L’indifferenza è il male di questo secolo?
Direi che piano piano, col passare degli anni e nel mondo occidentale, siamo diventati ogni giorno un po’più indifferenti, apatici, insensibili, distaccati forse è questa la parola: distaccati. Non tutti naturalmente, ma la percentuale è molto alta.
Pensiamo soprattutto a noi ed al nostro orticello, il resto ci riguarda poco.
Ho trovato sul Web questa storia significativa che vi trascrivo, una favola in pratica, e poi mi è tornata alla mente una “poesia” che è stata attribuita a Bertoltd Brecht ma che è parte di una serie di orazioni di un teologo protestante tedesco, Martin Niemöller, arrestato e poi internato, su diretto ordine di Hitler, infuriato per un suo sermone, per 8 lunghi anni a Dachau e che, una volta sopravvissuto, si dedicò a predicare sul pericolo dell’apatia di fronte ai primi passi dei regimi totalitari.
Mi piace condividere tutto questo con voi e sentire i vostri pareri.
IL TOPINO CURIOSO NELLA FATTORIA
Un topo stava guardando attraverso una fessura nella parete, spiando quello che il contadino e sua moglie stavano facendo. Avevano appena ricevuto un pacco e lo stavano scartando tutti contenti.
“Sicuramente conterrà del cibo” pensò il topo.
Ma quando il pacco fu aperto il piccolo roditore rimase senza fiato. Quella che il contadino teneva in mano non era roba da mangiare, era una trappola per topi!
Spaventato, il topo cominciò a correre per la fattoria gridando:
“State attenti! C’è una trappola per topi in casa! C’è una trappola per topi in casa!”.
La gallina, che stava scavando per terra alla ricerca di semi e vermetti, alzò la testa e disse:
“Mi scusi, signor Topo, capisco che questo può costituire per lei un grande problema, ma una trappola per topi non mi riguarda assolutamente. Sinceramente non mi sento coinvolta nella sua paura”. E, detto questo, si rimise al lavoro per procurarsi il pranzo.
Il topo continuò a correre gridando:
“State tutti attenti! C’è una trappola per topi in casa! C’è una trappola per topi in casa!”.
Casualmente incontrò il maiale che gli disse con aria accattivante:
“Sono veramenrte dispiaciuto per lei, signor Topo, veramente dispiaciuto, mi creda. Ma non c’è assolutamente nulla che io possa fare”.
Il topo aveva già ripreso a correre verso la stalla dove una placida mucca ruminava, sonnecchiando, il suo fieno.
“Una trappola per topi? – gli disse – E lei crede che costituisca per me un grave pericolo?”
Fece una risata e riprese a mangiare tranquillamente.
Il topo, triste e sconsolato, ritornò alla sua tana preparandosi a dover affrontare la trappola tutto da solo.
Quella notte, in tutta la casa si sentì un fortissmo rumore, proprio il suono della trappola che aveva catturato la sua preda. La moglie del contadino schizzò fuori dal letto per vedere cosa c’era nella trappola ma, a causa dell’oscurità, non si accorse che nella trappola era stato preso un grosso serpente velenoso. Il serpente la morse.
Subito il contadino, svegliato dalle urla di lei, la caricò sulla macchina e la portò all’ospedale dove venne sottoposta alle prime cure. Quando ritornò a casa, qualche giorno dopo, stava meglio ma aveva la febbre alta. Ora tutti sanno che quando uno ha la febbre non c’è niente di meglio che un buon brodo di gallina. E così il contadino andò nel pollaio e uccise la gallina, trasformandola nell’ingrediente principale del suo brodo.
La donna non si ristabiliva e la notizia del suo stato si diffuse presso i parenti che la vennerro a trovare e a farle compagnia.
Allora il contadino pensò che, per dare da mangiare a tutti, avrebbe fatto meglio a macellare il suo maiale. E così fece.
Finalmente la donna guarì e il marito, pieno di gioia, organizzò una grande festa a base di vino novello e bistecche cotte sul barbecue. Inutile dire quale animale fornì la materia prima.
Morale: la prossima volta che voi sentirete qualcuno che si trova davanti ad un problema e penserete che in fin dei conti la cosa non vi riguarda, ricordatevi che quando c’è una trappola per topi in casa tutta la fattoria è in pericolo. (anonimo dal web)
***********************************************************************
“Quando senti suonare la campana non chiederti per chi suona. Essa suona anche per te”
(Ernest Hemingway).
***********************************************************************
Prima vennero per i comunisti
ed io non alzai la voce perché non ero un comunista.
Poi vennero per i socialdemocratici
ed io non alzai la voce perché non ero un socialdemocratico.
Poi vennero per gli ebrei
ed io non alzai la voce perché non ero un ebreo.
Poi vennero per me
e allora non era rimasto nessuno ad alzare la voce per me.
(da vari discorsi sull’atteggiamento lassista nei confronti dei nazisti Martin Niemöller 1892–1984)
************************************************************************
Fin dall’antichità alle donne erano preclusi i giochi olimpici ma, ai giochi del 1900, di Parigi, per la prima volta nella storia, parteciparono le donne e Charlotte Cooper divenne la prima campionessa olimpica.
Si dovette aspettare il 1936, con le Olimpiadi di Berlino, per vedere la prima donna italiana conquistare un oro olimpico è Ondina Valla, che il 6 agosto 1936, vince l’oro nella gara degli 80 metri ostacoli.
Poi di strada ne han fatta le donne e mai, come quest’anno, la loro partecipazione ai giochi olimpici è così numerosa.
Vi propongo degli “appunti da Londra” con uno sguardo di parte alle donne italiane e non solo a loro. (pca)
Olimpiadi e donne; note di varia ispirazione fin dai primi giorni delle Olimpiadi.
Le Olimpiadi sono iniziate il 27 luglio con una lunga e suggestiva cerimonia nello stadio di Londra, anticipate da parole, considerazioni, informazioni amplissime. Fra queste una, ripetuta innumerevoli volte dai mas media: ‘..in questa Olimpiade di Londra le donne sono più che nel passato’.
Ed è vero: sono davvero tante! Sono presenti in delegazioni dove era impensabile concorressero, per ragioni culturali /religiose, le abbiamo viste in numero altissimo anche nel prestigioso compito di portabandiera. All’inaugurazione hanno sfilato belle e orgogliose nei loro costumi tradizionali, o con divise elegantissime; in alcuni casi coi fazzoletti che ne coprono il capo ma sembrano più che mai evidenziare gli occhi, gli sguardi che sfavillano d’orgoglio per esserci. Per l’Italia le atlete 126 su 290 rappresentano il 43,4%, ovvero la percentuale più alta di donne mai raggiunta in un appuntamento Olimpionico e non solo. Valentina Vezzali come portabandiera. Lei che con Federica Pellegrini, per la loro forza e valore sperimentato hanno rappresentato l’immagine, il profilo, più divulgato da tutti i mass media alla vigilia dei giochi. Ma andando con ordine in questo piccolo diario dei primi tre giorni. e parlando di donne è impossibile non sottolineare l’incredibile performance della Regina Elisabetta, capace per l’occasione di incarnare la più regale autoironia e umorismo inglese. Elisabetta d’Inghilterra – che da vero monumento del suo Regno si esprime non con le parole ma con la sua storia, i suoi gesti, i suoi colori – rimarrà indimenticabile, alla cerimonia d’inaugurazione, nell’ interpretazione di “Bond girl” che nel suo luminoso abito rosa cipria, accompagnata dall’ultimo 007 Daniel Craig… accolto a palazzo con ogni onore, sale in elicottero, lasciando solo allora che una controfigura si getti poi col paracadute dall’elicottero ..per vederla arrivare lei – The Majesty – allo stadio, con un sorriso, che nel massimo rispetto della regina definiremmo sornione e furbetto.
E ancora parlando di donne protagoniste del grande spettacolo d’apertura preparato dal regista Denny Boyle: quante le donne nel susseguirsi dei quadri animati che hanno ripercorso la storia del Paese Ospitante. Dalle contadine del periodo rurale, alle operaie del boom dell’industrializzazione, alle suffragette in lotta per il voto, alle infermiere che in un’immagine tutta femminile hanno celebrato l’orgoglio inglese della loro riforma sanitaria d’eccellenza. Per arrivare alle tante Mary Poppins arrivate dal cielo fino alla voce narrante dell’autrice del maghetto Herry Potter impegnata nella lettura di Peter Pan. Finita l’inaugurazione, il 28 mattina le Olimpiadi sono entrate nel vivo e come è oramai noto a tutti la giornata regala all’Italia da parte delle donne una sorpresa imprevista. Il fioretto femminile, se non vede la Vezzali ottenere la sua sospirata ennesima medaglia d’oro, vede però un Podio tutto Italiano. Tre magnifiche donne: Elisa Di Francisca medaglia d’oro, Arianna Errigo medaglia d’argento e lei – la Vezzali – medaglia di bronzo salgono sul podi sotto la stessa bandiera.
Le loro storie di atlete sembrano il simbolo della diversità, di una ricchezza femminile, di una sana competizione, dell’evolversi della storia che sottolinea come un successo collettivo può esaltare non solo le vittorie individuali ma anche le debolezze e gli errori individuali come ritengono di aver compiuto sia Valentina che Arianna, entrambe aspiranti all’oro. Eppure la loro vittoria è stata grande come lo è la mitica scuola di Iesi da cui provengono sia Elisa che Valentina. Vezzali che sembra non voler arrendersi nonostante i suoi 38 anni e annuncia che forse ora farà un altro figlio e poi ci riproverà alle prossime, perché quella quarta medaglia d’oro le da proprio fastidio averla persa . Ma il tempo corre e domenica 29 di questo Luglio tradisce le attese che accompagnano le nostre atlete. Nei tuffi a coppia per un soffio le nostre perdono il bronzo, nella gara ciclistica Giorgia Bronzini non riesce a rinnovare il successo della Olimpiade precedente e Federica Pellegrini, la regina del nuoto italiano, in gara per l’oro e comunque per il podio ai 400sl arriva solo quinta. La sua amarezza e delusione le fa dire a caldo che sospenderà per un anno di nuotare e poi si vedrà. Come sempre mai tutto è negativo e fra il buono che tante atlete, meno note che ci hanno comunque regalato, emerge il bronzo nello judo per i 52 kg della giovane calabrese Rosalba Forniciti. Che Rosalba sia calabrese viene ripetuto costantemente forse per mitigare il dato di una minoranza notevole di atleti del sud nella squadra olimpica. Questo piccolo diario di bordo che mi è piaciuto appuntare non ha riportato notizie di tante fantastiche atlete degli altri paesi. La voglia è di farlo sperando in una possibile seconda puntata dedicata anche a loro e magari spigolando fra piccoli fatti di costume o di storie legate alle atlete di Londra.
(Paola Ortensi – Noi Donne – Newsletter n. 31 Anno VII – 30 Luglio 2012)
Con piacere pubblico questo scritto di Cactus che con generosità, tratta un argomento attuale.
Certamente molti di voi avranno sentito parlare delle adozioni a distanza e sono sicura che ci saranno degli Eldyani che vogliono raccontare la loro esperienza.
In questi ultimi tempi, le nostre cassette della posta sono subissate da richieste d’aiuto provenienti dalle Associazioni più disparate, sia laiche che religiose. La televisione non è da meno e gli spots rivolti ad ottenere finanziamenti per i vari progetti si succedono ininterrottamente, mostrando bambini denutriti, calamità naturali, campi profughi …
E noi? Come reagiamo a questa valanga di dolore che entra nelle nostre case?
Purtroppo, passato il primo momento emozionale, tendiamo a rinchiuderci in noi stessi, nelle nostre case, nel calore delle nostre famiglie, quasi cercando di esorcizzare ciò che accade in quei Paesi che abbiamo imparato a conoscere come “Terzo Mondo” o, in modo più elegante, “In via di sviluppo”. C’illudiamo che, cambiando canale o cestinando le tante richieste d’aiuto, le tragedie rimangano fuori della porta e le nostre coscienze salve.
A questo disinteresse, in crescente aumento anche se le varie raccolte di fondi tramite TV vorrebbero dimostrare il contrario, hanno certamente contribuito i piccoli e grandi scandali che, a volte, vedono coinvolti certi “personaggi” che ruotano nell’ambito delle Associazioni stesse. Come non giustificare allora la riluttanza a donare del cittadino, il quale si pone la domanda “che fine faranno i miei soldi?”
Si potrebbe rispondere che l’importante è donare, con la speranza che quanto si è offerto raggiunga la corretta destinazione…ma non credo che questa sia una risposta accettabile, specialmente da parte di quelle persone per le quali la donazione comporta un sacrificio.
