Ho visitato alcuni siti della destra italiana e mi permetto di sottoporvi qualche virgolettato:
….. del Ministro della Difesa La Russa “non vanno celebrati i partigiani rossi, che peraltro erano in grande maggioranza tra i “ribelli” andati in montagna”.
……. ci si riferisce ai libri di Pansa e si collega il 25 aprile con il “triangolo della morte emiliano” e alle nefandezze dei parigiani.
….. “è una festa da abolire ,perchè è due volte sbagliata, nei riguardi del fascismo e nei riguardi di una pretesa liberazione..”
… Mi sono anche riletto il discorso di Berlusconi fatto ad Onna il 25 aprile 2009 e che finisce con ” viva il 25 aprile, la festa della riconquistata libertà.”.
Vi pare che queste dicotomie politiche abbiano un senso ?
Forse è con quella purezza d’intenti che hanno ispirato i nostri padri, dopo una guerra così atroce, a costituire una repubblica democratica, che dobbiamo affrontare il 25 aprile 2010.
Penso che la lotta di liberazione non sia ancora finita.
Riflettiamo e parliamone, diteci la vostra…
Ritorniamo a parlare dei tragici fatti accaduti a Sant’Anna di Stazzema, tornati alle cronache proprio in questi giorni, a causa dell’incontro, di uno dei supestiti alla strage, con il nipote della persona che lo risparmiò da una morte atroce.
Giulio ci propone un suo racconto, ma per la cronaca dei fatti vi consiglio di andare a leggere l’articolo, scritto da Giulio stesso, nel blog “Incontiamoci”.
Il 12 agosto del 1944, reparti delle SS tedesche salirono a Sant’Anna di Stazzema, in provincia di Lucca. In poco più di tre ore, vennero massacrate 560 persone innocenti, in gran parte bambini, donne e anziani. In quel periodo, la zona era ritenuta franca, sicura; tanto che vi erano più di mille sfollati…
MARCO E IL FORNO
Questo racconto tratta di un fatto veramente accaduto, il nome non è reale per rispettare la volontà del sopravvissuto al massacro, oggi ancora vivo e grazie al cielo, gode ottima salute. Siccome il racconto fu pubblicato nel 1988, sul volume: “Sant’Anna, guida per un pellegrinaggio di pace” l’ho lasciato integro. Il libro citato, è stato per molti anni la pubblicazione ufficiale, a cura di C. Paolicchi e G. Salvatori, ETS Pisa casa editrice.
Oggi quel ragazzo ha cinquantacinque anni. Un uomo con i capelli ormai grigi, ma con lo sguardo ancora vispo e penetrante. Gli anni però, non sono riusciti a cancellare il dolore, mai potrà dimenticare le grida, i pianti, gli urli rabbiosi dei carnefici: il crepitare della mitraglia, l’odore acre della carne bruciata, il forno.
Il forno per lui era diventato l’eterno ricordo, l’incubo amico e nemico delle notti insonni.[…] A Marco volevano tutti bene, era il discolo del villaggio, ma si conquistava la simpatia e l’affetto, rendendosi sempre disponibile nel dare una mano alle persone anziane. Lo chiamavano scherzosamente: guindolo. Anche se sentiva dalle donne raccontare che, giù nella piana, succedevano cose brutte. Ma Marco, non prestava attenzione a queste voci, le considerava chiacchiere gonfiate dalle donne. Nella sua mente c’erano i giochi con gli amici, le corse sfrenate attraverso i campi, i ciliegi da scassinare, i nidi da imparare. Non poteva pensare alle cose dei grandi.
Sì, a volte vedeva le nonne che si asciugavano gli occhi di nascosto fingendo di soffiarsi il naso: ma lui sapeva che non era raffreddore, né allergia da fieno. Sentiva nelle forre, giù lontano, qualche sparo, e capiva che non erano le mine nelle cave. E si chiedeva come mai i carbonai non facevano più le carbonaie. Perché i pastori non salivano con le pecore verso gli alpeggi? Perché alla sera, si sprangavano usci e finestre puntellando perfino le porte delle stalle? E perché la notte nelle viuzze del paese si sentivano passi affrettati? Erano troppi i perché ai quali non riusciva a dare una risposta.[…] Sentiva dentro di sé che qualcosa cambiava di giorno in giorno. Anche gli amici erano diventati tristi e irrequieti. L’aspetto famigliare del paese si trasformava cambiando le loro abitudini. E perché arrivava in continuazione delle gente? Li chiamavano gli sfollati.
Arrivavano a gruppetti, a famiglie intere: portavano sulle spalle fagotti legati alla rinfusa. Facce tristi, mute. Bambini che piangevano. Quanta gente. E gli sfollati, portavano anche le novità, gli orrori che i tedeschi lasciavano dietro di loro. Gli venivano alla mente alcuni brani di storia che il maestro spiegava in quell’aula che comprendeva tutte e cinque le classi. -Attila flagello di Dio- Ma che questi tedeschi fossero tutti figli di Attila? E che lingua parlavano? Oltre agli sfollati, nel bosco circolavano anche i Partigiani. Marco e compagni si avvicinavano curiosi a questi uomini, fra l’altro armati. E la curiosità li spingeva a fare domande: domande senza risposte. E chiedeva alla mamma: “Ma chi sono i Partigiani? I buoni o… i cattivi ?” Marco li considerava intrusi. Anche perché chiedevano con insistenza roba da mangiare. La mamma rispondeva che “Bisognava aiutarli”.
Ma Marco non accettava che il pollaio fosse vuoto, compreso il gallo che tutte le mattine cantava. Se ci fosse stato il babbo, non avrebbero approfittato della generosità della mamma. In quel momento si sentì indifeso, voleva gridare, chiamare il babbo, ma non lo avrebbe sentito, era lontano con altri partigiani. Riuscì a capire che combattevano contro i tedeschi. […] Erano giorni ormai che non giocava più con gli amici. La sera appena incominciava ad imbrunire, aiutava a chiudere le porte col grimaldello. Nella stalla, ora che le bestie non c’erano più, avevano trovato posto alcune famiglie di sfollati, che ringraziavano in continuazione per l’ospitalità concessa. “Che Dio ve ne renda merito! Pregheremo per voi” Erano le frasi ricorrenti che uscivano dalle loro voci.
Anche le notti incominciavano ad essere diverse, ogni tanto a notte fonda, sui monti circostanti, si accendevano e spegnevano delle luci e, poco dopo, aeroplani sorvolavano i tetti delle case e lasciavano cadere dal cielo, paracaduti per i Partigiani. Non aveva mai visto quei grossi ombrelloni che dolcemente calavano al suolo. Poi i quadrimotori, così li chiamavano, si allontanavano superando le Apuane e ritornava nel letto con la mamma .
I giochi cessarono, le mamme chiamavano spesso i figli. Anche i forni del pane erano spenti, solo qualcuno tingeva brevemente il cielo di fumo. Non si sentiva più il profumo del pane, ma solo qualche teglia di patate, le ultime rimaste […] Gli sembrava che i monti fossero più vicini e che spingessero il bosco a ridosso delle case: un cerchio invisibile stringeva il paese. E le case unite tra loro, si abbracciassero in una stretta forzata, un groviglio di sassi coperti da un solo tetto. Una sola fontana, un lavatoio: un filo teso tra due pali, per appendere al sole gli ultimi stracci. Un sorriso innocente di bimbo, un pianto. Un unico giaciglio sul solaio di legno, una sola preghiera. La stessa nenia per addormentare i bambini. Un ultimo pezzo di sigaro fatto con le scorze di viti, avvolgeva tutti come l’incenso della chiesa.[…]
Anche le vie del paese erano fuse in una sola strada: univa le case alla chiesa in un percorso obbligato. Una fede forzata, ultimo appiglio per i credenti. E vedeva quella chiesa e la piazza, riempirsi di gente: mamme, vecchi e bambini, spinta brutalmente dai carnefici. L’unica via, portava verso il Calvario gli ultimi vecchi ch’erano rimasti indietro a chiudere gli usci delle case ormai vuote.
I cani mordevano i fianchi del gregge. Il Pastore del villaggio, prese l’Agnello più piccolo, lo alzò verso il cielo affinché tutti lo vedessero. Tuonò verso i lupi e al mondo intero, la parola dell’amore, il perdono, la pace: la grazia. Gridò verso le bestie avide di sangue, di togliersi le sembianze feline e ritornare uomini, figli di Dio. Offrì la vita per la salvezza della sua gente. Cadde assieme al Suo Gregge.
Il suo corpo divenne una fiaccola, un enorme falò: cinquecentosessanta luci, un’unica fiamma che tutt’oggi brucia nel cuore della Versilia. Marco si era nascosto nel forno sotto le fascine, scampando così al fiuto dei cani. E, seppur lontano, vide la ferocia dell’uomo scagliarsi verso i suoi simili. Lo ritrovarono il giorno dopo, addormentato con la faccia nella cenere, tremante come un cucciolo scampato agli artigli della tigre.
