dà la forza di continuare a lottare, sono gli stessi, identici visi degli sfortunati che oggi affollano le nostre città.
“Il tuo dio è ebreo. Il tuo scooter è giapponese. La tua pizza è italiana e il tuo cous cous algerino. La tua democrazia è greca. Il tuo caffè è brasiliano. Il tuo orologio è svizzero. La tua camicia è hawaiana. Il tuo walkman è coreano. Le tue vacanze sono turche, marocchine o tunisine. I tuoi numeri sono arabi. La tua scrittura è latina. E tu… rimproveri al tuo vicino di essere straniero!” (estratto dal libro “Mi racconto…ti racconto” di Reza Rashidy)
Pino5.rm mi ha mandato una lettera di Giovanni Bovio che io riporto in toto perché si prenda spunto per una discussione e ci si rifletta su.
Pino mi scrive: Paola ti riporto qui di seguito solo un esempio di onestà nella politica di un tempo.
Giovanni Bovio (Trani, 6 febbraio 1837 – Napoli, 15 aprile 1903) è stato un filosofo e politico italiano, sistematizzatore dell’ideologia repubblicana e deputato al Parlamento del Regno d’Italia.
Alcuni banchieri francesi, gli avevano offerto il compenso di un milione e duecentomila lire purché li aiutasse a concludere un prestito che stavano negoziando col governo italiano, Bovio, che pur non era ricco rispondeva con la seguente lettera:
5 dicembre 1888:
La proposizione fattami indica chiaramente che voi mi avete veduto e udito, ma non mi avete conosciuto. Per fare a me siffatta proposta, voi avete dovuto indicare ai banchieri che verranno in Roma il mio nome, e permettete che lo difenda io, che non ho altro da custodire e da trasmettere.
Lo difenderò spiegandovi in poche parole il fatto e me.
Il fatto, comunque colorito e velato, è di quelli che si chiamano affari, e che i deputati non debbono trattare né coi ministri, né con uffici e compagnie dipendenti dal governo. Non c’è legge che vi si opponga, ma i fatti peggiori non sono quelli che cadono sotto le sanzioni.
Quanto a me, né a voi che siete stato in Napoli, né ad altri può essere ignoto che io sostento me e la famiglia dì per dì, insegnando e scrivendo filosofia, congiunta con un po’ di matematica, ma con aritmetica che non è arrivata mai al milione. Se il lavoro mi frutta l’indipendenza, il milione mi è soverchio. Voi scrivete che tutto sarebbe fatto di cheto in Roma, senza che altri ne sappia; e non lo saprei io ? E non porto nella mia coscienza un codice?
I banchieri possono lasciare la loro coscienza a piè delle Alpi e ripigliarsela al ritorno; ma io la porto dovunque, perché là dentro ci sono gli ultimi ideali che ho potuto salvare dalle delusioni. Voi scrivete che è opera di buon cittadino questa mediazione; ed io vi dico che è opera di onesto uomo non far mai ciò che si ha bisogno di tacere e di coprire.
Giovanni Bovio
Poi Pino continua:
Spero che anche tra i politici di oggi ci possa essere chi è capace di rinunciare agli affari per mettersi al servizio di ideali di onesta e solidarietà che possano generare e favorire lo sviluppo di quei valori base del comune sentire. A noi spetta alle prossime elezioni di scegliere il meno peggio senza farci vincere dalla tentazione di disertare il voto. Auguro a tutti una buona espressione di voto.
Aggiungo che c’è una lapide, affissa sulla facciata della casa dove Bovio morì e l’epigrafe comincia con queste parole: “In questa casa morì povero e incontaminato Giovanni Bovio…”
Normalmente non uso fare gli auguri, ma oggi è il compleanno di due cari amici, degli Eldyani ed anche miei personali, sono con noi ormai da molti anni e tutti e due partecipano attivamente alla vita della chat con collaborazioni nel passato e nel presente, anche in questo blog.
Vi auguro tanta serenità e salute:
Alfred-Sandro.ge e Franco Muzzioli,
con un pizzichetto di follia che non ci sta mai male.
In Incontriamoci Franci scrive:
“È davvero immortale la nostra anima?
Cosa c’è oltre la vita?
Dove va l’anima quando si separa dal corpo?
Ma poi, cos’è l’anima?
È qualcosa di etereo o si può vedere?”
Segue un articolo molto interessante ed altrettanto stimolanti commenti.
Qualche mese fa, esattamente nel maggio 2012, Franco Muzzioli aveva proposto questo articolo
sull’anima, con un’impostazione diversa da quella di Franci, ma le domande sono simili, i dubbi ugualmente angosciati.
Con il consenso dell’autore e di Franci, vi ripropongo questo articolo, soprattutto per confrontare le due diverse prospettive ed i commenti ugualmente interessanti. A voi altri commenti se ne avete (pca)
L’anima, etimologicamente parlando, è il “soffio”… quello di Dio quando creò l’uomo.
Nelle religioni, almeno in molte, è la parte “eterna” di noi stessi, molti la identificano con il pensiero, col ragionamento, con i sentimenti … si dice infatti … ” ti voglio un bene dell’anima”.
Paola mi ha detto: “sei matto a voler parlare dell’anima …”
ma perché no?
Forse un dubbioso è il più adatto, perché è in mezzo al guado e può fare affermazioni e domande svincolato da convincimenti di fede.
Ormai la teoria evoluzionistica darwiniana è accettata anche dalla Chiesa, questa teoria dice che noi siamo una evoluzione dei primati (scimmie).
Quando Dio decise di infondere questo afflato eterno?
Lucy, la nostra progenitrice trovata in Africa ne era già in possesso?
