Il 22 giugno è il primo giorno degli “esami” in tutta Italia. Si sono presentati a questa prova gli studenti, uniti dallo stesso patema d’animo, in un numero che ogni anno viene pubblicato sui giornali, con grande enfasi. Si sottolinea sempre questa data, è quasi un rito a cui non si può rinunciare.
Ma qual è il numero dei ragazzi che oggi affrontano gli esami? E poi con quale esito?
L’educazione dei giovani è il futuro di tutta una nazione e, anche se senza cifre alla mano in questo momento, posso dire che nelle altre nazioni, soprattutto del nord Europa, si investe almeno un terzo di più di quello che viene investito in Italia in educazione e ricerca, così bene ne è capita l’importanza.
La Cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha detto che, nonostante la grave crisi economica del momento, non verranno assolutamente toccati i finanziamenti all’educazione e alla ricerca, anzi verranno addirittura incrementati.
Da noi, invece, appena si devono fare dei “tagli” la grande sacrificata è sempre la scuola. E la ricerca.
Con questo non ho detto niente di nuovo, purtroppo.
Non si fa che ripetere che la scuola è tanto cambiata e che le “riforme” l’hanno notevolmente peggiorata, ma cerchiamo di parlarne tra noi in termini concreti.
Noi che ormai siamo fuori dalla scuola da tanti anni, come la vediamo la situazione dal di fuori e sulla base delle nostre esperienze?
Ci sono proposte, attuabili per migliorare effettivamente la scuola?
Una poesia del grande drammaturgo tedesco Bertold Brecht scritta credo nel 1932 (non ne sono sicura, aspetto delucidazioni) mi ha fatto molto riflettere sulla situazione attuale e mi ha focalizzato sulla frase: “non volete imparare” o invece non vogliono farvi imparare?
Ho sentito che non volete imparare
Ho sentito che non volete imparare niente.
Deduco: siete milionari.
Il vostro futuro è assicurato – esso è
Davanti a voi in piena luce. I vostri genitori
Hanno fatto sì che i vostri piedi
Non urtino nessuna pietra. Allora non devi
Imparare niente. Così come sei
Puoi rimanere.
E se, nonostante ciò, ci sono delle difficoltà, dato che i tempi,
Come ho sentito, sono insicuri
Hai i tuoi capi che ti dicono esattamente
Ciò che devi fare affinché stiate bene.
Essi hanno letto i libri di quelli
Che sanno le verità
Che hanno validità in tutti i tempi
E le ricette che aiutano sempre.
Dato che ci sono così tanti che pensano per te
Non devi muovere un dito.
Però, se non fosse così
Allora dovresti studiare.
Paolacon 19 giugno 2010
Dopo i commenti allo scritto proposto da lucy.tr, vorrei ritornare ancora con una riflessione sulla felicità. È un tema che mi sta a cuore.
Lorenzo.an ci aveva proposto, diverso tempo, fa un quesito: “Cosa è la felicità?”, e lo aveva risolto dicendo: ”Non è il raggiungimento di ogni più piccolo nostro sogno?” Tutto il suo scritto è positivo e una volta raggiunto lo stato di grazia, si è raggiunta anche una soddisfazione profonda e uno stato di serena quiete. Per Lorenzo.an: “La felicità, è vedere un bambino sorridere, vederlo stringere da una mamma al suo petto”. E non solo…
Poi Lucy ci propone questo scritto di Seneca e Marc52, nei commenti ricorda la bellissima poesia di Montale, struggente e profonda, che sposa ipotesi del tutto contrarie a quelle esposte da Lorenzo.an a suo tempo e da Lucy attualmente.
Montale invece, nella sua poesia, ci parla di male di vivere, incredibilmente creato dalla felicità stessa.
La trascrivo:
Felicità raggiunta, si cammina
per te su fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s’incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t’ama.
Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case.
(da Ossi di seppia, in Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 1984)
Quindi la felicità e il suo raggiungimento sono paradossalmente risultati negativi.
Questa è costantemente desiderata dall’uomo, ed è una mèta irraggiungibile e l’uomo spesso si illude di essere riuscito ad afferrarla, ma non sarà capace di tenerla solidamente e definitivamente tra le sue mani. La felicità quindi è un’alternanza di desiderio e nostalgia: desiderio di qualcosa che non si potrà mai avere; nostalgia di quel bene, mancato prima ancora di essersene consapevoli, perduto prima ancora di percepirne l’esistenza. Come alcuni di voi hanno rimarcato nei commenti ci se ne rende conto di essere stati felici solo “dopo”.