Oggi, quel forno non esiste più. Però, nelle sue notti, nei suoi pensieri, appare sovente: amico del pane, giaciglio di lacrime amare.
Giulio.lu 30 marzo 2010
Parto dalla pubblicità su di una nota (o presunta nota) Clinica di chirurgia estetica, sponsorizzata da Jerry Scotti, nell’ambito della trasmissione “il milionario”. Pubblicità che ritengo scandalosa e fuorviante, si continua a promuovere la compulsività sfrenata nell’ottenere tutto dalla vita, dalla bellezza alla ricchezza e a qualsiasi costo. Ho letto un articolo di Michele Serra sul venerdì di Repubblica, che chiarisce bene il concetto, estendendolo anche alla nostra salute…
(Nell’era della chirurgia plastica anche il disagio e’ un neo da togliere, di Michele Serra, il Venerdi’ di Repubblica)
“Chi c’è dietro il dilagante potere delle case farmaceutiche? Ma è ovvio: ci siamo noi. Non siamo solo le vittime, non siamo solo i complici, siamo anche i mandanti della medicalizzazione della vita. Se ogni disagio diventa un insopportabile dolore, se ogni mancanza diventa una voragine nella quale temiamo di sprofondare, la nostra soggezione all’aiuto farmacologico, al sostegno psicologico, aumenta in progressione geometrica.
Accettare l’imperfezione, sopportare il limite,non sembra essere una qualità del nostro tempo. Peccato che niente sia più vulnerabile (meno perfetto ) dell’ansia di perfezione: ci rende insicuri, fragili e permeabili ad ogni speculazione sulla nostra fragilità. Se il timido, il nervoso, il troppo sensuale, il vivace si convincono della natura sindromica di un tratto della loro personalità, ecco che aumenta a dismisura il target degli impasticcabili. In fin dei conti, poter medicalizzare un difetto, o un ingrediente indigesto del nostro carattere, ci permette di estroiettarlo: non sono io “quella cosa lì”, è un accidente, un intrusione , un virus, un corpo estraneo dal quale liberarmi.
Alla chirurgia estetica di massa minaccia di sommarsi anche la smania di estirpare i difetti, veri o presunti, della nostra fisionomia psicologica. E la “personalità perfetta”, così come sortisce da questo quadro ossessivo, assomiglia molto “al volto perfetto “prodotto dal bisturi: seriale, omologato con i connotati cancellati assieme alle rughe. Come se la scrittura della vita contenesse tanti e tali errori, che è più prudente, più rassicurante azzerarla.
(Meglio non avere faccia,che averne una troppo impegnativa,sembrano dirci i volti piallati di migliaia di signore. Qualcuno deve averle convinte che l’età è solo una sindrome: il tempo è una malattia?)
Credo che “disagio” sia la parola chiave. Nei nostri anni, ogni normale sottozero invernale diventa “un gelo polare” e ogni normale canicola estiva, diventa “caldo record”.
E “Italia paralizzata dal gelo” è il titolo terrifico-e rituale-che accompagna il ritardo dei treni, gli ingorghi causati dalla neve, le astanterie che si affollano di anziani fratturati, insomma una straordinarietà così prevedibile da far parte, a pieno titolo, della normalità. Una specie di pigrizia nevrastenica (ossimoro) ci fa considerare inaudito e insopportabile, qualunque intoppo, qualunque fatica straordinaria. Se ogni disagio fisico diventa “emergenza”, ogni stato di malessere diventa “malattia”.
E in un paio di generazioni siamo passati dal negazionismo bigotto (quando la depressione, lei sì una sindome in piena regola, era considerata un banale cattivo umore) all’estremo opposto: una credulità disarmata di fronte alla medicalizzazione di tutto.
Salutismo compulsivo e ipocondria di massa mi sembrano fortemente alimentati dalla dilagante incapacità (questa sì patologica) di affrontare il disagio. La normale fatica di convivere con gli ostacoli esterni e interni, intoppi sociali e privati. Qualcosa che appartiene al corso quotidiano delle cose. L’abitudine della nostra inadeguatezza, quel famoso “sapersi accettare”, che a partire dal mondo classico , è uno degli obbiettivi della maturità.
Suscita una ragionevole paura un mondo che crede di poter “guarire ” da se stesso con una pillola , anzi con mille pillole, per ciascuna delle inquietudini che ci fanno compagnia. Fa paura perché è- soprattutto – un mondo immaturo, non adulto. Suggestionabile.
Continuamente bisognoso di una “guida” esterna. Il miglior mondo possibile per chi vuole vendere non solo le pillole, ma tutto il vendibile.
REALTA’ O ILLUSIONE
Quando mi ci trovo davanti, approfitto dell’immensità che il mare mi regala per perdermi in un’infinità di pensieri; il mare va amato…temuto e rispettato.
Mi è sempre piaciuto andare a contemplare il cielo che si arrossa, ascoltare il fruscio delle onde del mare, il sole che scende all’orizzonte e il mio sguardo rimane fisso sugli ultimi raggi luminosi, fino a quando anche l’ultimo sparisce.
Un pomeriggio di ottobre, di qualche tempo fa, mi trovavo a Marina di Carrara, mi ero seduto sulla sabbia e guardavo il sole che si specchiava nell’acqua, punteggiandola di onde scintillanti; stavo bene il mare sembra che mi faccia rappacificare con il mondo e mi dà una sensazione di pace.
Oltre a me c’è una coppia che passeggia e un signore che fa giocare un cane lanciandogli un pezzo di legno, al largo dalla parte del promontorio del Caprione, due imbarcazioni veleggiano di bolina per rientrare nella darsena di Bocca di Magra. Dalla parte opposta, alla fonda, una nave cargo aspetta che una banchina del porto si liberi per caricare merci, di cui la maggior parte è rappresentata da blocchi di marmo e granito estratti dalle cave delle Alpi Apuane e ancora più al largo, una portacontainer sta navigando verso il porto della Spezia per scaricare probabilmente merce proveniente dalla Cina.
Continuo a fissare il raggio del sole quando il moto ondoso aumenta, sento la pelle d’oca percorrere tutto il corpo come un soffio di vento gelido, dall’acqua emerge un qualcosa. E’ una testa di donna la pelle color mogano, i capelli neri lisci, lunghi, gli occhi sembrano lampeggiare e mutare di colore: da grigi a verdi; dalla bocca appena socchiusa, s’intravede il bianco dei denti.
Cerco di alzarmi in piedi ma non ci riesco, guardo dalla parte della coppia ma si sono allontanati e anche se mi mettessi a urlare non mi sentirebbero, dalla parte opposta l’uomo e il cane, non ci sono più, inoltre non riesco a emettere suoni con la bocca.
Quel volto è ancora lì immobile, gli occhi continuano a lampeggiare, la bocca ora è atteggiata a un sorriso, il bianco dei denti mi ricorda quello della pubblicità di un dentifricio da tanto che sono bianchi e luccicanti. Vorrei alzarmi in piedi dire qualche cosa, non riesco a fare nulla di tutto questo. Una nuvola scura copre il sole, il mare s’increspa e la testa sparisce sott’acqua creando prima un mulinello, poi una scia spumosa si allontana verso il largo.
Riesco ad alzarmi, normale, pronuncio ad alta voce “belin” (è la prima cosa che mi è venuta in mente) tutto a posto, la visione sarà durata pochi minuti ma i particolari erano nitidi e chiari. Realtà….o…. Illusione?
Per i restanti tre giorni di permanenza a Marina di Carrara, sono tornato nello stesso posto, stessa posizione e alla stessa ora con una segreta speranza: rivedere quel volto avere la certezza che non fosse stata un’illusione ma una realtà. Non è accaduto mi è rimasta solo una domanda: Realtà…o…Illusione? Ancora sono senza risposta.
“Un essere umano è parte del tutto chiamato universo. Egli sperimenta i suoi pensieri e i suoi sentimenti come qualche cosa di separato dal resto: una specie di illusione ottica della coscienza. Questa illusione è una specie di prigione. Il nostro compito deve essere quello di liberare noi stessi da questa prigione attraverso l’allargamento del nostro circolo di conoscenza e di comprensione, sino a includervi tutte le creature viventi e l’intera natura, nella sua bellezza” (Albert Einstein)
Giuliano4.rm 19/ 04/ 2010
IO NON CI STO
I fatti sono noti: nella cittadina di Adro (circa 7000 abitanti) il sindaco decide di non fare più usufruire della mensa gli alunni delle elementari e della materna, che non pagano la retta. Prevalentemente sono figli di immigrati di gente che non ce la fa ad arrivare alla fine del mese; ed ecco che un cittadino anonimo invia un bonifico di 10.000 euro per saldare il debito del comune e permettere a tutti i bambini della scuola di usufruire della mensa.
Questo gesto ha fatto enorme clamore, riporto per intero la lettera che accompagna e spiega le motivazioni di questa persona “per bene”.