Allora che fare, come aiutare chi sta molto peggio di noi, avendo la certezza che il nostro sacrificio vada a buon fine?
Penso che una soluzione possa essere l’adozione a distanza di un bambino, tramite un’Associazione che incontri la nostra fiducia, regolarmente iscritta nell’Albo apposito e che possa dimostrare d’essere presente nel Paese in cui queste adozioni saranno fatte.
Questo tipo d’aiuto è molto importante, perché teso non a dare un’elemosina, ma ad aiutare il bambino nelle varie fasi del suo sviluppo. Ciò significa che egli sarà seguito in seno alla famiglia, più o meno allargata, senza esserne estirpato. Potrà ricevere cure mediche, assistenza sotto varie forme e, importante, gli sarà data la possibilità di frequentare la scuola.
E’ questo il punto centrale: fornire al futuro uomo o donna la possibilità di rendersi utile al proprio Paese…. e ciò non sarebbe possibile senza lo studio.
Inoltre in molti Paesi, specialmente in quelli situati nella regione sub equatoriale dell’Africa, esiste l’usanza, derivante anche dalla mancanza di mezzi, di fare studiare soltanto i figli maschi. L’adozione a distanza è rivolta in ugual misura ad entrambi i sessi e questo sarà utile per l’emancipazione della donna in questi Paesi e non fa distinzione di razza o religione: tutti sono assistiti allo stesso modo.
Come volontario ho operato, in collegamento con varie Associazioni sia laiche che religiose, in vari Paesi (Etiopia, India, Nepal, Romania, Zambia) dove mi sono recato più volte, ma mi vorrei soffermare sugli ultimi due Paesi e parlare dell’Associazione Onlus delle Suore Francescane Missionarie di Assisi. (www.assisisolidaleonlus.com), dove sono attive da decenni.
Qui portano avanti, con grande sacrifici e grazie all’aiuto di tante persone generose, molti progetti che vanno dai Centri Nutrizionali ai piccoli ospedali e alle scuole rurali, situati nel fitto delle foreste in Africa, così come case per bambini di strada o per bambini sieropositivi in Romania. Ho visitato le loro missioni e ho toccato con mano l’utilità del loro lavoro…o meglio…della loro Missione.
Quanti bambini sono stati salvati dalla morte per malnutrizione o per malattia? E quanti hanno avuto la possibilità di ottenere una formazione che permettesse loro di avere un futuro migliore? Impossibile dirlo. Ogni giorno sono migliaia i bambini che frequentano i loro centri nutrizionali, le loro scuole e gli istituti che ospitano ragazzi portatori di handicap. Ultimamente, con la terribile piaga dell’AIDS, sono aumentati a dismisura gli orfani e, purtroppo, anche i bambini colpiti dalla malattia.
L’adozione a distanza serve anche a questo: dare assistenza a questi orfani, che sarebbero destinati alla strada e alla delinquenza; cercare di offrire una vita degna di essere vissuta a coloro che, perché sieropositivi, sarebbero destinati all’emarginazione e quindi alla morte.
Ad Assisi, presso il centro delle Suore Francescane, centinaia di schede di bambini sono giacenti in attesa di essere inviate a chi vorrà prendersi cura di questi piccoli innocenti. Mi rivolgo specialmente a voi, Mamme e Papà, che ben conoscete le difficoltà di far crescere e educare un figlio, ma che anche avete assaporato la grande gioia di vedere i suoi occhi illuminati dal sorriso, ascoltato le sue prime parole, averlo visto crescere e assistito nel suo avanzare verso la vita.
Tutto questo è precluso a questi bambini. Soltanto la vostra generosità unita alla bontà, potranno modificare il loro destino. Sapeste quanta tristezza e dolore nel leggere una lettera proveniente da uno di questi Paesi, dove si avvisa di cancellare dalla lista dei bambini da adottare, un nome.
Un nome…. ma quel nome non è soltanto un insieme di consonanti e vocali. E’ una vita che si è spenta! E così ogni giorno nel mondo: bambini che si addormentano per sempre, famiglie che piombano nel dolore per i motivi, a volte, più banali. Malnutrizione, malaria, malattie endemiche, tubercolosi, AIDS, dissenteria, ma anche cause che qui, nel nostro civile mondo occidentale, sarebbero curate facilmente.
Il mondo è terribile nella sua crudeltà… basterebbe poco per risolvere molti dei problemi che attanagliano questi popoli.
Ma i governanti sono troppo impegnati nelle loro battaglie per trovare il tempo per interessarsi di questi nostri fratelli. E’ più importante raggiungere il potere piuttosto che pensare a salvare la vita di migliaia di bambini.
Restiamo noi.
Certo, i miracoli può farli soltanto Nostro Signore, ma possiamo fare molto lo stesso: adottiamo un bambino…non importa dove e tramite chi, ma adottiamolo. Date un fratellino o una sorellina ai vostri figli e anche voi, che ancora non conoscete questa meravigliosa sensazione, diventate genitori di uno di questi bimbi. Ne avrete un’immensa gioia!
Avremo salvato una vita e ridato il sorriso ad un innocente…. e potremo rispondere a Gesù, quando ci domanderà che abbiamo fatto per i suoi piccoli.
Alba Morsilli ci parla un po’ della situazione degli anziani e soprattutto in estate. Riflettiamo insieme a lei
Che le persone mature non debbano interessarsi troppo alle cose che riguardano la società in cui si vive è opinione recente. Se ben ricordo, nella storia, i vecchi erano i saggi. In questo mondo modernizzato gli anziani si trovano colpiti da pregiudizi che tendono alla loro emarginazione. Essi sono sempre malati, invalidi, poveri, infelici, insofferenti, poco svegli, riluttanti ai cambiamenti, non interessati al sesso e privi di soddisfazioni. Nel mondo moderno si tende ad esaltare il culto della giovinezza, facendo sentire inutili le persone che si ritirano dal mondo del lavoro. Tant’ è vero che si dice “la terza età” per non dire vecchio. Questo è un modo di mascherare la realtà. Le persone anziane hanno in genere poche relazioni extra familiari e quando cercano dei contatti vengono scoraggiati e derisi se tentano di mostrarsi arzilli o a la page. Allora si isolano, non per una difesa ma per scelta. Sono molte le ingiustizie che subiscono e non in quanto anziani, ma come persone. Ben vengano quindi le chat come Eldy dove, il farfugliare dei nostri discorsi, ci fa compagnia e ci toglie dalla solitudine. Non ci si ammala e non si muore solo in età avanzata… come non si ci innamora solo in età giovanile….
L’anziano in città d’estate
Leggo con grande piacere i cartelloni pubblicitari, sento in tv parlare degli animali abbandonati.
Concordo su tutto: ma al vecchietto chi ci pensa?
Ho lavorato per 40 anni in ospedale e questo era il periodo del deposito bagaglio. (si diceva così)
I figli hanno il diritto alle vacanze, e il vecchietto dove lo metto?
Il comune che è sempre in deficit non ha soldi per il sociale.
Pensate: Genova è una delle città più vecchie d’Europa insieme a Trieste; gli over 65 sono una percentuale altissima della popolazione
Per l’anziano è diventato un sogno pensare di andare in vacanza.
Gli anziani del mio quartiere si radunano tutti in un grande super mercato, lì almeno c’è l’aria condizionata.
Il capo settore con un lampo di genio ha installato macchinette del caffè, bibite, messo tavolini e sedie, fa venire il giornalaio tutte le mattine.
La voce corre e sono moltiplicate le vendite, la gastronomia si aggiorna con confezioni mini porzioni, gli anziani consumano il pasto sul posto.
A questo modo hanno almeno risolto due cose: la calura e il pranzo, questo anche di domenica.
Aggiungo un piccolo vissuto della mia vita inerente a non lasciare soli i nostri cari dove io ho curato mia mamma per tanti anni.
Sono stata la mamma di mia madre
Essere figli di una madre che soffre di problemi mentali significa dover svolgere anche la funzione di genitore.
Un’infanzia strappata dal dolore vissuto dalla persona che ti ha dato la vita.
Avevo 10 anni quando ho vissuto il tentativo di suicidio di mia madre, questo oltre alla povertà e alla mancanza di una casa; da lì la mia vita cambiò, divenni adulta tutto ad un tratto,vivevo di paura, non la lasciavo mai sola, non volevo che lei mi lasciasse, era la mia mamma anche se ammalata.
Ho cominciato presto a sostituirmi a lei facendo io i lavori di casa e preparando il pranzo e la cena, certo come ero capace, ma almeno qualcosa sotto i denti si metteva.
Tutto questo mentre lei giaceva in un letto gridando per le sue allucinazioni.
A volte ero frustrata per la vita che ero costretta a sopportare, a volte mi vergognavo.
Questo non mi impediva di amarla e tenerla tra le braccia quei pochi momenti di tranquillità.
Io devo molto a mio padre che un giorno mi disse “tu ora hai 18anni e hai già fatto molto per la mamma, fatti la tua vita “
Entrai a lavorare in ospedale ormai ero abituata a stare con gli ammalati, però la mia mamma non l’ho mai abbandonata.
Oggi che sono anziana e nonna, sono felice della mia vita essa è stata una grande maestra, perché è nella sofferenza che si cresce, e questo mi è servito in un altro momento molto buio della mia vita.
Giuliano, che si è occupato molte volte di darci utili consigli sull’uso del computer, ci spiega come risolvere un problema che si è presentato a diversi Eldyani.
Se poi desiderate leggere altri articoli che riguardano l’uso del PC e consigli vari, cliccate su “SALVAGENTE X PC” nella riga in alto, vicino all’elefantino di Eldy, avrete a disposizione tutto quello che è stato postato sull’argomento. Infine se avete domande scrivete nei commenti di SALVAGENTE X PC le domande e le risposte, chi è competente cercherà di rispondervi.
COME TOGLIERE TOOLBAR E PROGRAMMI INDESIDERATI.
In questi ultimi tempi ho ricevuto diverse richieste per come eliminare Toolbar, programmi indesiderati e ripristinare la pagina iniziale del browser.
Quando si scaricano i programmi gratis, questi software per essere distribuiti gratuitamente spesso stipulano degli accordi con altre Software house o con altri grandi marchi che operano su Internet ed ecco che quando andiamo a installare l’applicazione free capita di ritrovarci con installati anche altri prodotti generalmente toolbar (barra degli strumenti).
Senza andare in Programmi/Impostazioni/Pannello di Controllo/Installazione applicazioni, (non sempre si possono rimuovere da qui) c’è un programma che in un solo colpo rimuove tutti i programmi e le toolbar indesiderate.
PC Decrapifier, completamente gratuito per uso personale consente di visualizzare ed eliminare tutti i programmi indesiderati detti anche “crapware”.E’ un programma standalone (non s’installa nel PC funziona solo quando l’avviate=non occupa spazio).
Il programma è in inglese ma intuitivo.
Una volta avviato cliccate sul pulsante Create Restore Point (foto 2)
per creare un punto di ripristino del sistema e, a procedura ultimata, cliccare su Next.
Dalla finestra principale dell’applicazione sarà possibile visualizzare tutti i programmi installati sul vostro PC e scegliere quale rimuovere definitivamente semplicemente spuntando la relativa casella al fianco del loro nome (foto 1)
e cliccare sul pulsante Next per avviare la loro disinstallazione.
Nel giro di pochissimi secondi avrete un PC nuovo… come nuovo!
PC Decrapifier è disponibile per Windows 7 / Vista e XP.
Ultima versione 2.2.8
Lo potete scaricare a questo indirizzo:
http://www.pcdecrapifier.com/download
Quando scaricate programmi gratis non abbiate fretta di cliccare su Next (Avanti), leggete perché molti avvisano che oltre il programma consigliano altre cose come Toolbar, motori di ricerca ecc. e se non siete interessati togliete la spunta poi andate avanti.
Brevemente per ripristinare la pagina iniziale:
Dal vostro browser, Firefox, Chrome, Explorer ecc.:
Strumenti/Opzioni, vedi foto 3
digitate con cosa si deve aprire la pagina e di conseguenza il motore di ricerca.
Tutto qui
Cactus ci propone un suo scritto sui fatti di Genova, legati alle manifestazioni nei giorni del G8 2001
La Corte di Cassazione ha finalmente emesso il verdetto finale per una vicenda che ha sconvolto l’Italia democratica e il mondo intero. Amnesty International ha denunciato questo turpe episodio come il secondo caso in importanza, in Europa, di violazione dei Diritti Umani dalla fine della seconda guerra mondiale. Adesso giustizia è stata fatta! I responsabili (Dirigenti e poliziotti) condannati usufruiranno della prescrizione della pena ma dovranno lasciare tutti i loro incarichi… ben poca cosa in confronto al crimine commesso, ma almeno si potrà riparlare di democrazia tornata nel nostro Paese… anche se con un ritardo di 11 anni. Il racconto che segue fu da me scritto immediatamente dopo l’accaduto dei fatti e non vuole esprimere un giudizio… ognuno è libero di trarre le proprie conclusioni. (Cactus)
All’interno della Cronaca
Il G8 di Genova
Ore 7,30 di un sabato mattina.
