Due testimonianze del terremoto, dal vivo : una attuale, purtroppo ed una di tanti anni fa.
Due testimoni:
Franco Muzzioli, a Modena, ha sentito la terra tremare il 20 maggio e poi e poi ancora e ancora.
Alessandro, in Irpinia, c’è andato come volontario e ricorda.
Aggiungete le vostre di esperienze.
Pensavo d’essere nella terra del Bengodi, dove l’uva dà un vino buono, dove del maiale non si butta niente, dove si mangia bene e si dorme meglio, dove la gente ti sorride, dove si balla in piazza, dove, come dice Baccini: …ci sono le “donne di Modena che hanno le ossa grandi ….le donne di Modena che hanno larghi i fianchi”…..
Tutto è ubertoso nella mia terra, questa mia città è una delle più verdi d’Italia, è scanzonata, colta, ha una provincia tra le più ricche. Ma un dio invidioso ha mandato per ora quasi cinquecento scosse, ha distrutto vite, industrie, monumenti, case.
Queste campagne della “bassa” tranquille, queste terre di agricoltori avveduti, di magliai, di industriali illuminati, di brava gente, sono ora piegate sotto un immenso peso.
Non ci compassionate, siamo forti, sappiamo reagire, anche se la paura ci toglie il sonno e la voglia di continuare.
Se credete, dateci una mano, se non altro per quel piatto di tortellini, per quel bicchiere di buon lambrusco, per quel formaggio grana, per quell’aceto balsamico, che, se non ci fossimo stati noi, non avreste mai gustato.
Franco Muzzioli
Il nostro terremoto.
Occhi atterriti
come spade taglienti
nel chieder la vita
che la natura cancella.
Occhi colmi
delle lacrime di chi soffre
per la triste compassione
di chi solo guarda.
Occhi sbarrati
nel terrore assoluto
che impietoso scuotendo
uccide anima e corpo.
Occhi chiusi
per sempre
sotto avite macerie
nella terra dei padri
nella culla del cuore.
L’esperienza di Alessandro in Irpinia.
Carissimi Eldyani, l’ultima catastrofe naturale avvenuta recentemente nella zona emiliana e la successiva scossa con epicentro a Mirandola, che ha causato più di 15 morti, mi ha riportato indietro nel tempo di una trentina di anni; era una domenica e in nottata iniziarono ad arrivare le prime notizie del disastro in maniera frammentaria e confusa. Io, allora ventenne, appena inserito nella mia nuova vita di provincia, allora pieno e traboccante di valori e altruismo, mi misi a disposizione del municipio che stava organizzando una colonna di soccorso, ma non ero il solo; medici dell’ospedale, artigiani, donne, ragazzi, un po’ tutti ci mobilitammo, come potevamo, per portare soccorso.
Partimmo la mattina successiva, in tarda mattinata e fu un viaggio molto lento e difficoltoso, a causa delle strade intasate dalle colonne dei mezzi militari di soccorso e da altre colonne come la nostra. Ci fu assegnata una zona impervia e per raggiungere Calabritto avemmo molte difficoltà, dovute alla non conoscenza del luogo ed alla mancanza di segnalazioni ormai inesistenti; procedevamo come esploratori, con carte topografiche rimediate e torcia elettrica, ci avvicinavamo ad una zona veramente spettrale, casolari rasi al suolo; ma quello non era il massimo dello sconcerto. Lo sconcerto vero, impressionante, fu quando arrivammo a Calabritto paese, completamente raso al suolo, non so quante anime avesse, ma se andate su wikipedia potete documentarvi: non c’era una casa, dico una in piedi, solo montagne di macerie e un silenzio assordante, neanche i sopravvissuti parlavano, erano lì assenti, una impressione tremenda.
Poi con il giorno ci organizzammo per distribuire ed assistere e io mi fermai tre giorni poi ebbi il cambio e non ci sono voluto più ritornare…. per vari motivi.
Ho scritto questi ricordi a testimonianza delle persone che a Mirandola hanno subito lo stesso sconcerto, l’impotenza di fronte ad eventi naturali e che ti rimane sempre dentro, non ti dimentichi l’urlo premonitore della scossa, la scossa, e l’impotenza; ti rendi conto in quegli attimi che non siamo nulla di fronte al sistema planetario, l’essere umano deve capire che la vita ha un valore, che va vissuta nel migliore dei modi, rispettando natura persone e cose.