Ma il Sindaco di Adro non ha gradito il gesto, ed ha trovato immediato consenso fra coloro che le rette le avevano pagate. Si sono subito formate due fazioni…
Purtroppo, tristemente la miseria umana non ha limiti.
Ecco la lettera-manifesto-denuncia di Silvano Lancini (il cittadino di Adro non è riusito a rimanere anonimo a lungo) pubblicata dal Corriere della Sera e ripresa da molti organi di stampa. Ve la ripropongoo integralmente perchè ha il merito di far riflettere. C’è soprattutto un passaggio molto importante: che esempio diamo ai nostri figli e nipoti? PARLIAMONE dopo averci riflettuto.
Sono figlio di un mezzadro che non aveva soldi ma un infinito patrimonio di dignità. Ho vissuto i miei primi anni di vita in una cascina come quella del film “L’albero degli zoccoli”. Ho studiato molto e oggi ho ancora intatto tutto il patrimonio di dignità e inoltre ho guadagnato i soldi per vivere bene.
È per questi motivi che ho deciso di rilevare il debito dei genitori di Adro che non pagano la mensa scolastica. A scanso di equivoci, premetto che: Non sono “comunista”. Alle ultime elezioni ho votato per Formigoni. Ciò non mi impedisce di avere amici di tutte le idee politiche. Gli chiedo sempre e solo la condivisione dei valori fondamentali e al primo posto il rispetto della persona. So perfettamente che fra le 40 famiglie alcune sono di furbetti che ne approfittano, ma di furbi ne conosco molti. Alcuni sono milionari e vogliono anche fare la morale agli altri. In questo caso, nel dubbio sto con i primi. Agli extracomunitari chiedo il rispetto dei nostri costumi e delle nostre leggi, chiedo con fermezza ed educazione cercando di essere il primo a rispettarle. E tirare in ballo i bambini non è compreso nell’educazione.
Ho sempre la preoccupazione di essere come quei signori che seduti in un bel ristorante se la prendono con gli extracomunitari. Peccato che la loro Mercedes sia appena stata lavata da un albanese e il cibo cucinato da un egiziano. Dimenticavo, la mamma è a casa assistita da una signora dell’Ucraina.
Vedo attorno a me una preoccupante e crescente intolleranza verso chi ha di meno. Purtroppo ho l’insana abitudine di leggere e so bene che i campi di concentramento nazisti non sono nati dal nulla, prima ci sono stati anni di piccoli passi verso il baratro. In fondo in fondo chiedere di mettere una stella gialla sul braccio agli ebrei non era poi una cosa che faceva male. I miei compaesani si sono dimenticati in poco tempo da dove vengono. Mi vergogno che proprio il mio paese sia paladino di questo spostare l’asticella dell’intolleranza di un passo all’anno, prima con la taglia, poi con il rifiuto del sostegno regionale, poi con la mensa dei bambini, rna potrei portare molti altri casi. Quando facevo le elementari alcuni miei compagni avevano il sostegno del patronato. Noi eravamo poveri, ma non ci siamo mai indignati. Ma dove sono i miei compaesani, ma come è possibile che non capiscano quello che sta avvenendo? Che non mi vengano a portare considerazioni “miserevoli”. Anche il padrone del film di cui sopra aveva ragione. La pianta che il contadino aveva tagliato era la sua. Mica poteva metterla sempre lui la pianta per gli zoccoli. (E se non conoscono il film che se lo guardino…).
Ma dove sono i miei sacerdoti. Sono forse disponibili a barattare la difesa del crocifisso con qualche etto di razzismo. Se esponiamo un bel rosario grande nella nostra casa, poi possiamo fare quello che vogliamo? Vorrei sentire i miei preti “urlare”, scuotere l’animo della gente, dirci bene quali sono i valori, perché altrimenti penso che sono anche loro dentro il “commercio”.
Ma dov’è il segretario del partito per cui ho votato e che si vuole chiamare “partito dell’amore”. Ma dove sono i leader di quella Lega che vuole candidarsi a guidare l’Italia. So per certo che non sono tutti ottusi ma che non si nascondano dietro un dito, non facciano come coloro che negli anni 70 chiamavano i brigatisti “compagni che sbagliano”.
Ma dove sono i consiglieri e gli assessori di Adro? Se credono davvero nel federalismo, che ci diano le dichiarazioni dei redditi loro e delle famiglie negli ultimi 10 anni. Tanto per farci capire come pagano le belle cose e case. Non vorrei mai essere io a pagare anche per loro. Non vorrei che il loro reddito (o tenore di vita) venga dalle tasse del papà di uno di questi bambini che lavora in fonderia per 1.200 euro mese (regolari).
Ma dove sono i miei compaesani che non si domandano dove, come e quanti soldi spende l’amministrazione per non trovare i soldi per la mensa. Ma da dove vengono tutti i soldi che si muovono, e dove vanno? Ma quanto rendono (O quanto dovrebbero o potrebbero rendere) gli oneri dei 30000 metri cubi del laghetto Sala. E i 50000 metri della nuova area verde sopra il Santuario chi li paga? E se poi domani ci costruissero? E se il Santuario fosse tutto circondato da edifici? Va sempre bene tutto? Ma non hanno il dubbio che qualcuno voglia distrarre la loro attenzione per fini diversi. Non hanno il dubbio di essere usati? È già successo nella storia e anche in quella del nostro paese.
IL SONNO DELLA RAGIONE GENERA MOSTRI Io sono per la legalità. Per tutti e per sempre. Per me quelli che non pagano sono tutti uguali, quando non pagano un pasto, ma anche quando chiudono le aziende senza pagare i fornitori o i dipendenti o le banche. Anche quando girano con i macchinoni e non pagano tutte le tasse, perché anche in quel caso qualcuno paga per loro. Sono come i genitori di quei bambini. Ma che almeno non pretendano di farci la morale e di insegnare la legalità perché tutti questi begli insegnamenti li stanno dando anche ai loro figli.
E CHI SEMINA VENTO, RACCOGLIE TEMPESTA! I 40 bambini che hanno ricevuto la lettera di sospensione servizio mensa, fra 20/30 anni vivranno nel nostro paese. L’età gioca a loro favore. Saranno quelli che ci verranno a cambiare il pannolone alla casa di riposo. Ma quel giorno siamo sicuri che si saranno dimenticati di oggi? E se non ce li volessero più cambiare? Non ditemi che verranno i nostri figli perché il senso di solidarietà glielo stiamo insegnando noi adesso. È anche per questo che non ci sto. Voglio urlare che io non ci sto. Ma per non urlare e basta ho deciso di fare un gesto che vorrà dire poco, ma vuole tentare di svegliare la coscienza dei miei compaesani. Ho versato quanto necessario a garantire il diritto all’uso della mensa per tutti i bambini, in modo da non creare rischi di dissesto finanziario per l’amministrazione. In tal modo mi impegno a garantire tutta la copertura necessaria per l’anno scolastico 2009/2010. Quando i genitori potranno pagare, i soldi verranno versati in modo normale, se non potranno a vorranno pagare il costa della mensa residua resterà a mio totale carico. Ogni valutazione dei vari casi che dovessero crearsi è nella piena discrezione della responsabile del servizio mensa. Sono certo che almeno uno di quei bambini diventerà docente universitario o medico o imprenditore o infermiere e il suo solo rispetto varrà la spesa. Ne sono certo perché questi studieranno mentre i nostri figli faranno le notti in discoteca o a bearsi con i valori del “grande fratello”. Il mio gesto è simbolico perché non posso pagare per tutti o per sempre e comunque so benissimo che non risolvo certo i problemi di quelle famiglie. Mi basta sapere che per i miei amministratori, per i miei compaesani e molto di più per quei bambini sia chiaro che io non ci sto e non sono solo. Molto più dei soldi mi costerà il lavorio di diffamazione che come per altri casi verrà attivato da chi sa di avere la coda di paglia. Mi consola il fatto che catturerà soltanto quelle persone che mi onoreranno del loro disprezzo. Posso sopportarlo. L’idea che fra 30 anni non mi cambino il pannolone invece mi atterrisce. Ci sono case che non si possono comprare. La famosa carta di eredito c’e, ma solo per tutto il resto.
Un cittadino di Adro
(Silvano Lancini)
Non ho potuto partecipare al 1° “raduno” di Eldy ad Assisi, fortunatamente c’erano tante persone che hanno condiviso le loro foto.
Una di queste è Lavinia-Cettina (non vedete una somiglianza con la gatta biricchina di Giuliano?) e simpaticamente ci regala le sue entusiastiche impressioni.
Io ad Assisi c’ero e mi sono divertita molto…
è stato bello incontrare alcune persone con cui avevo chattato ma anche conoscerne altre che non avevo mai letto.
Sono stati due giorni speciali, passati in allegria… ho cantato, ballato, fatto cose che non facevo da secoli e mi è piaciuto mettere in un cantuccio la mia timidezza.