Oggi è una giornata importante per Lisa ed i suoi vent’anni. Tra poco meno di un’ora salirà sull’autobus che la porterà all’appuntamento con alcuni suoi compagni d’università, in vista della giornata che si annuncia piena e carica d’emozione. Ai genitori ha detto che si recherà a casa della sua amica Angela… frequentano la stessa facoltà e lo stesso anno ed è cosa normale per lei recarsi a casa dell’amica per studiare, specialmente nell’imminenza di un esame. Non è sua abitudine nascondersi dietro ad una bugia ma, questa volta, ha pensato che era l’unica soluzione. Guai se i genitori, così apprensivi, conoscessero il vero motivo per cui si appresta ad uscire da casa: ieri un ragazzo è rimasto ucciso durante gli scontri con la polizia, durante la seconda delle tre giornate di manifestazione e oggi è la giornata conclusiva … per nulla al mondo vuole mancare.
Non perde molto tempo davanti allo specchio… è impaziente di uscire. Lo zainetto è già pronto dalla sera prima e un sorriso le increspa le labbra quando, per un attimo, pensa alla sorpresa della mamma se le venisse in mente di guardarne il contenuto. Non ci sono libri: oltre agli effetti personali, uno scialle bianco e nero in cotone grezzo con lunghe frange, un ampio fazzoletto, un paio di guanti da lavoro, occhiali, qualche panino e un…limone. E’ la prima vera manifestazione cui prende parte… sì… in passato era già scesa nelle strade per ragioni legate alla scuola e, durante il liceo, aveva anche preso parte all’occupazione del suo istituto, ma mai ha manifestato per problemi estranei al suo mondo. Si sente eccitata ed emozionata e già si vede alla testa del corteo a scandire slogan, anche se, ogni tanto, un vago sgomento la prende… ma forse è dovuto soltanto all’attesa.
L’autobus la sta portando a destinazione. Sul mezzo ci sono molti altri giovani come lei, ma l’atmosfera non è la solita; avverte in loro qualcosa di strano… probabilmente sono nel suo stesso stato d’animo. Scherzano, ma non c’è allegria nelle loro risate e le loro voci hanno toni insolitamente alti, come volessero farsi coraggio. Si sente che quel giorno non è un giorno come gli altri: non lo sanno ancora, ma oggi molti di loro conosceranno la bestialità e l’incoerenza dell’essere umano.
Sono le 9,15.
Scende dal bus ed è con sollievo che vede qualcuno dei suoi amici che già aspettano vicino al luogo dell’appuntamento. Tra loro c’è Angela e Gianni. Si sono conosciuti al Liceo ed è stata subito amicizia, anche se, con Gianni, l’amicizia si è poi trasformata in qualcosa di più tenero. Ciò che di lui lo aveva colpita, era il sorriso… un sorriso che le faceva dimenticare le preoccupazioni e trasformava la tristezza in allegria. Anche ora, guardandolo, sente che il vago timore che l’accompagna dal mattino si sta dissolvendo. Un fugace abbraccio, i soliti saluti e l’attesa per i ritardatari.
Il programma della giornata è piuttosto semplice: seguiranno la manifestazione che, partendo dal luogo del raduno, attraverserà il quartiere per poi dirigersi e concludersi all’inizio della zona rossa vietata ai manifestanti. Qui si fermeranno e daranno voce alle loro idee pacificamente.
La parola d’ordine è “Evitare incidenti ” e non è assolutamente loro intenzione arrivare a questo. Sono ragazzi pacifici che semplicemente vogliono dire la loro parola in difesa di coloro che vivono in Paesi economicamente più deboli e mai si sognerebbero di usare forme violente per manifestare il loro dissenso.
Il loro gruppo, circa venti amici, è ora al completo. Lo spiazzo intorno al luogo del raduno si è affollato di giovani e meno giovani, tutti accorsi a manifestare per quello che ritengono giusto. Sono migliaia e Lisa è ora euforica; si rende conto di stare vivendo una giornata della quale serberà il ricordo. Improvvisamente, nota qualcosa che la mette in agitazione: su un lato della piazza ci sono giovani che indossano abiti neri… alcuni hanno anche un fazzoletto sul viso per nascondere i lineamenti.
“Chi sono?” chiede a Gianni.
Anche lui, come altri del gruppo, ha notato i movimenti di questi giovani, ora più numerosi, che tendono a defilarsi all’interno del corteo che si sta formando. A guidarlo ci sono giovani che, indossando tute bianche e con le mani alzate in segno di pace, iniziano a muoversi.
Lisa e i suoi amici si trovano a poche decine di metri dalla testa del corteo quando si rendono conto di uno strano movimento alle loro spalle: una parte dei giovani vestiti di nero, tutti ora con il viso coperto e con oggetti contundenti in mano, si sta portando sui lati, come a voler sopravanzare i manifestanti.
Gianni si rende conto che sta per succedere qualcosa e, chiamati gli amici a lui vicino, prende Lisa per mano e la conduce fuori dal corteo; con lei c’è anche Angela e qualcun altro. Il gruppo di facinorosi sembra quasi obbedire ad un ordine perché, improvvisamente, comincia l’opera di devastazione. Macchine date alle fiamme, saracinesche divelte e vetrine infrante, banche incendiate: è l’inizio di ciò che non doveva essere. La violenza sta prendendo il posto della contestazione pacifica. Iniziano gli scontri con la Polizia. Le sirene delle autoambulanze annunciano i primi feriti.
Lisa è ora impaurita. Tutte le belle idee sulla fratellanza, civiltà e amore stanno andando in frantumi.
Vede ragazze come lei trascinate per i capelli; giovani sanguinanti che corrono in cerca di un riparo; signori anziani che cadono urtati da persone in fuga. Iniziano i lanci di lacrimogeni: è il caos.
Fortunatamente è riuscita a portarsi fuori dal corteo appena in tempo e si trova in una posizione abbastanza tranquilla, rispetto agli altri manifestanti. Il fumo acre del gas arriva anche a lei… apre lo zainetto e, imitando gli amici, si mette in bocca una fetta di limone e si copre il viso con il fazzoletto. Si accorge di avere le guance bagnate dalle lacrime, ma non capisce se questo è dovuto al lacrimogeno oppure alla gran rabbia che le sta attanagliando il cuore, nel vedere l’esplosione di una violenza che non risparmia nessuno.
Non aspettano di vedere la conclusione di questa manifestazione. Si ritrovano in una decina d’amici e decidono di portarsi in una zona più calma ed attendere che gli incidenti si plachino.
Sono passate le 12 e Lisa telefona ai genitori per dire che non è a casa di Angela, come aveva precedentemente detto, ma che, insieme, sono andate a studiare da un’amica, appena fuori città; almeno i rispettivi genitori saranno tranquilli, sapendole lontane dal centro.
Hanno abbandonato il corteo principale e si sono uniti ad alcune migliaia di persone che, pacificamente e per altre strade, si stanno dirigendo verso la zona vietata. Alle loro spalle le sirene delle ambulanze continuano a far sentire il loro urlo e colonne di fumo nero salgono al cielo. Gli esercizi che hanno l’accesso alle strade interessate dalla manifestazione hanno già le saracinesche abbassate e anche gli altri si stanno adeguando, forse per le notizie che iniziano a diffondersi. Tra pochi minuti tutto il centro sarà chiuso e Lisa avanza lungo strade ora occupate solo dai manifestanti. Anche coloro che normalmente assistono al passaggio delle manifestazioni, si sono barricati dietro le serrande protettrici di un bar o sono tornati precipitosamente a casa.
Certo, non si aspettava nulla di simile e quanto ha visto la rende confusa. Gli avvenimenti si stanno succedendo troppo in fretta e lei non è preparata a questo. I suoi genitori le avevano raccontato di quando, anni prima, avevano partecipato a manifestazioni, ma non aveva prestato eccessiva attenzione agli incidenti che descrivevano nei loro racconti… pensava ad esagerazioni ma ora…. ora si rende conto di stare vivendo la stessa esperienza e ne ha paura.
Le ore stanno passando e Lisa si rende conto che, nonostante tutto, l’appetito non è sparito. Ciò che rimane del gruppo iniziale di amici, una decina, decide di fermarsi in una piazzetta laterale per dare fondo alle provviste, scarse in verità, portate da casa. Si approfitta della pausa per ascoltare le notizie trasmesse dalla radio e, naturalmente, per far funzionare a pieno ritmo i cellulari. Ciò che sentono, unito a quello che hanno vissuto, li rende silenziosi. Non si scherza più. Stanno succedendo cose gravi.
Gianni telefona a un suo amico ed è messo al corrente della necessità di una presenza costante di persone nella scuola che ospita l’organizzazione della manifestazione. Corrono voci strane ed è importante che l’edificio sia presidiato, anche durante la notte. Gianni e alcuni giovani decidono di andare. Lisa e Angela si guardano… certo, hanno paura adesso, ma sanno che questa è l’occasione per prendere coscienza della vita, anche nei suoi aspetti più tristi e dolorosi. Decidono di unirsi al gruppo.
Nel tardo pomeriggio lasciano definitivamente i vari cortei che continuano a percorrere le vie cittadine e si avviano a piedi, la città è paralizzata, verso la scuola dove rimarranno a dormire. Sono alcuni chilometri, ma la giovane non sente la stanchezza. La sua attenzione è tutta rivolta nel constatare i danni causati in questa giornata, che doveva essere esente dalla violenza. Non conosce che cosa abbia dato il via a tutto questo… se quei giovani vestiti di nero, se una polizia che ha reagito in modo troppo violento, se l’improvvisa e incontrollata esplosione di rabbia dei manifestanti, se la voglia di fare danni propria di chi approfitta di questi momenti. Qualunque sia il vero motivo, Lisa condanna tutto quello che è successo. Crede nella democrazia e nell’uguaglianza tra i popoli, parole per lei non vuote e ora vuole dare il suo contributo fino in fondo. La paura ha lasciato il posto alla determinazione e, spinta da questi ideali, si appresta a vivere da protagonista la “sua” notte.
E’ sera.
Telefona ai suoi spiegando che, dato il perdurare dei disordini in città, sia lei che Angela, si fermeranno a dormire presso la loro amica. Angela ha fatto lo stesso con i suoi genitori. Con gli amici rimasti consuma una cena a base di panini e quindi, dopo aver commentato gli avvenimenti della giornata, si lascia vincere dalla stanchezza e si sdraia in un angolo della stanza.
Il riposo è di breve durata… all’interno della scuola sta succedendo qualcosa di grave: urla, pianti, rumore di oggetti in frantumi, sciabolate improvvise di luce che attraversano i corridoi, ombre che fuggono nella penombra. Non riesce a rendersi conto di nulla. Sente una mano che stringe la sua e la voce di Gianni che la sprona ad alzarsi e fuggire. Cerca Angela… ma non è più vicina a lei. Chiede a Gianni, ma non riceve risposta e inizia il suo incubo.
Inciampa in qualcosa o qualcuno steso a terra… cade… si rialza e comincia a correre verso l’uscita. Improvvisamente un colpo violento alla testa, le mani che si alzano a protezione del capo e che tornano bagnate del suo sangue. Si sente svenire ed il terrore la sta paralizzando. Gianni si accorge di questo e, sorreggendola, cerca di portarla fuori dalla scuola. Subito fuori dell’edificio sono avvicinati dai volontari della Croce Rossa. A Lisa sono apprestati i primi soccorsi… fortunatamente si tratta soltanto di un taglio, doloroso ma non grave; sono applicati due punti di sutura e, immediatamente dopo, possono allontanarsi.
Ora la paura lascia il posto a una crisi nervosa e le lacrime scorrono inarrestabili lungo il suo viso. Cerca Angela, ma vicino a lei è rimasto solo Gianni… gli altri amici sono scomparsi nel trambusto di quanto successo. Si trovano in una zona relativamente tranquilla e dalla quale possono vedere lo svolgersi degli avvenimenti. Le ambulanze s’incrociano con i mezzi della polizia… vedono giovani spinti nei cellulari, sentono ragazze urlare e tutt’intorno il caos. Inizia a rendersi conto di ciò che sta succedendo, ma le rimane difficile accettare che sia tutto vero… tra poco si sveglierà da quest’incubo, rivedrà la sua amica Angela e le racconterà del brutto sogno fatto.