Il finale della poesia è una consapevolezza di una realtà inconfutabile: ” Ma nulla paga il pianto del bambino a cui fugge il pallone tra le case.“
Come il dolore di un bimbo per la perdita del suo pallone colorato che si defila, sfuggendo dalle sue mani, tra i tetti delle case, e il suo dolore è profondo, sordo, infinito, unico, così è la condizione dell’uomo lontano dal suo “paradiso”.
E con questa rappresentazione visiva così valida, Montale esprime tutto il male di vivere… “si cammina
per te su fil di lama”. [è raggiunta la felicità ma non è raggiunta la certezza che sia stabile e questa felicità potrebbe sparire da un minuto all’altro, potrebbe come il ghiaccio spezzarsi o sparire come un barlume appena apparso e presto spento] e addirittura, Montale, esorta a non avvicinarcisi nemmeno alla felicità, tanto è fragile e può originare dolore.
Oh tu felicità, se arrivi sulle anime umane, piene di tristezza e le rischiari, il tuo arrivo turba gli umani come il chiasso che fanno intorno ai cornicioni, il mattino presto, gli uccelli accudendo ai nidi. Ecco che immediatamente arriva l’esempio di felicità raggiunta e subito persa del bimbo che scioglie in pianto il suo infantile, ma profondissimo dolore, x la perdita di un bene, da poco acquisito, assai prezioso per lui. Ogni strofa rima con un’altra e le parole in rima sono collegabili tra loro per il significato, ma la parola “vacilla”, non rima con nessun’altra, perché?
Perché? Chi d’accordo con questa visione così negativa, ma piena di struggimento?
Paolacon giugno 2010
È arrivato il tempo degli esami, a giorni cominciano le “maturità” e molte sono le credenze popolari e gli atti scaramantici che i ragazzi eseguono per esorcizzare la paura della prova. Guglielmo, fiorentino, ci racconta quello della sua città.
A Firenze c’è questo, vi ricordate anche voi di aver seguito un rito? Ci raccontate quello della vostra città se lo sapete?
La fontana del Porcellino è situata nei pressi della Loggia Del Mercato Nuovo a Firenze e venne edificata nel 1546 da Giovanni Battista del Sasso, su commissione del Granduca Ferdinando I de’ Medici, per il commercio dell’oro e della seta.
Nel 1612, lo scultore Pietro Tacca, realizzò la Fontana del Porcellino (in realtà è un cinghiale ma benevolmente ricordato come il porcellino dai fiorentini) La statua che possiamo ammirare è in bronzo, mentre l’originale al quale si è rifatto il Tacca è in marmo ed è conservato nella galleria degli Uffizi.
La fontana del Porcellino a Firenze tramanda da secoli una leggenda, secondo la quale si inserisce una moneta nella bocca dell’animale e nel frattempo si esprime un desiderio. Si lascia andare la moneta e se questa entra nella grata sottostante il porcellino, il desiderio si avvererà il prima possibile.
Ogni anno numerosi studenti, al quinto anno delle scuole medie superiori, si recano presso la fontana del Porcellino, in concomitanza con i cento giorni agli esami, per chiedere al Porcellino se passeranno gli esami.
Guglielmo.fi giugno 2010
Dall’1 giugno si dovrà fare a meno di molti piatti a base di pesce e di molluschi: la Commissione europea ha, infatti, approvato un regolamento che vieta la pesca di varie specialità come seppie, calamaretti e telline. Una prospettiva che mette a rischio anche le “fritture di paranza”.
Il provvedimento si chiama Regolamento Mediterraneo. Le nuove regole per la pesca nel Mediterraneo prevedono l’utilizzo di reti con maglie più larghe che rendono impossibile, la cattura dei calamaretti e dei rossetti essendo molto piccoli. Inoltre si potrà pescare a non meno di 1,5 miglia dalla costa.
Adesso molte Regioni pensano a Piani di gestione da presentare all’Unione europea, in altre parole a deroghe per maglie e distanze dalla costa che permetterebbero la cattura delle specie, messe a rischio dalle nuove disposizioni; ma anche a misure economiche in grado di alleviare i pescatori.
Alcuni giornali comunicano notizia di qualche novità per vongole e cannolicchi; una circolare del ministero delle Politiche Agricole, infatti, come rende noto la Federcoopesca, informa che è in via di perfezionamento la procedura per una deroga. Un rinvio possibile anche per le telline perché, secondo la Lega Pesca, la Commissione europea potrebbe escludere dal Regolamento Mediterraneo il divieto dei rastrelli da natante, trattandosi di attrezzi non trainati.