Gli uomini di Neanderthal avevano un’anima, o dobbiamo arrivare all’Homo Sapiens?
È chiaro che non c’è stato un drastico momento di passaggio, ma un’evoluzione che è durata milioni di anni, quindi mi pare molto difficile stabilire quando Dio “fece questo soffio”.
L’anima è eterna per definizione… quando moriamo ci portiamo dietro i nostri ricordi?
Rincontriamo le anime delle persone che abbiamo amato?
Amore e affetto sono sentimenti legati alla corporeità … mi pare strano che possano essere eterni.
Ma il mio dubbio è un altro… sono un uomo fortunato nella mia esistenza ho avuto tanti affetti, la mia è stata una “vita buona”… quindi quando andrò dall’altra parte godrò per tutta l’eternità di questi ricordi piacevoli .
Un bambino africano (ne muore di fame uno ogni tre secondi) sofferente, martoriato, con genitori uccisi dalle violenze delle guerre, muore … e quando va “dall’altra parte” si porta solo ricordi di sofferenza e patimenti… non mi pare giusto!
Mi è stato detto che per lui ci sarà la gloria di Dio… si perderà nella luce di Dio.
Non è equo… se lui si perderà in Dio, anche io dovrò perdermi in… senza ricordi, senza consapevolezze, senza affetti ritrovati.
Se allora questa mia anima si annegherà inconscia nella Luce non ci sarà un dopo per me, sarò una scintilla d’eterno priva d’ogni riconoscimento personale .
Fin qui è la parola di un dubbioso che forse confonde i ragionamenti con l’anima, ma come novello Diogene, tiene accesa la lampada, non per trovare l’uomo, ma quello che dentro di lui dovrebbe esserci.
Nella “Repubblica” del 20 aprile un articolo di Elena Dusi fa eco a queste mie considerazioni sull’anima, parlando di Dio.
Da uno studio su 30 paesi, curato in Italia da Deborah De Luca dell’Università di Milano, scaturiscono dati impressionanti sulla fede.
Nel nostro paese il 64,1% dei giovani al di sotto dei 28 anni, dice di non credere in Dio e la situazione non è certo più incoraggiante anche nelle altre fasce d’età, bisogna arrivare agli over 68 per avere un ribaltamento della situazione con un 66,7% di credenti.
Le percentuali in Europa sono ancor più drastiche, in Francia, Germania e nei paesi del nord le percentuali degli under 28 che non credono in Dio superano il 90%.
La mia domanda è ovvia, fra due, tre generazioni che fine farà la Chiesa? Che quadro sociale avremo senza le remore di una religione e senza lo stimolo di una fede?
L’etica laica sarà sufficiente o migliore?
Vito Mancuso, uno dei maggiori teologi odierni, (ha scritto “io e Dio” edito da Garzanti), in questo articolo termina dicendo che se la Chiesa di Roma avesse veramente a cuore la fede di quello che un tempo si chiamava “popolo” di Dio, oggi destinato a diventare un circolo per pochi, dovrebbe guardare in faccia alla situazione e correre ai ripari cambiando drasticamente.
Anche io, dubbioso e laico, tremo nel pensare a quest’altra “fede” nella totale negazione, forse tutti dovremo cercare al di là di dogmi e sovrastrutture di verità rivelate, un corale sentire che riporti l’uomo ad un alba diversa.
Proprio una settimana fa, martedì mattina il 9, il nostro caro amico Angelo ci ha lasciati.
Vorrei rammentarlo allegro, sano, sereno; ecco perché, dal suo album di ricordi, ho scelto delle immagini in cui sorride, in cui è giovane.
Con il permesso di Lucia le pubblico qui, affinché si ripensi a lui nei suoi momenti felici.
Giulian.rm ci dà un’informazione preziosa per chi usa Skype
Skype, attenzione al nuovo virus Dorkbot!
Dopo che una sorte simile è capitata anche ad altri servizi di messaggistica (Facebook,Twitter), ad essere preso di mira dagli hacker ora è Skype, che attraverso un Worm diffuso sulla sua chat, potrebbe infettare un computer Windows.
Se si ricevete sulla chat di Skype un messaggio del tipo
“LOL, is this your new profile pic?”,
non cliccate sul link e non fate altro! Questo, all’apparenza innocente messaggio, nasconde un worm che una volta attivato, apre una porta consentendo al pirata informatico di prendere possesso del vostro PC.
Cioè impossessarsi di tutti i vostri dati, password, numeri di carte di credito ecc.
I responsabili di Skype hanno fatto sapere di essere informati di queste minacce e di lavorare assiduamente perché siano debellate dal programma. Per ridurre al minimo ogni rischio, poi, consigliano di scaricare sempre la versione più recente del programma e di aggiornare i vari software di sicurezza installati sul proprio PC: Antivirus,anti spyware,anti malware.
E’ buona norma non cliccare mai su collegamenti contenuti in messaggi di provenienza sospetta, o da contatti non presenti fra i vostri amici.
- In questo spazio scrivete nei commenti le vostre domande. Persone di buona volontà vi daranno le risposte.
(le domande e le risposte di interesse generale sono state riunite in un articolo a parte)
Esperti e meno esperti sono i benvenuti
Chi se la sente dà il suo contributo
UN GRAZIE A TUTTI QUELLI CHE L’HANNO GIà FATTO
Rwanda…Burundi…Congo.
Sono nomi che tutti noi, purtroppo, conosciamo. Ancora abbiamo negli occhi la visione dei massacri perpetrati, delle lunghe colonne di profughi e dei loro campi per rifugiati, dove la fame e le epidemie, ancor oggi, uccidono più della guerra stessa.
