http://www.youtube.com/watch?v=hG5WtuQzRxA

 

Premetto che al mio precedente lavoro, dal testo “Il Federalismo”, sono state mosse una serie di osservazioni – non usiamo altri termini – per dirmi che quello di cui l’attuale Governo sta trattando deve definirsi “devoluzione” e non “federalismo”, dandomi, implicitamente, dell’ignorante o sprovveduto. Io invece sostengo ancora il contrario e, prima di dire la parola definitiva sulla fattibilità ed utilità di tale riforma, vediamo un attimo cos’è la devoluzione.

Il termine devoluzione (in inglese devolution) viene usato per indicare la concessione di poteri da parte di un governo centrale a favore di un governo regionale o locale, secondo il principio della sussidiarietà, oppure, nell’Ancien regime, il passaggio della successione di un territorio ad un erede legittimo (v. guerra di devoluzione).

Quasi sempre i poteri devoluti sono temporanei e rimangono, in ultima analisi, in capo al governo centrale. Qualsiasi assemblea devoluta può essere abrogata dal governo centrale, nello stesso modo in cui può essere abrogata una legge. I sistemi federali differiscono da quelli devoluti in quanto i poteri e le funzioni delle entità federate sono garantiti dalla Costituzione o, comunque, da norme di rango costituzionale.

In Italia, pur esistendo il corretto termine italiano, il termine inglese “devolution” viene usato nell’attualità politica italiana per indicare il passaggio di attribuzione di poteri su talune materie (es. :scuola, sanità) dallo Stato alle Regioni. E’ entrato nell’uso comune a seguito del dibattito scatenato dalla Lega Nord, la quale, per la propria azione politica, ha preso ampio spunto dal termine utilizzato nel 1997 dai giuristi e dai media per definire il passaggio di alcuni poteri dal Parlamento britannico di Londra a quello insediatosi nello stesso anno nella capitale della Scozia, Edimburgo.

Lo scopo di questo passaggio è: attribuire i diritti ed i doveri connessi alla gestione delle materie oggetto del processo di devoluzione ad organi dello Stato più vicini ai cittadini che beneficiano di tali servizi, in applicazione del principio di sussidiarietà.

Ergo: il termine viene utilizzato impropriamente , visto che in Italia al decentramento corrispondono puntuali riforme della costituzione, guarda caso ciò che è previsto per il federalismo.

Le considerazioni sopra riportate, che rappresentano il mio pensiero e suffragano quanto da me sostenuto con la pubblicazione di ieri, le ho rilevate da Internet, col motore di ricerca “Google”.

Adesso, veniamo a noi.

Sono d’accordo con quanti sostengono che lo Stato nazionale, che è la forma di aggregazione giuridica che le Comunità si sono date in Europa negli ultimi due secoli, pare proprio che abbia fatto il suo tempo. Tanto che da più parti si parla, ormai insistentemente, di vera e propria crisi degli Stati nazionali minacciati, è proprio il caso di dirlo, dalla globalizzazione.

Secondo una pubblicazione del settembre 2002, curata da Roberto Marraccini e Franco Quaglia della Segreteria Politica Federale della Lega Nord:

“”Il processo di globalizzazione in atto, che costituisce il principale carattere distintivo della fase storica che stiamo vivendo, si manifesta, tra le altre cose, anche con l’omologazione delle diversità culturali, etniche, religiose e sociali che costituiscono il fondamento della democrazia moderna. Si sta creando il cosiddetto mondo uno, il mondo globale in cui le differenze si appiattiscono e vanno lentamente ad annullarsi. Accanto a questo fenomeno. Considerato non a torto come negativo, si fa sempre più largo quella che appare come una tendenza in atto in molte parti del mondo: decentrare il potere politico.

E’ un fenomeno evidente nella nostra epoca ed è frutto dell’era post-industriale. In altre parole, è quello che Daniel j. Elazar (grande studioso di federalismo) chiamò rivoluzione federalista. […….] Cerchiamo di rispondere ad una semplice domanda: che cos’è il federalismo? Tutti ne parlano e dicono di desiderarlo. Ogni partito, ormai, lo ha inserito nella propria agenda delle priorità politiche, ma poi in concreto, il federalismo non arriva, anche perché nella maggior parte dei casi se ne ha una conoscenza alquanto vaga. Ma, soprattutto, ogni volta che bisogna votare delle leggi e delle riforme che vanno verso il federalismo, questa propensione federalista scompare ed i falsi federalisti vengono smascherati.[……..]””””

Quanto teorizzato dai bravi Marraccini e Quaglia mi trovano perfettamente d’accordo, come italiano, scevro da riserve mentali. Qualche dubbio mi assale quando mi chiedo e vi chiedo: perché oggi il “senatur” non parla più di “federalismo” ma di “devolution”? Perché ci sono remore da parte di tutti i partiti nel momento in cui si arriva (o si arrivava) al momento di porre in atto le azioni necessarie per uno Stato federale? Probabilmente perché non ci si fida troppo del “senatur”, visti i suoi comportamenti trascorsi: a parte i folcloristici atti antiitaliani, non dimentichiamoci che il primo governo Berlusconi cadde per sua volontà, dando vita ad un governo di centrosinistra, in cui s’infilò, facendo esclamare all’On:le D’Alema che la Lega era una costola della sinistra!!!!!! E poi per tutto quello da me riferito nel mio precedente intervento con il pezzo “Il Federalismo”.

Per concludere, carissimi amiche ed amici di Eldy, io credo che il decentramento dei poteri dello Stato (non solo quello fiscale) lo vogliamo tutti. Lo vogliamo però in maniera garantista e senza furberie o colpi di mano. Per fortuna viviamo in un Paese meravigliosamente democratico e qualsiasi riforma di legge costituzionale va sottoposta a referendum confermativo da parte del popolo che, in fin dei conti, è il vero sovrano, il vero depositario del potere.

Franco3.br      25 maggio2009

scritto da admin il 25 05 2009

Spesso, qui in Eldy, capita di leggere qualche espressione dialettale di qualcuno di noi, poiché questa chat è formata da persone che digitano da tutta Italia. E’ bello scoprire i dialetti. L’Italia ne è ricca e a volte, nell’ambito della stessa regione, si notano differenze. Ma ci siamo mai chiesti come sono nati i dialetti? E’ una domanda che mi ero posta già in passato ed allora ho rispolverato vecchi appunti che avevo da quando insegnavo e mi è venuta l’idea di trasferirli qui.
Tutte le regioni, come ben sappiamo, hanno i loro dialetti che, contrariamente a come si potrebbe pensare, esistevano ancor prima che arrivasse la lingua italiana, e che oggi, anche se modificati dall’influsso delle varie dominazioni avute nelle varie regioni italiane, ancora l’affiancano.
In Italia da molti anni è in corso un acceso dibattito fra i fautori dei dialetti e chi li avversa. Diciamo subito che dal punto di vista linguistico i dialetti italiani e la lingua nazionale sono sullo stesso piano: entrambi hanno avuto la stessa ‘nobile’ origine, cioè il latino. La lingua italiana deriva dal latino e il processo evolutivo che ha condotto la lingua degli antichi Romani fino a noi è stato lento e complesso.
L’impero romano aveva imposto a tutti i popoli sottomessi la lingua latina. Però pochi parlavano la lingua di Roma nel modo degli scrittori, il cosiddetto latino classico.
Il popolo minuto (detto vulgus) dei mercanti, degli artigiani, dei contadini, che non aveva frequentato le scuole e doveva comunicare cose pratiche e di ogni giorno, parlava in modo assai più semplice e poco rispettoso delle regole della grammatica. Parlava un latino che appunto da vulgus fu detto volgare. E fu così che San Francesco, per essere più vicino al popolo scrisse un’opera: “Il Cantico delle Creature” composta, probabilmente nel 1224 in una lingua che si era formata dalla modifica graduale del latino, cioè in volgare, proprio perché il latino, allora lingua ufficiale, ma conosciuta solo dalle persone colte, risultava difficile.
Non è vero che i dialetti sono una corruzione dell’italiano. È vero invece che italiano e dialetti hanno un diverso ruolo sociolinguistico: il primo è la lingua della comunicazione all’interno della Repubblica Italiana; i secondi hanno uso più limitato, in qualche caso si limitano all’uso familiare.
Con la conquista romana il latino si è diffuso in mezza Europa e soprattutto nel bacino del Mediterraneo sovrapponendosi alle lingue parlate in precedenza da quelle popolazioni. Dalla commistione di questi elementi e da quelli derivanti dalle successive invasioni barbariche si sono generati i vari dialetti d’Italia.
Nel corso dei secoli, mentre la lingua latina si trasformava nei dialetti, le popolazioni italiane sono entrate in contatto con altri popoli e altre lingue: i Germani, gli Arabi, i Bizantini dell’Impero d’Oriente, che usavano la lingua greca, con la cultura provenzale, sviluppatasi rigogliosa nella Francia meridionale. Varie esigenze, quindi, avevano portato ad adottare parole di questi popoli: parole che, poi, faranno parte della lingua italiana.
Quindi riprendendo il discorso, dal latino si formarono i dialetti: in questo passaggio molte parole si modificarono nella grafia e nella pronuncia e, a volte, finirono per avere un significato diverso da quello originario. Le parole che hanno percorso l’itinerario dal latino al dialetto e dal dialetto alla lingua italiana, sono parole di tradizione popolare.
Nei secoli XV e XVI (1400-1500), durante l’Umanesimo e il Rinascimento, ci fu la riscoperta del latino nei testi dei grandi autori dell’antichità. Gli studiosi ripresero e diffusero espressioni e parole latine nel loro significato originario. Così entrarono nella lingua italiana tante parole latine, anche se riadattate alle nuove forme.
Ancora oggi esistono nella lingua italiana e anche in alcuni dialetti parole derivanti dal latino come ad esempio “a craje” dal latino cras che significa appunto domani e parole prettamente latine come ad esempio: gratis, referendum, video, ultimatum, super, facsimile, ex, idem, album, humus, extremis, rebus, juniores, auditorium, extra, Juventus e bis. A proposito di quest’ultima parola esiste un aneddoto che voglio raccontarvi, giusto per sorridere un po’.