“Lo stop alle telline mette a rischio oltre un milione di piatti, dagli spaghetti alle zuppe, serviti ogni anno con il gustoso mollusco nelle case e nei ristoranti soprattutto nel Lazio ma anche in Puglia, Campania e in altre regioni”.
Non sono contro i regolamenti che servono a preservare e ripopolare le tante specie ittiche anzi, penso solo che chi come me abbia avuto la fortuna di assaporare molluschi crudi e sentire il loro vero sapore.
Le cozze, le vongole con l’aggiunta di limone spremuto, i datteri di mare (questi poi non ci sono più da qualche tempo) non ricordo bagno a mare, da bambino, senza una bella scorpacciata di patelle o ricci appena raccolti.
Non rimane che consolarci con i ricordi e dire: ”ai miei tempi……”
Giuliano 4.rm giugno 2010
Seneca nel I° sec. d.C. scriveva queste riflessioni in merito alla felicità.
Non vi sembra molto attuale? Che cosa ne pensate?
(…) Non c’è nulla di peggio che seguire, come fanno le pecore, il gregge di coloro che ci precedono, perché essi ci portano non dove dobbiamo arrivare, ma dove vanno tutti. Questa è la prima cosa da evitare. Niente c’invischia di più in mali peggiori che l’adeguarci al costume del volgo, ritenendo ottimo ciò che approva la maggioranza, e il copiare l’esempio dei molti, vivendo non secondo ragione ma secondo la corrente. (…)
Ma si può definire ancora dicendo felice quell’uomo per il quale il bene e il male non sono se non un animo buono o un animo cattivo, che pratica l’onestà, che si compiace della virtù, che non si lascia esaltare né abbattere dagli eventi fortuiti, che non conosce altro bene più grande di quello che lui stesso è in grado di procurarsi, per cui il piacere più vero sarà il disprezzo dei piaceri.
Seneca, De vita beata
scritto da Lucy-TR
SPESSO LE SCIAGURE RISVEGLIANO LA SOLEDARIETA’ UMANA
Abbiamo visto nelle più recenti sciagure che hanno colpito L’ITALIA e il mondo come la solidarietà umana si sia risvegliata, stupendoci e qualche volta commuovendoci. Non ci immaginavamo che gli uomini potessero essere cosi generosi, specialmente dopo aver assistito agli accessi di male di cui son capaci. In realtà l’uomo non smette mai di meravigliarci per l’inestricabile impasto di bene e di male, di generosità e di egoismo che lo contraddistingue. Nelle
sciagure: il terremoto della valle del Belice,l’alluvione di Firenze e di Genova, la carestia in India o di maremoto del Pakistan e l’ultimo, il terremoto in Abruzzo, abbiamo assistito a una gara di solidarietà nazionale e internazionale. In questi casi gli uomini si sentano coinvolti in modo personale e danno il loro contributo, morale e materiale, alle popolazioni colpite.
Purtroppo, per scoprire la solidarietà umana, dobbiamo proprio aspettare queste grandi sciagure.
Forse la stessa persona che ha dato il suo obolo per il negro affamato dell’Africa, sdegna di occuparsi del suo vicino bisognoso di aiuto. Questo sono le contraddizioni degli uomini. Si commuovono per uomini lontani, si commuovono di fronte alle grandi sciagure, ma restano indifferenti di fronte a ben altre sofferenze, forse meno evidenti ma non meno gravi. L’aspetto più singolare è che ci sentiamo con la coscienza a posto. Se guardassimo le cose con pessimismo, bisognerebbe dire che la solidarietà nelle grandi sciagure ci serve da alibi per la nostra indifferenza di fronte al dolore quotidiano. In questo senso, dando una grossa somma per gli alluvionati ecc. ci sentiamo liberi dall’obbligo di aiutare i poveri della nostra città o anche solo di organizzare dei rimedi per evitare che tali sciagure si ripetano
cicco53
Robert Doisneau (14 aprile 1912 – 1 aprile 1994) è un fotografo francese tra i più conosciuti del dopo guerra. Il cantore della vita osservata nelle strade parigine.
Le sue foto di vita di strada degli anni 50 e i ritratti di personaggi celeberrimi come Pablo Picasso e Prevert lo hanno reso famoso; ma la più popolare di tutte le sue foto è quella del “Baîser de l’Hôtel de Ville” (il bacio davanti al municipio) e probabilmente grazie a questa istantanea è il fotografo francese più conosciuto al mondo.