Sarà difficile cancellare le immagini dei tanti bambini che cercavano, inutilmente, di ottenere un po’ di latte da seni vuoti e avvizziti o dimenticare gli sguardi supplichevoli di tante mamme che imploravano un aiuto, che raramente arrivava.
Dove erano in quei momenti i Potenti del mondo? Riuniti intorno ad inutili tavole rotonde, dove si discuteva sul come intervenire per far cessare massacri, il cui ricordo peserà per sempre sulle loro e nostre coscienze.
Infanzia negata
Mi trovavo in Zambia, nazione confinante a nord ovest con il Congo e, sui giornali locali, leggevo le notizie che riferivano, parlando delle lotte mai cessate, d’interessi stranieri in queste aree martoriate. Paesi dell’area, ma tra le righe era chiaro anche il riferimento al mondo occidentale. Scrivevano di accordi per lo sfruttamento del sottosuolo che, anche se in forma trasversale, finanziavano l’una o l’altra fazione in lotta.
Stranamente nessun articolo accennava a guerre causate per motivi etnici.
Questo m’incuriosì e mi portò, durante un periodo passato nelle vicinanze di un campo profughi a Mwinilunga, al confine con il Congo, a voler approfondire quanto di vero c’era in ciò che avevo letto.
Una domenica mattina notai un gruppo di bambini che si stava avvicinando. Era evidente che provenivano dal campo profughi alla ricerca di cibo e questo mi fornì l’occasione per cercare di conoscere qualcosa del loro passato. Chiamai un amico, anche lui profugo dal territorio dei Grandi Laghi, a farmi da interprete.
Naturalmente pensammo per prima cosa a dare loro del cibo e delle bevande vitaminiche e qui ebbi la prima grande sorpresa: il cibo (pane, biscotti, frutta e succhi) venne da loro diviso in parti assolutamente uguali; ognuno ne mangiò una certa quantità (meno della metà) e poi chiesero della carta per conservare quanto rimasto. Domandai se intendevano consumarlo durante la giornata… la risposta mi lasciò allibito.
“No” risposero “Questo è per i nostri compagni che sono rimasti al campo“.
Mi affrettai a dare loro altro cibo e cominciai a porre delle domande.
Il mio amico mi aveva già fatto notare la loro appartenenza ad etnie diverse e allora chiesi a ciascuno il Paese di provenienza: Rwanda. Tre di loro erano Tutsi e quattro Hutu. Anche i loro amici rimasti al campo appartenevano a queste due etnie e allora mi sorse spontanea una domanda: “Ma come, gli Hutu e i Tutsi non sono nemici?”.
Domanda stupida, lo so, ma ero curioso di sentire la loro risposta… che non venne. Arrivò invece una risata e, probabilmente, si chiesero se ero tutto sano di mente.
Rimasi con loro per alcune ore e mi raccontarono d’essere soli, avendo perduto i famigliari… o perché uccisi o per averne perso il contatto durante le centinaia e centinaia di chilometri percorsi a piedi, attraversando la savana e nascondendosi nella foresta, nutrendosi di quel poco che riuscivano a trovare. Mi dissero anche che molti dei loro compagni non erano riusciti ad arrivare per colpa delle malattie, della mancanza di cibo o, in alcuni casi, perché non si erano nascosti abbastanza bene.
Chiesi come vivevano nei loro villaggi o città. Nessuno di loro fece cenno a rivalità tra la loro famiglia e quella del vicino, anche se d’etnia diversa. Certamente esistevano difficoltà, però solo dovute a ragioni economiche o sanitarie… ma questo non era un fattore di divisione, anzi… in caso di bisogno si poteva contare sull’aiuto del vicino (fa parte della loro cultura, specialmente nei villaggi).
Mi raccontarono degli orrori cui avevano assistito… genitori massacrati, sorelle stuprate e, per i più fortunati, la fuga. L’arruolamento coatto di molti dei ragazzi che non riuscirono a fuggire, mandati a combattere contro i loro ex vicini, con fucili più alti di loro. La fame e le punizioni che sempre incombevano verso chi non dimostrava solerzia nell’uccidere.
L’ultima domanda che rivolsi loro era diretta a conoscere i motivi per i quali erano stati obbligati a lasciare le loro case.
“La guerra” risposero.
“Ma perché questa guerra?“
“Non lo sappiamo“.
Il mio incontro terminò qui, ma non crediate che queste risposte provenissero da “bambini”… sono venute da “adulti” con il corpo e l’età di un bambino, troppo presto obbligati a diventare “grandi”.
Probabilmente molti di voi continueranno a pensare che la responsabilità di quanto successo sia da attribuirsi esclusivamente agli abitanti di queste Regioni, alla loro “ignoranza” nel permettere a criminali assetati di potere e ricchezze di trascinarli in guerre fratricide.
Io continuerò a credere che una grande responsabilità di quanto è accaduto, accade e continuerà ad accadere, è di quella parte del mondo che si definisce “Civile” e che guarda a questi popoli soltanto come fonte di sfruttamento, riempendosi la bocca con parole come “Democrazia” e “Giustizia” senza conoscerne il significato o, meglio, dimenticandolo volutamente.
Quando sentiremo parlare di nuove guerre in Africa o in altri continenti e, purtroppo, questo succederà finché continueremo a “credere” di essere i padroni del mondo, cerchiamo di andare oltre le notizie che ci sono fornite dai Media. Cominciamo a far sentire anche la nostra voce… contro le armi, contro gli aiuti dati a Presidenti corrotti, contro quelle aziende che, camuffandosi da colomba, pensano soltanto al loro tornaconto.