SEMPRE PASTA E FAGIOLI
“Un giorno, Giufà andò in città ed entrò in un ristorante. Non sapendo leggere segnò col dito a caso sulla carta e stette ad aspettare. Il povero Giufà si vide portare pasta e fagioli. Ne mangiava tanta al suo paese; averla ordinata anche lì era proprio una disdetta. Pazienza! La mangiò, ma tenne gli occhi sempre sul vicino di tavolo che spolpava un quarto di pollo. E il pollo doveva essere buono, perché il vicino disse: – Bis!
Il cameriere gli portò un altro quarto di pollo. Allora Giufà non volle più saperne della lista e disse anche lui: – Bis!
Non vi dico come rimase quando si vide portare un’altra porzione di pasta e fagioli.”

A partire dal 1500 l’Italia fu per lungo tempo dominata da potenze straniere. La Spagna prevalse nel nostro territorio per tutto il 1600: gli spagnoli diffusero in tutta Italia, oltre che i loro costumi, anche espressioni linguistiche che entrarono a far parte della nostra lingua.
Dalla seconda metà del 1600 e per tutto il 1700, la Francia esercitò in Europa una grande influenza sul piano culturale, politico, scientifico ed anche nei costumi. Saper parlare francese per le persone colte, anche italiane, divenne quasi un obbligo. Così parole della lingua francese entrarono a far parte dell’italiano.

Ma torniamo ai dialetti che possono essere classificati in: dialetti galloitalici (Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna), dialetti veneti, dialetti toscani, dialetto romanesco, dialetti centromeridionali, dialetti sardi e romanzi (ladino e friulano).
Un discorso a parte va fatto però per il dialetto o vernacolo toscano.
Il dialetto toscano è, tra i dialetti italiani, quello che dal latino si è discostato di meno e comunque si è evoluto in maniera lineare ed omogenea. È alla base della lingua italiana grazie agli scritti di Dante Alighieri, Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio anzitutto, ma anche di Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini, che conferirono a tale dialetto la dignità di “lingua letteraria” della penisola.
Al momento dell’unificazione dell’Italia, il toscano, fu scelto come lingua da adoperare mettendo fine ad una secolare discussione, a cui aveva partecipato anche Dante (nel De vulgari eloquentia), che vedeva due fazioni principali, una che sosteneva la nascita di una lingua italiana sulla base di un dialetto ed un’altra che si proponeva di creare una nuova lingua che prendesse il meglio dai vari dialetti. Prese piede agli inizi del XIX secolo proprio la prima corrente, soprattutto grazie al prestigioso parere di Alessandro Manzoni (molto nota è la vicenda relativa alla scelta della lingua per la stesura de “I promessi sposi” e i panni sciacquati in Arno), ma non poche furono le critiche mossegli da chi sosteneva che il toscano era un dialetto come gli altri e una vera lingua nazionale sarebbe potuta nascere solo dopo l’incontro tra le varie culture del paese.

Infine propongo a voi tutti di scrivere nei commenti frasi o detti nel proprio dialetto, con relativa traduzione.

Su, diamoci da fare e scopriamo i nostri bei dialetti!!!!!!

Per dare l’esempio comincio io:
“Chi fraveca e sfraveca nun perde maje tiempo”.
Chi costruisce e demolisce (cioè si da da fare, in qualsiasi cosa) non perde mai tempo.

Ed ora a voi la parola!!!!!

Intanto divertitevi con questo video di Brignano

Il mio quadernone è pieno zeppo di mie riflessioni…sono quelle riflessioni dettate dalla vita di tutti i giorni. Scrivendole mi aiutano a capire qualcosa in più di me; lo faccio sempre e mi fa stare bene. Vorrei farvene leggere  una pagina…non sono una scrittrice…leggetela come se l’aveste scritta voi stessi nel vostro diario personale. (Birba)
Gennaio 2009
OGNI COSA HA IL SUO TEMPO
Stamattina ,dopo tanto tempo, ho preso il treno per andare al paesello. Ero arrivata in anticipo sull’ora di partenza; il freddo di gennaio penetrava oltre il cappotto, il cappello,la sciarpa, i guanti, gli stivali e per riscaldarmi mi sono rifugiata nella sala d’attesa. Pochissimi  viaggiatori vi sostavano tutti infreddoliti come me e tutti desiderosi di partire al più presto.
Mi sono guardata intorno e….flash!!! con la mente sono tornata indietro di tanti anni…..
Andavo a scuola, frequentavo l’Istituto d’Arte e per raggiungerlo tutte le mattine prendevo il treno delle 7.05 insieme a tanti altri miei coetanei. Alcuni giorni si decideva di far” filone “a scuola e si andava in giro per negozi, a passeggiare sul lungomare o ai giardinetti se faceva caldo, oppure se era molto freddo si restava in stazione  per tutta la mattinata fino all’ora di riprendere il treno che ci riportava al paese. I nostri genitori, ignari, ci credevano a scuola a svolgere il nostro lavoro…e questo fare è d’uso ancora oggi degli studenti.
E dunque, quando faceva freddo si restava nella sala d’attesa della stazione che diveniva il nostro rifugio, il nostro punto d’incontro. Sedevamo sulle panche,addirittura su quel tavolone che troneggiava al centro dello stanzone e gli altri avventori quando entravano si sedevano dalla parte opposta perché noi eravamo come animali che delimitavano il territorio con l’odore dei propri umori . Si  chiacchierava,si fumava,si flirtava,si mangiava panini o focaccia calda e nulla di quello che c’era fuori da quella stanza sembrava ci toccasse più di tanto.
La sala,quando arrivava il treno, si svuotava improvvisamente e se ci tornavi nel pomeriggio  la vedevi  diversamente dal mattino…una vera sala d’aspetto di stazione.  Quante ore passate in quell’ambiente ke ci univa tutti, coscienti di essere in colpa!
Ed eccomi di nuovo lì…mi guardo intorno e non riconosco più la mia sala: questa sembra  enorme…io la ricordavo piccolissima con noi stipati tutti dentro; quelle panche non ci sono più, al loro posto file di sedie di plastica di colore azzurro. Il grande tavolo che troneggiava al centro non c’è più e un angolo della stanza è occupato da un grande distributore automatico di biglietti . Poki  avventori, di studenti nemmeno l’ombra; kissà dove si rifugiano ora quando fanno filone…
Il muro però è pieno di scritte come a quei tempi. Mi avvicino e ne leggo qualcuna….quelle almeno sono rimaste come le nostre, stesse frasi, stessi inviti, stesse dedike.
Ecco, ci sono anke i cuori con le frecce e i nomi dei due innamorati; ne leggo sorridendo diversi, poi uno attira di più la mia attenzione: è disegnato con un pennarello rosso fuoco e dentro la scritta: “ Nel ‘93 è nata TITTI l’amore della mia vita”.
Faccio un po’ di conti: “93”…. Quindi 15 anni!!! Quelli ke avevo io tanti anni fa…….
Oddio, fatemi uscire da questa sala…..questo posto non è più  un posto mio!!!

hopper1

Edward Hopper (Nyack,1882–New York,1967) è stato un pittore statunitense precisionista,  il caposcuola dei realisti che dipingevano la “scena americana”.