Gianni la scuote e la invita a farsi forza ed a seguirlo. Arrivano in una zona “pulita”, dove gli scontri e i cortei non sono arrivati: sembra di essere in un’altra città. Trovano anche un locale aperto e, finalmente, possono riposare. Prova a formare il numero del cellulare di Angela e grande è la gioia nel sentire la sua voce; non è lontana dal punto in cui loro due si trovano e presto anche l’amica, insieme con altri due ragazzi superstiti del gruppo, arriva al locale.
Fortunatamente a loro non è successo nulla perché sono riusciti ad allontanarsi dalla scuola in tempo, ma nessuno ha voglia di parlare. In tutti c’è una gran tristezza; non immaginavano che sarebbe finita in questo modo. Hanno sempre sentito parlare di diritto del cittadino a manifestare le proprie idee ed ora si ritrovano a doversi interrogare a quali diritti ci si riferiva.
Sono delusi e offesi… qualcosa sì è rotto dentro di loro. Sono stati fortunati in questa circostanza, ma quanti altri hanno dovuto subire? Ha sempre portato rispetto verso le istituzioni; le hanno insegnato che un Paese civile prospera in funzione del livello di democrazia che s’instaura tra i componenti della società in cui si vive; che i deboli devono essere protetti dagli abusi dei più forti; che i giovani sono il futuro del Paese. Ma se tutto ciò è vero, dove sono ora questi censori? Chiusi al sicuro, dietro ad una vetrata, a guardare e criticare l’operato di questa gioventù “violenta”? Oppure pronti, domani, a dare spiegazioni cervellotiche sui fatti accaduti e suggerire il loro rimedio?
Sono le tre di una domenica mattina. Tra poco Lisa tornerà a casa, ferita nel corpo e nell’animo. In questo momento non si sente in grado di dare un giudizio su ciò che ha vissuto o di tracciare una linea di demarcazione tra il bene e il male, tra il buono ed il cattivo, tra il giusto e l’ingiusto. Le ci vorrà del tempo per darsi una risposta, ma ai genitori, che certamente la rimprovereranno per la sua imprudenza e le bugie dette, porrà una domanda: “E’ veramente questo il mondo che noi giovani ci ritroveremo in eredità?”
(cactus)
C’è una stagione più propizia dell’estate per fare festa?
Si approfitta del bel tempo, ogni occasione è buona nel rispetto dei costumi, delle tradizioni e, seguendo spesso rituali antichissimi, si festeggia qualunque cosa.
Feste nazionali, feste di indipendenza, di liberazione, feste religiose, sagre.
Mi vengono in mente feste nazionali famose come quella degli Stati Uniti del 4 luglio, giorno dell’indipendenza, con la consuetudine di fare una barbecue e giochi collettivi in ogni famiglia o quella del 14 luglio, la presa della Bastiglia, in Francia, con i balli popolari in piazza e la notte illuminata da sorprendenti spettacoli pirotecnici, pieni di luci e colori.
Feste religiose dove le tradizioni si incrociano con il folclore, come nella festa di San Firmino a Pamplona, in Spagna, il 9 luglio. E la folle corsa dei tori per le strade della città.
Oppure il 28 luglio in Perù “festa della Patria” e della liberazione dal dominio spagnolo.
Ma sono tante, tantissime anche in Italia.
In Sicilia, a Palermo c’è “U fistinu”di Santa Rosalia per ricordare la liberazione della città dalla peste del 1624.
In Sardegna, a Sedilo, si celebra il 6 e 7 luglio, Ardia di Santu Antinu: una folle corsa a cavallo su e giù per il colle attorno al Santuario di San Costantino (Sant’Antinu), per ricordare la vittoria di San Costantino Imperatore a Ponte Milvio, avvenuta 1700 anni fa.
O in Toscana a Siena il Palio di luglio, dedicato alla Madonna di Provenzano e che si corre tutti gli anni il 2 luglio fin dal 1656.
Vi ho accennato tutte queste feste e ricorrenze per farvi venire la voglia di raccontare le vostre: quelle sagre, solennità o tradizioni che si celebrano nella vostra città o nel paese vicino o in quello di origine della vostra famiglia.
Impareremo tutti qualcosa di bello e nuovo o antico e chissà che non si venga a partecipare anche noi…
… ECCO I VOSTRI RACCONTI …
PALIO DEGLI ZOCCOLI: sandra .vi
E’ una rievocazione storica, che si svolge a Desio cittadina a pochi km da Milano, della battaglia combattuta nel 1277 fra i Torriani, signori di quelle zone, e i Visconti, che trovarono nella vittoria la possibilità d’allargare i possedimenti.
Nelle cronache di epoca medievale il nome di Desio viene menzionato per questo scontro .In seguito ad un proclama dei Torriani che proibiva a tutti indistintamente di calzare gli zoccoli di legno, unica calzatura, obbligando cosi tutti ad andare a piedi nudi anche col gelo. Motivo: il rumore faceva fuggire la selvaggina dai boschi, riserva di caccia degli uomini del governo e dei Signori e loro quotidiano passatempo. Questo proclama fece esplodere il malanimo della popolazione di quel tempo, che si ribellò e tenne gli zoccoli ai piedi nonostante la proibizione.
I Visconti corsero in aiuto del popolo, vinsero e divennero i nuovi signori fino a Milano, togliendo il divieto a calzare gli zoccoli.
Il Palio nella versione attuale si svolge dal 1989 nella metà del mese di giugno, e vi partecipano 11 contrade che rappresentano le corporazioni che esistevano nel borgo, formando un corteo di 500 persone in costume d’epoca che sfilano per le vie principali fino al piazzale della Cattedrale. Seguono varie cerimonie ufficiali, nomina dei maestri di contrada, promessa dei contradaioli, con la benedizione delle contrade.
Con la lettura del proclama del palio si dà inizio alla disputa del palio.
Sono 2 atleti per contrada calzanti zoccoli senza calze, vince chi impiega il minor tempo per percorrere il percorso prestabilito.
Alla sera si ha la proclamazione della Contrada Vincitrice, e una festa veramente sentita alla quale tutti partecipano
Per qualche ora almeno è bello tuffarsi e rivivere il nostro passato
CAMOGLI (CASA DELLE MOGLI): alba morsilli
Camogli (casa delle mogli) cittadina del levante Ligure famosa per la sua scuola di formazione nautica, dove tanti capitani di bordo vi sono nati, e quando passavano con le navi davanti a Camogli suonavano le sirene, per un saluto. Seconda domenica di maggio, nella scenografia naturale pittoresca ed esclusiva di Piazza Colombo, al porticciolo, si svolge infatti la Sagra del Pesce. La manifestazione, organizzata dall’Associazione Turistica Pro Loco con il patrocinio del Comune, è ormai nota in tutta Italia ed all’estero ed attira un notevolissimo numero di persone. Nata come gesto spontaneo di alcuni camogliesi che decisero, nel 1952, di regalare ai residenti ed ai visitatori una frittura di pesce, questa simpatica tradizione si è trasformata in un importante momento di comunicazione e di proiezione dell’immagine a vocazione turistica della Città. Simbolo della Sagra è la padella nella quale viene fritto il pesce da distribuire, grazie all’impegno dei molti volontari che offrono il loro apporto alla buona riuscita della manifestazione. Manifestazione legata alla plurisecolare festività di San Fortunato, patrono dei pescatori: la sera della vigilia, dopo la celebrazione religiosa, con la processione dell’Arca di San Fortunato alla quale partecipa la Banda “Città di Camogli”, ha luogo sulla spiaggia l’incendio dei falò, vere e proprie sculture in legno costruite dai camogliesi dei quartieri Porto e Pinetto che ogni anno, con fantasia, inventano nuove forme.
voglio aggiungere l’avvistamento ai cetacei a Portofino(il suo nome deriva porto dei delfini)conosciutissima cittadina, ma il suo segreto è il mare che non lontano dalla costa si vedono fare i salti dei delfini,poi adesso si sono attrezzati con motonavi e vi portano all’avvistamento dei cetacei che loro felici corrono dietro le navi-
Tanto è vero che a bordo hanno diviso la nave come fosse un orologio e il capitano da un megafono grida “delfini alle 12 tutti corrono a prua, delfini a ore 14 tutti vanni su un lato ”
nel parapiglia c’è anche da ridere per gli scontri tra noi, ma è bello vederli in liberta questi magnifici esemplari, dimenticavo una biologa del wwf ci spiega la storia del delfino
SAN GIUSEPPE A SPEZIA: Giulian.rm
“Sarò breve e circonciso” come disse il rabbino….
Anche perché i ricordi sono molto lontani e, forse, troppo presto lasciai la mia città natale.
Il 19 marzo, San Giuseppe è la festa patronale della città della Spezia.
La festa ha una durata di tre giorni nel corso dei quali le bancarelle tipiche di ambulanti e artigiani affollano la città. Manifestazione con origini antichissime che risalgono al 1500, Da non perdere, per chi si trovasse da quelle parti, è la visita all’Arsenale Militare Marittimo che in quell’occasione apre le porte ai cittadini e ai turisti.
Due sono le cose che mi sono rimaste impresse: durante i festeggiamenti gli abitanti dei paesini di campagna “scendevano” tenendo in mano le scarpe, per non rovinarle, e le indossavano appena arrivati in città. Noi, “discoli cittadini”, eravamo soliti apostrofarli con questa frase:
“dans la man kan s sperdan… ” (diamoci la mano, altrimenti ci perdiamo).
L’altra cosa erano le collane di nocciole (non le noccioline) obbligo indossarle e, almeno noi ragazzi, si rompeva il guscio con i denti e si mangiava il seme.
Queste collane, dette anche reste, dicevano che portassero fortuna.
CATTAININ: cactus
Giulian tranquillo… il monumento funebre della Cattainin è sempre dove tu hai detto e invito coloro che si recassero a Genova a visitarlo… ed anche a fare un giro nel cimitero di Staglieno (possibilmente con una guida) per ammirare tanti altri capolavori dedicati a personaggi più o meno conosciuti.
Feste degli altri…recita il titolo ma soprattutto, a Roma, c’è:
LA FESTA DE “NOANTRI”: pasquino
Si svolge ogni anno nel mese di luglio in Trastevere, nell’ambito delle celebrazioni in onore della Madonna del Carmine. Le origini della festa sono avvolte dalla leggenda:
alcuni pescatori romani, era il 1505, pescarono con le loro reti una Madonna di legno dentro una cassa adagiata sul fondo del Tevere. La pesca miracolosa fu interpretata come un segno e i pescatori si affrettarono a portare la bellissima statua nella chiesa di sant’Agata, luogo dove ancora oggi dimora. Da quel giorno, il sabato successivo alla festa del Carmelo, il 16 luglio, quella statua parte in processione dal Tevere fino alla chiesa di San Crisogeno per poi tornare a Sant’agata otto giorni dopo. “Lì mejo fusti” del rione del tempo si contendevano il privilegio di portare il massiccio tronco o lo stendardo che quanto a pesantezza, non era da meno. Per alleviare la fatica, “stì fustacci” si fermavano spesso lungo il percorso, sotto lo sguardo ammirato delle ragazze del rione, per bere un goccio, di vino naturalmente, tanto che in genere giungevano a destinazione praticamente ubriachi.
Il Belli: ” Ner portà bene lo stendardo e er tronco lì se vedeva l’omo”.
Dai primi anni venti, alla commemorazione religiosa, oltre ai tradizionali venditori di mostaccioli, fusaje, cocomero e grattachecche, alle bancarelle e alle tavolate con il vino dei castelli, e l’immancabile “porchetta d’Ariccia” seguivano anche spettacoli teatrali e musicali, per finire con uno spettacolo di fuochi d’artificio.
Nel tempo la festa si è trasformata, perdendo così il suo carattere popolare, conservando solo il suo forte sentimento religioso.
Ora a Trastevere c’è, vita notturna con la Movida romana, e a piazza Santa Maria in Trastevere è uno dei luoghi principali. Sui gradoni di pietra che circondano la fontana al centro della piazza, si siedono giovani e meno giovani provenienti dall’Italia e dal mondo.Sì i tempi sono cambiati anche perché ora sono le ragazze, specialmente straniere, che “ammirano, li fustacci”!
Non fatemi dire de più!
Serenata trasteverina di Alvaro Amici
Bella regazza che cjai cent’amanti
affaccete ‘n tantino a la loggetta
se semo riuniti tutti quanti
te vojo fa sentì sta canzonetta.
Paraponzipò, paraponzipò, Paraponzipò, paraponzipò.