La foto che vedete è dei bambini di cui ho parlato: due di loro sono stati obbligati a combattere, una di loro ha dovuto fare “compagnia” ad un soldato. Guardate i loro occhi: sono occhi Hutu e Tutsi, ugualmente feriti.
Qui di seguito un estratto di un bellissimo film, molto toccante che racconta questa tragedia: “Hotel Ruanda”
Al di la della cronaca giudiziaria che altro c’è da dire ancora dopo lo scandalo politico della Regione Lazio dove hanno rosicato, tutti, come topi davanti a una grossa forma di formaggio?
Le prossime elezioni rischiano di avere un effetto devastante sul quadro politico italiano, la disaffezione della gente da questa classe dirigente è un dato noto.
Avanza e aumenta:
L’astensione dal voto è in crescita da anni e tutti i sondaggi recenti la accreditano come il maggior “partito” italiano compreso in una “forchetta” tra 20% e 30%.
Riflessione:
Astenersi dal voto è un dovere disatteso o un diritto legittimo?
Le scuole di pensiero non concordano pienamente sulla validità e legittimità del “non esercitare” questo diritto/dovere.
Esercitare il diritto di voto rappresenta la dovuta partecipazione della gente nella scelta della classe politica, anche se in questi ultima anni, è cresciuta la necessità e il bisogno di pretendere di eleggere rappresentanti direttamente e non dalle decisioni dettate dalle segreterie dei partiti.
Quindi votare, oltre ad essere un diritto, è anche un dovere civico c’è una citazione di Paolo Borsellino che trovo molto indicativa a questo proposito:
“La Rivoluzione” si fa nelle piazze con il popolo, ma il cambiamento si fa dentro la cabina elettorale con la matita in mano. Quella matita, più forte di qualsiasi arma, più pericolosa di una lupara e più affilata di un coltello.”
L’astensione un conto è usarla come arma di protesta fine a se stessa, nella speranza che la politica decida di modificare i suoi metodi a favore dei cittadini, un conto è esercitarla perché consapevoli e convinti di non avere punti di riferimento cui rivolgersi.
E’ vero che astenersi significa demandare le decisioni ad altri, lasciando loro la facoltà di decidere.
E’ altrettanto vero che guardando la situazione attuale in cui ci troviamo, in cui il rispetto per il popolo è stato umiliato dall’arroganza del potere politico…la tentazione è forte.
Scrivevo all’inizio del post:
” …che altro c’è da dire ancora dopo lo scandalo politico della Regione Lazio?”
Non rimane che condividere la disperazione di Gramellini al quale è caduta la testa sulla tastiera, e che la gente si allontana dalla politica e si avvicina sempre di più all’antipolitica.
Il Senato decollato
Per riprendermi dalle foto del toga party laziale – deputate travestite da ancelle e maiali travestiti da maiali – sentivo il bisogno di rifugiarmi in un’istituzione seria, il Senato della Repubblica. Ieri quell’augusto consesso si occupava di violenza sulle donne. Nell’accostarmi al dibattito, trasmesso dalla tv parlamentare, mi domandavo quali mozioni ed emozioni avrebbero prevalso. In realtà la domanda che avrei dovuto pormi era un’altra: a che ora sarebbe atterrato l’aereo del vicepresidente Nania.
L’uomo incaricato di presiedere la seduta, Nania appunto, era infatti ancora all’aeroporto di Catania per un ritardo di cui ha subito incolpato il ministero dei Trasporti. Ingenuamente mi sono chiesto cosa ci facesse il vicepresidente del Senato a Catania di giovedì. Già il Parlamento funziona due giorni e mezzo alla settimana. Sarà troppo pretendere che almeno quelle sessanta ore i nostri stipendiati le trascorrano a Roma nel luogo di lavoro? In attesa del decollo di Nania, sullo scranno presidenziale è salita Rosy Mauro, che dopo lo scandalo della Lega si è dimessa da vicepresidente vicario, però non da vice semplice. La capisco: i distacchi vanno centellinati. Ma anche lei aveva un aereo in partenza e così «per impegni urgenti e improrogabili» (qualche laurea all’estero?) una donna ha sospeso la seduta dedicata alla violenza sulle donne. Dopo mezz’ora di buio istituzionale senza precedenti è dovuto accorrere il presidente Schifani, interrompendo un incontro coi beagle della Brambilla. Sto cercando una battuta per chiudere, ma dalla disperazione mi è caduta la testa sulla tastiera. La rialzerò appena atterra Nania.
(Massimo Gramellini -La Stampa)
Giornate europee del patrimonio 2012 “L’Italia tesoro d’Europa”
PER DUE GIORNI TUTTE LE PORTE SARANNO APERTE
Sabato 29 e Domenica 30 settembre 2012
In occasione delle “Giornate Europee del Patrimonio” l’ingresso a musei, gallerie e zone archeologiche dello Stato è gratuito
Gli obiettivi delle Giornate Europee sono quelli di sensibilizzare i cittadini europei alla ricchezza e alla diversità culturale dell’Europa, creare un clima ideale per fare accettare il ricco mosaico delle culture europee e favorire una più grande tolleranza in Europa che vada al di là delle frontiere nazionali, e sensibilizzare il grande pubblico e il mondo politico, alla necessità di proteggere il patrimonio culturale. L’Italia è presente alle Giornate insieme ad altri 49 Stati Europei.