francesca2.ba          25/maggio/2009

Negli ultimi giorni, da quando sono tornato, ho letto molto su “Riflettiamo”, e mi ha colpito il gran numero di articoli e commenti di carattere politico e in particolare quelli sull’immigrazione (a mio parere erroneamente definita clandestina).
Risultano evidenti dai numerosi scritti le chiare posizioni politiche degli autori che in alcuni casi sfociano in brevi malcelate polemiche, per fortuna celermente rientrate con reciproche chiarificazioni come avviene fra persone civili.
Devo però dire che, nonostante il lieto fine, a me non piace parlare di politica perché ritengo che l’argomento crei contrapposizioni e sterili conflitti che in alcuni casi potrebbero lasciare anche strascici di malumore.
Perché oggi qualsiasi contrapposizione genera conflitti.
Mi asterrò quindi da apporre commenti di alcun genere anche se, come molti, anche io conservo una posizione politica pur non facendo parte attiva di alcuno schieramento.
A me piacerebbe parlare di poesia, di  musica operistica, di pittura e di cinema (su quest’ultimo tema mi sono brevemente e piacevolmente intrattenuto in Eldy con Paola qualche sera fa, molto tardi); naturalmente nutro la speranza che un giorno si possa parlare anche di questo.
Ciò non significa che sono qualunquista e non nutro fiducia in nessun tipo di governo.
Come tutti con la fine delle ideologie e la caduta di ogni contrasto ideologico ci si deve affidare alla competenza e serietà delle persone che ci devono dirigere e guidare.
E qui ciascuno di noi deve fare delle scelte che personalmente ritengo necessarie perché seguire l’andamento della politica è interesse essenziale di ogni cittadino per fare scelte oculate e corrette senza cadere in messaggi e informazioni provenienti dai vari “media” che potrebbero distoglierlo dai veri problemi di un intero paese, è noto infatti che tali messaggi possono essere manipolati a uso e consumo (Cicero pro domo sua, – si diceva una volta).
Naturalmente, oltre che in Eldy, leggo anche qualche classico mezzo d’informazione e mi fermo molto ad esaminare la questione riguardante l’immigrazione; grosso problema che mi appassiona.
Certo non posso condividere, per ovvi motivi, l’ultima legge sull’immigrazione dove vengono accomunate persone (perché di persone si tratta) disperate in cerca di una speranza con altre che tali non sono che probabilmente fuggono dal loro paese per propri conti in sospeso con la giustizia e altri ancora pronti a qualsiasi efferatezza pur di ottenere facilmente agi e ricchezze.
Mandarli indietro tutti indiscriminatamente equivale senza ombra di dubbio a una immeritata condanna per molti di loro, e anche a un grosso turbamento accompagnato da una intima sofferenza per quelli di noi che conoscono, sia pure in modo indiretto, i patimenti, vessazioni, angherie e soprusi che queste persone hanno subito.
Ebbene pur scostandomi apparentemente da tale questione, ma pur restando saldamente ancorato ad essa, mio malgrado, superando grosse resistenze, mi sento di riportare qui in avanti alcune considerazioni, non mie evidentemente ma prese dai libri di storia, come pensieri in libertà dei quali ciascuno può farne ciò che crede, sperando di non tediare nessuno e meno che mai urtare la suscettibilità di chicchessia.
E’ evidente che nessuno è obbligato a leggerli.

•    Così scriveva Anna Comena, figlia dell’imperatore bizantino Alessio Comeno, all’arrivo dei crociati a Costantinopoli: “Alessio venne a sapere per fama dell’arrivo dei Franchi, Egli ne temeva l’invasione, perché sapeva la loro impetuosità violenta e la loro mobilità di umori, e tutte le loro fantasie, che sono inerenti al loro temperamento ardente. Infatti sono affamati di ricchezze e qualunque pretesto è buono per loro per violare i propri impegni. …………… I Franchi  arrivarono a fiumana, dovunque, con armi, cavalli e tutto il loro equipaggiamento guerriero.”

•    1519 Fernando Cortez sbarca sulla costa del messico con 600 soldati, 16 cavalli e 10 mezzi di artiglieria; lì esisteva un popolo di antica civiltà: gli Atzechi abili coltivatori della terra, costruttori di città in pietra grandiose e templi giganteschi a forma di piramidi, avevano ornamenti d’oro a profusione ma ignoravano il valore di quel prezioso metallo; rimasero atterriti dai cavalli e dalle armi da fuoco dei nuovi arrivati ai quali non parve vero di sfruttare quel terrore. Infatti il Cortez con il suo  minuscolo esercito, assetato da quelle ricchezze, con ferocia sanguinaria stermina a migliaia i poveri Atzechi e strappa loro ogni ricchezza-

•    Analoga ferocia e analogo successo conseguì intorno fra il 1531 e 1l 1536 Francisco Pizzarro, ex guardiano di porci, rozzo soldataccio spagnolo distrugge il favoloso impero degli Inca, una popolazione mite e laboriosa organizzata in una specie di comunismo patriarcale. Commette ogni razzia e naturalmente si impossessa di grandi quantità di ricchezze, oro in particolare.

•    Dopo di loro intere bande di conquistadores si rovesciano nel continente americano, saccheggiano,  sterminano e fanno schiave intere popolazioni, portano via ogni specie di ricchezza spinti sempre più da una sfrenata sete di ricchezza.

•    Chi legge le pagine scritte dal vescovo Bartolomeo De Las Casas, recatosi nel nuovo mondo non può non fremere di orrore al pensiero degli spaventevoli eccessi commessi nei confronti degli indigeni durante il periodo delle conquiste coloniali: “Li cristiani, con i loro cavalli e spade e lancie, cominciarono a far uccisioni e strane crudeltà in quelli. Entravano nelle terre, né lasciavano né fanciulli né vecchi né donne gravide né di parto, che non le sventrassero e lacerassero………… Facevano alcune graticole di legni sopra forchette e ve li legavano sopra , e sotto vi mettevano fuoco lento”.

I pensieri seguenti invece sono presi dagli attuali mezzi di informazione.

•    Viviamo in un’epoca di contraddizioni, da un lato l’accettazione del pluralismo etnico, culturale, religioso e politico, visto come il naturale evolversi dei tempi e, dall’altro, vi è l’esistenza di un certo grado di chiusura culturale, per cui il diverso e tutto ciò che non si comprende, viene allontanato, temuto e denigrato.

•    Mentre in Europa si assiste ad un crescente miglioramento delle condizioni di vita, contemporaneamente in alcuni paesi africani dilagano guerre e carestie costringendo intere popolazioni a vivere in condizioni disumane.
E’ questa una delle ragioni che spinge milioni di persone ad intraprendere il viaggio della speranza, alla ricerca di quella dignità che non trovano nella propria terra.

•    Diversi rapporti internazionali inoltre denunciano abusi e torture commessi dalla polizia libica ai danni dei migranti nei campi di detenzione sparsi nel paese.

“Diligenti pauca”

Arrivano a frotte stipati su carrette del mare,
nutrono una speranza, un approdo tranquillo,
delusi, avviliti , gli occhi cerchiati di pianto
invano hanno cercato di capire la triste follia
di uomini armati dispensatori di morte e distruzione;
fuggono dalla miseria, da un mondo privo di futuro,
ingenuamente, non privi di coraggio, rincorrono un sogno
dimenticare gli scoppi e il fragore delle bombe,
le vite spezzate, i bambini sfortunati su stampelle,
e madri chine su corpi freddati da pallottole vaganti
sfuggite all’incerto dito di coetanei soldati improvvisati
costretti a sparare da capi assetati di potere.
Sono disposti a naufragare in terre prive di nemici,
pur di praticare dignità in un mondo di pace ed armonia.
E spesso le cronache raccontano di crudeli destini
Che non premiano la disperata lotta per la vita,
per la barca incerta e il carico pesante, l’onda violenta
porta con sé propositi e lascia silenzi e pianti;
per alcuni allora svanisce la speranza
con altri mezzi, ma stavolta sereni, tranquilli
sono diretti ad altra spiaggia, altro approdo
dove regna incontrastata pace ed armonia
….. si incamminano stavolta verso il Paradiso.

 

Credo succeda a tutti, da un po’ di tempo, di ritrovarsi la parola “federalismo”, condita con più salse, in tutti i contesti letterali. Sul piano squisitamente politico, non riesco a comprenderne il vero significato, dal momento che lo trovo, trasversalmente, in contrasto con quanto, un po tutti, abbiamo appreso attraverso vie più concrete, che non sono quelle del “politichese”.Lo abbiamo appreso , dalla storia, dal Diritto Costituzionale, dalla letteratura. Perciò, vogliamo cercare di mettere un po’ d’ordine?

Innanzitutto, esaminiamo il contenuto dell’art.5 di quel capolavoro giuridico-politico che è la nostra Costituzione: “”La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”””.

Ora, se la legge-quadro, votata dal Parlamento italiano recentemente, s’ispira a questi principi, va benissimo, perché siamo in linea con la Costituzione e non dovremmo temere sorprese.. Ma io non credo che alcuni deputati in Parlamento, affetti dalla sindrome di Peter Pan o presi dalla febbre dello sceriffo con le colt ai fianchi, abbiano votato la legge con queste intenzioni e con questo spirito. Altrimenti, qualcuno dovrebbe spiegarmi quale significato hanno avuto, nel tempo, da parte della Lega, gli slogan sul “separatismo”, contro i “terroni”, il tricolore bruciato per le strade, l’Inno di Mameli sostituito con l’aria del Nabucco di Verdi e, ultimamente, forse per un volutamente forzato “eccesso di buonismo”, il parlare soltanto di federalismo fiscale “perché i soldi pagati dai padani per le tasse devono restare ai padani”.