C’è Peppino, c’è Ninetto, ce sta Pippo l’avvocato
c’è Giggeto ce sta er mago, viè a vedè che bisca c’è
Vieni giù bell’angioletto, te li conti co le mano,
c’è persino er sacrestano, semo centoventitre
Paraponzipò, paraponzipò,
Paraponzipò, paraponzipò
Co tutti noi cjai fatto ‘n po’ l’amore
a tutti cjai giurato amore eterno
nissuno t’ha saputo legge er core
sol’io te l’ho esplorato ‘n po’ all’interno.
Paraponzipò, paraponzipò, Paraponzipò, paraponzipò
Baci e pizzichi de Nino, l’abbracciate de Pippetto
l’attastate de Cencetto te le sei scordate già.
Io t’ho visto pure un neo, in un sito ‘n po’ niscosto
ma nun vojo dì in che posto pe’ nun fatte svergognà’.
Paraponzipò, paraponzipò,
Paraponzipò, paraponzipò
De te sapemo tutti quarche cosa,
che cjai li nastrì alle mutande
le giarrettiere so’ color de rosa
e in mezzo c’è ‘na rosa così grande.
Paraponzipò, paraponzipò, Paraponzipò, paraponzipò
Le carezze che cjai fatto, li bacetti che cjai dato
quante vorte cjai abbracciato nun se ponno più contà’.
FUGA DEL BOVE MONTEFALCO: lucia1.tr
In poche righe voglio parlarvi di una rievocazione storica del mio paese Montefalco.
Uno dei momenti salienti della “ Fuga del Bove” è il Corteo Storico, nella cui spettacolarità, rivivono le atmosfere dell’epoca rinascimentale, le sue luci, le sue ombre, i fervori, i fermenti della Città di Montefalco, che in quel momento della storia, toccò i vertici del suo fulgore artistico, culturale, sociale. Il Corteo accompagnato da rutilare di bandiere, rullo di tamburi e squillare di chiarine fa il suo ingresso nella Piazza del Certame, dove i 4 quartieri gareggeranno fra loro. Si rivive a Montefalco l’epoca aristocratica e rigida dei Papi, dei Principi, dei condottieri, con una precisa ricerca del costume e la fedele ricostruzione delle situazioni . Si respira l’aria serena della vita dei campi, delle leggende, delle superstizioni, dei musicanti, dei saltimbanchi e giocolieri. In questa serata magica il passato si fonde con il presente e la Storia diventa quasi una favola.
Ecco qui riuniti i ricordi estivi che sono stati inviati.
Continuate a inviarne, se potete, perché la raccolta è risultata come un racconto unico, che ci riporta indietro negli anni, che ci fa perdere nella memoria di un tempo semplice, spensierato e a modo suo molto felice.
Una poesia a ricordo nives1950
Carissimi amici…pure io provo tanta nostalgia al ricordo delle caldi estati dell’infanzia.
Dall’età di tre anni e fino ai 16…d’estate ero ospite di una carissima zia che viveva sul Montello… (collina sulle rive del famoso fiume Piave – sacro alla Patria). Vi lascio una “poesia” che scrissi a ricordo della dolcezza che ogni anno, portavo via con me.
RISVEGLIO
“Anch’io mi risveglio e vivo
….sul Montello!
Mi desto…come da letargo o limbo,
come d’assenza totale di me.
All’alba, sul Montello…
quando ancora la vita sonnacchiosa
sbadiglia e s’apre
al giorno:
anch’io mi sento…
e partecipo alla sinfonia della vita.
Anch’io tèpida:
sono, vibro, profumo il pianeta.
Stormire di rondini
e canto d’allodola e cucù.
Cinguettio di passeri
e mormorìo d’acqua allegra
che “corre” nel fosso.
Suoni dolci dentro l’aria vivida,
frizzante e profumata d’erbe
di felci e lavanda
e resine del bosco…
Mi desto con la prima rosèa
luce del giorno
che timida bacia la vita,
e mi cattura e conduce…
a scoprire pienamente me.
Ai piedi del Montello,
accanto al campanile pronto
a suonare
anche la mia gioia.”
Niente vacanze! di nadia (neve)
Eravamo e siamo in 4 fratelli….3 femmine e 1 maschio. Tutti sono andati in colonia al mare ed io sono sempre rimasta a casa. Non so dirvi perché non mi ci hanno mai mandato in vacanza. A mia mamma non lo posso più chiedere, lo chiederò a mia sorella finché ho la possibilità di farlo. Forse, perché sono sempre stata la coccola di papà? o forse perché già da piccolina ero uno sbirulino? Comunque sia, non ho mai pianto perché non mi mandavano in vacanza, stavo bene anche a casa con tutti i miei amici e amiche.
Le ciliegie rubate… di robertadegliangeli
Carissimi amici, con i vostri scritti mi avete fatto ricordare una mia estate. Ero ancora bambina e sono andata in campagna dai miei zii, ma più che altro da mio cugino Renzo, lui conosceva tutto delle piante e con lui le scorribande non si contavano. Così un giorno ha portato me e mio fratello a rubare le ciliege, dato che io non sapevo salire sugli alberi mi ha appoggiato la scala poi mi ha aiutato a sedermi sul ramo e con il piede ha buttato la scala. Noi tutti allegri si rideva e si chiacchierava come facevano i ragazzini di allora, improvvisamente lui e mio fratello sono saltati dall’albero e io chiedevo ma dove andate? cosa fate…. Loro sempre correndo mi incitavano a saltare, io non lo sapevo fare, la scala non c’era più. I miei occhi hanno visto il padrone dell’albero, ero terrorizzata ma lui ha appoggiato la scala mi e venuto a prendere, io amici, con le tasche piene e la bocca sporca dalle ciliege mangiate, lo ho guardato e gli ho detto non sono stata io, lui mi ha sorriso mi ha messa per terra e poi mi ha detto vai piccola non ti preoccupare. Grazie con il vostro intento, mi avete portato alla memoria una cosa molto lontana della mia
Una scoperta inaspettata di franco
Eravamo nell’agosto del 1955 (ad ottobre avrei compiuto 18 anni), i miei avevano preso in affitto un villino a Tellaro, splendida località ligure a pochi chilometri da Lerici.
I bambini dell’entourage famigliare e degli amici dei miei genitori erano tutti decisamente piccoli, pertanto io feci amicizia con un ragazzo della mia età: Franco di Reggio Emilia.
Franco di Reggio Emilia era biondo e Franco di Modena (io) decisamente moro, i due Franchi avevano un discreto successo nell’ambito dell’altro sesso, la “bellezza del somaro” ci aiutava molto.
Ma come spesso succede ai “reputati belli” , “questi” non si accontentavano delle bellezze autoctone.
Il nostro punto di riferimento era il collegio delle “signorine austriache” , sito in località Belvedere, poco prima di Lerici.
Non so se era il fascino delle straniere, ma quelle quindici/sedicenni, bionde o castano chiare dagli occhi da cerbiatte ci facevano impazzire. Alla sera, quando le signorine avevano un po’ di libertà e potevano contattare, da debita distanza, altre persone, noi eravamo là, petto in fuori, sorriso a trentadue denti ….e loro ricambiavano …e come!
Una però si distingueva dalle altre, si chiamava Rosemarie e dicevano che facesse già l’attrice. Rimase un sogno di ammiccamenti, sorrisi, saluti con la mano e languori infiniti.
L’anno dopo, vedemmo il film “Sissi la giovane imperatrice” avrei giurato che quella Romy Shneider fosse la nostra Rosemarie che ci accendeva i sensi. Anni dopo scoprii che il vero nome di Romy Shneider era Rosemarie Albach Retty…..ma!
I ricordi che non ama troppo ricordare … di alba morsilli
Non mi piace ricordare la mia infanzia, perchè è triste. Non esisteva estate e inverno tutto era uguale griggio era il colore che ricordo.
Ho avuto una specie di casa anche se si dormiva in 5 in una camera a 10 anni, ma certamente era molto meglio che una baracca di legno dove io sono nata e cresciuta, nella premiscuaità di tanta gente povera come noi. Finita la scuola nessuno parlava di vacanze.
Chi ci salvava noi bambini, era il mare si andava tutti attaccati al tram per non pagare il biglietto si arrivava alla spiaggia libera dei pescatori (dove ora c’è la fiera del mare) loro molto generosi ci davano i pesci e noi accendavamo il fuoco in spiaggia e si mangiava incuranti se anche male lavati, allora con po’ di olio di noci, che lo rubavamo alle signore era il nostro abbronzante.
Il mare era limpido di un azzurro per questo le acciughe si dice pesce azzurro, chi non sapeva nuotare lo buttavano in mare senza tanta scuola.
Io avevo fatta amicizia con un pescatore che mi portava in barca fino al lanternino dove vedevo le navi da vicino, lui poi scendeva sotto l’acqua a prendere le cozze che da noi sono i (muscoli) io ero sola in mezzo al mare aspettando il suo rientro, e senza lavare e cuocere con un coltello aprivamo le cozze. Che scorpacciate!!
A sera tardi il ritorno sempre attaccati al tram felici di aver passato un giorno al mare.
I carretti di alfred-sandro.ge
Il papà di Lucio era geometra: il carretto a sfere glielo aveva disegnato e costruito lui. Il suo in confronto ai nostri era come paragonare una Ferrari ad una vecchia cinquecento: i cuscinetti dietro grandissimi (dove li scovasse cosi grandi nessuno lo ha mai saputo!) e quelli davanti sullo sterzo di dimensioni normali. Tutti i nostri carretti avevano per sterzare un travetto di legno ricuperato in qualche discarica che a quei tempi abbondavano molto più di ora (si era nell’immediato dopoguerra e c’erano ancora molti palazzi crollati sotto i bombaramenti). Al centro del travetto si faceva un foro facendo arrovventare un ferro e spingendolo con forza nel legno lo bruciava fino a che non fosse uscito dalla parte opposta. Poi dal ferramenta si comperavano il bullone che avrebbe fatto da perno, e una manciata di chiodi per mettere insieme le assi che avrebbero costituito il nostro autrarchico carretto. Alle due estremità del travetto, due cuscinetti elemosinati dai vari meccanici che ormai sapevano che sarebbero stati subissati di richieste quando le scuole finivano. Per lo sterzo si cercava un pezzo di robusto spago o meglio una corda.
Lucio no. Il carretto di Lucio non aveva le briglie come un qualsiasi carretto da contadini ma un sistema di leveraggi che comandavano lo sterzo tenendo l’impugnatura di due leve che gli permetteva anche di non essere sbalzato fuori nelle veloci curve secche e nei derapage ed il posto di guida era imbottito.
Ma le sue belle sbucciature a gomiti e ginocchia se le è fatte pure lui.
Le gare coi cerchi di edis.maria
Il racconto di Alfred ha sollecitato la mia memoria e i vecchi giocattoli che si usavano allora: fare le gare con i cerchi! In una stradina leggermente in discesa facevamo le gare! I “cerchi” in legno, costosi e inavvicinabili per le nostre tasche, erano sostituiti da vecchi cerchioni di bicicletta!
Che divertimento e che tifo! Un giorno arrivò, Giuseppe, un nostro amico di giochi (figlio del proprietario del bar) con un bel cerchio leggero, di legno chiaro con l’asta abbinata e rimanemmo di stucco. Chi per invidia, chi per delusione ebbe parole inadatte tra amici. Giuseppe se ne andò deluso. Ma, il giorno dopo, ritornò con il solito cerchione di bicicletta e facemmo pace. Il nostro amico non volle sentirsi diverso o superiore solo perchè la sua situazione economica era migliore. Lo apprezzammo molto per lo spirito di solidarietà del suo gesto!
Il carretto di lucia1.tr
Che bello leggere del carretto di Sandro! Allora vi racconto del mio carretto costruito da mio cugino: il mio papà, tra le altre attività, aveva un corriere di trasporto merci, due grossi camion con relativa piccola officina per i guai d’emergenza. Negli scaffali vi erano cuscinetti lucenti di tutte dimensioni, che noi trafugavamo per costruire il carrettino più veloce e ricco di accessori, molto simile a quello descritto da Alfred, ma con il timone per la guida e un rudimentale freno a mano manovrato dal secondo pilota. Ricordo ancora con quanta incoscienza salivo e l’ebbrezza che avvertivo nel fare una cosa vietata, non sempre andava tutto liscio, spesso ci arrestavamo a lato del viale, altre volte ci veniva sbarrata la strada dai nostri genitori e fatti scendere con due solenni ceffoni.