Nel 1929 comincia come fotografo pubblicitario, ma è nel 1932 che vende il suo primo reportage fotografico.
Nel 1934 è impiegato come fotografo industriale da Renault de Boulogne-Billancourt e, licenziato cinque anni dopo a causa dei suoi continui ritardi, cerca di diventare fotografo indipendente. Lo diventerà veramente dopo la guerra 1946.
Produce e realizza numerosi reportage fotografici di soggetti molto diversi: l’attualità parigina, la Parigi popolare, URSS, USA, Yugoslavia, la provincia francese e vengono pubblicati su Life, Paris Match, Réalités, Point de Vue, Regards, etc.
Pubblicherà anche una trentina di album tra cui “Ritratti famosi” e “la periferia di Parigi”
Lavorerà anche per Vogue come collaboratore permanente.
I premi ricevuti sono numerosissimi e molte le esposizioni personali.
L’ultima al museo d’arte contemporanea di Oxford nel 1992.
Doisneau muore nell’aprile del 1994.
Le sue foto delle strade parigine, pulsanti di vita, tutte in bianco e nero, hanno un fascino particolarissimo ed hanno fatto la sua fama.
Lui è un “passante paziente” che conserva sempre una certa distanza di fronte ai suoi soggetti, quasi dell’indifferenza.
Spia l’aneddoto, la piccola storia senza importanza, ma tanto umana. Le sue foto sono spesso piene d’umorismo, ma anche di nostalgia, d’ironia e di tenerezza.
Lavora soprattutto su Parigi, sui suoi sobborghi e gli abitanti: artigiani, bambini di strada, barboni, innamorati, battellieri, personaggi al caffè, etc.
Fotograferà per circa mezzo secolo migliaia di ritratti dei parigini.
« Quello che io cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere. »
(Robert Doisneau)
Le scarpe della Madonna scritto da Alba Morsilli
L’adolescenza dove tu signorinella ti guardi allo specchio, vedi il tuo corpo che cambia forma, il seno si gonfia le tue fattezze non sono più quelle di una bimba.
Il tuo cervello non è pronto ad accettare la parte esterna del tuo corpo.
Ma senti dentro di te qualcosa come il mosto nel tino sei tutto in fermento.
Io ero così a 14anni.
Ricordate la moda di allora? la gonna a ruota, sandali bassi bianchi e calze corte rigorosamente bianche.
Si avvicinava la Pasqua le mie amiche erano già pronte con i suoi abiti eleganti per la messa delle 11;
io per farmi la gonna avevo lavorato a scaricare le pezze di stoffa (i tessuti venduti al metro sono avvolti per km si chiamano pezze) da un ambulante di mercato.
Mi mancavano i sandali, sapevo che in famiglia non potevo chiedere, lì mancava il pane.
Un giorno passando da una cappelletta dove c’è ancora oggi la Madonetta, mi è venuta una tentazione, guardavo l’elemosina e pensavo: la Madonna non cammina, non le servano i sandali.
Con impulso, senza riflettere, misi la mano dentro alla grata, che solo la mano di una bimba poteva passare tra quei ferri stretti,mi riempii le mani di monetine.
Per fortuna era di marmo la Madonetta, non parlava, non urlava
Al ladro !Al ladro!
Come un ladro scappai con il maloppo per i sandali.
So che con il tempo ho restituito tutto il denaro alla Madonetta
Era una cosa fra lei e la mia coscienza.
Alba morsilli 04/ 06/ 2010
Avere avuto le scarpe rotte nell’infanzia ci ha fatto crescere più in fretta?
Questo racconto-confessione di Alba mi fa riflettere sulle “scarpe”, ma anche sull’animo umano. Adesso abbiamo tutti scarpe in buono stato, anche a volte molto care. Per gli adolescenti, le scarpe sono fondamentali, devono essere di marca, alla moda e costosissime. Le scarpe hanno il compito di fare da “biglietto da visita”, dicono a quale gruppo appartiene il loro proprietario e lo fanno sentire come gli altri, quindi non diverso. Lo rassicurano. Sono viziati i nostri adolescenti.
Che differenza con le scarpe di Alba e con quelle di una delle mie scrittrici favorite: Natalia Ginzburg!