Non è mia intenzione seminare zizzania. Però voglio che qualcuno mi faccia capire che sto pensando male, che sto sbagliando.

Abbiamo visto che la nostra Costituzione parla di “decentramento”, da parte dello Stato, di alcuni compiti alle autonomie locali. Fra queste autonomie locali sono comprese le nostre Regioni, che non sono rette da un “Governatore”, come si vorrebbe dare ad intendere, bensì da un Presidente e da un Consiglio Regionale, che per governare hanno bisogno del consenso della maggioranza dei Consiglieri, e sono soggetti allo Stato da cui dipendono. Se fossero “Governatori” di stati federati (vedi USA), e non lo sono, si potrebbe, invece, discutere di un altro federalismo, quello farneticato da uno sparuto gruppo di smidollati ed infantili membri, purtroppo, del nostro Parlamento.

Esaminando ciò che la storia intende per federalismo, leggo: “dottrina politica che, in contrapposizione al modello stato unitario e accentrato, propugna l’organizzazione dello Stato sulla base di vincoli federativi tra una pluralità di Stati membri, ciascuno dei quali dotato di ampia autonomia legislativa e amministrativa (v. autonomie locali), con l’eccezione di alcune materie di esclusiva competenza del governo federale (politica estera, difesa, politica monetaria)””. Quindi, si parla di “Stati membri”.

Mi sono addentrato nello studio della storia del federalismo, ed ho ritenuto interessante soffermarmi sulle origini del federalismo stesso, la cui sintesi sottopongo alla vostra riflessione.

Le leghe tra città-Stato greche rappresentano il primo esempio, ma anche nel Medioevo il termine di “confederazione”, accanto a quelli di “unione” e “lega”, indicava rapporti stabili di alleanza, per esempio, tra comuni (si trattava sempre di città-Stato). Tuttavia, il concetto di federalismo (coinvolgente, al di là del semplice verificarsi di associazioni fra Stati in vista di un fine comune, la definizione dell’essenza stessa dello Stato) trova i primi elementi di formulazione nel pensiero di I.Kant, contestuale all’affermarsi dell’idea di Stato e sovranità nazionale ed al conseguente pericolo rappresentato da un sistema sostanzialmente anarchico di relazioni internazionali tra soggetti sempre più numerosi: per Kant condizione fondamentale per la pace era l’estensione del diritto ai rapporti tra Stati e logico corollario la creazione di una federazione mondiale in grado di evitare il ricorso alla violenza per risolovere i conflitti.

Potremmo, ora, vedere quale sia stato l’insegnamento statunitense. Ma, non avendo molto spazio e tempo a disposizione, sarei dell’avviso di rimanere in Italia ed esaminare il federalismo dal Risorgimento all’età contemporanea (e poi perché si tratterebbe di andare a riflettere e discettare di una struttura costituzionalmente molto diversa da quella italiana).

Anche in italia le idee federaliste furono riprese da correnti importanti, ma non vincenti, del movimento risorgimentale. Molti pensatori vedevano in un’organizzazione federale lo sbocco del processo di unità nazionale. In ambito moderato prevaleva una concezione del federalismo come somma degli Stati esistenti: il Pontefice, secondo V. Gioberti, o il monarca Piemontese, secondo C.Balbo. avrebbero dovuto essere posti a capo di una lega federale fra gli Stati italiani. Al pieno rispetto dell’autonomia e della differenza degli Stati regionali preunitari in senso democratico e repubblicano si indirizzava invece il federalismo di C.Cattaneo e G.Ferrari. Di fatto, però, il nuovo Stato unitario costituito sotto la monarchia sabauda (1861) si caratterizzò per il forte centralismo, provocando le aspre polemiche sulla “piemontizzazione” dell’Italia. Lo stesso indirizzo centralista prevalse nell’Assemblea Costituente della repubblica (1946-47), a garanzia del radicarsi delle nuove istituzioni repubblicane e democratiche (le stesse regioni, pur previste dalla costituzione, furono attivate solo nel 1970). Le istanze federaliste sono riemerse solamente nel corso degli anni ’80 del XX secolo, per opera della Lega Nord, che però dette loro una valenza serparatista, e sono state poi riprese dalle altre forze politiche e dalla riforma costituzionale del 2001 (autonomie locali).

Probabilmente, per una più ampia e completa visione dello Stato moderno e del nostro Stato, dovremmo andare a documentarci sulle origini dello Stato moderno, ma credo che rischieremmo di avvolgerci in una ragnatela da cui uscirne sarebbe cosa ardua.

Quanto sopra premesso, se non vogliamo che si ripeta quello che avvenne nel 1861, il cui beneficio fu soltanto di alcuni potentati economici (come sempre); se non vogliamo che il sangue versato per l’Unità d’Italia risulti vanificato; se non vogliamo tutto questo, cerchiamo di vigilare e rimanere fratelli come siamo, nel bene e nel male, dalle Alpi alla Sicilia. Ho lavorato al Nord per circa vent’anni ed ho tanti amici, del popolo, come me, che stimo ed amo come fratelli, dei quali serbo un ricordo meraviglioso, ai quali il separatismo od il federalismo non interessano più di tanto, così come non interessano alla stragrande maggioranza dei cittadini del Nord. Tanto sangue è stato versato, per il Risorgimento, per l’Unità d’Italia, per la I guerra mondiale, per essere quello che siamo; cerchiamo di rimanere tali e di rinsaldare i vincoli di fratellanza che sono i veri valori della vita di un popolo.

Vorrei chiudere con poche parole di I.Kant, riflettenti l’ideale e le istituzioni federalisti, tratte da “scritti politici e di filosofia della storia e del diritto”:

“”””””I popoli, in quanto Stati, potrebbero essere considerati come singoli individui che, vivendo nello stato di natura (cioè nell’indipendenza delle leggi esterne), si recano ingiustizia già solo per il fatto della loro vicinanza; perciò ognuno di essi per la propria sicurezza può e deve esigere dall’altro di entrare con lui in una costituzione analoga alla civile, nella quale si può garantire a ognuno il suo diritto. Sarebbe questa una federazione di popoli””””.

 franco3.br (già fgiordano.br)         24maggio2009

 

 

 

 

 

scritto da admin il 23 05 2009

Oggi 23 maggio 2009 ricorre il 17° anniversario della strage di Capaci, dove un uomo coraggioso Giovanni Falcone e sua moglie Francesca Morvillo e la loro scorta furono assassinati dalla mafia. Poco dopo anche il giudice Borsellino in via d’Amelio subì la stessa sorte.

Una nave stamani è partita da Napoli alla volta di Palermo, due grosse gigantografie di Falcone e Borsellino issate a poppa,sopra qualche politico , per il solito rituale della commemorazione .

Commemorare è sterile se non è accompagnato da una reale volontà di risoluzione del problema.

Falcone e Borsellino erano uomini semplici,veri che al sorpruso e alla violenza hanno contrapposto l’esempio; sapevano di rischiare ed avevano anche paura(Falcone lavorava sempre ascoltando la Messa da requiem di Verdi), ma non si sono mai piegati, hanno trovato il coraggio di continuare il loro cammino senza incertezze nella lotta alla mafia .” Un uomo o è un uomo o non lo è”amava dire.

Oggi, apprendo dal Tg. che è stato estradato dagli Stati Uniti il boss Gambino dopo 22 anni di reclusione , Falcone, 28 anni fa, aveva firmato un mandato di cattura nei suoi confronti per associazione per delinquere(non esisteva allora il reato associazione mafiosa)finalizzata alla commissione di reati di indole mafiosa e per traffico di stupefacenti.

E mi viene impossibile da credere che tipi come Gambino, Reina, Provenzano e altri siano capaci di sviluppare logiche sopraffine. No !! Per me loro sono solo i “macellai”, semplici esecutori, troppo ignoranti e rozzi, poi del resto per ammazzare queste doti sono più che sufficienti!.

Altri, cervelloni,colti sono “i pupari”(burattinai, coloro che nel teatrino dell’opera dei pupi muovono i fili, da dietro, ai pupi).I legami tra Cosa Nostra e la politica (ovviamente non l’intero mondo politico)sono rapporti organici, si elimina chi crea e costituisce un problema reale; l’omicidio serve quindi come messaggio per intimidire chiunque altro avesse in mente di adottare comportamenti simili.

Leggendo le cronache del tempo viene da chiedersi, come mai nonostante le ammissioni dei pentiti nei processi, i riscontri delle intercettazioni telefoniche, sul banco degli imputati i veri cervelli che tirano le fila di cosa nostra, i cosiddetti colletti bianchi cioè i soliti ignoti, non siedono mai nelle aule bunker dei tribunali antimafia ma bensì siedono in altri luoghi?Imperversano nel mondo della politica e nell’alta finanza,gestiscono i centri di potere nei comuni del sud , in Puglia, in Calabria, in Sicilia e Campania come una piovra e con il placet della politica entrano nella torta dei grandi affari: smercio della droga, malaffare, corruzione, gestione appalti pubblici,tangenti.