Le vacanze in campagna di Lorenzo.rm
Le vacanze che hanno lasciato un ricordo indelebile nella mia mente sono quelle in cui, da ragazzo, andavo con mio fratello ed i miei genitori in campagna da un mio zio che faceva il fattore. Veramente lo chiamavano feudo, e lo era, se non formalmente, di fatto.La campagna era molto estesa, con i classici muri di pietra a secco che individuavano i vari stacchi del terreno per le differenti coltivazioni. C’erano alberi a iosa, di diverso tipo: quelli di olivo e di agrumi davano i frutti che si raccoglievano alle date giuste. Ah, c’erano anche gli alberi di sughero, che venivano scartocciati. C’erano le stalle con le mucche e si assisteva alla mungitura del latte.E poi locali vari e un “baglio”, cioé un cortile spietrato con la cisterna in mezzo. Noi ragazzi andavamo a fare escursioni di ore attraversando diversi torrenti dove potevamo nuotare anche. E poi, animali da cortile, come oche, galline, pavoni. Li sto ricordando mentre scrivo. Le sere senza luce elettrica per risparmiare, presumo, con i lumi a petrolio o a spirito. E quante chiacchiere fra noi, gli zii, i cugini. Era un periodo abbastanza lungo in cui si stava lì, diciamo una ventina di giorni di settembre. Mio padre ci morì, nel feudo, mentre dormiva. Per noi che rimanemmo fu una pena ma per lui, sono sicuro, la felicità. Ah, dimenticavo, era in Sicilia, presso la zona di Lentini-Francofonte.
Si ritorna ragazzini… di Giuseppe3.ca
Che piacere leggervi e rileggervi, quanti ricordi tornano alla mente, si ritorna ragazzini al solo pensiero. Le vacanze estive, noi abitavamo in città e terminato l’anno scolastico si andava al ‘paese’ natale di mio padre io e mia sorellina, ospiti degli zii. Lì avevamo tutto il parentado ed eravamo ambiti da tutti: un giorno dalla nonna, un giorno da una zia, poi ancora da un’altra zia. Quanti ricordi: si andava giornalmente alla fontana (pozzo) con il secchio, la corda e le brocche per rifornirsi di acqua potabile, in campagna a cogliere i fichi, in vigna per i primi grappoli d’uva matura.
Festa grande quando le zie facevano il pane in casa e si accendeva il forno a legna per la cottura: per noi bambini non mancava mai il ‘coccoetto con l’uovo’, che gioia. Accudire gli animali da cortile, galline e conigli nonchè il maiale da ingrasso che, poveretto, aveva un destino segnato: a novembre veniva sacrificato per fare salsicce e prosciutti da essicare per essere consumati durante l’inverno. Vita di campagna, vita allegra, vita sana… quanti ricordi e quanta nostalgia perché oggi non è più così.
La vacanza….per forza di francesca (franci)
Ho ancora nelle orecchie la voce del dottore: – Signora, questa bambina è gracilina, avrebbe bisogno di iodio, dovreste portarla al mare.E la voce di mia mamma: “ma dottore, in estate c’è tanto da lavorare in campagna e poi noi non possiamo permetterci di andare in vacanza”.- Ma signora, non lo sa che esistono le colonie per quelli come voi? Si rivolga al comune e vedrà che le verranno incontro, ma mi raccomando, mandatela a respirare aria buona, piena di iodio, quella del mare.E lì iniziava la mia sofferenza, la mia tortura.
No, mamma, non mandarmi in colonia, ti prego, lasciami a casa con te, con papà, i miei fratelli e i miei amici. Mi diverto tanto a giocare con loro, e ti prometto che diventerò ancora più brava.
Ma il dottore aveva detto che dovevo assolutamente andarci al mare, in quel posto chiamato colonia, e quello che diceva il dottore andava assolutamente fatto. E io, quelle parole non le ho mai pronunciate, non le ho mai dette a mia mamma, le pensavo solo, perché se l’aveva detto il dottore…non si discuteva!
E l’infausto giorno arrivava. Tutti in fila, le bambine da una parte, i maschietti dall’altra, ad aspettare il pullman, con la nostra valigetta posata per terra, le faccine sorridenti, alcune addirittura anche allegre, meno la mia, triste che più triste non si può. E a chiedermi: ma perché mi danno questo castigo, cosa ho fatto di male…? Forza, dicevano le signorine-assistenti, forza bambini che si va in vacanza. Ma io non volevo andare in vacanza, io preferivo mille volte starmene a casa.
Era un mese di angoscia, mi sentivo afflitta da uno struggimento interiore che non mi permetteva di essere serena. La mia timidezza non mi concedeva di superare la soggezione per approcciarmi agli altri bambini e partecipare ai loro giochi, così me ne stavo quasi sempre in disparte, dentro la mia solitudine a contare i giorni che mi separavano dal ritorno a casa. In quella casa dove i miei genitori conoscevano solo lavoro e facevano tanti sacrifici anche per mandare me in colonia, che qualcosa bisognava pur comprare alla bambina per mandarla via un mese, no?
Io però, allora non capivo perché, per farmi star bene dovevano farmi star male!
Le mie estati di vacanza di alessandro22
Le mie estati di vacanza in verità non sono molte risalgono dal 1948 al 1955, e ho nella mia mente immaggini vivissime e nostalgie…….. io romano nato a monteverde vecchio quartiere vicino al Gianicolo scendevamo a piedi, insieme ai miei e mio fratello minore fino alla stazione Trastevere, dove prendevamo il treno per Bracciano, solo il treno era una emozione, una vaporiera nera e sbuffante, immensa ai miei occhi (oggi le frecce non ce fanno ne callo ne freddo) scendevamo alla stazione di Anguillara Sabazia dove prendevamo il torpedone che ci portava ad anguillara paese, e qui altro ricordo vivissimo (il torpedone, sapete? quelli col muso lungo) poi si arrivava ad anguillara paesino proprio in riva al lago, tra lo strombazzare del torpedone, i ricordi sono tanti, dai maritozzi che le donne del paesino sfornavano dai forni comuni, alla lunghe passeggiate lungo il lungolago per arrivare alla casa dei pescatori che tutte le mattine ci ospitavano nella spiaggia antistante la loro casa, perché la mantenevano pulita per le loro riparazioni delle reti da pesca; poi non parliamo poi delle gite in barca per andare a ritirare le reti da pesca…
Ricordi e sensazioni emozionanti inripetibili che non travano più riscontro nella vita di oggi, forse perché oggi si ha tutto e di più, non si apprezza più nulla, ma nel 50 pure pane oijo e zucchero erano boni.
Un’estate del 1952 di ANGELOM
Voglio proporvi un’estate particolare, trascorsa con gioia e spensieratezza. Era l’anno 1952, frequentavo assiduamente la Parrocchia con i miei amici, si organizzavano incontri per riunire la gioventù e parlare dei vari problemi. Ero stato nominato caposquadriglia dell’Aquila, un gruppo formato da cinque boyscout, eravamo molto affiatati, un giorno il nostro assistente-parroco ci propose di organizzare un campo scuola a Gubbio. Accogliemmo con gioia ed entusiasmo la proposta e tutti d’accordo decidemmo la partenza. Arrivò il giorno stabilito eravamo sedici ragazzi, con lo zaino in spalla e le bandiere di riconoscimento di ogni singola squadriglia; dopo aver salutato i nostri genitori e aver ascoltato i loro consigli, salimmo sul pullman, partimmo felici cantando a squarciagola.
Arrivati a Gubbio, alloggiammo nell’ostello di S. Ubaldo, il giorno seguente dopo aver fatto una bella colazione, ci preparammo per la prima escursione, ogni caposquadriglia pianificò il suo percorso, noi scegliemmo di salire fino sullla cima del Monte Ingino, il monte di Gubbio e di rientrare la sera. Dopo un lungo cammino nell’interno del bosco, ci fermammo in una piazzola, installammo una tenda e iniziammo a cucinare mettendo in pratica le nostre conoscenze riuscimmo a preparare un ottimo pranzo. Dopo un breve riposo riprendemmo l’arduo e faticoso cammino e presto raggiungemmo la cima: da quell’altezza lo spettacolo era meraviglioso sembrava si toccasse il cielo con un dito e sotto tutta la vallata e la città splendevano illuminate dal sole. Ci fermammo per rifocillarci, scattare qualche foto e a esprimere la nostra soddisfazione, raccolte tutte le nostre cose riprendemmo a discendere percorrendo un sentiero diverso, arrivammo all’ostello per l’ora di cena. Restammo per altri 15 giorni, ogni giorno con itinerari diversi, ma sempre interessanti, ancora oggi dopo tanto tempo, porto con me ogni momento di quel breve periodo.
Un’estate a Tolmezzo di cactus
La guerra è terminata da pochi anni e mi trovo a passare le vacanze in Friuli a Tolmezzo, il paese di origine di mia madre. L’estate è nel suo pieno e ancora si sente nelle persone la tensione della guerra e dei lutti sopportati, ma per noi bambini tutto è divertimento… anche nelle case distrutte e che servono a noi come nascondigli nelle interminabili partite di guardie e ladri. Oggi non sono però rimasto in paese a giocare con gli altri bambini, forse per il caldo o perché, semplicemente, volevo restare solo con il mio amico Pastore.
Pastore è un bellissimo cane bianco di razza maremmana col quale ho un rapporto bellissimo, tanto da permettermi di salire, ogni tanto, sulla sua groppa come se fosse il mio cavallino. Ho da poco iniziato le elementari e la curiosità mi spinge a “esplorare” posti per me sconosciuti. Oggi ho deciso di andare alla cascina per controllare un piccolo orticello che coltivo su un lato della costruzione e quindi di fare una passeggiata lungo il fiume Tagliamento, che scorre poco distante. Con me, naturalmente, Pastore. Arrivato alla cascina, mi soffermo ad ammirare il grande noce che si erge possente davanti alla costruzione e che è fonte per me di fantasie continue. Il mio più grande desiderio sarebbe di costruire una capanna sui suoi rami… ma ricordo gli ammonimenti ricevuti da tutti gli adulti circa questo mio “insano” proposito e che mai ho capito.
Inizia la passeggiata verso il fiume quando, giunto a circa 100 metri, scorgo tre alpini che, a cavallo, stanno risalendo la riva. Nascosto tra l’erba, li guardo passare e quando sono a poche decine di metri dal mio nascondiglio, mi alzo di scatto e urlo, con quanto fiato avevo in gola: “Corri, corri cavallino”. Non so il perché abbia fatto questo o se ci fosse stata una ragione; forse l’unica era quella di vedere i cavalli lanciarsi al galoppo. Un cavallo, infatti, s’impenna per poi lanciarsi al galoppo, vanamente tenuto dal suo fantino che, a un certo punto, è sbalzato di sella. Rimango senza fiato per lo spavento e, rimanendo nascosto dall’erba alta, torno di corsa alla cascina, sempre seguito da Pastore. Arrivo finalmente alla casa e mi precipito a cercare un nascondiglio che trovo nel fienile, al quale si accede tramite una passerella posta sul retro. Entro e, ancora tremante, mi sdraio sul fieno e, accanto a me, fa lo stesso Pastore. Lui si rende conto del mio stato d’animo e continua a leccarmi il viso e le mani, rimanendo a me vicino. Lentamente la sua presenza comincia a darmi tranquillità ma non il coraggio di tornare a casa. Passeranno ancora delle ore prima che, con il sole sulla via del tramonto, le mie zie riescano a rintracciarmi. Mi dissero che mi trovarono addormentato e abbracciato a Pastore. Forse fu da quel momento che iniziai ad amare gli animali, grazie alla grande prova d’amore ricevuta da un cane di nome Pastore, rimasto per sempre nei ricordi più belli della mia fanciullezza.
Adesso, da adulto, torno raramente in questi posti ma ogni volta che capito a Tolmezzo, non dimentico mai una visita al cascinale, ormai diroccato. Mi fermo… guardo il noce che ancora incombe protettivo sulla casa e sul mio ex orticello che adesso accoglie le spoglie di Pastore.
In quelle occasioni, a volte se chiudo gli occhi, mi capita di sentire il suo ansare e mi volto. Non c’è nessuno naturalmente, ma io lo sento vicino a me e so che mi accompagnerà finché io sarò su questa terra… per poi venirmi incontro, correndo e latrando contento, nel momento in cui lo raggiungerò nel posto dove, ne sono certo, s’incontrano tutti coloro che ci hanno amato… animali compresi!
Le calde estati di lucia1.tr
Ricordo con nostalgia le calde estati della mia fanciullezza, la mia famiglia, intenta a gestire una fiorente attività commerciale, non pensava assolutamente di andare in vacanza: non ne trovava la necessità, il superfluo non era contemplato. Appena chiusa la scuola si poneva il problema che le ragazzine non dovevano andare in giro per il paese, la mia mamma ci spediva, dico così perché non ci andavo volentieri, dalle suore che ci tenevano occupate con stupidi lavoretti e giochi insulsi. Appena si presentava l’occasione correvano a giocare con le compagne per le piazzette del paese, bastava poco per divertirsi: una palla, una corda, un vecchio carrettino di legno per affrontare pericolose discese, era sempre un gran bel passatempo. Poi gli anni passarono, gli interessi cambiarono, si trascorreva l’estate in compagnia di ragazzi venuti a villeggiare al paese, si organizzavano feste da ballo, uscite con le macchine di nascosto dei genitori per andare a prendere un gelato. Divertimenti sani, bastava poco per essere appagati, si credeva nel futuro, nascevano le prime cotte che facevano sognare e progettare una vita insieme. Oggi è tutto cambiato, i giovani hanno avuto tanto e subito ma, manca loro la voglia e la spensieratezza, i loro divertimenti sono al di sopra delle loro possibilità finanziarie, si va in cerca di emozioni forti per divertirsi, mettendo a rischio la vita.