Probabilmente, fra qualche giorno, tutto tornerà come prima, ma per ora mi godo gli strascichi di questa avventura, sorrido guardando le foto e sull’onda emozionale mando baci e abbracci a tutti.
E dico a tutti: RITROVIAMOCI PRESTO!!!!!!
cliccate sulle foto x ingrandirle
tavolo n°1: in senso anti orario: Vera (Semplice), Alessia, Rosmarie, Rosa4.mi, Eleonora, Annamaria2.na , marito di Milly, Milly49, Cetti (Lavinia), Felice (Felpan)
tavolo n°2: in senso anti orario: Angelo9.fi, marito Rosaria, Rosaria, Neve, Maurizia e marito
tavolo n°3: in senso anti orario: Galante, Ofonio, Angelo9.fi e moglie, Maurizia
tavolo n°4: in senso anti orario: Eldyna, Alice, Roberta degli angeli, Antonella6, Enrico, Luigi.vi, marito cuoricino, cuoricino rosso
foto n°5: betempi, Lavinia, nembo e felpan
foto n°6: lavinia, enrico, semplice
foto n°7: Galante, Eleonora, Annamaria.na, Rosa4.mi
foto n°8: serjei, maurizia, ofonio, felpan, rosmarie, semplice, eldyna
foto n°9: felpan e mariner
foto n°10:maurizia, neve, ofonio, eldyna, franci, moglie angelo, angelo
Ho trovato quest’articolo sul settimanale “Mondo Chat”, non mi è possibile fare copia/incolla perché il giornale l’ha mangiucchiato Cettina, la mia gatta, allego la sua foto (è molto vanitosa!) unitamente al pezzo rimasto leggibile.
Ma veniamo all’articolo che riguarda un’indagine della Polizia delle Comunicazioni (detta anche polizia postale e delle comunicazioni o più brevemente polizia postale) su un browser freeware con all’interno varie stanze che consentono di comunicare (chattare) senza pretendere il pagamento del servizio e frequentato soprattutto da persone sopra gli “anta”; fino a questo punto tutto normale allora perché questa indagine della Polizia Postale?
Continuando la lettura dell’articolo apprendo che l’indagine è stata avviata in seguito alla denuncia di un arzillo ottantaquattrenne (il giorno che si è presentato in commissariato ha dichiarato di avere ottantaquattro anni sei mesi e un giorno) e ha riferito, agli agenti, dell’esistenza di una stanza segreta, dove si pratica lo Strip Poker, l’accesso è consentito tramite password che è rilasciata dopo aver pagato 3.000 € d’iscrizione. L’arzillo signore ha agito in questo modo per vendicarsi della sua mancata iscrizione e il conseguente rilascio della password, non avendo la disponibilità di tutta la somma aveva richiesto una rateizzazione in 120 rate mensili a interessi 0!
Tale proposta era stata respinta, inutili le sue proteste.
Data la delicatezza delle indagini, al commissariato nessuna dichiarazione bocche cucite; l’unica informazione che il cronista ha saputo riguarda l’aiuto richiesto ai colleghi giapponesi dove pare sia nata questa pratica della chat con Strip Poker annesso.
L’aiuto è stato prontamente accolto dai funzionari del Sol Levante che invieranno il loro massimo esperto: commissario Tonkito Orinasumuri.
Il cronista si firma con le sole iniziali cg.
Giuliano4.rm 14 /04 /2010
Ma dove sono questi ricchi?
Mi stupisco sempre quando giungono le Feste tradizionali e sento i giornali Radio e i Telegiornali sciorinare di continuo i bollettini di guerra delle strade… ” 10 milioni di italiani in movimento… 3 km di fila a Roncobilaccio… 8 km di fila all’ingresso dell’A14… e così via. Ti azzardi a telefonare ad un ristorante per il giorno di Pasqua e ti senti rispondere con tono scandalizzato che è “tutto esaurito”. Non parliamo poi della riviera Romagnola o della Versilia, non trovi un posto neppure a pagarlo a peso d’oro. C’è qualcosa però che non mi quadra!
L’ISTAT dice che il 75% degli italiani (7,5 su 10, tanto per intendersi) denuncia un reddito annuo lordo inferiore ai 24 mila euro, che, come massimo, vogliono dire circa 1.300 euro a mese. Dice inoltre che chi dichiara più di 100 mila euro lordi annui sono 382.600 italiani (meno dell’1%!!!) Chi supera i 200 mila euro lordi annui sono soltanto 76 mila italiani. Chi sono i dieci milioni d’italiani che stanno scorazzando per la penisola riempiendo alberghi a 4 o 5 stelle e ristroranti e trattorie? Chi sono i 206 mila italiani che nel 2009 hanno acquistato automobili dal valore superiore ai 120 mila euro (Maserati, Ferrari ecc. ecc.)?
Sono veramente grossi misteri!
O siamo tutti dei folli che spendono più di quello che guadagnano, facendo debiti a non finire, o mastro Geppetto è diventato un industriale e produce Pinocchi a milioni di copie.
Quasi non ci credevo… ma esiste un libro scritto da Rina Vecellio Mattia & Gregorio Belfi dal titolo “Come vivere da ricchi a partire da 800 euro al mese ” . Evidentemente è quella la risposta ai miei dubbi… correrò a comperare questo libro e capirò così come fanno gli italiani a vivere da ricchi senza soldi in tasca.
francomuzzioli 9aprile 2010
L’ISTAT dice che il 75% degli italiani (7,5 su 10, tanto per intendersi) denuncia un reddito annuo lordo inferiore ai 24 mila euro, che, come massimo, vogliono dire circa 1.300 euro a mese. Dice inoltre che chi dichiara più di 100 mila euro lordi annui sono 382.600 italiani (meno dell’1%!!!) Chi supera i 200 mila euro lordi annui sono soltanto 76 mila italiani. Chi sono i dieci milioni d’italiani che stanno scorazzando per la penisola riempiendo alberghi a 4 o 5 stelle e ristroranti e trattorie? Chi sono i 206 mila italiani che nel 2009 hanno acquistato automobili dal valore superiore ai 120 mila euro (Maserati, Ferrari ecc. ecc.)?
Sono veramente grossi misteri!
O siamo tutti dei folli che spendono più di quello che guadagnano, facendo debiti a non finire, o mastro Geppetto è diventato un industriale e produce Pinocchi a milioni di copie.
Quasi non ci credevo… ma esiste un libro scritto da Rina Vecellio Mattia & Gregorio Belfi dal titolo “Come vivere da ricchi a partire da 800 euro al mese ” . Evidentemente è quella la risposta ai miei dubbi… correrò a comperare questo libro e capirò così come fanno gli italiani a vivere da ricchi senza soldi in tasca.
Chi ha detto che Internet, le e-mail e le chat sono roba per giovani e in prevalenza uomini?
Le casalinghe, le pensionate, le nonne sono escluse da questa tecnologia?
NON PIU’.
Secondo l’indagine dell’«Associazione Donne e Qualità della Vita», tre casalinghe italiane su quattro (77%) confessano per le nuove tecnologie (computer, chat, blog…) “una vera passione” ben più sviluppata di quella degli uomini, È un bel salto di qualità rispetto all’era della casalinga che simboleggiava il grado minimo dell’istruzione e dell’apertura al mondo. Stanche di spolverare gli inerti Personal Computer, stufe di gridare al marito “basta col computer è ora che tu ti occupi di me”, stufate di attendere il partner che restava appiccicato al monitor a smanettare chissà in quali siti, hanno studiato il problema. Da Nord al profondo Sud, isole comprese, c’è stato un pullulare di nuovi Blog e Chat. All’inizio le signore ignoravano come navigare, chattare, mandare e-mail, leggere notizie e cosa fosse un «nickname»: Il segreto è stato nel farne una cosa condivisa, dove coinvolgere le altre casalinghe e amiche.
Nei loro Blog le donne prediligono foto di corpi maschili e femminili, poesie ispirate all’amore e alla natura, musica il tutto rifinito con gif animate e gancetti.
Invece gli uomini danno la preferenza a foto femminili, filmati, attualità, sport e politica poche le rifiniture con gif e assenti i gancetti, la preferenza è per orologi, cronometri ed emoticons.
La Chat, (in inglese, letteralmente, “chiacchierata”), è diventato uno strumento utilissimo. Per migliorare la vita. E per riempire meravigliosamente il tempo libero.
C’e’ anche chi approda nella chatroom (letteralmente “stanza delle chiacchierate”), per spezzare la barriera della solitudine e per trovare un punto d’incontro con altre persone, la presenza delle donne contro gli uomini è di tre a uno (questa è la mia stima) e si rivelano comprensive e rispettose ma se attaccate rispondono a tono senza alcuna remora.
Una in particolare è la Chat del browser Eldy che è nato per portare un’utenza di Senior a usare il World Wide Web, più spesso abbreviato in Web, e adesso è diventata quasi un piccolo esercito: le nuove tecnologie stanno conquistando la terza età.