 

Con l’era dell’informatica, delle interconnessioni tra anagrafe-angrafe tributaria- catasto immobiliare- movimenti bancari sarebbe un gioco da ragazzi scoprire gli altarini e fare verifiche immediate; si trovano nulla tenenti al sud con capitali stratosferici intestati a loro nome, accertarne la provenienza e in mancanza di chiarimenti sottoporre a sequestro sarebbe una risposta concreta di volontà.Come altr segno di buona volontà sarebbe impiegare l’esercito non per reprimere l’extracomunitario che fugge dalla fame, dalla miseria, dalle guerre,ma per combattere la mafia, la ndrangheta, la camorra, la sacra corona unita. Ed ecco che commemorare è sterile ,ripeto ancora una volta, a cosa serve se l’immobilismo delle istituzioni non riscatta il sangue innocente versato da umili e valorosi servitori dello stato che sacrificando la vita speravano in un mondo migliore?

Le loro idee camminano con le gambe delle giovani generazioni e con coloro che non dimenticano, che vogliono e sperano in un mondo migliore, un mondo possibile. Un pensiero, un grazie e una promessa vanno a tutti i valorosi combattenti senza armi che hanno affrontato la mafia.

‘’Li onoriamo e li ammiriamo” Falcone e Borsellino, “come autentici eroi di quella causa della legalità, della convivenza civile, della difesa dello Stato democratico con la quale si erano identificati e come costruttori di un più valido presidio giuridico e istituzionale di fronte alle sfide della criminalità organizzata’’.

Giovanni, Paolo e tutti gli altri “giusti”, purtroppo quaggiù non è cambiato molto !

 

Semplice                                  23maggio2009

 

 

Su un settimanale femminile era uscito un articolo approfondito, con tanto di mega questionario, sul rapporto delle italiane con il proprio il fisico e la bellezza.

.Pane, o meglio, galletta di riso dietetica per i nostridenti.
Tra i pareri delle esperte interpellate nell’articolo (Aureliana De Sanctis, amm. delegato della società organizzatrice di Cosmoprof Worldwid, il chirurgo plastico Fiorella Donati, la psicologa Lella Ravasi Bellocchio e l’ex modella Bruna Casella) mi ha colpito molto l’affermazione della psicologa Lella Ravasi Bellocchio, secondo cui:
“le donne hanno bisogno della bellezza della propria bellezza e di quella delle altre. Magari ne siamo invidiose, ma sicuramente ne siamo anche “nutrite” perchè in qualche modo appartiene a tutte”

Riflettendo sulla mia esperienza mi sono accorta che per certi versi era così.
Non vi è mai capitato, vedendo donne più belle di voi, di esserne invidiose (più o meno ferocemente a seconda delle circostanze) però provare allo stesso tempo anche una sorta di “serenità estetica” (se mi passate questo modo di dire) nei confronti della loro bellezza?
L’invidia non è sicuramente il migliore dei sentimenti, e ahinoi appartiene maggiormente al mondo femminile che non a quello maschile, ammettiamolo.
Tuttavia credo sul versante estetico sia vero che anche la bellezza altrui, invidiata ed agognata che sia, ci può aiutare nella ricerca/accettazione della nostra stessa. O no?..

CRONACHE MARZIANE

 

Dal Corriere della sera del 21/05/2009 h 19:23

19:23  CRONACHE.Il premier infiamma la platea confindustriale attaccando i giudici del caso Mills: «Estremisti di sinistra». Poi l’affondo sulle Camere: «Assemblee pletoriche e dannose. Basterebbero 100 deputati». La replica dell’Anm: ci rispetti. E Fini: «L’Aula interlocutore ineludibile»Sull’home page del Corriere della sera, è questo lo strillo dopo lo show di Franciusconi davanti a circa 1000 rappresentanti di Confindustria . Li avrà divertiti?

Penso di si, se l’hanno invitato sono brava gente, di bocca buona.

Possibile però che ancora non si siano accorti che il il Cavaliere non è lui ma una controfigura?

Si miei cari, non è Dilvio, lui si è fatto ibernare, è a Marcore, nella tenuta di campagna, al fresco. Tranquilli i giudici di sinistra, di questo paese di sinistra, con leggi di sinistra, con gente che svolta a sinistra (senza alzare la freccia) ancora non sono riusciti ad incastrarlo. Lui, lungimirante, si è fatto mettere sotto zero, tanto anche se lo dovessero condannare, anche se tra appello e Cassazione non ci fosse qualcuno disposto a credergli, quale condanna gli potrebbero infliggere? Le carceri sono piene, al massimo gli comminano gli arresti domiciliari. Così ecco la sua mossa preventiva: al fresco nell’ibernatore di casa, e risveglio nel 2088 finalmente libero di tutti quei giudici da anni morti e sepolti.

Soltanto che per non rischiare l’adulterio un mese fa ha scelto come controfigura la Ruzzanti, che lo fa così bene ma così bene che che le ha fatto un contratto da capogiro. Certo ogni tanto esagera, ma le parole non fanno male, eppoi anche lui è (o era) uomo di spettacolo.Avete notato una cosa negli ultimi tempi? La Gabina si dimentica di aggiungere, come faceva lui, “sono stato frainteso”. No la controfigura ce la mette tutta, ma proprio tutta, e non si rimangia una parola.

Ecco spiegato anche l’abbandono della povera Meronica: come poteva continuare a vivere in quella casa immensa con un sarcofago nel salotto? Dove erano finiti i bei tempi, con Dilvio che cantava e Apollicella che suonava. Intanto lei sarebbe invecchiata, come tutti noi comuni mortali e se anche fosse stata ancora in vita, al suo risveglio come l’avrebbe guardata? Cosa le avrebbe detto? No, lei che conosce da prima questa verità, ha fatto bene a mollare il ghiacciolo nel salotto (che aggiungendo il surriscaldameto terrestre rischia di sciogliersi anzitempo vanificando il sacrificio).Per il momento questo è tutto, cari amici. (Però la saga contiuna, su con la vita).Spero che qualcuno non trovi rispondenza con fatti e persone conosciute. Spero di non aver urtato la permalosità di alcuno raccontando questi retroscena.

E poi, ibernati o no una risata li seppellirà, noi per fortuna siamo mortali.

 

Popof 22maggio2009

scritto da il 21 05 2009

 

Sulla riforma dell’istruzione Gelmini sono arrivate attraverso la televisione nelle case della maggior parte degli italiani le immagini dei cortei di protesta studentesca e del corpo docenti avvenute a Roma e le dichiarazioni dei politici sia della maggioranza che dell’opposizione…ma la verità è che la maggior parte della popolazione italiana non ha capito veramente la riforma,o meglio non ha compreso,semplicemente perché in televisione certi dati non vengono mai trasmessi (se non a “Report” domenica scorsa,19 aprile) i dati numerici degli effetti immediati e dei prossimi anni di questa riforma…e soprattutto la maggior parte delle persone,fino a domenica ,è completamente all’oscuro di spese folli che lo stato affronta per cose davvero inutili,spese che pero’ non sono state ridimensionate dalla nuova riforma. Se la televisione e i vari politici della maggioranza ci dicono che i tagli sono necessari perché i soldi non ci sono,un cittadino ci crede e anche se consapevole che questo porterà a dei sacrifici è disposto a farli perché convinto che non si possa fare altrimenti. E invece non è così…invece moltissime spese non sono state tagliate…come per esempio lo stipendio di un preside e di un professore italiano all’estero che ammonta circa al quadruplo di quello di un professore italiano che lavora in Italia…come per esempio i stipendi dei professori di religione ( non è stato tagliato neanche uno degli stipendi di suore e preti che insegnano religione ) ,come per esempio gli affitti della maggior parte degli edifici che ospitano le scuole italiane all’estero (che guarda caso la maggior parte sono di proprietà del vaticano;e si parla di somme che superano i 200 mila euro l’anno ).

Come dalla televisione non viene detto già quanto hanno a disposizione i presidi di ogni istituto pe r il funzionamento amministrativo didattico (inchiostro per stampanti,fogli di carta,penne,gessi,pennarelli,ecc ) …5000 euro all’anno e per il prossimo anni la cifra a disposizione non è stata ancora comunicata dal ministero dell’istruzione…e intanto è pieno di scuole in cui i genitori portano rotoloni di carta e carta igienica a turno..perché non c’è…perché non ci sono i soldi.

Tagliare non è sbagliato come concetto in mancanza di fondi,ma è sbagliato tagliare solo sul futuro del paese,è sbagliato non tagliare un po’ dappertutto,è sbagliato sacrificare l’alunno e il corpo docenti per non fare tagli omogenei su tutti i fronti…è sbagliato pensare che un paese,già in crisi economica per la crisi economica mondiale,trascuri totalmente l’unico pilastro portante di una democrazia e di un paese in crescita:l’istruzione!

Le auto blù impazzano come sempre,le spese di palazzo anche, nessuno sa che mantenere l’inquilino al quirinale, costa il doppio che buckingham palace il parlamento il senato i privilegi a cui nessuno rinuncia, TANTO PAGA PANTALONE ed i pensionati i precari i disoccupati tirino la cinghia .