Bei ricordi di edis.maria
Belli questi ricordi personali distribuiti in luoghi e tempi diversi. I miei sono a qualche anno dalla fine della guerra, quando le famiglie dovevano ancora riprendere fiato, nel mio caso un padre prigioniero di guerra non ancora rimpatriato. Estate, vacanze? Certo la fine delle lezioni scolastiche creava un’atmosfera di euforia, la gioia di una promozione meritata, ma anche pretesa dai genitori che facevano sacrifici, ma non promettevano premi se non nel permetterci un avvenire migliore. Qualche ora in più di sonno il mattino, giochi con gli amici nel pomeriggio e la sera, e tante, tante risate gioiose e salutari. La domenica gite sulle nostre belle montagne, arrampicate con lo zainetto colmo di vettovaglie semplici, ma gustose. L’acqua non era necessaria:in ogni ruscello, in ogni fontanella era pura e bevibile. Che belle scampagnate, risate, dolci amori adolescenziali! Poi passarono gli anni, divenimmo più pretenziosi, chi possedeva di più, si permetteva di più! Le compagnie si sciolsero ed ognuno andò incontro al proprio destino!!!!Che bei tempi semplici, ma veritieri! Ora cominciamo a fare la “ prova costume” e ci roviniamo quelle che ora chiamiamo “vacanze” Aahaahahaaah!!!!
Ricordi di mio marito… di armida.ve
La guerra, con tutti i suoi orrori era finita da un paio d’anni.
Venezia stava tornando alla vita normale, con tanta fatica, ma anche con tanto impegno.
Quell’estate era giunta alle famiglie la notizia che chi aveva bambini gracili, cagionevoli di salute, o comunque con problemi, avrebbe potuto mandarli al mare, alla colonia gestita dall’azione cattolica, naturalmente dopo una visita medica di idoneità.
Tutti i miei amici erano stati accettati; gigetto, detto “aspirina” tonin, orfano di guerra, anzolèto, detto “spàzemi” ecc.. Ma io ero di “sana e robusta costituzione”!! che colpa ne avevo io!?!. durante il conflitto mio zio, che era attendente al comando militare del lido ci faceva sempre avere dei viveri in qualche modo… io non ero denutrito!! Ma se tutti i miei amici andavano in colonia, che facevo io tutto il giorno da solo?
Si partiva alle 8 con la motonave e dopo aver mangiato e giocato si tornava alle 18… Resistetti due giorni. Il terzo mi misi in fila insieme ai miei amici; quando l’appello fu a buon punto, passai dalla parte dei chiamati. Nessuno badò a me e così continuai, era contenta anche mia mamma… che male facevo?
Al massimo sarei stato “stoppato” il giorno dopo… Sì, che bei ricordi… quella fu davvero una magnifica estate!
Ricordi di ANGELOM
Quanti ricordi nel pensare alle estati trascorse quando eravamo ragazzi, senza pensieri e con poca moneta in tasca, organizzavamo con il solito gruppo di amici feste da ballo nella stanza messa a disposizione da ognuno dei genitori alternando l’abitazione, con ragazze che venivano a villeggiare nel nostro splendido paese e con alcune nostre fedeli amiche. Ci accontentavamo di offrire loro qualche gazzosa e qualche biscotto, il divertimento era assicurato. Di andare in vacanza fuori, non se ne parlava, nei pomeriggi con un gruppo di amici ci radunavamo per andare a fare il bagno in un fiume che scorreva a 5 km, partivamo a piedi e giunti sul posto ci tuffavamo felici facendoci scherzi sott’acqua. Le nostre estati passavano senza nessun rimpianto fino al periodo che iniziavano gli studi. Non sentivamo il bisogno di andare a fare altre villeggiature altrove, perché eravamo soddisfatti e felici così.
La nostra estate… di armida.ve
I pomeriggi torridi, alla “ORA MATA” quella subito dopo aver pranzato, erano i nostri momenti più belli.
Il nostro posto all’ombra, sotto alla grande quercia che avvolgeva sotto ai suoi rami intrecciati, quasi in un protettivo abbraccio, un quadretto sbiadito di una semplice, povera, immagine di Maria.Lì, “ala madoneta” stavamo sedute, le mie sorelle ed io a raccontarci storie, a ridere, a cantare.Ci accompagnava il frinire delle cicale… passavano lucertole e i ramarri… si rispettava ogni essere. Le nostre bambole avevano i capelli viola ed il corpo di cartoccio… erano le pannocchie che cercavamo… le più belle del campo! Bastava poco per inventare sempre nuovi giochi. Non potevamo neppure sognare di andare in vacanza…ma noi eravamo felici anche così… noi ci volevamo bene.
Una vacanza che non dimenticherò di Sandra.vi
Tutte le vacanze della mia infanzia sono state bellissime, trascorse colla nonna paterna in una villetta che gli zii affittavano in Valcuvia, alle spalle del lago Maggiore, da maggio a settembre. Nonna soffriva a stare a Milano, l’unica nipote ero io, perciò ero felice di andare con lei, soprattutto perché la padrona di casa, la contadina che ci affittava la villetta, aveva 5 figli, su per giù della mia età, coi quali ne combinavo di tutti i colori.
Anche quell’anno, che non scorderò più, partimmo fra le mille raccomandazioni di mamma, le mie promesse e i sorrisi poco convinti della nonna.
Appena arrivati, mentre lo zio scaricava le valigie, io ero già sparita coi miei amici, accolta con grida d’entusiasmo. Formavamo una piccola banda, naturalmente io li dovevo imitare in tutto quello che facevano, perciò via calze e scarpe fino al giorno in cui un bel taglio al piede, lo spavento di nonna e la sgridata, mi fece star buona per qualche giorno…
Dietro casa, c’era un bellissimo prato in discesa fino alla stradina. Tutti rotolavano fino in fondo, io no; dovevo andare a finire tra le viti che lo delimitavano ed essere estratta dalle foglie e accolta da risate, che rabbia…
Un divertimento grandissimo era andare, col permesso di nonna a “fare fieno” raccogliere sul carro l’erba seccata al sole e riportarla nel fienile. In alto sul carro sopra il fieno era uno spasso. L’avesse saputo nonna… mi pensava giù, vicino alla signora Rosa, la nostra contadina. Ma quando il diavolo ci mette la coda …. Nel fienile vuoi un caso, uno scivolone, urlando finii col fieno nella greppia. Mentre aspettavo sgambettando d’essere sollevata, una lingua ruvida mi leccò il viso… Era la mucca che tranquillamente prendeva il suo fieno… Non potrò mai dimenticare quell’episodio, mi sembra ancora di sentire quella lingua sul viso. Povera dolce nonna MARIA quanto bene mi hai voluto… Chiudo gli occhi, mi rivedo sul terrazzo che guarda sulla valle; sto facendo la prima colazione in compagnia della nonna, colla ciotola di latte e cacao svizzero di contrabbando e i croccanti panini appena sfornati, che il garzone del fornaio ci lasciava ogni mattina. Fu l’ultimo anno stupendo: in marzo la nascita di mio fratello cambiò tutto il ritmo delle nostre vacanze.
L’estate di Franco Muzzioli
E la chiamano estate… questa estate senza te… cantava Bruno Martino… estate senza fanciullezza, senza giovinezza!
21 giugno, solstizio d’estate, anche quest’anno ci prepariamo ad andare…”tutti al mare”….e, come dice la canzone….”a mostrar le chiappe chiare”….
Quante estati in questa lunga vita, quelle della fanciullezza al tempo della guerra, nella campagna dei nonni con i figli dei contadini a caccia di rane o nelle lunghe serate a mangiar cocomeri e ad ascoltare le fole che i nonni raccontavano, favole gotiche o intervallate da frasi dialettali che ti introducevano nel mondo dei grandi.
Poi sono venute le estati dell’adolescenza e della giovinezza … a Gabicce con le ragazzine con i costumini di lana e qualche rarissimo due pezzi. I primi culetti svettanti che ti facevano roteare gli occhi e avevi il bel da coprirti con l’asciugamano, il testosterone ti galoppava nel sangue.
Estati calde che non finivano mai, ma anche giorni veloci perché lei partiva e tornava a casa e tu rimanevi lì a rosolarti nel ricordo di un bacio, di quelli rubati con la partecipazione di una luna ruffiana e di onde leggere che ti bagnavano i piedi, sdraiati sulla sabbia morbida ed accogliente.
Parole, paroloni, paroline, parolette… quante?
Guardando qualche sera fa in tv la trasmissione “Quello che (non) ho” le tre puntate in cui si è parlato soprattutto di PAROLE, mi è venuta voglia di proporlo anche qui in Eldy.
Chissà quante sono le parole che amate, le parole che significano qualche cosa per voi, ma anche le parole che detestate e che non vorreste mai sentire.
Parole del ricordo, parole della speranza, parole del futuro, parole del rimpianto…
Riflettete anche sulle parole che sono scomparse e che non sentite praticamente più pronunciare, ma che tanto hanno contato per qualcuno di voi e se la sentiste susciterebbe un mare di ricordi.
Vogliamo condividere tutto questo? Raccontiamoci le nostre parole.
Le Parole
Abbiamo parole per vendere
parole per comprare
parole per fare parole
ma ci servono parole per pensare.
Abbiamo parole per uccidere
parole per dormire
parole per fare solletico
ma ci servono parole per amare.
… … …
…parole per parlare
non ne abbiamo più.
Estratto da “Le parole” Gianni Rodari
(da “Il secondo libro delle filastrocche” Einaudi, Torino 1985)
“Solstizio d’estate con bollino rosso. Attesi 40 gradi in molte città…”
“Caldo senza tregua: Scipione infuoca il solstizio d’estate…”
“Il caldo prosegue: picco venerdì e nove città in allarme rosso…”
Sembra un bollettino di guerra ed invece…
E intanto siamo arrivati al solstizio d’estate che quest’anno è stato il 20 Giugno, alle ore 23.09.
La giornata più lunga dell’anno e più si sale al Nord e più il sole tramonta e sorge con pochissimo intervallo.
Infatti al Polo Nord si è nella metà dell’anno in cui il sole non tramonta mai.
Al circolo polare artico il giorno del solstizio d’estate, si ammira il fenomeno del sole di mezzanotte: cioè il sole resta sopra l’orizzonte per 24 ore consecutive.
Al tropico del cancro il sole è esattamente a perpendicolo, allo zenit. Infatti una meridiana non proietta nessuna ombra e si osserva facilmente il riflesso del sole anche in fondo a pozzi molto profondi.Feste d’estate… si celebrano feste pagane, la notte delle streghe, la notte più corta dell’anno.
Prendiamo spunto da quest’evento per parlare delle nostre estati: noi che cosa ricordiamo delle nostre estati di bambini, di ragazzini appena affacciati agli interrogativi della vita?
Quei ricordi che avete mandato sono stati raccolti in un altro post ne è stato fatto un articolo.
BASSA MAREA
Conto i passi immersi nel cristallo
nella scia di paguri e granchi
che disegnano sul fondo
il loro mattutino risveglio.
Ombre ancora lunghe
rendono silente la spiaggia
e i miei passi si perdono
nello sciacquio crescente della marea.
Brezza di luce
che riflette mille soli
sulla sabbia d’estate,
ancora lo sciacquio
conta il tempo dei passi giovani
orme leggere come farfalle
che scompaiono alla prossima alba.
Franco Muzzioli
Lucia.tr propone un suo scritto su Margherita Hack e sull’ultimo libro della scienziata.
Il 12 giugno Margherita Hack ha compiuto 90 anni, donna forte di carattere e di spirito, spinta dall’amore per la ricerca, ha regalato all’uomo del suo tempo, scintille di conoscenza, visioni d’infinito, speranze di un futuro migliore e barlumi di eternità.