Mesi fa (29 / 04/ 2009) in questo blog scrissi una riflessione proprio sulle scarpe: “le scarpe rotte fanno crescere?” Riprendo quell’articolo quasi per intero, per poterne parlare insieme, con chi ne avrà voglia. È un argomento che mi è caro, e si ricollega facilmente allo scritto di Alba.
Cioè il fatto di avere avuto delle difficoltà in giovane età è positivo o negativo?
Ci rende più forti o più deboli?
La scrittrice Natalia Ginzburg nel 1945, nell’immediato dopo guerra, era residente a Roma, era sola, era lontana dai figli e viveva un momento molto tragico della sua vita. Possedeva un solo paio di scarpe, per giunta rotte e non poteva farle aggiustare perché altrimenti sarebbe stata costretta ad andare scalza il tempo della riparazione.
“Io ho le scarpe rotte e l’amica con la quale vivo in questo momento ha le scarpe rotte anche lei. Stando insieme parliamo spesso di scarpe. Se le parlo del tempo in cui sarò una vecchia scrittrice famosa, lei subito mi chiede: “Che scarpe avrai?” Allora le dico che avrò delle scarpe di camoscio verde, con una gran fibbia d’oro da un lato.
Io appartengo a una famiglia dove tutti hanno scarpe solide e sane. Mia madre anzi ha dovuto far fare un armadietto apposta per tenerci le scarpe, tante paia ne aveva. Quando torno fra loro, levano alte grida di sdegno e di dolore alla vista delle mie scarpe. Ma io so che anche con le scarpe rotte si può vivere. Ero stata viziata dalla vita prima,sempre circondata da un affetto tenero e vigile, ma quell’anno qui a Roma fui sola per la prima volta… ”
In un altro passaggio l’autrice fa delle considerazioni sui suoi figli: “I miei figli dunque vivono con mia madre, e non hanno le scarpe rotte finora. Ma come saranno da uomini? Voglio dire: che scarpe avranno da uomini? Quale via sceglieranno per i loro passi? Decideranno di escludere dai loro desideri tutto quel che è piacevole ma non è necessario, o affermeranno che ogni cosa è necessaria e che l’uomo ha il diritto di avere ai piedi delle scarpe solide e sane?”
Ed infine Natalia Ginzburg conclude dicendo che, quando sarà di nuovo a casa, e tornerà ad occuparsi dei suoi figli, sarà una madre sollecita “baderò che i miei figli abbiano i piedi sempre asciutti e caldi, perché so che così deve’essere se appena è possibile, almeno nell’infanzia. Forse anzi per imparare poi a camminare con le scarpe rotte, è bene avere i piedi asciutti e caldi quando si è bambini.“
Con queste parole si chiude lo scritto di Natalia Ginzburg [Tratto da “Le scarpe rotte” in “Le piccole virtù” edizione Einaudi]
e mi fa riflettere su due punti!
Chiaramente le scarpe sono un’allegoria e mi fa riflettere su che cosa sia meglio: avere un’infanzia protetta o no? Se nell’infanzia abbiamo avuto scarpe calde e asciutte siamo più forti poi nella vita da adulti? O è vero il contrario?
Ed infine concludo domandandomi:
è un bene coccolare e viziare i figli in modo alle volte irragionevole?
Li farà sentire più forti o no in futuro? Paolacon 04 /giugno/ 2010
Sono cresciuto con il rispetto della nostra bandiera e ancora mi commuovo quando in una partita della nazionale o in una premiazione olimpionica la vedo garrire al vento sulle note del nostro inno.
Mio nonno, ferito sul Carso, mi regalò la sua croce di guerra con il nastrino tricolore ed io la conservo ancora con orgogliosa fierezza. Sono un uomo di sinistra, quindi niente slanci nazionalistici estremi, solo la consapevolezza che la bandiera, dal Risorgimento ad oggi, rappresenta il simbolo della Unità Nazionale.
Questo cappello per introdurre un bell’inciso trovato su Facebook da Chiara Paolin de’ “Il fatto quotidiano” .
…..”Il trico non lo vorrei neanche in bagno” Detto così sembrerebbe un neologismo da adolescenti. Che sarà il “trico”? Una nuova lacca per capelli? Barbara Mingardi non è una ragazzina. Fa l’assessore ai servizi sociali al comune di Malnate in prov. di Varese e sulla pagina di Facebook scrive “Io il tricolore lo uso così…” accanto un rotolo di carta igienica inequivocabilmente verde, bianca e rossa, comunicando ai confratelli antibandiera tutta la sua disaffezione per il simbolo più alto della Patria, il”trico”, per l’appunto. L’articolo è molto più lungo e varrebbe la pena leggerlo.