Buono il tenore delle discussioni online: poesia, teatro, viaggi, gli utenti con tanti anni sulle spalle hanno un modo di chattare semplice, fatto di saluti, scambio di opinioni, educazione e con un tocco di romanticismo, perfetto per tenere la mente attiva, mantenersi aggiornati e restare in contatto con persone di tutte le regioni Italiane.
Giuliano4.rm 06 aprile 2010
_______________UN ANNO DI GIA’
____________Proprio un anno fa è stato aperto il blog “Riflettiamo” in Eldy.
—–“Riflettiamo” è nato, nella prima versione, dal contributo di Annamaria (Eldyna), Antonio Gerra (Tonino) e Antonio Leinardi (Sardus)”, di Semplice e di altri, in un secondo tempo; ha preso vita per permettere agli Eldyani di scambiarsi informazioni, emozioni, riflessioni, per discutere e per esprimere le proprie opinioni.
Tanti scritti sono stati pubblicati dal marzo 2009, ce ne sono circa 400 nell’archivio, divisi per mesi ed i commenti sono più di 3000.
Un bel record per un piccolo blog interno ad una chat e che non ha molti contatti con il mondo esterno, né pubblicità.
Si è parlato di politica, economia, attualità, ma anche di arte, cultura e di emozioni condivise; gli articoli pubblicati sono stati scritti dalla penna di tante persone che, forse per la prima volta, esprimevano con coraggio i propri sentimenti per iscritto e prendevano in considerazione l’idea di pubblicare; sono stati tutti incoraggiati a continuare, visto che hanno riscosso un buon successo e partecipazione. Altri hanno proposto cose che avevano letto e che condividevano o no, ma lo hanno fatto per stimolare un dialogo. Nell’insieme c’è stata molta collaborazione con semplicità e serenità.
Si è parlato di politica, economia, attualità, ma anche di arte, cultura e di emozioni condivise; gli articoli pubblicati sono stati scritti dalla penna di tante persone che, forse per la prima volta, esprimevano con coraggio i propri sentimenti per iscritto e prendevano in considerazione l’idea di pubblicare; sono stati tutti incoraggiati a continuare, visto che hanno riscosso un buon successo e partecipazione. Altri hanno proposto cose che avevano letto e che condividevano o no, ma lo hanno fatto per stimolare un dialogo. Nell’insieme c’è stata molta collaborazione con semplicità e serenità.
I commenti ci sono stati e bisogna dire che alle volte hanno infiammato gli animi più del dovuto, ma questo sta anche a dimostrare l’interesse che gli argomenti hanno suscitato.
Dopo la nascita di “Riflettiamo”, si sono formati altri blog in Eldy: il Bosco, Incontriamoci e Poesie; sono molto diversi tra loro ed ogni Eldyano può trovarci quello che è più consono ai propri gusti
Ringraziamo indistintamente tutti i collaboratori che tanto hanno dato, tutti quegli Eldyani che hanno desiderato inserire un loro lavoro in “Riflettiamo”, tutti quelli che hanno avuto voglia di commentare e ringraziamo soprattutto chi ha avuto la pazienza di leggere gli scritti che, con tanta dedizione, sono stati elaborati.
Sarebbe bello che esprimeste le vostre valutazioni. Vi invitiamo ad aiutarci a fare un bilancio di questo primo anno, ad esprimere i vostri pareri ed impressioni sul blog, a farci i commenti più cattivi e precisi, affinché si possa migliorare quello che di errato abbiamo fatto.
Ma adesso, dopo aver tanto riflettuto in “Riflettiamo”, è arrivato il momento di parlare di più!
Da questo momento il blog cambierà nome… PARLIAMONE condividiamo conoscenze ed esperienze.
Riflettiamo è superato ormai, abbiamo riflettuto abbastanza, adesso agiamo, parliamone, scambiamoci esperienze e informazioni ed il nostro sapere.
Il re è morto, viva il re!!!
Con PARLIAMONE raccontiamoci anche e se ne avrete voglia potremmo mettere in comune parte del nostro “vissuto”.
Chi conosce un po’ Genova avrà senz’altro notato una sua particolarità: i tetti della sue case. Tutti in ardesia.
Una distesa di tetti grigi dai monti al mare.
Una distesa di “ciappe e abbæn” come vengono chiamate qui.
Case, chiese, scale povere e scalinate nobili, portoni modesti e portoni di palazzi nobiliari, finestre, pavimenti di chiese e di case. Anche lavandini e cappe di cucina erano di ardesia.
Molti palazzi hanno la facciata a nord rivestita di ardesia in modo che impedisca alla pioggia, spinta dal vento che a Genova spesso soffia forte di renderla umida.
L’ardesia è da sempre stata usata a Genova per la facilità di approvvigionamento essendo le cave molto vicine: a Lavagna che dista pochi km da Genova.
I biliardi di quasi tutto il mondo hanno il piano di ardesia di Lavagna.
Ogni aula di ogni scuola ha una lavagna di ardesia.
Per il suo colore, a volte grigio a volte quasi nero ha sempre attirato la mia attenzione.
Qualche anno fa ne ho trovato alcuni pezzi in una di quelle discariche che si trovano ai bordi dei boschi o nelle stradine di campagna e mi è venuta l’idea di utilizzarli per farne una casetta in miniatura. Li ho portati a casa ed ho cominciato a lavorarli con gli strumneti che avevo a dispozione: un seghetto a ferro, qualche lima, il trapano, carta vetro.
Ho cominciato a tagliare l’ardesia a pezzetti e ad incollarli uno sull’altro. Piano piano prendeva forma una costruzione che non sapevo ancora cosa sarebbe diventata.
A mano a mano che tagliavo e incollavo quei pezzetti di ardesia mi venivano in mente idee nuove, soluzioni diverse, già pensavo ad altre costruzioni più complesse.
Ero contento di quello che stavo facendo: mi stava piacendo un sacco. In parte stavo mettendo in pratica quello che avevo imparto a scuola da ragazzo. Usare la lima, il calibro, ( è ancora quello della scuola), la morsa, il seghetto per tagliare. Ho ancora presenti i consigli del professor Trucchi. Ragazzi, diceva, non vi distraete mai, una limata in più e getterete via mesi di lavoro!
Mi sono imposto di fare tutto con quello che avevo senza dover comprare niente per dimostrare a me stesso che sarei riuscito ad arrangiarmi: era troppo facile usare le scatole di montaggio.
Mentre tiravo su i muri laterali mi sono reso conto che una volta arrivato al tetto sarebbe stato impossibile mettere qualcosa dentro, era troppo piccola e non avrei potuto infilare niente ne dalla finesta ne dalla porta ed allora, sospesa la costruzione della casa, mi sono dedicato alla costruzione degli interni: il tavolo, le sedie, il lavandino, la credenza; la stufa l’ho ricavata da un pezzetto di tubo da lampadari, la plastica per le fineste dalle custodie di vecche audiocassette,
i piatti, le pentole, il secchio da un tubetto di dentifricio vuoto.
Chiudevo gli occhi e cercavo di immaginare e ricordare quanti più particolari possibili da poter inserire per rendere l’oggetto il più verosimile possibile. Finalmente arriva il momento del tetto: ho usato la saggina di una vecchia scopa.
Con due scagliette m’è venuto in mente di fare due uccellini da mettere sopra ed allora adagio, con la mola montata sul trapano, ho cominciato a modellarli arrotandomi anche la punta delle dita,cosa a volte risultata utile perchè erano sempre incrostate di Atak. L’atak è la colla che ho usato; è istantanea. L’uso della mola l’ho appreso in officina da ragazzo.
Per la campana della chiesetta ho usato un pezzo di alluminio ricavato dal cavalletto rotto della bicicletta, tornito sul trapano stretto nella morsa. Lo stesso per ottenere il calice sull’altare della chiesa (tüttu vegne a taggio, finn-a ‘e ungie pe’ pea l’aggio: tutto un giorno potra’ servire, anche le unghie per pelare l’aglio)
Pensavo già a mostre, premi, esposizioni, vistosi articoli sui giornali. Una cara amica mi ha convinto a partecipare ad un concorso parrocchiale: la mia prima costruzione è arrivata seconda subito dopo un bellisimo quadro presentato da una giovane pittrice.
Nella chiesa il prete che celebra messa è di marmo sagomato a mano con la mola posizionata sul trapano. I coppi della chiesa grande sono un elemento di un’antenna televisiva.
Dopo un mese di lavoro dedicato alla chiesa grande per la quale mi sono ispirato alla chiesa di S.Siro di Struppa a Genova, ho messo l’orologio ad indicare l’ora di chiusura dei lavori.
Ora quelle costruzioni fanno bella mostra di se nell’ingresso di casa mia e mi riempono d’orgoglio: per ultimo le ha viste il parroco in occasione della benedizione pasquale delle case.
le avrebbe volute per il presepe nella sua chiesa.
Ebbene come mi ero ripromesso non ho comperato niente. Ho utilizzato soltanto roba che avevo nel mio laboratorio sul terrazzo.