 

 

Perchè gli europei colonizzarono mezzo mondo, usando la forza delle armi, e non viceversa?
Come possiamo giustificare la storia e aver timore di una migrazione fatta di gente armata solo degli stracci che indossa? Abbiamo paura che ci portino via il nostro benessere?
I nostri governanti ci ricordano giorno dopo giorno che dall’Africa giungono bagnarole, canotti, gommoni carichi di gente, mentre per anni, e ancora adesso, con le loro antenne, con i loro satelliti per comunicazioni, inondano l’Africa d’immagini di festa, di ricchezza, di benessere diffuso: così stimolati, come possono non investire la propria esistenza nel tentativo di raggiungere l’Eldorado?
Questi uomini e donne rispondono ad un richiamo lanciato da oltre mare.
Ora noi, fatti i conti, diciamo basta. Diciamo basta perchè puzzano troppo, non usano le forchette, parlano a voce alta…. e quando non trovano subito un lavoro, delinquono.

Ma quanto di quello che stereotipato diciamo lo abbiamo vissuto in prima persona? Quante sono le esperienze vissute direttamente con gli stranieri?  Penso poche.
Non è esperienza l’aver viaggiato sull’autobus per qualche fermata con accanto uno di loro, come non lo è l’aver visto al parchetto come si comportano alcuni.
Le esperinze vissute sono quelle in cui abbiamo condiviso attimi di vita.
Voglio narravi le mie esperienze, poi fate giungere le vostre, vediamo quali sono le cose così tremende di cui si macchiano.

Propongo un gioco della verità in cui è consentito cambiare solo i nomi. Ci state?

Il mio primo contatto diretto con uno straniero è stato nel 1990, si giocava Italia-Argentina, quarti di finale credo, c’era un temporale, nell’intervallo sono uscito in macchina per fare una cosa. Per strada  non un’anima viva. Ad un semaforo un’auto ferma con una giovane coppia di ragazzi, mi fermo anch’io e bum … uno mi tampona sbattendomi addosso all’auto ferma davanti. Penso “che lampo, l’Italia ha segnato”. Poi vedo affacciarsi dal finestrino una faccia scura, mi chiede come sto. Sanguino. Scendo dall’auto e capisco: la mia panda è accartocciata. Chi mi ha tamponato è un marocchino. Scatta la diffidenza, quando arriva l’ambulanza, voglio esser sicuro dell’arrivo anche dei carabinieri. Degli amici usciti da un bar mi rassicurano, “vai tranquillo in ospedale, pensiamo noi all’auto”, e così è. L’indomani mi dicono che i carabinieri all’investitore hanno fatto 100,000 £ di multa per guida con la patente non tradotta. Per il resto tutto a posto e con i soldi dell’assicurazione ho camnbiato l’auto (quella incidentata era ancora in garanzia) e qualcosa è anche avanzato.

Secondo evento: mentre percorro in moto una strada con il traffico in tilt, vado sullo sterrato e al momento di rientrare sulla carreggiata, la ruota anteriore s’incunea tra la terra e il nastro asfaltato: casco. Nulla di grave, solo qualche abrasione. Nessuno che si fermi, solo un’auto con a bordo Egiziani? Tunisini? Non importa, solo loro si son fermati a chiedere se ho bisogno d’aiuto.(Ah, ero in Italia, alle porte di Segrate, vicino a dove oggi c’è una bella moschea contro cui nessuno protesta).

Terza esperienza: dopo una festa in piazza vedo due tipi che si allontanano con due biciclette con fare circospetto, un amico che è in macchina con me  e che aveva lavorato alla festa dice “guarda quelli han fregato due biciclette”, “seguiamoli” dico. E difatti nascoste da un cespuglio ci sono decine di biciclette. Torniamo alla festa per  controllare se ne manca qualcuna dal nostro stand.: ne manca una. In gruppo andiamo al cespuglio. Cogliamo sul posto i trafugatori. Li blocchiamo, sono sudamericani, chiamiamo i carabinieri che, dopo circa mezz’ora arrivano. Nel frattempo i due ladruncoli si rivelano un gruppo organizzato di sei- sette persone, indigeni lombardi e stranieri. Ci accusano di essere razzisti e che loro non c’entrano: finisce a botte e alla fine scappano. Accusa dei carabinieri: se la finiste con le feste, si eviterebbero questi fatti.

Quarto evento alla stazione Centrale di Milano, in coda per una prenotazione.
Davanti a me  una decina di persone, dietro di me uno straniero dalla pelle olivastra, poi arriva una gran bella donna alta, capelli lisci castano dorato.
Mi guarda, la guardo (come non potrei) e noto che supera disinvoltamente lo straniero e si ferma al mio fianco.
Mi dice “sono passata dafanti a quello lì e lei mi guavda così pevchè non sa cosa mi è capitato giovni fa”.
Le faccio notare che comunque quel signore era li da prima di lei.
“Ma lei non sa cosa mi ha fatto uno di questi qui!”.
La invito a raccontarmi.
“Uno di questi, un mavocchino, mi ha toccato il c…, io sono sfizzera ed ova non rispetto le pvecedenze di questi qua”.
“Ma guardi che non è stato lui, altrimenti avrebbe il diritto di denunciarlo”.
“Non impovta sono tutti uguali”
A questo punto parla lo straniero “Non si preoccupi, non mi offendo, io sono brasiliano non sono marocchino”.

Ne aggiungo una quinta emblematica.

Alla fermata Duomo della metropolitana sono in coda per salire sul treno, si aprono le porte la gente sale, uomini, donne….noto un giovane che ha la mano infilata nella borsetta di una donna anziana.
Altri come me vedono. Senza “né due né tre”, lo prendo per il polso e lo faccio scendere dal treno.
La gente educatamente si gira dall’altra parte, nessuno è intervenuto prima per avvisare la donna, nessuno interviene dopo (“io nenti sacciù e nenti visti” è patrimonio italiano non siciliano a quanto pare).
Il ragazzo trema, mi fermo a parlare con lui su una panchina. Ho negli occhi i perbenisti della carrozza. Vedo lui che trema e quasi piange “se mi consegna alla polizia mi danno il foglio di via, ho bisogno di stare in Italia, sto cercando lavoro, mi lasci andare, non farò più una cosa simile”.
Sapete quante volte polizia e carabinieri han dato da mangiare a chi stava per rubare per non morir di fame?
Ho lasciato andare il giovane straniero, son certo che sono due braccia in meno in mano alla malavita.
Ma quegli occhi di gente perbene che si giravano dall’altra parte avranno il coraggio di girarsi verso lo specchio senza provare il disprezzo che ancora provo io nei loro confronti?

Ecco cinque storie vissute da me, vi invito a partecipare tutti con il racconto di fatti veri, accadutivi di persona, non raccontati da altri.

 

                                                                                          

 Popof                19maggio2009

http://www.youtube.com/watch?v=YvdX5Ht3U9w

 

Nella mia tradizione, nel mio costume, nella mia cultura, la famiglia è stata sempre considerata la cellula fondamentale della società, il “luogo”, chiamiamolo così, dove si manifesta lo spirito di solidarietà, dove si stabiliscono le basi dell’educazione, dove, in poche parole, si “costruiscono” e crescono le nuove generazioni.

I valori, che fin dai primi anni di vita, i giovani “assorbono” nell’ambito familiare sono, salvo eccezioni, destinati a lasciare tracce profonde, a formare il carattere, a condizionare, in senso positivo, l’esistenza. Insomma, quasi un “marchio di fabbrica”, un marchio “doc”.

Per questo, accetto ed approvo incondizionatamente il principio codificato nell’art.29 della Costituzione che recita:”La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.

I grandi fenomeni sociali di questa nostra epoca propongono numerosi problemi che hanno riflessi, inevitabilmente, sulla famiglia. La casa, il lavoro, l’assistenza, le condizioni economiche, sono punti sui quali è opportuno riflettere per eliminare, attraverso adeguate scelte politiche, le difficoltà che troppo spesso ostacolano la serenità familiare.

Dovremmo dedicare grande attenzione anche alle migrazioni, che definirei bibliche, dal Sud al Nord del mondo, dai paesi poveri ai paesi ricchi, o ritenuti tali. E’ chiaro che lo spostamento di grandi masse di emigranti crea sconvolgimenti destinati a durare nel tempo, con conseguenze gravi sull’unità della famiglia, sull’educazione dei figli. E dal momento che a risentirne saranno anche gli immigrati che risiedono e, in numero sempre maggiore, risiederanno in Italia, non possiamo non preoccuparcene.

Non posso trascurare, a questo punto, un accenno al rapporto tra culture e tradizioni che si pone sempre più al centro della nostra attenzione.

L’arrivo, nel nostro Paese, di masse di islamici, fa evocare i pericoli di un’islamizzazione dell’Italia, indipendentemente dall’aspetto meramente religioso che, nella fattispecie, non mi interessa.