Mi limito a farvi una domanda ovviamente oziosa, secondo Voi di che partito è questo simpatico (si fa per dire), assessore di Malnate?
Sinceramente non ho parole!
Franco Muzzioli 02 Giugno 2010
E questo il giorno della FESTA DELLA REPUBBLICA!!!
(pca)
Osservazioni sulla chat
Costantemente le discussioni si susseguono in Eldy si discute, si discute… sarebbe meglio parlare, pacatamente e confrontarsi senza astio; ma alle volte sembra impossibile.
In una delle ultime “discussioni” si sono scambiati molti pareri e uno di questi mi ha particolarmente colpito. Fa un’analisi piuttosto precisa della chat ed io vorrei riportarlo qui, non per alimentare una nuova discussione, me lo auguro, ma per rifletterci sopra e poi parlarne.
Io mi ci sono riconosciuta in questa osservazione del comportamento in chat ed ho chiesto all’autore il permesso di pubblicarla qui.
Spesso mi è capitato di leggere frasi, da parte di molti, con nostalgici riferimenti agli inizi della propria avventura in Eldy. E’ facilmente comprensibile il motivo: si entra per la prima volta in una comunità virtuale in cui si ha molto da dire e altrettanto da apprendere. Si viene a contatto con persone fino ad allora del tutto estranee, ma che mostrano da subito una buona predisposizione ad accoglierti, perché porti con te il pregio della novità. Si inizia un percorso con destinazioni che possono essere diverse per ciascuno. Ciò che rimane un’incognita è il tempo che si ha a disposizione per completarlo. Ma in quel momento, in cui tutto sembra scorrere armoniosamente, lo si ritiene un particolare trascurabile, anzi sulle ali dell’entusiasmo iniziale si è disposti a firmare per una presenza costante da qui all’eternità. Invece il tempo di presenza nella chat è un fattore decisivo, da calcolare con precisione perché, purtroppo, è molto più stretto di quanto si pensi, e sbagliare a dosarlo, quasi sempre compromette il piacere di frequentare la chat.
Occorre distribuire con saggezza i tempi di presenza al video, perché una volta esaurita la propria storia personale, è necessario far confluire nel mondo virtuale, giorno dopo giorno, almeno qualche traccia della vita quotidiana per offrire il proprio contributo ai discorsi che altrimenti ristagnerebbero. Ovviamente il prerequisito per realizzare quanto sopra è saper evadere dalla chat medesima, staccare qualche volta gli occhi dal monitor per raccogliere notizie della vita reale da proporre. Qualunque sia l’obiettivo che ciascuno persegue è indispensabile creare comunque i presupposti per nuovi argomenti, non importa di quale spessore, anche facendo ricorso a un pizzico di fantasia, altrimenti il personaggio che si interpreta rischia di recitare un cliché che lo caratterizza oltre misura finendo per annoiare ed annoiarsi. E’ sbagliato considerare la presenza dentro la chat un punto di arrivo fine a sé stesso, perché quel punto è tremendamente vicino, e una volta raggiunto senza possedere uno scopo, le scelte diventano obbligate:
1) Andare via per sempre perché si ritiene esaurita ogni motivazione (e questo succede a troppi) –
2) Limitare la presenza a sporadici episodi intervallati da assenze molto lunghe (comportamento configurabile come una verifica se qualcosa nel frattempo sia cambiata) –
3) Oppure abbandonarsi inconsciamente alle lusinghe della chat fino a permetterle di sostituire in buona parte la vita reale. Quest’ultima è la scelta più drammatica perché genera un’ossessione nella persona costantemente presente, che si rende conto di non poter offrire nulla più di quanto non abbia offerto il giorno precedente, e di non ricevere più di quanto non abbia già raccolto durante le lunghe ore di presenza. Questo gli toglie la possibilità di inserirsi fattivamente nelle discussioni, anche nelle più aperte, non perché viene respinto, ma perché lui stesso sa di non aver nulla dire.
Tuttavia è portato a non addossarsi le responsabilità e scarica il suo disagio su coloro che “chattano” nella normalità, pur non trovando lui stesso una minima motivazione per la presunta discriminazione che lamenta di subire. Immaginate quanto sia pretestuoso considerare come un’offesa personale imperdonabile, denunciate con stigmatizzazioni esageratamente plateali, una banale distrazione che non consente la risposta tempestiva al suo saluto. Delle successive degenerazioni di questo stato non ne voglio parlare: è sotto gli occhi di tutti!