A questa grande festa europea, ideata nel 1991 dal Consiglio d’Europa, il MiBAC (Ministero per i Beni e le Attività Culturali) partecipa con oltre 1500 appuntamenti, organizzati dai propri Istituti centrali e territoriali che, per l’occasione, aprono gratuitamente al pubblico tutti i luoghi d’arte statali che comprendono il patrimonio archeologico, artistico e storico, architettonico, archivistico e librario, cinematografico, teatrale e musicale.
(Se clikkate due volte sulla scritta azzurra qui sopra, avrete una mappa d’ Italia, poi, clikkando sulla regione che vi interessa, apparirà una finestra di dialogo, clikkate sulla parola “Ricerca” potrete così conoscere le iniziative della vostra città)
Alcuni mi hanno chiesto come si possono cancellare le tracce di una chat fatta con Skype, e altri le configurazioni delle notifiche.
Vediamo in quest’articolo come cancellare l’intera cronologia di Skype, oppure le conversazioni avute con un singolo contatto. Per quanto riguarda il primo punto dovete andare alla voce “Strumenti->Opzioni” e recatevi alla voce “Privacy”.
A questo punto fate click su “Cancella la Cronologia” per eliminare tutta la cronologia. (vedi immagine n°1, e controllate anche la spunta delle varie voci).
Una volta cancellato questo file, è ricreato vuoto al prossimo avvio di Skype.
Semplice vero?
Ora passiamo al secondo punto, in altre parole cancellare solo la conversazione con un contatto.
(Può capitare che flirtiate innocentemente su Skype con una vecchia fiamma, un collega, un conoscente, si non è il caso vostro ma è bene sapere che le chiacchierate su Skype restano visibili per lunghissimo tempo sul PC. In sostanza, se avete segreti che preferite custodire, non sottovalutate l’importanza di cancellare la cronologia delle conversazioni Skype.)
Basta scaricare il programma Skype Chat Remove, lo installate, lo avviate e inserite il vostro account Skype e l’account del contatto di cui volete cancellarne la conversazione, infine click sul pulsante “Remove Chat History” (vedi immagine n°2)
Queste informazioni sono per l’ultima versione di Skype 5.0.0.156 per chi avesse ancora le precedenti: “Strumenti->Opzioni” e recatevi alla voce “Privacy” e sulla destra fate click sul pulsante “Mostra le opzioni avanzate” “Cancella Cronologia”.
La terza immagine riguarda “Configurazione notifiche”, (controllate le voci spuntate n°3) Skype è anche un ottimo sistema per inviare rapidamente file di grandi dimensioni ad altri utenti. Per cominciare, basta selezionare l’utente cui desideri inviare il file. Fatto questo, click sul pulsante “Invia File” oppure seleziona “Invia File…” dal menu Contatti. Vi sarà richiesto di selezionare sul computer un file da inviare. Skype chiederà il permesso del destinatario prima di avviare la trasmissione del file. (il destinatario lo deve accettare)
Come per qualsiasi altro programma di posta elettronica, di trasmissione file o file scaricabile direttamente dal web, vanno prese le opportune precauzioni prima di accettare file da altre parti. Vi consiglio di usare sempre un programma antivirus per eseguire la scansione di tutti i file in arrivo, (prima di aprirli) anche se inviati da persone che conoscete. Naturalmente le fotografie sono escluse dal controllo.
Vi propongo di guardare questo corto, è un po’ vecchiotto, è del 1992, ma secondo me fa molto riflettere, su tanti aspetti della nostra realtà attuale.
È stato girato a Berlino, quando da poco si era compiuta la riunificazione delle due Germanie e non esisteva più un muro, a dividere est e ovest Berlino.
Si deve valutare questo aspetto, ma nonostante tutto, la sua attualità e universalità, colpiscono. Al primo impatto è divertente, poi fa meditare un po’.
A voi i commenti se ne avete voglia.
(Una piccolissima precisazione il titolo è in tedesco “schwarzfahrer” ha un doppio significato fahrer è uno che viaggia, quindi il passeggero e schwarz vuol dire nero, ma schwarzfahrer vuol dire anche quello che viaggia “in nero”.)
Buon divertimento!
Il 15 settembre prossimo venturo festeggio con Anna le nozze d’oro, va bè , direte Voi , ma un articolo del genere non è eccessivamente autoreferenziale? Ma certo….nasce anche per avere i vostri auguri, le vostre felicitazioni….ma soprattutto per parlare della coppia.
In un epoca dove la crisi del settimo anno è quasi di buon auspicio perché vuol dire che il matrimonio è durato più di un biennio … il considerare le “nozze d’oro” è come pensare ad altre ere geologiche.
Ora si sposano e si separano quasi annualmente … anzi non si sposano neppure più … convivono, così non c’è il pericolo e la scocciatura del divorzio.
Arrivare a festeggiare i 50 anni di matrimonio può accadere se ci si piace, se ci si vuol bene, se l’educazione a monte ha dato i giusti principi (o stereotipi !?!?) da seguire, se si è sufficientemente sani di corpo e di mente, se non ci sono troppi problemi economici e familiari … allora… forse… con fortuna, buona volontà, accettazione, pazienza, rinunce … ci si può arrivare… insomma è un po’ come vincere al superenalotto.
Ma perché è tanto difficile vivere tanti anni assieme?
Forse anche perché la donna, giustamente, ha guadagnato una certa indipendenza, lavora, è cosciente dei suoi diritti e vuole esplicitare completamente la propria personalità, non è più convinta di seguire il compagno “nella buona e nella cattiva sorte”… come recitava la formula sacramentale.
La vita lavorativa porta a trascorrere più tempo nell’ambito del lavoro che con il partner, le caratterialità sono più definite, i compromessi meno accettabili, la capacità di fare sacrifici decisamente inferiore. Allora basta un nonnulla, uno screzio, un accenno di tradimento, una difficoltà di collimare i caratteri, problematiche economiche che minano la routine… e tutto salta per aria … progetti, programmi, figli e compagnia bella!