Alessandro22.rm
Per ricordare Rosaria ripropongo un articolo che lei aveva scritto, espressamente per Parliamone, diverso tempo fa. Mi piace ripensarla con la sua intelligenza vivace e piena di interessi che amava condividere con gli altri. Da persona colta qual era e abituata a spiegare, aveva sviluppato l’argomento dei dialetti, cercando di renderlo il più comprensivo possibile. Il rileggerlo ce la farà sentire vicina ancora un po’. Grazie Ross
Spesso, qui in Eldy, capita di leggere qualche espressione dialettale di qualcuno di noi, poiché questa chat è formata da persone che digitano da tutta Italia. E’ bello scoprire i dialetti. L’Italia ne è ricca e a volte, nell’ambito della stessa regione, si notano differenze. Ma ci siamo mai chiesti come sono nati i dialetti? E’ una domanda che mi ero posta già in passato ed allora ho rispolverato vecchi appunti che avevo da quando insegnavo e mi è venuta l’idea di trasferirli qui.
Tutte le regioni, come ben sappiamo, hanno i loro dialetti che, contrariamente a come si potrebbe pensare, esistevano ancor prima che arrivasse la lingua italiana, e che oggi, anche se modificati dall’influsso delle varie dominazioni avute nelle varie regioni italiane, ancora l’affiancano.
In Italia da molti anni è in corso un acceso dibattito fra i fautori dei dialetti e chi li avversa. Diciamo subito che dal punto di vista linguistico i dialetti italiani e la lingua nazionale sono sullo stesso piano: entrambi hanno avuto la stessa ‘nobile’ origine, cioè il latino. La lingua italiana deriva dal latino e il processo evolutivo che ha condotto la lingua degli antichi Romani fino a noi è stato lento e complesso.
L’impero romano aveva imposto a tutti i popoli sottomessi la lingua latina. Però pochi parlavano la lingua di Roma nel modo degli scrittori, il cosiddetto latino classico.
Il popolo minuto (detto vulgus) dei mercanti, degli artigiani, dei contadini, che non aveva frequentato le scuole e doveva comunicare cose pratiche e di ogni giorno, parlava in modo assai più semplice e poco rispettoso delle regole della grammatica. Parlava un latino che appunto da vulgus fu detto volgare. E fu così che San Francesco, per essere più vicino al popolo scrisse un’opera: “Il Cantico delle Creature” composta, probabilmente nel 1224 in una lingua che si era formata dalla modifica graduale del latino, cioè in volgare, proprio perché il latino, allora lingua ufficiale, ma conosciuta solo dalle persone colte, risultava difficile.
Non è vero che i dialetti sono una corruzione dell’italiano. È vero invece che italiano e dialetti hanno un diverso ruolo sociolinguistico: il primo è la lingua della comunicazione all’interno della Repubblica Italiana; i secondi hanno uso più limitato, in qualche caso si limitano all’uso familiare.
Con la conquista romana il latino si è diffuso in mezza Europa e soprattutto nel bacino del Mediterraneo sovrapponendosi alle lingue parlate in precedenza da quelle popolazioni. Dalla commistione di questi elementi e da quelli derivanti dalle successive invasioni barbariche si sono generati i vari dialetti d’Italia.
Nel corso dei secoli, mentre la lingua latina si trasformava nei dialetti, le popolazioni italiane sono entrate in contatto con altri popoli e altre lingue: i Germani, gli Arabi, i Bizantini dell’Impero d’Oriente, che usavano la lingua greca, con la cultura provenzale, sviluppatasi rigogliosa nella Francia meridionale. Varie esigenze, quindi, avevano portato ad adottare parole di questi popoli: parole che, poi, faranno parte della lingua italiana.
Quindi riprendendo il discorso, dal latino si formarono i dialetti: in questo passaggio molte parole si modificarono nella grafia e nella pronuncia e, a volte, finirono per avere un significato diverso da quello originario. Le parole che hanno percorso l’itinerario dal latino al dialetto e dal dialetto alla lingua italiana, sono parole di tradizione popolare.
Nei secoli XV e XVI (1400-1500), durante l’Umanesimo e il Rinascimento, ci fu la riscoperta del latino nei testi dei grandi autori dell’antichità. Gli studiosi ripresero e diffusero espressioni e parole latine nel loro significato originario. Così entrarono nella lingua italiana tante parole latine, anche se riadattate alle nuove forme.
Ancora oggi esistono nella lingua italiana e anche in alcuni dialetti parole derivanti dal latino come ad esempio “a craje” dal latino cras che significa appunto domani e parole prettamente latine come ad esempio: gratis, referendum, video, ultimatum, super, facsimile, ex, idem, album, humus, extremis, rebus, juniores, auditorium, extra, Juventus e bis. A proposito di quest’ultima parola esiste un aneddoto che voglio raccontarvi, giusto per sorridere un po’.
SEMPRE PASTA E FAGIOLI
“Un giorno, Giufà andò in città ed entrò in un ristorante. Non sapendo leggere segnò col dito a caso sulla carta e stette ad aspettare. Il povero Giufà si vide portare pasta e fagioli. Ne mangiava tanta al suo paese; averla ordinata anche lì era proprio una disdetta. Pazienza! La mangiò, ma tenne gli occhi sempre sul vicino di tavolo che spolpava un quarto di pollo. E il pollo doveva essere buono, perché il vicino disse: – Bis!