Non è del tutto vero: ho speso allora, ottanta mila lire di ATAK. Ma ne è valsa la pena!
cliccare sulle foto x ingrandirle
Alfred 28 marzo 2010
Il fenomeno si è sviluppato alla fine degli anni novanta, ovvero quando fu superata la soglia esocentrica, determinata dal congiungimento astrale ai piani bassi della crosta terrestre tra la lingua e la pancia.
Nell’ultimo decennio il fenomeno tricocentrico di cui si parla nel titolo, si è andato sempre più affermando. Ci si chiederà cosa sia esattamente il tricocentrismo. L’unica spiegazione fornita al proposito è data dall’enciclopedia on line popokedia.com, a cui pochi motori di ricerca hanno accesso, ma con un gesto inusualmente altruistico voglio parteciparvi delle spiegazioni apprese.
“Tricocentrico: è quell’insieme di eventi sociali percepiti e non reali per i quali ogni pelo sembra una trave.” Naturalmente, essendo annoverata tra le patologie sociali, ha suscitato ampi ed approfonditi studi per determinarne la reale portata e incidenza nella popolazione. Una ricerca dell’Università (…….) ha stabilito una maggior incidenza della tricocentricità nei paesi che si affacciano sull’acqua, non importa se dolce o salata, se ruscello o mare. La stessa ricerca ha determinato che i mediterranei non hanno in ogni caso un’appartenenza geografica, sono semplicemente meditabondi, in poche parole pensatori terreni. Ma questo è argomento che si potrà approfondire in altra sede, qui porterebbe fuori tema. Contrariamente a quanto si potrebbe supporre, la tricocentricità non si afferma su una capigliatura fiorente (tipica ad esempio tra il 1965 e il 1975) ma nel capello assente e nel culto di quei pochi rimasti che, “mammamia quanto son belli”, si allungano da una parte all’altra della testa, si prendono ad esempio per quelli da trapiantare o imparrucchire, si …. (la fantasia non ha limiti, la parola si e non voglio stancare). Tornando all’argomento si è deteminato che la perdita del crine, o il suo indebolimento e progressivo sfilacciamento, è direttamente proporzionale all’età ed inversamente proporzionale all’accettazione di se. Fuori carta e penna, o fogli di calcolo, per la dimostrazione del teorema. In ogni caso vuol dire che non importa quanti capelli si hanno o quanto siano folti e lunghi, l’importante è accettarli. Infine un’annotazione, il tricocentrismo, dalla fine degli anni zero, va sempre più imponendosi come determinazione comune del percepito, o come altri dicono, nell’affermarsi del sentito dire, ovvero in un’epidemico contaggio.
Popof 26 marzo 2010
Chiunque ti avesse visto, avrebbe ammirato il tuo bel portamento altero e seducente. Correvi lungo quei viali, come una gazzella, col tuo passo elegante e felpato. Più volte ho pensato di avvicinarti per correre insieme, ma il tuo atteggiamento, così fiero e schivo, me lo ha sempre impedito. Chiaramente, non ti sei mai accorta di quante volte ti avessi seguito ripetendo fedelmente il tuo percorso; cercavo soltanto di farmi notare. Pensai ad altri espedienti ma, puntualmente, tutto veniva vanificato e mi resi conto quanto fosse inutile insistere. Non ti sei mai accorta di me, quindi mi rifugiai sempre più nelle retrovie. Cercai anche di cambiare percorso nei miei allenamenti, convincendomi che quelli nuovi, in fondo, potevano essere più vari e interessanti. Il mio desiderio di conoscerti tuttavia, si faceva sempre più forte, quasi insostenibile, ma cercai di tener fede alla mia decisione, assumendo un atteggiamento di noncuranza. Ormai avevo abbandonato ogni speranza. Mi resi conto che già da qualche tempo, avevi trovato un compagno che ti seguiva nelle corse. Forse era il tuo allenatore, o un amico? Per non rivelare l’interesse che avevo per te, feci finta di nulla. La curiosità, tuttavia, mi divorava! Mi auguravo che qualche mia conoscenza, di sua iniziativa, mi dicesse di te. La domenica mattina, quando ci trovavamo tutti al solito posto per la partenza, cercavo d’introdurmi in qualche gruppo, con degli stratagemmi e lanciavo una frecciatina qua e là, nella speranza che qualcuno la raccogliesse. Nessuno sembrò accorgersi delle mie sollecitazioni. Ciò mi fece riflettere. Doveva esserci un motivo preciso, del quale nessuno voleva parlare.
Mi ero riproposto che, alla prossima occasione, avrei rotto gli indugi, ponendo delle domande precise su di te, che mi avevi colpito così fortemente.
Di fronte ad una richiesta esplicita, non avrebbero potuto far finta di non capire. In realtà, non ero sicuro di fare la cosa giusta, ed avevo qualche perplessità. Quest’ansia era sempre dettata dal fatto che non volevo far sapere quanto ero interessato. Fu proprio un compagno di allenamenti a farmi delle confidenze. Un giorno capitò per caso al nostro ritrovo e ci mettemmo a correre insieme, come si fa solitamente. Ricordo perfettamente quella giornata, come se l’episodio fosse avvenuto ieri.
Stavamo facendo una corsetta, lungo la via marina. Era una giornata splendente, piena di sole e molto calda. Eppure quel sole così violento era un buon compagno lungo il percorso. Un leggero venticello rendeva sopportabile il calore estivo, procurandoci piacere. Quei raggi di sole, che scendevano a picco sui nostri corpi sudati, sembravano volessero correre con noi. Il mare col suo fascino intenso, considerato il fiore all’occhiello della nostra città, quel giorno era ancora più dirompente. Un’immagine prodigiosa! Questo spettacolo, forse magico, è solo per chi ci vive. Io, nato e cresciuto lì, ne ero particolarmente innamorato. Volevo addirittura fermare la mia corsa per poterlo ammirare con calma.
In quel momento mi ritenni fortunato di aver avuto la possibilità di praticare la corsa in un periodo particolarmente felice della mia vita.
Ma non conoscevo niente di lei, né riuscivo ad acquietare la mia mente e la mia ansia, ciò mi costringeva a rimandare ogni richiesta di informazioni sul suo conto. Si faceva strada anche l’idea di lasciar perdere, di desistere da eventuali mosse. Ero ormai convinto che il rapporto tra quella ragazza e il suo allenatore si stava sempre più consolidando, era evidente che si incontravano anche al di fuori dei circuiti di allenamento. La loro relazione era ormai un fatto compiuto e, naturalmente, anche il loro desiderio di stare insieme. Un giorno festivo fummo invitati da amici comuni in un locale, nelle immediate vicinanze del campo Coni. Non ricordo bene che cosa si festeggiasse, forse il compleanno di un nostro amico. Proprio quel giorno incontrai la giovane per la quale avevo perso la testa, la vidi strettamente abbracciata al suo allenatore. La situazione era, dunque, chiarissima. Capii che non c’era altro da fare, lasciare perdere, capitolare, non feci trapelare la mia emozione, dovevo abbandonare l’idea di un possibile approccio. Era palese che quei due ragazzi erano legati sentimentalmente e che tutti quei pensieri che avevo manifestato all’inizio delle mie corse, erano da cancellare dalla mente. Non era più il caso di abbandonarsi a pensieri impossibili. Per superare questa delusione mi gettai con foga negli allenamenti. Non avevo ancora fatto chiarezza su cosa stessi cercando, ma sapevo ciò che stavo facendo. Decisi allora di dedicarmi completamente alla corsa, che amavo tanto. Senza dubbio avrei migliorato le mie prestazioni. Intensificai i miei ritmi di corsa.
In tutta sincerità, non mi stancherò mai di ringraziare quei cari amici che ai miei primi approcci con la corsa, mi aiutarono e incoraggiarono moltissimo. Forse avevano intuito, anche loro, quanto importante fosse per me correre e quante soddisfazioni ricevevo in cambio. Posso affermare serenamente che quello fu uno dei periodi più felici della mia vita. Mi sentivo appagato, felice di trascorrere lunghe ore all’aria aperta in stretto contatto con la natura. Avevo sicuramente trovato quello che cercavo da tanto tempo, che seguiva le mie inclinazioni. Ammirare le bellezze naturali ed esprimere il mio desiderio di libertà.
Domenico.rc 22 marzo 2010
I VICINI DI CASA (scene in una tipica casa genovese)
Era il suo compleanno e gli amici in coro lo incitavano: “DISCORSO! DISCORSO!”
Visibilmente imbarazzato si guardava attorno e scrollando lievemente il capo disse: “come passa il tempo…!”
Tutti i presenti si sentirono in dovere di rifletterci su, qualcuno disse pensoso: “…sembra ieri…”
Un secondo intervenne dicendo: “E’ vero! Vi ricordate quando?…” ma venne subito interrotto da una voce greve e nasale : “… ma il Marietto della Cloe chi l’ha più visto?”