I pericoli maggiori sono quelli ai quali è esposta proprio la famiglia, perché su questo terreno le concezioni tra le due culture, quella cristiana e quella islamica, sono profondamente diverse e, direi, antitetiche. Rispetto e dignità per la donna, rifiuto della poligamia, sacralità del matrimonio, parità di diritti fra i coniugi ai quali è affidato, nel disegno divino, il compito di procreare ed educare i figli. Ecco i valori ai quali il cristianesimo si ispira e che non si può dire che coincidano con la visione islamica della società, non accettabile, eticamente, neanche dal non credente.

Di fronte alla sfida costituita dalla grave crisi della famiglia, che si riflette a livello sociale, assistiamo, purtroppo, ad inaccettabili ed autolesionistiche prese di posizione da parte di alcuni schieramenti politici (il “pensiero debole” della politica), assunte per il semplice fatto che si deve essere contro il pensiero della Chiesa Cattolica, contro il pensiero del Papa. E ciò viene concertato, purtroppo, da un po’ di tempo, a livello internazionale: ne è prova, ad esempio, la legge sulle coppie di fatto, approvata in quattro o cinque Paesi europei condizionati dal pensiero di certa parte politica.

E che democrazia sarà mai questa? Io non mi permetterei mai di cercare la distruzione, la dissacrazione di un altro “credo” per il semplice fatto che non è il mio.

Attenzione, però, il pericolo è reale. Alcuni Comuni hanno di fatto cancellato il concetto tradizionale di famiglia, anche in aperta violazione della Carta Costituzionale.

Attenzione. Questi atteggiamenti, gonfiati attraverso i mass media ed i luoghi di trasmissione della cultura, prima contribuisce a distruggere la cultura della famiglia tradizionale e poi finge di tutelarne i cocci. Siffatti atteggiamenti spingono a mettere la famiglia in secondo piano, a rinunciare alla correzione amorevole, a distruggere il concetto di autorità: spinge il genitore a farsi figlio tra i propri figli, ad abdicare al suo ruolo. Il genitore che verrebbe fuori da tali atteggiamenti equivarrebbe al giudice che non punisce il delinquente dandone la colpa alla società; equivarrebbe a chi apre irresponsabilmente le porte agli immigrati clandestini, pur sapendo che finiranno nelle maglie della criminalità; equivarrebbe ad una concezione dello Stato che, talora, persegue l’incolpevole, ma non riesce a punire, con giustizia, il criminale.

Il “pensiero debole” è debole, anche, perché non riesce ad intendere che correggere l’altro significa metterlo nelle condizioni di ravvedersi, di non sbagliare; significa trattare l’altro da persona, non da incapace di intendere e di volere.

Il “pensiero debole” non capisce che quel figlio, che non viene amorevolmente corretto dai genitori, quando sbaglia finirà per fare del male a se stesso, ai genitori, agli altri.

E questo vale anche nel rapporto tra giudice e delinquente, vale per ogni rapporto sociale. Insomma, il “pensiero debole”, conosciuto anche come “buonismo”, ci invita alle irresponsabilità.

Anche Giovanni Falcone aveva compreso questo grave errore. In una pagina del volume “Cose di cosa nostra”, il giudice tragicamente ucciso dalla mafia, scrive che è da condannare “il facile luogo comune per cui la mafia, essendo, in prima istanza, un fenomeno socioeconomico, non può venire efficacemente repressa senza un radicale mutamento della società, della mentalità,delle condizioni di sviluppo. Ribadisco, al contrario, che senza la repressione non si ricostituiranno le condizioni per un ordinato sviluppo”.

Falcone rifiutava, dunque, un assioma pericoloso del buonismo che oggi, purtroppo, continua ad inquinare la vita politica e sociale. Falcone affermava il concetto che lo Stato deve saper dare ma deve anche saper chiedere e, laddove è necessario, saper reprimere.

Prima di cedere ad ogni retorica, cominciamo noi, per primi, a chiederci se la famiglia è ancora un bene sociale. Lo è sicuramente per la Chiesa, che ritiene fondamentale l’istituto familiare. Lo è ancora di più per la comunità laico-civile che guarda alla famiglia come ad un approdo sicuro per promuovere i rapporti tra genitori e figli, per attribuire i ruoli, per innescare attività di controllo, di promozione o di censura sociale.

Da parte mia, un accorato appello alla Riflessione, una riflessione con la “R” maiuscola: cerchiamo di partecipare alla vita di governo del Paese; cerchiamo uno strumento che ci consenta di delegare quanto meno possibile a chi si sta dimostrando indegno di rappresentarci in una democrazia (con questo intendo indicare tutti: a destra, a sinistra, al centro). Ormai, pur di non far conoscere al Paese i veri problemi – che poi vengono decisi da pochissimi addetti – assistiamo giornalmente ad attacchi alla sfera intima della persona, dalla maggioranza alla minoranza, dalla minoranza alla maggioranza, su argomenti futili e frivoli, senza mai entrare nel merito dei veri problemi del Paese, per quanto importanti e cogenti possano essere. Le conseguenze alle quali si può approdare con una delega in bianco “in toto”, come quella in atto, sono quelle di un “regime” duro e più o meno totalizzante, ammantato di perbenismo e di democrazia formale. E qui mi fermo perché potrei essere male interpretato.

Svegliamoci. Ricordiamoci che la Democrazia, quella (con la D maiuscola) nella quale io credo e crederò fino alla fine dei miei giorni, è fatta innanzitutto di partecipazione e poi ancora di partecipazione, partecipazione. Certi argomenti, poi, lasciamoli a quei giornaletti che trattano la materia definita “gossip”. Facciamo capire ai nostri politici (tutti) che la politica è una cosa seria.

Un saluto fraterno a tutte le Eldiane ed Eldyani.

 franco3.br (già fgiordano.br)              19maggio2009

scritto da admin il 18 05 2009

Oggi l’informazione, la conoscenza, la formazione passa dalla rete. La rete, progettata inizialmente per condividere dati e risultati tra gli scienziati , ha avuto uno sviluppo continuo, tale da renderla  ogni giorno sempre più indispensabile.  Una finestra sul mondo a distanza di un clik. Tra tutte le esigenze che ci fanno affacciare su questo incredibile panorama, l’esigenza di relazione domina e sovrasta le altre necessità: milioni di persone si incontrano sullo “specchio magico” del monitor
L’elemento di incontro con l’Altro è il dialogo, permettendo all’identità di rinnovarsi continuamente in base agli interlocutori e ai molteplici contesti ,vuoi per millantare o per difendersi.
Quale esigenza spinge gli utenti della Rete a ricercarsi su uno schermo?
Una risposta potrebbe essere che parte dalla considerazione che la rete è un universo potenzialmente ricco di relazione: basta il login in un social network per trovare un utente in cerca di comunicazione. All’origine di tutti i nostri rapporti esiste questo bisogno imperioso di scambio, di contatto . I blog, le home page personali, i forum, le chat diventano magici luoghi virtuali, dove i bit diventano parole e le parole emozioni. In particolare le chat  diventano un laboratorio del Sé dove immaginare, provare e sperimentare diverse possibilità di se stessi… Questa riflessione nasce perchè mi rendo conto che ormai dialoghiamo più in rete che nel mondo reale sia nel privato che nel mondo del lavoro;gli impiegati , ad esempio, all’interno di un’azienda, hanno perso l’abitudine del contatto personale e trovano più facile usare la rete. Ricordandoci comunque di non diventarne succubi domando a voi amici Eldyani “qual’è la molla che spinge gli utenti a cercarsi sul web?”

 

scritto da paolacon il 18 05 2009


Io vorrei ampliare l’argomento che, nel suo articolo: “Fermiamoci, vi prego!” Lorenzo.rm affronta. Lui vorrebbe un dialogo nel blog meno fazioso.
Ma anche da queste pagine di chat esce il ritratto di quello che siamo noi italiani: faziosi e polemici al massimo. Guelfi e ghibellini sempre.
Eldy è uno spaccato d’Italia e qui si trova anche tutta la coloratura politica del paese.
Non riusciamo a fare un dialogo moderato senza dare del “testone” a una persona o del “guazzabuglio” allo scritto di un’altra?
Proviamoci.

Francesca2.ba domanda: “ma la politica non era bandita da Eldy?” Nelle regole in apertura non c’è scritto questo, sono banditi gli insulti e le scorrettezze. La politica è vita di tutti i giorni, qualunque azione o scelta si faccia, è politica comunque. Anche semplicemente l’atto di andare a comprare il pane…
Qui in “riflettiamo” c’è una sezione speciale proprio per gli articoli di politica e di economia come per l’attualità o la vita.

Lorenzo rimprovera che si critichi il governo, ma ditemi qual è quella nazione dove il governo non viene criticato? Pensateci.
Discutere è un bene prezioso, ma per piacere discutiamo ragionando, esprimendo le nostre opinioni personali, ma portando esempi concreti e cifre alla mano quando vogliamo avvalorare una nostra tesi.
La ragione per cui, qui nel blog, in questi ultimi tempi, si parla tanto di politica, io credo sia dovuta al fatto che ci appassiona e ci interessa ed è parte del quotidiano. Troppi interrogativi ci poniamo…
La lingua batte…e anche i tasti… E se interessa… che ben venga e se ne parli.