E’ certo che vivere con una persona che non ami più, che ti tradisce e con la quale senti di non aver più nulla in comune è decisamente difficile e non possiamo neppure ricondurre sempre il tutto ad un po’ di ottusa e masochistica “buona volontà”!
Poi si sa…la natura è matrigna…e la fortuna è cieca…se queste due signore, pur con i loro limiti, son benigne con te…allora….allora si può anche arrivare a festeggiare le “nozze d’oro”.
Ma vorrei accennare a ben più importanti comunicatori come la professoressa Alessandra Graziottin nota sessuologa italiana. …che dice….” Tutte le famiglie felici sono simili tra di loro – scriveva Tolstoj nell’incipit di Anna Karenina – ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”. Se le famiglie felici e quindi longeve si somigliano, quali sono i denominatori comuni che consentono loro di reggere quelle difficoltà che sfasciano almeno il 40% delle famiglie nei paesi occidentali ?
Secondo recenti ricerche, è importante innanzi tutto avere un buon carattere: elastico, duttile nel temperamento e nelle relazioni (pareva ovvio!). Occhi aperti allora, già nella fase di fidanzamento è essenziale scegliere un partner capace di dialogare, di lasciar perdere, di non intestardirsi sulle proprie posizioni ed essere elastici con noi stessi”…”Insomma un santo!” Aggiungo io. … La Graziottin prosegue…”All’amor non si comanda, ma alla decisione o meno di sposarsi sì! I testardi ed i rigidi (maschi e femmine), possono andar bene per una avventura, ma per un matrimonio è meglio scegliere altri caratteri ed altre affinità. Per un matrimonio felice e longevo sono infatti requisito essenziale le affinità elettive, come avrebbe detto Goethe .
Educazione, cultura, estrazione sociale, valori ideali, hobby, passioni … sono essenziali, perché servono a disegnare il territorio, il paesaggio fisico, emotivo e razionale in cui si muove la coppia ed in cui, domani, cresceranno i figli.
La passione erotica nasce soprattutto dalla differenza, la possibilità di unioni durature si basa di più sulle somiglianze.
…….Scrivendo mi è venuta in mente una delle coppie di amici più felice e longeva che conosca….all’ultimo “referendum” hanno partecipato anche loro ….uno ha votato tutti no….l’altra tutti sì …a tavola ci raccontavano le ragioni serissime dell’uno e dell’altra …con un incredibile senso di umorismo e di costruttiva autoironia. Il rispetto “dell’altro”, anche nelle scelte, è la garanzia di un amore solidissimo.”
Esempio, a mio parere, al limite e che considera una coppia culturalmente ed emotivamente “particolare” … mi pare giusto però prendere l’ultima frase della sessuologa, che parla di “un amore solidissimo”……. quello soprattutto è il segreto per un matrimonio felice e longevo…
Ora, con il mio inguaribile romanticismo, faccio seguire una mia composizione sul tema:
Nozze d’oro
Come salendo
per impervia erta
si ferma il passo
per la nuova cima
spazia l’occhio
l’orizzonte nuovo
forse l’ultimo
per timore e fatica.
Così arrivavi
a traguardi impensati
di atavici sguardi
e si era al termine
di esistenza vissuta.
Ma è cambiato il raffronto
monti nuovi io scorgo
ancor lesto
è il mio e il tuo passo
se la meta è lontana
la mia mano è qui pronta.
E’ soltanto una data
che orgogliosi ci coglie,
il cammino si anela
e ancor lungo s’appressi
vieni , andiamo
la speranza sia guida
e l’amore sia il volto.
Ed ora ecco un esempio di ” NON INDIFFERENZA” che fa da controcanto al post precedente.
Cactus condivide la sua esperienza di volontariato in Africa, nello Zambia; e ne scriverà ancora, affinché si possa anche noi venire a conoscenza. Mwabombeni Cactus!
Per anni mi sono recato come volontario in vari Paesi per cercare di portare un mio piccolo contributo a persone che mancano dell’essenziale. Questo mi ha fatto conoscere il lato “triste” dell’altra faccia della vita, ma mi ha anche dato una grande possibilità: quella di riuscire a immergermi nella cultura di popolazioni con stili di vita diversi dal nostro, accettandoli senza volere cambiarli e, soprattutto, senza giudicarli! Da queste mie esperienze ne ho tratto un libro di cui, responsabili dei blog permettendo, vi farò partecipi con l’invio di alcuni episodi, di cui questo è il primo.
Ritorno a Chibote
(Pace e Bene in lingua Bemba)
Agosto
Finalmente il viaggio è terminato. Non è stato eccessivamente lungo, ma dopo 400 km di strade dove le buche si alternano ad altre buche e i tratti asfaltati improvvisamente lasciano il posto allo sterrato, non si può parlare di un viaggio riposante e il raggiungimento della meta è accolto da un senso di sollievo.
E’ trascorso un anno dalla mia prima fugace visita a questo villaggio, ma questa volta il mio soggiorno sarà più lungo in quanto, con alcuni amici, porteremo a termine un piccolo progetto di cui si è discusso durante la visita precedente: lavori vari di manutenzione da eseguire all’interno delle 24 case che costituiscono il villaggio. Esse sono state costruite anni fa e fanno parte di un progetto più ampio che comprendeva la costruzione di un ambulatorio, magazzini, locali vari ad uso comunitario, pozzo, una scuola e una minuscola chiesetta.