Il cameriere gli portò un altro quarto di pollo. Allora Giufà non volle più saperne della lista e disse anche lui: – Bis!
Non vi dico come rimase quando si vide portare un’altra porzione di pasta e fagioli.”
A partire dal 1500 l’Italia fu per lungo tempo dominata da potenze straniere. La Spagna prevalse nel nostro territorio per tutto il 1600: gli spagnoli diffusero in tutta Italia, oltre che i loro costumi, anche espressioni linguistiche che entrarono a far parte della nostra lingua.
Dalla seconda metà del 1600 e per tutto il 1700, la Francia esercitò in Europa una grande influenza sul piano culturale, politico, scientifico ed anche nei costumi. Saper parlare francese per le persone colte, anche italiane, divenne quasi un obbligo. Così parole della lingua francese entrarono a far parte dell’italiano.
Ma torniamo ai dialetti che possono essere classificati in: dialetti galloitalici (Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna), dialetti veneti, dialetti toscani, dialetto romanesco, dialetti centromeridionali, dialetti sardi e romanzi (ladino e friulano).
Un discorso a parte va fatto però per il dialetto o vernacolo toscano.
Il dialetto toscano è, tra i dialetti italiani, quello che dal latino si è discostato di meno e comunque si è evoluto in maniera lineare ed omogenea. È alla base della lingua italiana grazie agli scritti di Dante Alighieri, Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio anzitutto, ma anche di Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini, che conferirono a tale dialetto la dignità di “lingua letteraria” della penisola.
Al momento dell’unificazione dell’Italia, il toscano, fu scelto come lingua da adoperare mettendo fine ad una secolare discussione, a cui aveva partecipato anche Dante (nel De vulgari eloquentia), che vedeva due fazioni principali, una che sosteneva la nascita di una lingua italiana sulla base di un dialetto ed un’altra che si proponeva di creare una nuova lingua che prendesse il meglio dai vari dialetti. Prese piede agli inizi del XIX secolo proprio la prima corrente, soprattutto grazie al prestigioso parere di Alessandro Manzoni (molto nota è la vicenda relativa alla scelta della lingua per la stesura de “I promessi sposi” e i panni sciacquati in Arno), ma non poche furono le critiche mossegli da chi sosteneva che il toscano era un dialetto come gli altri e una vera lingua nazionale sarebbe potuta nascere solo dopo l’incontro tra le varie culture del paese.
Infine propongo a voi tutti di scrivere nei commenti frasi o detti nel proprio dialetto, con relativa traduzione.
Su, diamoci da fare e scopriamo i nostri bei dialetti!!!!!!
Per dare l’esempio comincio io:
“Chi fraveca e sfraveca nun perde maje tiempo”.
Chi costruisce e demolisce (cioè si da da fare, in qualsiasi cosa) non perde mai tempo.
Ed ora a voi la parola!!!!!
Ho trovato quest’articolo scritto da Paola Ortensi sul numero di “noi donne” di maggio e lo condivido con voi. Questo per tradizione è il mese delle rose e per cambiarci un po’ le idee, dopo tante, tante cose tristi, pensiamo al profumo delle rose, ai loro colori, alla delicatezza dei loro petali…
A voi di intervenire se avete altre ricette o tradizioni legate alle rose o ad un altro fiore. (pca)
Spigolando tra Terra, Tavola e Tradizioni
A stelo e a grappoli, spontanee o coltivate. Dal mito alla tavola, le rose sono il profumo della vita …
Rosa, rose, roselline forse le più belle tra i fiori che la terra regala. A maggio esplodono con incredibili molteplici forme, colori e profumi inebrianti. Le scorgiamo a ridosso di muri, giù dalle ringhiere, sui bordi delle strade, nei vasi di casa, nei bouquet delle spose, negli addobbi delle chiese. Storie, miti, leggende si rinnovano nel tempo confermandone la bellezza morbida e altera. Sentimenti intrecciati già presenti nel mito di Afrodite e Adone dal cui amore la leggenda fa discendere la nascita delle rose. A stelo lungo, a grappoli, a cespugli, coltivate, spontanee, selvagge. La tradizione vuole che le bianche affianchino la purezza, le rosse la passione e l’amore, le gialle il tradimento mentre quelle rosa parlino di morbida tenerezza, forse all’origine di quel detto ”fresco come una rosa” che evoca benessere e tranquillità. Oltre che nome di donna, rosa è colore che evoca il femminile. Forse per la forma tonda e ricamata del fiore, sagomato dai suoi petali a scala, sembra spesso che nel linguaggio la rosa indichi non solo il bello per eccellenza – già dalla fase di bocciolo – ma il centro di tante cose, quasi sinonimo di cuore o ancora simbolo della parte migliore di un tutto. Belle, dunque, delicate nei loro petali eppure lì a ricordarci che “non c’è rosa senza spine” perché non c’è bellezza o risultato senza difficoltà; ma le difficoltà rendono forti e aiutano lo sbocciare di un successo perché, si sa, “se son rose fioriranno”! Coltivata da migliaia di anni, si diffuse in tutta Europa dal Medio Oriente ed è riprodotta in ornamenti e gioielli ritrovati a Creta e risalenti a 3000 anni A.C. Una prima notizia letteraria la offre Omero nell’Iliade quando descrive Afrodite che unge con olio di rose il corpo di Ettore ucciso da Achille. Col passare dei secoli la rosa mai ha perso il suo fascino. In Inghilterra diede anche il nome ad una guerra – quella Delle due rose – nel XV secolo per la successione al trono. È Shakespeare a raccontarci che un casato scelse come emblema la rosa rossa e l’altro la rosa bianca.