In questo blog “Riflettiamo” si parla di politica come si parla di altre cose. Noi “cosiddetti relatori” (Felpan, Eldyna, Semplice e Paolacon) non siamo giornalisti, ma giornalai che gestiscono un’edicola, dove si appendono riviste e quotidiani di vario tipo. Si possono trovare argomenti vari: dal “divertissement ” allegro, alla cultura; dall’attualita’, all’articolo di politica.
Si’, di politica. Poi, come in un pic-nic, ogni eldyano contribuisce con qualcosa e noi, da bravi giornalai, esponiamo, senza cambiare una virgola.
Ecco perche’ si trovano articoli anche di idee molto contrastanti.
Ma “Riflettiamo ” non e’ una testata di giornale, tutte le colorature sono accolte ugualmente!!!

Siano benvenute allora, la riflessione e la discussione. Coinvolgiamoci pure, ma cerchiamo di farlo con più moderazione e concretezza e soprattutto senza insulti. Altrimenti rischiamo di non essere nemmeno attendibili.

paolacon 18/05/2009

Come mi diverto quando sento parlare di risanamento, quando ci dicono che tutti dobbiamo fare la nostra parte, quale parte! Solo la nostra, perché la loro non si tocca. Quante volte ci siamo incontrati o “scontrati”, con termini dal significato incomprensibile che hanno ingenerato confusione, come: “riduzione delle spese per la politica”, che fanno riflettere. Vuoi vedere che questa è la volta buona? Adesso sì che tanta gente torna a casa, ricongiungendosi felicemente con i propri familiari ! Ora, i politici, ridurranno il loro appannaggio, finiranno di viaggiare, di qua e di là, in tutto il mondo, perché l’Italia è diventata troppo stretta, per loro! Forse in certe isole tropicali hanno imparato come si sta al mondo. Grandi gli italiani, uomini saggi, di cuore, di cultura, senza macchia e senza paura, noti per la loro grande generosità: si distinguono sempre, soprattutto quando non mettono mano al loro portafoglio. Che brutta bestia la politica, forse è meglio non capire le varie posizioni se si vuole rimanere tranquilli. A che serve lamentarsi se non si riesce ad arrivare a fine mese? Loro sono tranquilli, hanno fatto il loro dovere, riempiendosi il paniere ulteriormente. Quando si deve fare pulizia, giustamente, bisogna iniziare dai più piccoli, per arrivare poi …..chissà dove! Anche se non ci fosse il tempo in questa legislatura non ha importanza! Se ho capito bene, vogliono ridurre i Consigli Circoscrizionali. Secondo loro, non sono serviti a niente, non hanno mai avuto pieni poteri. Sicuramente non hanno ritenuto di conferirglieli, per non limitare il proprio, continuando a fare i propri comodi.. Il compito lasciato ai Consiglieri, molto impegnativo, consisteva nel fare, di tanto in tanto, delle telefonate all’ufficio centrale, per segnalare qualche disfunzione, che procurava dei problemi. Venti consiglieri, belli e profumati, li vedevi arrivare ai consigli, spronati dalle madri a fare il loro dovere: “mi raccomando, non mancare, se proprio hai da fare, almeno lascia la tua firma di presenza, per avere il tuo gettone”. A pensarci bene, forse un po’ ci mancheranno! Se occorre risparmiare, bando ai sentimentalismi, è più’ importante il risanamento! L’altro giorno mi è capitato tra le mani, per caso, un giornale regionale, nel quale si parlava di Ospedali. Curiosando tra le righe, mi appare una notizia, alquanto strana: il rapporto tra medici, infermieri e abitanti. Incuriosito, cerco di leggere con attenzione. C’era un bellissimo trafiletto, che sintetizzo. Parlava delle liste d’attesa, che raggiungono le due ore, nonostante la Regione abbia il più alto numero di Ospedali. Sembra, tuttavia, che si stiano impegnando a ridurre tali attese. Certo, la situazione è snervante, soprattutto per quei poveri pazienti, lì ad attendere il loro turno, in quelle lugubri stanze, lasciati soli. Sì, attendono i medici e gli infermieri, che hanno tempi lunghi, per le loro esigenze, poveretti! Alcuni vengono da lontano, con la loro valigia in mano, colma di professionalità. Viaggi lunghi e faticosi, e anche pericolosi ! .Nel raggio di pochi km, poi, erano spuntati come funghi, fiori all’occhiello del Governatore Regionale, il quale aveva sbandierato ai quattro venti questo suo provvedimento, onde evitare, così i cosiddetti “viaggi della speranza”, verso altri Ospedali, per essere curati. Questo grande impegno per raggiungere il risanamento, arriva puntuale, come la ciliegina sulla torta, all’indomani del decreto-legge per il ripristino del ticket sanitario, che non risparmia nessuno. Un esercito di pensionati deve correre per farsi rilasciare il modello Isee, per chiedere l’esenzione. Si grida, a gran voce : basta! non ci saranno più agevolazioni per nessuno, tutti devono contribuire a risanare le casse pubbliche perché, dovete sapere, in questa Regione a causa del gran caldo si sono “prosciugate”! Comunque, credetemi, nonostante tutto, siamo fortunati, lo dico senza sarcasmo. La nostra città può considerarsi tra le più tranquille. La sera si può’ uscire senza timore, andare a prendere una boccata d’aria pura: ha ricevuto la palma d’oro come città-campione, dove ricchezza e povertà vanno a braccetto, facendo risparmiare bei soldi, per esempio, per le ronde cittadine, che da noi non sono state istituite. Considerando le nostre condizioni economiche, assai limitate, può essere anche utile! La nostra è una città di passaggio, tanta gente va e viene, non si fermano nemmeno i poveri immigrati clandestini i quali, per poter vivere, emigrano verso altri lidi, cercando lavoro, a vantaggio dell’ordine e del decoro! In questo modo, si riducono i costi ed è un risparmiano per i cittadini che, felici e contenti,possono andare a fare lunghe passeggiate, senza temere di essere violentati.
domenico.rc 18 /05/ 2009

Che vergogna, che squallore. Sono qui  da un paio d’ore a e non si vede nessuno.
Quattro bandiere agli angoli della piazza, un palco con qualche signore impaziente  con in mano dei foglietti, che  legge continuamente, e   la gente? Dov’è andata a finire quella gran massa di persone che il Sindacato  richiamava, quando  si parlava di riforme, forse è rimasto solo il ricordo in qualcuno di noi, di quel periodo, quando  le lotte si combattevano veramente e gli accordi  presi si mantenevano: lo spauracchio dello sciopero li frenava. Tante  sigle incomprensibili in quegli striscioni, la  triplice, sindacato di base  e tantissime  altre, e per essere soli in questa piazza a rivendicare il dolce far niente.  Forse è meglio che mi metta seduto,  in quella panchina, a godermi il bel sole di questa giornata splendente,  ormai qui, oggi,  la gente non verrà di sicuro. E’  chiaro, a questo punto, che  i sindacati  sono alleati del  politico di turno,  e  vengono  qui solo per  fare  la sceneggiata.  Fanno finta di parlare di contratto o di piattaforme rivendicate. Com’ è squallido questo gioco, sottile  e pieno  di interessi personali ! Per non creare degli scontri, hanno già promesso loro poltrone e poltroncine! Cosa ci possiamo aspettare da un Sindacato allo sbando che,  per prima cosa,  chiede  la tessera d’iscrizione,  che per tanti anni  abbiamo sottoscritto, in virtù  di un sindacato pulito e serio.  Poveri noi ! Abbiamo  mantenuto questa gente nel suo dolce far niente, capace solamente  di vendere fumo alla gente. Finalmente, dopo tanto tempo, la gente ha capito  facendo  sentire il suo malcontento,  sempre più convinta e cosciente che sono solo chiacchiere, dalle quali non si ricava un bel niente. Basta vedere come ci sta  tartassando questo Governo di turno,  che con abile maestrìa ha dato il contentino ai pensionati,  per poi fregare gli impiegati.  Caro Sindacato hai perso il  tuo ruolo, hai perso credibilità,  hai fatto veramente male ad  accomodarti al  loro capezzale. In te  veniva riposta fiducia senza essere ripagata, e questa povera gente ora   viene schiacciata. L’unico   strumento valido  che avevano è stato imbavagliato e gli hanno tarpato le ali. Peccato che tu ancora non l’abbia capito,  o fai finta di non capire,  perché  cerchi ancora di carpire la loro buona fede e ad abbindolare  questa povera gente che ha sempre vissuto di sogni e di speranze. Ormai ci siamo avviati verso un’epoca alquanto difficile,  essendo  legati gli uni agli altri dal capitalismo mondiale,  dal quale non possiamo più uscire,  dove l’alta finanza e i grandi finanzieri hanno in mano il potere. I grossi capitali, mossi a dovere, fanno oscillare l’economia di questo o quel paese e tu, caro Sindacato, in questo contesto, a parer mio, non trovi più posto.

domenico.rc 17/05/2006