La particolarità di questo progetto risiede nel fatto che è rivolto a famiglie colpite dalla lebbra e tende a rendere questa comunità di circa 400 persone autosufficiente… e i risultati ottenuti sono stati più che soddisfacenti.
E’ stato aperta una sartoria, un laboratorio dove si costruiscono protesi molto semplici e stampelle, un allevamento di polli e mucche e dove una vasta zona di terreno è stata dedicata all’agricoltura. Tutto questo ha fatto in modo che gli abitanti di Chibote potessero avere una vita dignitosa, ma quel che più impressiona è constatare l’armonia e la pace che qui si respira. Ogni famiglia ha più di un membro colpito dalla malattia, ma questo non impedisce, anzi sprona, l’aiutarsi l’uno con l’altro. Qui l’egoismo sembra una parola sconosciuta… ognuno lavora per la comunità e dà ciò che gli è possibile dare.
Colpisce vedere persone che, sedute a terra, riescono a zappare stringendo l’attrezzo tra due moncherini o assistere all’aiuto reciproco che si danno nell’ambulatorio per le medicazioni. Già, qui i dottori non esistono e neppure infermieri “veri”: semplicemente gli stessi malati sono stati istruiti sul come eseguire le medicazioni e anche il responsabile dell’ambulatorio è un malato.
Fortunatamente la maggior parte dei bambini sono sani e anche per coloro che dovessero ammalarsi, nonostante la prevenzione che si effettua, è ora più semplice riconoscere i sintomi al loro comparire e procedere alle cure che li porterà alla guarigione. La parola “lebbra” incute, specialmente a noi occidentali, ancora paura e repulsione, ma i progressi della medicina in questo campo sono stati enormi e anche il problema del contagio è stato molto ridimensionato.
Purtroppo molti degli adulti ammalatisi nel passato hanno sofferto di menomazioni gravi, specialmente agli arti e, anche se non si arrendono, ci sono cose per le quali necessitano di un aiuto. Questo è il motivo della mia/nostra presenza: eseguire alcuni lavori che essi non riuscirebbero a portare a termine se non con estrema difficoltà.
Iniziamo con il rifacimento del recinto per le mucche. Si rende necessario sostituire diversi pali e il filo spinato, oramai ossidato e strappato in più punti. Niente di particolarmente gravoso, salvo il fatto che un intero lato del recinto è stato invaso da rovi con spine lunghe 7/10 cm… e questo non è piacevole, in quanto per riposizionare il filo si rende necessario il taglio dei cespugli a colpi di machete. Comunque, a parte le mosche e la temperatura poco gradevole, in pochi giorni terminiamo questo compito e ci accingiamo ad iniziare il lavoro più gravoso: la ristrutturazione delle case.
Ognuno di noi lavora insieme a un ragazzo del villaggio… questo per responsabilizzare gli abitanti e anche perché imparino a fare certe piccole manutenzioni.
Ogni casetta è divisa in due piccoli appartamenti composti da due vani, di cui uno utilizzato per la preparazione dei pasti e il secondo come camera da letto. All’esterno, sul retro, un gabinetto comune. Una famiglia deve quindi vivere in circa 15/20 mq. complessivi e se si pensa che un nucleo è composto mediamente da sei persone, si può immaginare il tipo di vita possibile, anche se queste sono condizioni migliori rispetto alla maggior parte degli abitanti dei villaggi circostanti.
Nostro compito principale sarà procedere a una disinfestazione degli ambienti e quindi installare degli scaffali nel vano adibito a cucina, sui quali poter riporre pentole, ciotole e altri utensili. Questo è importante perché serve a migliorare le condizioni igieniche in cui essi vivono… e l’igiene è fondamentale in questo frangente.
I giorni passano e il lavoro prosegue abbastanza speditamente, anche se ci troviamo spesso a dover fronteggiare la mancanza del materiale, per il quale dobbiamo inventarci sempre nuove soluzioni.
Il ragazzo che lavora con me ha circa 12 anni ed è molto volenteroso… anche se non riesco ad interrompere il flusso di domande alle quali devo rispondere: come è l’Italia, dove si trova, come si vive, se ci sono molti ammalati di lebbra e se la gente muore di malaria. Ha sentito parlare della televisione e vuole sapere “tutto”.
Non si può dire che manchi di curiosità, ma stranamente nessuna domanda verte sui bambini, su cosa fanno nel tempo libero, sulla scuola e altre domande che sarebbe normale sentirsi rivolgere, Forse sarà perché qui il periodo dell’infanzia e del gioco è brevissimo: appena si riesce ad essere indipendenti già si deve aiutare la famiglia.
Ieri è stato il giorno della distribuzione di coperte e materiale arrivato con l’ultimo container inviato alcuni mesi fa e a loro destinato e gli anziani hanno chiesto a noi di consegnarle.
La coperta, nella sua semplicità, riveste una particolare importanza nella loro vita: con essa ci si protegge dal freddo durante le ore del mattino e all’imbrunire, quando ci si raduna intorno al fuoco e, naturalmente, per contrastare il freddo pungente della notte. Rimane con il possessore fino a quando non si rende inutilizzabile e, in alcuni casi, lo accompagna anche nella morte. Non tutti possono permettersi una bara, anche se costruita con assi di scarto, e allora la coperta diventa il loro sudario. Il corpo viene avvolto in essa e così seppellito.
La cerimonia (la chiamo così perché per questi nostri fratelli è una “cerimonia”), è iniziata nel tardo pomeriggio, quando il calore del sole si era un po’ attenuato. Gli anziani avevano già deciso, in base alle nuove nascite e ad altre necessità, chi doveva ricevere il materiale e adesso una cinquantina di persone aspettano ordinatamente e pazientemente che si proceda alla distribuzione.