Un altro : “Ma era poi vero che erano degli sfollati dall’ultima guerra?”
Il festeggiato era uno dei più anziani e sentenziò: ” Però erano tutte brave persone, oneste, lavoratrici”
Un suo coetaneo aggiunse: “Vivevano ammucchiati in dodici in una camera”.
Il figlio della Carletta di diciotto anni, volle intervenire : “Ed allora? L’estate scorsa noi eravamo in quindici sotto la tenda!”
“Ai nostri tempi anche noi andavamo in campeggio… !” disse ironicamente Alfonso.
“Eh!… certo i che tempi sono cambiati!” aggiunse un altro massaggiandosi contemporaneamente il ginocchio sinistro evidentemente dolorante.
“Ma almeno, nel possibile, vorrei poter dare loro quello che non ho avuto io!” disse la signora bionda.
Le rispose Aldo: “D’accordo, ma a questo modo non impareranno mai cosa vuol dire sapersi sacrificare!”
Elisa di anni ne aveva sedici: “Ma perché mi devo sacrificare sempre io, quando tutti i miei amici …!” “Non ricominciare con questa storia … eh!” l’interruppe bruscamente la madre.
“Certo che tutti i torti non li ha” la difese Rino, lui che di figli non ne aveva: “con tutti gli esempi che hanno da cinema, giornali e televisione…!”.
“Cosa c’è stasera in tivvù?” chiese qualcuno distrattamente: “…tanto fanno vedere sempre le stesse cose!” rispose caustica la madre di Elisa.
“I soldi del canone però li prendono sempre…quelli là.!” continuò un altro.
“A me piacciono i documentari” disse una voce arrivando da destra, ma che nessuno raccolse.
Improvvisamente, per una strana coincidenza, tutti i presenti si trovarono contemporaneamente con la bocca piena, cosicché per qualche attimo fu il silenzio.
Uno si sentì in dovere di interrompere quell’attimo di imbarazzo collettivo e, rischiando di soffocare nel deglutire quella orribile torta, prese il bicchiere dello spumante, bevve un paio di sorsi, trattenne un piccolo rutto: “Scusate!” disse, poi, con aria solenne : “Avete sentito le dichiarazioni di Bossi?”
La signora bionda, alzando le braccia al cielo in un segno misto tra la preghiera la minaccia, con il tono di voce di chi non vuole lasciare dubbi gridò: “EH! NO!, EH! NON COMINCIATE A PARLARE DI POLITICA PERCHÈ POI VA A FINIRE CHE..!”
Tutti i maschi presenti si guardarono e con un impercettibile segno d’intesa che universalmente viene captato come: <ma che rompiballe!>, presero ognuno il proprio bicchiere e, con un sincronismo, cui non sarebbero riusciti neanche con mesi di prove, bevvero alla sua salute.
Matteo, il figlio della Carletta, rivolgendosi ad Elisa: “Chi hai di matematica? la Scotto?”
“È andata in pensione, fortunatamente! Ora abbiamo un figo…! Avrà trent’anni…!”
“La Scotto? Quella con la coda di cavallo e l’occhio sinistro che non sapevi mai da che parte guardasse?” “Proprio lei” rispose Elisa a Rino che continuò: “Era davvero buona quella! M’ha bocciato in terza quella carogna che non è altro. Qualcuno scrisse sulla lavagna che era lesbica, e lei se la prese con me!”
Gli rispose ironicamente il festeggiato: “Per forza! Eri il più scemo!”
La signora bionda intervenne in favore di Rino: “Non è vero, era un bel ragazzo, educato, sempre in ordine”. “No, era scemo ti dico!” mentre Rino continuava a sorridere, quasi a confermare quelle parole.
Alfonso,che era sempre polemico, incominciò una delle sue filippiche: “Voi tutti, e quando dico tutti intendo dire tutti, non vi rendete conto che quando si comincia a prendere di mira qualcuno per quello è finita?”
“Ma dai!” azzardò uno. “Lasciami parlare” disse Alfonso rizzandosi in piedi con un scatto e aumentando il tono della voce: “Voi non vi rendete conto di essere come i pappagalli. Ripetete tutto quello che sentite, cosicché se uno fa un battuta scema tutti gli corrono dietro!” Accalorandosi ancor più : “Quel poveretto di Rino è una vita che si sente dare dello scemo. Vi rendete conto che finirà col crederselo davvero?”.
Matteo, il figlio della Carletta, in quei giorni stava finendo gli esami di maturità e col tono un po’ da saputello di quelli che hanno studiato, rivolgendosi ad Alfonso gli disse: “Non sapevo che Lei Alfonso avesse studiato psicologia e filosofia!”
A queste parole seguì la fragorosa risata di tutti i presenti.
Visibilmente imbarazzato, Alfonso, riuscì soltanto a dire con un filo di voce: “E te’ za abbellinou!” ……[traduzione: e sei già scemo tu!]
“Su… non ti offenderai mica!” disse qualcuno con la faccia nascosta dietro una delle ultime fette di torta e, nonostante non piacesse a nessuno, non ne era rimasta quasi più.
Anche lo spumante stava per finire: quattro bottiglie erano completamente vuote; in altre due c’era ancora un dito di spumante sul fondo. Un’altra ancora da stappare era andata a finire chissà come sul piano della credenza: sembrava dicesse: non toccatemi!
Alfonso, ripresosi dalla battutaccia dello studentello, per far vedere a tutti che lui era superiore a quelle cose, andò verso il tavolo dove era la torta.
Quel che ne restava. Prese la fetta più grande e con provocatoria ostentazione alzò controluce le due bottiglie nelle quali era rimasto un po’ di vino e lo versò, prima una e poi l’altra nel suo bicchiere.
Di tutti i presenti nessuno aveva avuto il coraggio di farsi vedere vuotare una bottiglia.
Ma quel “Te za abbelinou„ era stata come una dichiarazione di guerra nei confronti di tutti i presenti. Nell’attraversare la sala salì inavvertitamente su una scarpa della Carletta (la madre di Matteo) la quale, seguitolo con lo sguardo e osservata la scena dello svuotamento delle bottiglie, ne approfittò per intervenire in difesa del figlio: “Eccoli lì quelli che fan ‘a morale a tütti. Predican ben e rassolan ma’! Ammiælo un po’ quello lì! Pa’ che o no l’agge mai mangiou! Imbriegon de un imbriegon che no sei atro!”… [traduzione: eccoli li quelli che fanno la morale a tutti. Predicano bene e razzolano male. Sembra che non abbia mai mangiato! Ubriacone che non siete altro!]
Alfonso, con una calma ed una freddezza che impressionò tutti, si voltò verso di lei, sollevò il bicchiere pieno a metà, e a mo’ di brindisi bevve un sorso, poi spalancò la bocca e con la lingua fece sporgere una poltiglia colorata di quella che un attimo prima era stata una torta.
Elisa scoppiò a ridere fragorosamente come solo i ragazzi sanno fare e rivolgendosi a Matteo: “Ah, ah, ah. Sembra proprio quel tale del libro di fisica, quello che fa le boccacce. Ricordi? Quello che ha una testata di capelli bianchi? Ricordi?…ha inventato qualcosa…ora non ricordo bene. Mi pare parlasse di relazioni…relativi o qualcosa di simile. Ah ah, ah pare proprio lui!”
“Belinonn-aaa!” [stupidona] la apostrofò Alfonso dopo aver ostentatamente bevuto un altro sorso di spumante: “Einsten o l’ea, quello da’ relativitæ! Ma za, ciù studdian e ciù no accapiscian un belin!”…….. [Einsten era!, quello della relatività! Ma già, più studiano e meno capiscono]
Accortosi di aver attirato su di sè l’ammirazione di coloro che in quel momento l’ascoltavano diede una scrollatina di spalle e con disinvoltura si diresse verso il bagno. Quando uscì si sedette e rimase con il busto eretto ed in silenzio per tutto il resto della serata.
Come spesso succede nelle feste casalinghe, si erano formati vari gruppetti di persone ciascuno delle quali parlava di cose diverse: chi parlava di calcio, altri di lavoro.
Le donne facevano pettegolezzi, e i ragazzi, invece, erano nell’altra stanza davanti al televisore che probabilmente non guardavano.
Ogni tanto Matteo scandiva: ” …e sette, e otto”. Qualcuno gli chiese che cosa stesse contando: “Conto le volte che qualcuno và al cesso”.
“Ma cosa ti frega del cesso?”
“Del cesso niente, tengo il conto di tutti quelli che vanno a pisciare e dopo non si lavano le mani”
Elisa rise sonoramente e per fare eco a Matteo imitò l’atto del fare pipì degli uomini.
Subito dopo esclamò: “Che palle queste feste da vecchi” portandosi le mani sulla fronte come segno di disperazione. Ed aggiunse: “Diventeremo pure noi così”.