Lei, donna pratica e schietta, atea per sua ammissione, può essere definita il simbolo dell’immanenza senza fronzoli. Ha un fascino tutto suo, quello del non mistico, le sue battute in dialetto toscano denotano l’attaccamento alle sue radici, la rendono vicina ai non addetti ai lavori e ci fanno sentire le stelle più vicine. Interessante la lettura del suo libro: “Il mio infinito”, dove l’autrice parla dello stupore e il terrore dell’uomo per i fenomeni celesti, del mistero della vita e della morte, che l’hanno portato a credere alle divinità, a culti, e superstizioni; cerca, da spirito libero, di dare una spiegazione naturale a questi eventi.
Propongo alcune righe dall’introduzione del libro:
<Oggi, che abbiamo cominciato a esplorare l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, e sappiamo quantomeno cosa sono quei puntini luminosi che stupirono i nostri antenati, nessuno può negare uno smarrimento ancestrale di fronte alla volta stellata. Probabilmente la scienza non riuscirà mai a far luce piena su quello smarrimento che, che appartiene al territorio irriducibile del mistero dell’esistenza.>
Una bella lettura, in cui si respira la poesia del mistero, non spiegato attraverso la fede, ma dal pensiero di una donna atea che non offre risposte che la scienza non potrà dare, ma suggerisce domande giuste per tentare di capire il grande mistero della vita, dell’universo e della sua origine.
Lucia.tr
Qui di seguito due filmati davvero interessanti, interviste alla grande scienziata.
L’astrofisica fiorentina, ‘amica delle stelle’, nata a Firenze il 12 giugno del 1922, e che ora vive a Trieste, ha compiuto 90 anni ieri.
Ricercatrice appassionata ed anche entusiasta “divulgatrice”, Margherita Hack crede profondamente nella creatività della scienza. Si è fatta sentire anche in politica, soprattutto per difendere la libertà della ricerca e crede con convinzione che lo stato debba essere laico. Infatti dice in proposito: <l’Italia è uno Stato laico e quindi per esempio non dovrebbe esserci nessun simbolo delle varie religioni negli edifici pubblici, nemmeno della religione di maggioranza>
In questa sua intervista che io trovo molto significativa, la scienziata con il “naso all’insù” a scrutare le stelle, sottolinea molto bene i problemi della ricerca e la sua importanza e ci dà la sua definizione di laicità dicendo che cosa intende lei per laicità, cioè; <rispettare le idee degli altri, non pretendere di imporre le proprie credenze, e cercare di affrontare razionalmente i problemi della vita>
Quest’altra è un’intervista assai spassosa, esce tutto lo spirito fiorentino della Margherita Hack. Buon divertimento
http://www.youtube.com/watch?v=f_5WL4Kn0EU
luigi4lc7lc, un caro amico e valido poeta (è risultato vincitore al concorso “il campanellino d’oro”), ci manda questo testo molto bello e ci chiede di postarlo. Colgo l’occasione per fare così un piccolo intervallo poetico-musicale nel blog. Oltre tutto si tratta di una poesia su una scrittrice e qui si …scrive…
Ecco il messaggio di Luigi (luigi4lc7lc in Eldy).
Questo è il testo di una composizione musicale di Mario Salis: “La scrittrice”, molto bella nel testo e nella musica, è una poesia, ma è un lavoro di un caro amico scrittore musicista che mi ha emozionato molto, e vorrei condividerla con gli amici di Eldy.
La Scrittrice
Lei la sera leggeva
al lume di candela
viveva nel suo mondo
sognava
Aveva bisogno
di restare da sola
lei con lei
in sua compagnia
Non amava parlare
del suo intimo pudore
non stendeva i suoi grembiuli
nelle piazze del paese
Per questo dalla gente
era considerata
una timida pazza
una donna silenziosa
Un giorno comincio’
a scrivere sui muri
i suoi sogni tutti
tutti i suoi velieri
La sua mente navigava
da Bangkok alla Grecia
la sua penna era un oceano
la sua anima svelata
La sua notte un quadrifoglio
uno scrigno come uno scoglio
a nessuno dava a vedere
ma dentro aveva la luce del sole
Carovane di pirati
facevano le feste
principesse divoravano
i pesci delle coste
Poi un bel giorno un grande uomo
fece un passo senza velo
e trovo’ li tra le nuvole
i suoi scritti il suo cielo
Lui la prese per la mano
e con lei volo’ lontano
nei teatri della vita
a scrivere la seta
Tutto il mondo l’acclamava
la voleva la cercava
nei cinema all’aperto
lei leggeva lei cantava
Era all’apice di cio’
che credeva il successo
ma ben presto lei si accorse
di tutto quello che aveva perso
Gli mancava la sua casa
la sua voglia di esser sola
e davanti a un foglio bianco
non vedeva più l’aurora
Quando il cuore non respira
la bocca resta muta
e piano piano perse anche
la voglia della vita
La trovarono imbottita
di traccie senza meta
in un letto troppo duro
senza aria senza vita
Quando il mondo ti regala
è perchè vuole rubarti
ogni attimo del tuo tempo, tutti i tuoi sogni, i tuoi diamanti
Autore: Mario Salis
Alessandro è appena entrato in Eldy ma non è nuovo alla conoscenza di altre chat.
Ne ha praticate diverse e ci vuole raccontare un po’sinteticamente la sua esperienza. Vediamo se vi trovate d’accordo.
Il web, tre lettere dell’alfabeto che indicano un mondo.
L’ingegneria informatica anni fa ci regalò web1 adesso siamo a web2, non è escluso che arriveremo a web3, sono sistemi, io credo, vista la mia ignoranza nel settore, basati su una infinità di combinazioni numeriche che ti permettono di aprire pagine virtuali (non sono un ingegnere informatico ma per chi volesse approfondire c’è Wikipedia) che, insieme al computer, ti aprono le porte del mondo e stanno diventando il sistema principe della comunicazione. Si comunica tutto tramite i famosi motori di ricerca, (grandi armadi di notizie) si comunicano parole, foto, contatti affaristici, pubblicità, offerte di lavoro, insomma tutto, hai il mondo davanti a te. Tutto questo però è basato sulla parola e sulle immagini che, se non veritiere, sono un’arma esplodente. Perché esplodente… perché la parola, che è lo strumento di espressione interiore, se non veritiera e sincera mette in moto dei meccanismi psicologici negativi che danneggiano la persona stessa: queste le mie conclusioni dopo undici anni di web e di chat.
La chat… altro strumento meraviglioso che ti permette di metterti in contatto diretto con altre persone chiamate Nick, (che poi non sono altro che maschere). Feci il primo approccio alla chat nel 2001 in un momento particolare della mia vita… (ognuno gli dia la sua interpretazione) ma ho riscontrato che il motivo principale sono proprio questi momenti particolari nei quali le persone si trovano, perché di persone si tratta e non di maschere, persone con i loro sentimenti e problematiche; per questo non lo considero uno strumento di poco conto e non la considero un gioco: ma c’è chi ne fa un uso distorto ampliando le distorsioni che purtroppo ci sono nel reale, nascondendosi e truccandosi, insinuandosi nelle pieghe della solitudine delle persone (e guardate anche giovani non solo anziane) approfittando della debolezza psicologica del momento; ne sono testimoni le varie inchieste della pol.p.
Io con i miei undici anni di chat ho assistito a molti squallidi eventi, ho visto carpire la buonafede delle persone per estorcere denaro, persone che approfittano dei momenti di crisi di menage famigliari per poi ostentare le varie conquiste, fregandosene dei danni psicologici e materiali che potrebbero causare… spesso sento ripetere la frase: “basta un clic” e queste tre parole racchiudono tutto il concetto negativo della chat… ma…
Ma c’è l’altro peso della bilancia che mantiene in bilico la cosa, il rapporto serio, leale tra persone cosa difficile ma non rara, rapporto che si può trasformare in amicizia, in amicizia profonda e altro, la chat non è solo finzione gigionesca o ostentazione, è rapporto umano; io dalla chat ho ricevuto molto, ho scoperto bellissime persone e ci siamo presi per mano, ma per arrivarci ci vuole molta cautela e non farsi prendere dall’entusiasmo della novità… questo è un consiglio sincero per tutti quelli che si affacciano al web uomini e donne, poi per i giovani cambia radicalmente. Non sono un giovane e non faccio il giovane.
Alba ci parla di un po’ di risparmio e di ecologia, con molto buon senso pratico.
Mi è successo l’altro giorno di fare una riflessione, guardando il carrello della spesa di una giovane signora in coda alle casse. Aveva tante cose inutili (dal mio punto di vista), era stracolma di vari detersivi per usi diversi. Se ben ricordo, nelle scuole medie, molti anni fa, si insegnava una materia “Economia Domestica”, non pensate che possa essere utile ancora oggi? Il famoso bicarbonato, la candeggina, la pietra pomice, il sapone di marsiglia, dove sono andati a finire? Si certo, c’è un prodotto che non è in vendita, è “l’olio di gomito”. Se cerchiamo di capire il contenuto di questi prodotti, è un dilemma, ma, annusandoli, capisci che contengono acido muriatico, mischiato a poche gocce di profumo e detersivo. Ecco cosa comprano le massaie oggi… “Veleni”! Plastica, che poi ti ritrovi anche il problema dello smaltimento, con il ragionamento, si è partecipi alla buona riuscita, per arrivare alla fine del mese.
Alba Morsilli
Vi propongo un argomento, trovato in internet, molto attuale e che ci farà un po’ sorridere, ne abbiamo bisogno: le leggende metropolitane
“Non è vero, ma è bello crederci” Boom di leggende metropolitane di Laura Laurenzi
Troppo belle per essere vere: sono le leggende metropolitane, ormai fuori da ogni controllo, ingrediente quotidiano di chiacchiere, confidenze, racconti “di prima mano”(!). Bufale, balle, fandonie: a volte semplici burle, altre volte calunnie, altre ancora truffe belle e buone, complice il più grande moltiplicatore e amplificatore planetario delle urban legends, e cioè la rete internet.
Ma come mai la gente abbocca? Come possono propagarsi leggende totalmente false? Che cosa ci guadagna chi le mette in circolazione e quali sono i principali danni che possono provocare? […]
Non sarà facile fare chiarezza su questa fiera globalizzata dello strano ma (non) vero, dove il confine fra realtà e fiction è uno zig-zag del possibile, una serpentina insidiosa che riesce a trarre in inganno anche i più smaliziati, spesso facendo leva sulle nostre paure più profonde. Eppure, rilette (o riascoltate) a freddo molte leggende metropolitane appaiono come grottesche sceneggiature di scherzi, spesso viranti sul raccapricciante.
I ragni urlatori che popolano il deserto dell’Iraq in mano ai soldati americani: sono giganteschi e quando ti azzannano ti iniettano una sostanza simile alla novocaina. I ristoranti di Taiwan dove è possibile mangiare carne di neonato: c’è anche la foto. I poveri e deformi gatti bonsai: crudelmente allevati dentro una bottiglia fra lancinanti torture. […]
E poi il cucciolo di drago conservato in formalina. La foto del fantasma dietro al turista di Sunderbans. Il ricco italiano che cerca 39 mogli cui garantisce mirabolanti stipendi. L’attentato dell’11 settembre era previsto dalle banconote da 20 dollari. Ci sono aghi all’Hiv nelle poltrone dei cinema! Lo dice la polizia svizzera. E poi gli appelli che viaggiano vorticosamente su internet, gli allarmi, le richieste, le sottoscrizioni, le catene di Sant’Antonio degli spammers. Sono messaggi esca per infettarti. Esiste anche il virus che colpisce a computer spento(!). Gli squilli a vuoto dei cellulari si pagano. La Societàamericana per la ricerca sul cancro donerà tre cent per ogni copia di questo messaggio che diffondete. Semplicemente non è vero, non è vero e non è vero.
[…] Massimo esperto mondiale del fenomeno è: Jan Harold Brunvald dell’Univeristà dello Utah, illustratore del cosiddetto “principio di autorità”: il meccanismo che rende credibili fandonie sesquipedali (enormi, immense): se la notizia, per quanto dura da credere, ci viene da un amico del quale abbiamo fiducia o ancora meglio da una fonte autorevole-istituzionale, a volte addirittura dalla tv o dai giornali, il nostro spirito critico cade in sonno e accettiamo quanto ci viene raccontato. Diventeremo a nostra volta veicolo della leggenda metropolitana, che spesso fa leva emotiva sui sentimenti e sui pregiudizi, assecondando uno stimolo molto umano: quello legato al piacere di entrare nel novero e nell’elite di “coloro che sanno”.
La bufala infatti quasi sempre si annuncia come un’informazione confidenziale tenuta nascosta alla massa. Alle bufale si affiancano le semibufale. Le urban legends, brevi storie dal contenuto sorprendente e dalle infinite varianti, mescolano elementi reali con alcuni verosimili e altri decisamente falsi, shakerandoli con luoghi comuni, aneddoti, sentito dire.
E voi di bufale o leggende metropolitane ne conoscete?