Le modalità di presenza in chat è un problema molto sentito anche dagli Amministratori di Eldy, e sono significativi gli sforzi organizzativi che compiono per favorire incontri tra i suoi utenti nel mondo reale, perché ritengono abbia una sua valenza approfondire e consolidare amicizie attraverso la garanzia di una vera conoscenza, anche limitata a un contatto breve. Da ciò si evince che, anche loro, fautori della chat, considerino la medesima uno strumento per creare un’opportunità che avvicini le persone, che promuova una corretta evoluzione dei rapporti anche in chat, improntate alla massima schiettezza e lealtà, Quichotteindipendentemente dal fine che uno si prefigge. Darsi appuntamento in un gruppo di amici, anche per una singola volta, in Piazza Duomo, scattare foto, entrare in un Bar a prendere un caffè e poi salutarsi col proprio nick, rende molto più suggestivo ritrovarsi la sera nella chat di Eldy, In “Piazza” o al “Bar”, a raccontarsi le sensazioni e le emozioni provate. E ciò non deve essere causa di stupide gelosie da parte di chi, forse inconsapevolmente, si ritrova a interpretare la chat in modo distorto.
munny.mi 31/05/ 2010
E’ un periodo che sono preoccupato più del solito.
La notte non dormo e, se dormo un po’, faccio dei brutti sogni.
L’angoscia mi attanaglia il cuore: neanche le tisane riescono a calmarmi. Pensate che mia moglie ha deciso di dormire sul divano in sala. Ho cercato in tutti i modi di farmene una ragione, che sono le conseguenze della vita, che sono fatti che si ripetono in tutte le coppie: ma non c’è niente da fare.
Sfioro la disperazione e la domanda affiora sovente nella mia mente: -che posso fare? Che possiamo fare?- Sì! che possiamo fare? perché il problema è di tutti noi. Noi cittadini di questa Repubblica Italiana. Mi sono rivolto anche ad un amico psicologo, mi ha sottoposto ad alcune sedute, ma neanche questo strizzacervelli è riuscito a sollevare questo mio stato d’animo. Penso che l’unico modo per stare meglio, è quello di parlarne, di sentire anche le opinioni altrui.
La coppia di cui trattasi è Berlusconi e Veronica. Si sono divisi e alla signora, tutti i mesi, l’ex marito gli dà un vitalizio (chiamiamolo così), di 300.000 mila Euro. Capito bene??? Trecentomila euro al mese; 600 milioni delle vecchie lire. Siccome ha tre figli, 100.000 mila Euro a figlio, poi ville , appartamenti etc. etc. E’ ovvio che, se uno pensa come faccia la signora Veronica a mantenere tre figli con così pochi soldi, c’è da impazzire. Propongo di aprire un conto corrente, una sottoscrizione, una lotteria…insomma qualche cosa da raccogliere dei fondi per questa donna.
Ricordo che, in casa mia, quando eravamo ragazzi, se i miei genitori compravano le scarpe a mio fratello, non le compravano a me. Ma questa è un’altra storia.
Ora sto meglio. Lo so che eravate al corrente di tutto questo, ma la domanda giunge spontanea: – E’ giusto? E pensare che questo benedetto uomo che guida la barca della Repubblica Italiana, va dicendo in questi giorni che: – Bisogna fare dei sacrifici, che la manovra in atto è giusta etc.-
E pensare che qualche settimana fa, sull’Espresso, un articoletto spiegava che, recentemente, il Parlamento ha votato all’unimità e senza astenuti, un aumento di stipendio per i parlamentari, di circa 1.135 euro al mese. Inoltre, fermo restando tutti i privilegi gratis: -autoblù con autista, circolazione su autostrade, assicurazione infortuni, piscine e palestre, cliniche, cellulare, teatri, etc etc ., hanno diritto inoltre alla pensione dopo 35 mesi in Parlamento, mentre i cittadini, non sanno se andranno in pensione, dopo una vita di lavoro.
Ma dobbiamo fare sacrifici, noi, per risollevare le sorti della Nazione. Dalle mie parti si dice che : – la cintola è all’ultimo buco –
Giulio.lu 30 maggio 2010
Era ora, finalmente se nè accorto anche lui: siamo in uno stato di crisi, le tasse non possono diminuire, ma non ditegli che le aumenta, non è vero, la sinistra le avrebbe aumentate.