Intanto la festa stava esaurendosi e gli invitati cercavano il modo per andarsene e naturalmente, nessuno si azzardava a essere il primo. Già da un po’ di tempo si erano notati, su diverse bocche, enormi sbadigli inutilmente celati da movimenti delle mani che non avevano niente di naturale e che assumevano le più svariate posizioni.
Uno degli invitati chiese a voce alta che ora fosse. Un altro da mezz’ora fissava l’orologio appeso alla parete sopra alla testa della Carletta che in quel momento stava seduta vicino al padrone di casa e sbottò con disinvolta sfacciataggine: “Domani mattina devo alzarmi presto: ho tante cose da fare e già che il tempo si è messo al bello farò anche la lavatrice, stendo, così mi asciuga tutto e prima di sera riesco anche a stirare”.
Fu Alfonso a prendere l’iniziativa da vero uomo quale aveva dimostrato di essere: “Sciü, andemmossene a casa nostra, tûtti, che chi sotta ghe sta gente che ‘a vorria dormì. Forsa, andemmossene tûtti a casa nostra che l’è nœtte fæta!”. … [su, andiamocene a casa nostra….tutti….che qui sotto ci stanno persone che vorranno dormire. Forza, andiamocene a casa che è notte fatta]
Sembrò di essere a teatro quando finisce lo spettacolo. Tutti si precipitarono alle uscite come se fosse scoppiato un incendio: chi correva a prendere la borsa, chi le giacche, chi si guardava attorno smarrito perché non si orizzontava e non sapeva più dove era la porta di casa per uscire.
“Elisa! Elisa, dai che andiamo. Su che è tardi” le urlava la madre “Ciao Matteo, ci vediamo domani. Ricordati di lavarti la mani quando vai a pisciare, ah, ah, ha!” disse infilandosi la felpa blu.
Ciao a tutti. Bella festa! Scusate il disturbo. Tutte frasi di circostanza che si accavallavano. Strette di mano. Pacche sulle spalle. Aspettate che vi chiamo l’ascensore!. Io vado giù a piedi, così smaltisco la torta, disse uno. Gli altri lo seguirono per la vergogna perche erano più giovani, provocando un calpestio giù per le scale che sembrava passasse una mandria di cavalli. Andarono via tutti.
Il padrone di casa raccolse i piatti, i bicchieri di plastica, le posate pure di plastica e li gettò nella pattumiera. :”Questo lo lavo e lo tengo: può sempre servire”, pensò vedendo il grande piatto di plastica bianca sul quale era poggiata la torta.
Sistemò le sedie della sala, poi quelle della cucina, diede una scopata in terra e mentre soddisfatto si guardava attorno, sorridendo fra sé e sé pensò: “Però che care persone sono i miei vicini. Tutti quanti” e si avviò verso la camera da letto.
Passando davanti alla credenza della sala, notò il ripiano desolatamente vuoto pensò: “Tutti, meno uno!”
Scoiattolina ci propone un articolo, trovato in rete, attuale e interessante: differenze di età in amore.
Affrontiamo pure questo argomento che spesso fa discutere e che ci pone interrogativi, ma che è vecchio quanto il mondo: le unioni di coppie con una fortissima differenza di età tra i partner.
Nel passato era quasi una norma che ci fosse almeno una differenza di dieci anni tra i coniugi; pensando alle nostre nonne e bisnonne, osservando in letteratura e nella vita di artisti famosissimi, lo si nota molto bene.
È un’unione, questa, che potrebbe essere molto fragile e invece sembra che funzioni, nonostante le critiche che spesso questo tipo di coppie deve affrontare da parte degli amici e parenti.
Quali possono essere le motivazioni che spingono una giovane donna a innamorarsi di una persona di molto maggiore di età? È possibile che inconsciamente cerchi la figura del padre se questi è stato assente nell’infanzia. Le donne che scelgono un partner molto più anziano, desiderano maturità ed esperienza di vita nel compagno, e non le trovano tra i loro coetanei, con cui si annoiano e che giudicano troppo superficiali.
Oltre tutto, hanno bisogno di sentirsi protette e rassicurate.
Anche l’uomo però, quando sceglie una donna più giovane, ha bisogno di sentirsi rassicurato e non solo sul suo potere di seduzione. Certamente si sente valorizzato da questa relazione, ma l’energia e la giovinezza della compagna lo possono motivare e l’aiutano a fare progetti e a sentirsi ancora nel pieno del vigore.
Ma per concludere, differenza d’età o no, non esistono ricette miracolose, le unioni che funzionano sono basate sul rispetto dell’altro, sul lavoro di “aggiustamento” e sul tempo per consolidare il rapporto, che ha bisogno di fiorire e crescere, giorno per giorno.
paolacon 19/ 03/ 2010
Il testo proposto è stato scritto dal Dott. Roberto Cavaliere
La ricerca della donna giovane
Per alcuni uomini già adulti è importante proporsi come figura paterna, ma probabilmente il timore di perdere la potenza sessuale e la capacità di conquistare delle donne attraenti sono elementi ancora più importanti: scegliendo una donna più giovane raggiungono il duplice risultato di poter essere dei padri protettivi e di provare la propria potenza sessuale.
Dato che l’uomo rimane fertile fino a tarda età – diversamente dalle donne la cui fertilità cessa dopo la menopausa – il desiderio di trovare una partner più giovane può essere più forte che nelle donne, e può influenzare maggiormente i suoi bisogni emozionali.
Malgrado ciò, l’uomo più anziano corre il rischio che la donna, più giovane di lui, arrivi alla piena espressione della propria sessualità proprio quando lui comincia a declinare, col risultato che lei si cercherà un partner più giovane. Quest’ultimo timore potrebbe essere risolto dall’assunzione di pillole come il Viagra, che danno l’illusione di continuare ad avere una certa prestanza sessuale.
Un uomo di posizione sociale elevata, può essere convinto che il suo stato viene giudicato da ciò che possiede. Può darsi quindi che scelga una compagna molto più giovane e bella per ragioni di inoffensiva superiorità maschile. Anche se fra loro vi è un amore genuino il suo piacere è accresciuto dalla possibilità di esibire agli altri uomini della sua età la sua bella e giovane ‘preda’.
La ricerca dell’uomo maturo
La donna giovane che sceglie un uomo più anziano spesso ha una forte necessità di trovare ‘la figura paterna’. Vuole sentire che finalmente lei è la ‘figlia amata’ e amante che ha il “padre” tutto per sé.
E’ quindi prudente prima di lasciarsi coinvolgere, che i due partner considerino la possibilità che questo bisogno prima o poi venga superato.
Anche il solito desiderio della miniera d’oro può essere una delle motivazioni. Un uomo anziano con una carriera di successo può offrire un tipo di vita migliore di quanto possa fare un giovane agli inizi della carriera: anche se oggi il vantaggio economico che può offrire un uomo più vecchio non incide così tanto: le donne giovani sono molto più indipendenti di prima e quindi la scelta di un compagno può essere piuttosto una questione di preferenza che di necessità.
Stranamente le relazioni fra uomini più vecchi e donne più giovani sono meno disapprovate dalle famiglie e dalla società di quanto non lo siano quelle fra uomini giovani e donne più vecchie.
Abbiamo già descritto i vantaggi economici di tali legami e i genitori possono pensare che un uomo con più anni rappresenti una ‘sicurezza’ per una giovane figlia; potranno però avere da obiettare sul fatto che la figlia sarà obbligata a curare un uomo vecchio mentre lei sarà ancora giovane.
Per un carattere altruista questo non sarà un problema, ma una ragazza vivace e amante del divertimento potrebbe trovarsi in difficoltà. Un’altra obiezione potrebbe essere quella che lei rischia di diventare una giovane vedova e trovarsi con una famiglia da tirar su.
Le reazioni delle altre donne sue coetanee dipenderanno da come queste giudicano la situazione in confronto alla loro. Se la ritengono migliore potrebbero diventare gelose, altrimenti la compatiranno per essersi legata ad un vecchio.
Le donne sposate con dei coetanei del partner della giovane donna potranno prenderla in uggia se i loro mariti si mostreranno entusiasti di lei.
Essa non avrà molte occasioni di trovarsi con i suoi coetanei, e se le capitasse questi potrebbero pensare di averla facilmente a tiro.
Non è certamente più facile trovare la felicità nella relazione con un partner più vecchio o più giovane che in una relazione convenzionale.
Sia la donna matura che sta con un giovane che la donna giovane che sta con un uomo più vecchio, dovranno affrontare dei problemi insoliti.
Siccome la scelta del partner non è solita, la famiglia e gli amici si sentiranno in diritto di sottolineare tutti gli svantaggi cosa che non farebbero con una coppia tradizionale.
I partner saranno quindi ben coscienti delle difficoltà cui vanno incontro.
Ma se questo tipo di coppia riflette seriamente sulle motivazioni e sui bisogni reciproci, e se giunge alla conclusione che essi si completano e si integrano allora la possibilità di essere felici non dovrebbe essere minore di quella di qualsiasi altra coppia.
Dott. Roberto Cavaliere