La ricerca scientifica ci regala sempre nuove varietà, ma la rosa canina e altre specie spontanee che possiamo incontrare in campagna mantengono un fascino insuperato. I loro petali saranno amici preziosi se li misureremo in qualche preparato sia di cosmesi che alimentare, obiettivi per i quali è meglio avere cura di scegliere fiori non trattati.
Acqua di rose per uso alimentare. Dotarsi di un bel po’ di petali di rosa coprirli d’acqua, portandola a bollore ma non facendola bollire; lasciarli in infusione per un’ora e comunque il tempo necessario perché i petali perdano il colore; filtrare e mettere in frigo. Panna cotta, yogurt, dolci ed altro potranno giovarsi di un dolce aroma di rose.
Marmellata di rose. 250 petali di rosa non trattata, 375 gr di zucchero, 1/2 limone, 250 ml di acqua. Togliere ai petali la parte bianca, tritarli in una scodella aggiungendovi metà dello zucchero previsto, lasciar riposare per due giorni. Sciogliere lo zucchero residuo nell’acqua, aggiungere il limone e a questo punto i petali macerati nello zucchero; far bollire e cuocere per 20 minuti e poi versare nel barattolo il composto ancora bollente.
Acqua di rose. Se al modo di dire “all’acqua di rose” nel parlar comune si affida l’dea di qualcosa leggero che non incide più di tanto, altrettanto tenue sarà l’acqua che ricaveremo da circa 150 petali freschi o secchi lasciati un paio d’ore in acqua bollente, che una volta filtrata e raffreddata potrà dare piacere alla pelle del viso.
Paola Ortensi (12 Maggio 2012)
Ho letto uno scritto di Tiziana Bartolini su “Noi Donne” che mi ha particolarmente colpito.
Mi piacerebbe che lo leggeste e se ne potrebbe parlare e si potrebbero notare, come ha fatto Tiziana Bartolini, tutte le numerose coincidenze che vogliono dire tutto e niente, ma fanno pensare molto. Abbiamo cercato tra i nostri vocaboli “PAROLE” e ci viene in mente paura, terrore ma anche tolleranza zero e che tolleranza zero sia. Aggiungo anche un piccolo scritto che ci propone Gugli e che ci fa riflettere sul terrororismo.
Un fiore per Melissa. E per un futuro buono
La morte di Melissa, giovane vittima del barbaro attentato di Brindisi, e i tanti simboli di una scelta non casuale
Quella scritta sul muro, ‘piccola ti amo’, contrasta con lo zaino e i quaderni sparsi a terra davanti alla scuola ‘Francesca Morvillo Falcone’ di Brindisi. Sogni di ragazzi frantumati da tre bombe, sabato 19 maggio, fatte scoppiare poco prima dell’inizio della scuola. Vigliacchi, assassini, scarti umani. Non si trovano aggettivi sufficientemente umilianti per definire chi riesce a progettare e a portare a termine un atto così devastante. E “senza precedenti come inciviltà”, ha detto il premier Monti dagli Stati Uniti. Mancano le parole per descrivere l’orrore del gesto e il dolore della famiglia di Melissa, la studentessa sedicenne che è stata uccisa dall’esplosione. La prima volta di un attentato davanti ad una scuola, l’Italia doveva subire anche questo sfregio alla democrazia, lascia attonito un Paese. Poteva essere una carneficina se solo fosse scoppiata pochi minuti dopo, con il piazzale gremito di studentesse…. già, studentesse, e alla macabra simbologia di questo ignobile atto criminale si aggiunge un ulteriore elemento: quello di genere. Finché non ci sarà una rivendicazione o finché non ci saranno verità dalle indagini, c’è lo spazio delle interpretazioni. Allora ecco la concomitanza con l’anniversario della strage di Capaci, il ventesimo, dove morirono insieme ai tre agenti della scorta il giudice Falcone e la moglie Francesca Morvillo. L’altro elemento è la scelta di una scuola, luogo deputato alla costruzione del futuro poiché accoglie e coltiva le giovani menti. C’è di più: non è stata colpita una scuola qualsiasi, ma un istituto impegnato contro la mafia, a partire dalla donna cui è intestata – Francesca Morvillo Falcone – e che ha vinto un premio per uno spot proprio sulla legalità. Non basta