E’ stato toccante vedere con quanta dignità ricevevano così poco… e quel poco era da loro ricambiato con un sorriso e con il gesto di portare la mano, o quel che rimaneva, sul cuore. Bambini accompagnati dalle mamme o da parenti, signore anziane che a malapena riuscivano a camminare aiutandosi col bastone, persone rese cieche dalla malattia… tutti passavano davanti a noi.
Ho visto una mia compagna piangere silenziosamente, mentre consegnava la coperta a un’anziana donna, col viso sfigurato dalla malattia e con un bambino che la guidava per mano. Ti chiedi “perché” su questo nostro pianeta deve ancora succedere tutto questo… ma la risposta la conosci e ti fa paura. Ti rendi conto di quanto egoistico è il ”nostro” mondo che vive racchiuso nella sua ampolla infetta e ti viene il desiderio urgente di gridare la tua rabbia… anche se capisci l’inutilità del gesto.
Ero stato avvisato che questo sarebbe stato un “viaggio” difficile, anche per la ragione che queste sono le mie prime, vere esperienze, ma lo stare qui per diverso tempo mi ha fatto entrare in un mondo dove la realtà, nella sua crudeltà, supera l’immaginazione… e non è né semplice né facile accettare tutto questo.
Ci sono però anche momenti di distensione, specialmente quando, al termine della giornata e prima di tornare nella casa che ci ospita, c’intratteniamo con i bambini per infuocate partite di calcio oppure ci lasciamo “portare” in giro per il villaggio, circondati dai più piccoli i quali “lottano” per poter prendere la nostra mano… e come si sentono fieri quando, arrivati vicino alla loro casetta, si precipitano all’interno per poi uscire con i quaderni e poter mostrare i loro lavori. Quanto entusiasmo per lo studio e quanto desiderio di conoscere!
I giorni passano velocemente e il lavoro è a buon punto; ancora pochi giorni e il nostro impegno qui sarà terminato… per riprendere in un altro villaggio, quasi al confine con l’Angola, a circa 500 km.
Quasi senza rendercene conto, arriviamo al termine della nostra permanenza e cominciano i saluti con i tanti che qui abbiamo conosciuto… persone splendide nella loro dignità, nella bontà che si legge nei loro occhi, sempre pronte al sorriso e senza mai una lamentela per la loro malattia. Quanto abbiamo da imparare!
Gli anziani del villaggio sono i primi a farsi avanti… poche parole, ma tanti, tantissimi sorrisi. I bambini non smettono un instante di tendere le loro manine per toccarci, abbracciarci e salutarci. La commozione tra noi è grande… e anche i nostri occhi tradiscono il momento.
Joseph, è questo il nome del mio giovane amico e aiutante, è silenzioso… cosa innaturale per lui. Gli domando che succede e lui, abbassando gli occhi, mi dice che tutti i giorni ha parlato di me con la sua famiglia e che loro avevano espresso il desiderio di conoscermi. Ha aspettato fino a oggi per dirmelo perché sia i genitori, sia il nonno e altri parenti che con lui vivono, sono stati tutti toccati dalla lebbra e lui non osava dirmelo. Lo guardo stupefatto e gli chiedo il motivo per cui ha aspettato tanto… non risponde, ma capisco lo stesso.
C’incamminiamo verso la sua casa, posta quasi al limite del villaggio, in una zona in cui io non ho lavorato. La notizia è arrivata loro in un baleno e, al mio arrivo, tutta la famiglia è fuori ad aspettarmi. Qui la malattia è stata crudele, specialmente verso il nonno che, oltre agli arti, è stato anche colpito al viso. I genitori e le altre persone della famiglia sono state più fortunate, in quanto chi ha perso le mani o soltanto alcune dita, chi i piedi ma tutti sembrano esserne usciti. Certo, dovranno continuare a fare gli esami di routine, ma il peggio è stato evitato.
Mi avvicino al nonno e tendo la mano per salutarlo, ma lui, volto serio e rigidamente seduto su uno sgabello, non fa alcun gesto in risposta. Mi viene spontaneo posare una mano sulla sua spalla e stringere con l’altra il suo moncherino. Non so perché l’ho fatto, anche perché il mio gesto poteva essere interpretato male… ma l’ho fatto.
Ho visto prima gli occhi illuminarsi e quindi un sorriso addolcire la rigidità del viso, al quale ho risposto con un altro sorriso e una parola di saluto… per trovarmi subito dopo seduto su uno sgabello apparso dal nulla.
La famiglia è numerosa e vogliono sapere di me: “Sei sposato? Quante mogli hai? E figli?” Il loro stupore è enorme quando rispondo che ho un solo figlio e subito mi sento chiedere “ma se il tuo unico figlio muore, chi ti aiuterà quando sarai vecchio?”. Questa domanda potrebbe essere la risposta a quanti, tra noi, si stupiscono sul perché “fanno” tanti figli.
Il tempo scorre impietoso e un colpo di clacson mi avverte che mi stanno aspettando… a malincuore mi alzo e mi avvio, mentre il sole inizia velocemente a sparire dietro agli alberi che nascondono il fiume. Un altro giorno se ne è andato e domani sarò già lontano, ma sono certo che Chibote rimarrà nei miei ricordi più cari. Sarà per la dolcezza dei suoi bambini, per gli amici che qui ho conosciuto o, forse, semplicemente per il sorriso di quel nonno… un sorriso proveniente da una persona minata nella salute ma profondamente serena, felice per un altro sorriso e una stretta di mano.
(Cactus)