ancora: una scuola dove si forma al lavoro, dove si insegna un mestiere che può dare libertà e un riscatto in una terra di disoccupazione e che deve reinventare, costruendoselo, un tessuto economico. C’è di più e di molto concreto in quella terra contro la mafia e l’illegalità: l’utilizzo delle terre confiscate alla malavita organizzata per coltivazioni, un uso che purifica la terra e la rende produttiva. E viva. Un attentato vile che, altra concomitanza simbolicamente significativa, arriva nel giorno in cui la carovana di Libera, l’associazione contro le mafie, transitava per Brindisi. Da non dimenticare che Libera lavora soprattutto nelle scuole perché ripone nei giovani la speranza di costruire un futuro nella legalità e senza le mafie. Mafie che “temono più la cultura che la giustizia”, come ha ricordato Don Luigi Ciotti, e che per questo hanno colpito una scuola, ancora un simbolo: l’educazione, la cultura come barriera all’avanzare dell’ignoranza indispensabile brodo di coltura dell’illegalità.
L’unica reazione possibile a questa strategia della paura è chiedere più democrazia e più diritti, soprattutto per le donne. Perché non sfugge che il bersaglio a Brindisi è stato anche il femminile, quale ulteriore segno autoritario e di barbarie. Questo tradimento della convivenza civile ha scelto nuove modalità per manifestarsi e nuove devono essere le possibili interpretazioni. E quella di genere deve entrare nel novero di questi sguardi per non perdere di vista, davvero, nessuna possibilità di trovare i colpevoli e i loro veri obiettivi. Da donne, mentre abbracciamo sua madre, invochiamo tutte insieme giustizia nel nome di Melissa. Perché come donne respingiamo il tentativo di spezzare, insieme alla sua giovane vita, le nostre speranze di un futuro buono, di cui autoritarismo e violenza sono nemici.
Tiziana Bartolini (19 Maggio 2012)
Un vento di terrorismo Guglielmo
Amici di Parliamone, tira un brutto vento, sì vento di terrorismo, l’attentato fatto al dirigente dell’Ansaldo di Genova ci fa tornare indietro negli anni bui del terrorismo, anni bui per l’Italia e il popolo, è stato rivendicato, porta la firma (Fai-Cellula Olgà), si riferisce a Olga Ekonomidou, appartenente al Movimento di Cospirazione delle cellule di fuoco-Fai-Irf.
Il comunicato è stato spedito al Corriere della Sera come posta ordinaria, nel testo viene citato il movente dell’attentato al dirigente dell’Ansaldo: “Abbiamo azzoppato, uno dei tanti stregoni dell’atomo dall’anima candida e dalla coscenza pulita”.
E ancora: “con il ferimento del dirigente proponiamo una campagna di lotta”. A Legnano (Milano), sono stati affissi quattro volantini delle Br con la famosa stella a cinque punte.
Non mi piace proprio questo vento di terrore, proprio come negli anni di piombo. Il Presidente Napolitano ci dice: “Non ci sono ragioni di dissenso politico e tensione sociale che possono giustificare ribellismi, illegalismi, forme di ricorso alla forza destinate a sfociare in atti di terrorismo”.
Grazie Presidente delle sue parole. Con l’arma della Democrazia sconfiggeremo questo vento di terrore con determinazione.
Guglielmo.
Ecco a voi i due scritti: parliamone…
DIALETTO…
Sembra che sia un argomento che interessa molti di noi. Tra i commenti che sono stati inseriti nella “Bacheca-buca delle lettere-suggerimenti” ce ne sono diversi che affrontano quest’argomento.
Già molto più di un anno fa, proprio in Eldy, fu soggetto di discussione: dialetto sì, dialetto no. Possiamo usarlo o no?
Alfred per primo lo ripropone e poi Franco Muzzioli, Giuliano, Riccardo.
La ricchezza di Eldy è proprio questa: veniamo da tante aree geografiche differenti e tutti abbiamo parole nostre, legate alla nostra regione, allora vogliamo metterle in comune?
Ci potremmo scambiare di tutto, non solo frasi, o detti, o proverbi, o parole, o poesie, o canzoni, ma anche piatti tipici, il tutto legato alla nostra terra e volendo anche leggende.
Infine, una proposta suggerita da Giuliano: perché non scrivere anche di un determinato argomento (usando il dialetto, con traduzione) ed un altro eldyano risponde (usando il suo dialetto con traduzione). Per esempio qualcuno scrive in vicentino (con traduzione) e qualcun altro gli risponde in napoletano (con traduzione)
Bene a voi di “giocare” se vi va e buon divertimento!
Riporto qui, tra i commenti, gli ultimi vostri, postati in “bacheca” e che riguardano i dialetti. (pca)
alfred-sandro.ge immediatamente dopo i risultati delle elezioni amministrative scrive questa nota nella “vetrinetta” che molto fa riflettere sul comportamento degli elettori. La scrive proprio per provocare un dibattito che apre a tutti gli eldyani. Sono pensieri liberi, molto seri e che sicuramente un gran numero di voi avrà avuto.
Ho ritenuto opportuno pubblicarla come articolo singolo, per dargli più spazio visivo, anche per l’interesse che ha suscitato nei primi commenti (Franci, Lorenzo) di chi l’ha letta.
In parallelo, nel Bosco, c’è un articlo sul bla bla bla delle chiacchiere elettorali di lorenzo9.rm
CHE DIRE?
La maggioranza degli aventi diritto non ha votato.
Che significato dare a questo non voto?
cosa significa l’astensionismo?
sfiducia?
protesta?
Colui che non vota, che non si reca alle urne davvero manifesta un qualcosa?
Cosa può voler dire chi non dice niente?
“a me non interessa”?
Non interessa cosa? La situazione politica attuale? La politica in generale?
Non interessano i disoccupati? Il futuro dei giovani? Non interessa la chiusura di fabbriche, la continua perdita di posti di lavoro? Non interessa la sempre crescente difficoltà di moltissime famiglie ad arrivare a fine mese, la crescente difficolta a curarsi, a far studiare i figli.
Non interessano le difficoltà di quegli artigiani oberati di debiti?
Oppure chi non ha votato ha espresso il suo disinteresse a questa situazione perché non ne è toccato?
NON MI RIGUARDA! SONO AFFARI LORO!
Il non voto può essere considerato partecipazione alla vita pubblica di un paese?
La disaffezione alla vita pubblica di un paese lo può migliorare?
Chi ha il dovere di governare sarà spronato a farlo meglio? Più di quanto ha fatto dalla astensione massiccia dal voto?
http://www.youtube.com/watch?v=dxl21Sf-trc
Per continuare il discorso, aperto nell’articolo precedente (e che potete trovare qui sotto, sul rullo) articolo sulle abitudini, riti e tradizioni degli “altri”, Sandra ci fa sapere com’è la Pasqua in Grecia e, visto che sarà la prossima domenica, ne parliamo. Grazie Sandra!
L’indomani è PASQUA, inizia il pranzo, lo scambio delle uova e il picchiare un uovo sull’altro “KRISTOS ANESTIS” rispondendo “ALITOS ANESTIS”. E come pranzo, intendiamo un Gran Pranzo perché, dopo 40 giorni di digiuno, l’agnello allo spiedo è la cosa più buona…
Noi sappiamo che la festa più importante in assoluto per la cristianità, nucleo essenziale della fede cristiana, è la Santa Pasqua.
Ma vediamo che cosa succede nelle altre religioni non cristiane.
Per tutte le religioni monoteiste, e anche per i laici, c’è un momento dell’anno, che poi coincide con il ciclo della primavera, con rituali e tradizioni piuttosto simili.
Mi piace ricordare molto brevemente questi “culti”, perché le differenze tra popoli e religioni, che sembrano tanto importanti e distanti, sono alla fine molto minori di quanto non si pensi e, secondo me, le genti hanno tanto più in comune di quanto non si immagini.
Lasciando fuori il discorso della fede e dei credo religiosi e rispettando tutti, senza distinzione,
mi soffermerei piuttosto sul rituale delle celebrazioni e su quello che c’è in comune tra di esse.
Le cerimonie, a cominciare da quelle cristiane, sono tutte più o meno legate all’equinozio di Primavera, il 21 marzo. Infatti la Pasqua ebraica, che non ha lo stesso significato religioso di quella cristiana, si commemora dopo il plenilunio che segue l’equinozio di primavera.
La celebrazione è in ricordo dell’Esodo dall’Egitto, da parte del popolo di Israele, guidato da Mosè e l’attraversamento del Mar Rosso.
È per questo che uno degli elementi tradizionali più importanti tra i cibi, è il pane non lievitato (matzah o pane azimo) in ricordo del fatto che il popolo, fuggendo, non ebbe il tempo di far lievitare il pane.
Ma oltre a questo, parte del rituale tradizionale è la pulizia accuratissima della casa, per eliminare ogni traccia di pane lievitato.
A questo punto, sorge subito una riflessione: ma non è la stessa cosa nelle tradizioni cristiane? Le famose “pulizie di Pasqua” da dove hanno avuto origine?
E poi, leggendo qua e la, si apprende che anche nella cultura persiana, nella quale la Pasqua non esiste, ma il 21 marzo, equinozio di primavera, è il primo giorno dell’anno e si chiama Now Ruz (nuovo giorno), fa strettamente parte del rituale delle celebrazioni, l’accurata pulizia della casa, ornarla con fiori, e consumare cibi speciali.
Infine le uova, comuni a tutte le religioni e a tutte le feste di primavera, simbolo universale di nuova vita.
Non è un caso che la Pasqua ebraica (Pesach) sia vicina come tempo a quella cristiana, infatti è proprio durante la cena celebrativa di Pesach che Gesù (non dimentichiamoci che era ebreo) annuncia la sua fine imminente.
E come la Pasqua ebraica significa “passaggio” e quindi cambio, rinnovamento, quella cristiana vuol dire due volte rinnovamento di vita, perché è resurrezione.
Io continuo ad attenermi ai riti non religiosi, ma c’è da ricordare che anche nella tradizione persiana del nuovo anno, c’è il rinnovamento, il risorgere della natura, la simbiosi con la natura.
Ed ecco i fiori nelle case di tutte le diverse fedi, le uova, il grano in ogni sua forma, i vestiti nuovi, le pulizie, l’agnello e soprattutto la celebrazione intorno a una tavola, ma in famiglia e con amici stretti.
Allora siamo poi tanto diversi gli uni dagli altri? (pca)
Ed ora lo scritto di Franco Muzzioli che ci parla di una Pasqua laica
Una Pasqua laica!
Se il nostro sguardo varca le mura di casa , può vedere la natura che risorge, usciamo dalle brume invernali ed entriamo nel sole tra lo sfavillio di fiori e di foglie nascenti.
Da tempi remoti, in questo periodo, quando i popoli erano nomadi sacrificavano agli dei i primi nati delle loro greggi, divenuti poi stanziali ed agricoltori, offrivano le primizie del raccolto.
Il nome Pascha, che in aramaico vuol dire “passare oltre” è stato introdotto dagli ebrei in memoria del passaggio “dell’angelo sterminatore” che nel vecchio Testamento li risparmiò per colpire spietatamente gli egiziani.
Anche l’uovo è un simbolo antichissimo e si trova in tutte le civiltà e ha come significato la vita che si rinnova.
La colomba invece deriva dalla forma di un pane, che greci , egizi e romani facevano in primavera per offrirlo agli dei.
Tutte queste tradizioni sono state assimilate dal Cristianesimo che ne ha visto la concretizzazione del messaggio Evangelico e cioè il passaggio dall’inverno della morte, alla primavera della gloria di Dio, cioè l’avvento di un Regno che non è di questo mondo e al quale tutti i cristiani sono chiamati, grazie alla Resurrezione di Gesù il Cristo.
Vivo questa festa nel risveglio della natura e nella speranza che l’uomo ritrovi la bontà e la volontà di costruirsi un vita migliore.
Per me è la festa dei bambini, che sono la primavera della vita e sono il futuro del mondo e spero che ascoltino ancora la parola di Gesù, che personalmente non so se è risorto, ma i suoi messaggi e tutta la sua esistenza terrena chiamano alla bontà e ad una vita degna d’esser vissuta.
Un abbraccio , laico, ma sentito…
TANTISSIMI AUGURI DI BUONA PASQUA
SOPRATTUTTO SERENA, A TUTTI GLI ELDYANI CHE PASSANO DI QUI ED ANCHE A QUELLI CHE NON CI PASSANO
Vi ripropongo questo bellissimo articolo di Pino sulla Pasqua! Con grande chiarezza Pino ci fa riflettere sul vero significato della Pasqua
Riflessioni aspettando la “ PASQUA”
La Santa Pasqua rappresenta la fonte ed il nucleo essenziale della fede cristiana. Come festa, non con lo stesso significato, era già esistente al tempo di Gesù e si celebrava nella prima domenica dopo il plenilunio successivo all’equinozio di primavera; con essa gli ebrei ricordavano la liberazione, ad opera di Mosè, del popolo di Israele dalla schiavitù degli egiziani. Il termine Pasqua, in greco e in latino “pascha”, proviene dall’aramaico: pasha, che corrisponde all’ebraico pesah, il cui senso generico è “passaggio” “passare oltre”; gli ebrei ricordavano l’attraversamento del Mar Rosso, che costituiva il cambiamento dalla vecchia vita di schiavitù alla nuova vita intrapresa dopo il loro insediamento nella terra promessa avvenuto successivamente ad opera di Giosuè.
Gesù proprio nel festeggiare la Pasqua ebraica (ultima cena) ha annunciato ai discepoli la Sua imminente fine che sarebbe avvenuta per mano dei responsabili del popolo ebraico, aiutati anche dal tradimento di un discepolo che era seduto al Suo stesso tavolo.
Quindi Gesù ha voluto innestare la nuova Pasqua in quella ebraica ma il significato, se pur conservato nel solo vocabolo: “passaggio”, assume un valore completamente nuovo perché con tale ricorrenza i cristiani ricordano la morte ma soprattutto la risurrezione di Gesù Cristo, “passaggio” e liberazione da ogni limite e schiavitù di natura e finanche dalla morte che ne costituisce il limite massimo. Con tale passaggio si ha lo sboccio ad una vita totalmente nuova e diversa, un vita che dura per sempre (vita eterna). Da tale evento prodigioso e reale, avvenuto ad opera di Gesù, che ha riportato in vita il Suo stesso corpo, scaturisce la sorpresa e lo stupore che accompagna il valore intrinseco di questa festa (in parte viene rappresentato dalla sorpresa nascosta negli ovetti di Pasqua o da quelle uova – simbolo di vita – nascoste da canestrine di pane sulla superficie dei dolci che la tradizione propone nel periodo pasquale, la stessa attesa per la loro consumazione carica le aspettative della sorpresa da cogliere solo nel giorno della festa). In effetti tale evento ha dato all’uomo una “buona notizia”, una novità, una promessa, una “sicura Speranza”, come dice San Paolo, ha dato la buona notizia di una vita eterna concreta, una vita vera, una vita nuova che inizia proprio quando tutto sembra perduto, ma analoga concreta e reale risurrezione è stata riservata anche a tutti coloro che, riconoscendo nell’uomo Gesù anche tutta l’intera divinità del Dio Padre unico vero Dio al di sopra di tutto, acconsentono che la stessa Forza vitale, che ha operato la risurrezione di Gesù, operi in loro quella trasformazione che li renda degni di entrare a pieno titolo in quella realtà nuova proposta dall’evento stesso.
Se nonostante le ricorrenze di Pasqua passate, ci accorgiamo che ancora non si è sviluppato in noi quel rapporto nuovo con Dio, è segno che ancora non diamo molto credito ai fatti riportati nei vangeli riguardanti la morte ma soprattutto la risurrezione di Gesù, ciò nonostante essi costituiscono la sorgente e la meta della fede cristiana che da sempre richiama l’uomo a morire alla vita vecchia, convertirsi e procedere ad un nuovo rapporto con Dio che rigenera l’uomo e lo conduce ad una nuova realtà.
E’ alla luce di tali sentimenti che auguro a voi tutti una Buona Pasqua di Resurrezione!
Il viaggio del fine settimana di un gruppo di Elyani che si sono incontrati a Vicenza e sono andati a trovare Natalina e Maria a Padova. Con il solito senso dell’umorismo Alfred ha fotografato e immortalato i momenti speciali…
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Un grazie particolare a Roberta per la sua squisita ospitalità e per l’ottima capacità organizzativa
Un affettuoso pensiero ed un augurio di pronta guarigione alla cara Maria
E adesso cambiamo completamente argomento. Occupiamoci del tempo libero. Ne vogliamo parlare?
L’ultimo rapporto Censis/Repubblica informa che un quinto degli over 60 in Italia usa quotidianamente internet per più di un’ora, dimostrando “come il reticolo delle relazioni virtuali e l’informazione on line abbia rotto le resistenze dei più refrattari verso le tecnologie digitali”. A questo punto perché non parlare del nostro tempo libero? Di quel tempo della nostra giornata che è dedicato alle cose che ci piace di più fare.
I maligni dicono che noi eldyani passiamo più di un’ora al giorno al computer? È vero? O vi interessate anche ad altro?
Quindi, quando è stato fatto tutto, ma proprio tutto – in casa e fuori, dentista, appuntamenti, bollette sotto controllo, cucina, pulizie, piante, gatto & cane a posto – che cosa fate più volentieri?
Film, libri, sport, web, musica, telefonate?
Allora nelle ore libere che cosa preferite fare?
1. Andare a teatro
2. Andare a un concerto
3. Andare a una mostra
4. Andare al cinema
5. Andare dall’estetista
6. Ascoltare musica
7. Ballare
8. Coltivare un hobby (fotografia, cucina, pittura, giardinaggio…)
9. Computer
10. Fare acquisti con le amiche
11. Fare del volontariato
12. Fare la maglia (e simili: ricamo, uncinetto…)
13. Fare sport o ginnastica
14. Guardare un programma alla televisione
15. Incontrare amici/amiche a pranzo o cena
16. Leggere un libro
17. Passeggiare (nel bosco, in montagna, in riva al mare, in città guardando le vetrine…)
Costruiamo una graduatoria per vedere che attività facciamo tutti più volentieri, nel nostro tempo libero.