Nell’arte comunicativa si chiama distrarre l’interlocutore focalizzando la sua attenzione su qualcosa d’altro, magari su un fantasma. I semplici ci abboccano sempre.
Che poi aumenti il costo dei servizi, con salari e pensioni fermi è un’altro conto.
Intanto viene pubblicato il “DECRETO-LEGGE RECANTE MISURE URGENTI IN MATERIA DI STABILIZZAZIONE FINANZIARIA E DI COMPETITIVITA’ ECONOMICA “, centoquarantasei pagine appena, visto che le cose vanno a gonfie vele, aggiornabili di ora in ora, come documenta il file distribuito dal ministero (DECRETO-LEGGE_26_maggio_ore_14_20, quello da me visionato) ma guai a toccare provincie e altri centri di spesa che appena due mesi fa erano giudicate inutili.
Tutti cambiano parere, figurarsi i commensali a fine pranzo quando sanno che il conto sarà pagato da qualcun altro.
Già la tavola imbandita! Qualche anno fa lo strillo: “abbiamo diminuito le tasse”.
Visto che da qualche parte bisognava cominciare, han pensato bene di farlo con i redditi alti (addio aliquota al 46%).
Adesso che bisogna tagliare servizi e contratti … bhe stavolta no, stavolta si comincia dal basso.
Intanto la mia fortunata generazione, quella che non ha vissuto la guerra, quella che è nata nel 55 e che quest’anno compie 55 anni, il 26 maggio del 2010 alle ore 14,21 (visto che il decreto lo han scritto in una notte, riconoscetemi un minuto per leggerlo), dicevo che la mia fortunata generazione, dopo aver pagato le baby pensioni, e il “cielosaquantaltro”, dopo aver vissuto 35 anni di lavoro condito da scandali scandalosamente scandalosi, scopre che quando toccherà a lui ci sarà una sola finestra disponibile da cui spiccare il salto, sempre che nel frattempo non gli saranno spuntate le ali come a Don Rafaniello, il ciabattino di Monte di Dio.
30 maggio 2010 Popof
Ero triste e silenzioso, sentivo scorrere la vita intorno a me ed io che mi spegnevo, le luci della ribalta si stavano abbassando, tutta colpa di un prelievo fatto per ordine di un medico, una piccola e insignificante fiala di sangue, prelevata dal medico del Laboratorio di analisi. L’ordine scritto era di farmi delle analisi complete, con particolare riguardo a ciò che succedeva quando vi sono dei mali, sia benigni che maligni. E questo è solo l’inizio del calvario al quale sono giunto.
Forse non tutti sanno che l’amore di più persone dà il coraggio di una sola, ma sentirsi dire di farsi coraggio da soli, era ciò che di più bello potessi ricevere, ho ascoltato non so quanti di voi, tutti a darmi la forza di reagire a una cosa difficile da digerire, soprattutto quando un medico ti dà un termine, la pressione del sangue aumenta con la paura, l’angoscia ti spaventa a tal punto che ogni più piccolo dolore ti fa trasalire, fa pensare al peggio, rischi un esaurimento al solo pensiero, sei lì che aspetti, ad ogni più piccolo presentimento di come avverrà, senti ogni muscolo tirarsi e fare le sue smorfie di dolore. Le tracce si espandono nel tuo corpo, esplode in te la rabbia, la convinzione che in un’altra vita tu abbia commesso qualcosa di brutto, o hai fatto tanto di quel male e ora ne paghi le conseguenze.
Forse non tutti sanno che l’amore di più persone dà il coraggio di una sola, ma sentirsi dire di farsi coraggio da soli, era ciò che di più bello potessi ricevere, ho ascoltato non so quanti di voi, tutti a darmi la forza di reagire a una cosa difficile da digerire, soprattutto quando un medico ti dà un termine, la pressione del sangue aumenta con la paura, l’angoscia ti spaventa a tal punto che ogni più piccolo dolore ti fa trasalire, fa pensare al peggio, rischi un esaurimento al solo pensiero, sei lì che aspetti, ad ogni più piccolo presentimento di come avverrà, senti ogni muscolo tirarsi e fare le sue smorfie di dolore. Le tracce si espandono nel tuo corpo, esplode in te la rabbia, la convinzione che in un’altra vita tu abbia commesso qualcosa di brutto, o hai fatto tanto di quel male e ora ne paghi le conseguenze.
Dolori, paure, all’improvviso sono lì davanti a te che si aprono come un burrone, ti aspettano che tu entri in quel vortice che è l’angoscia, senti dentro di te la vita che scorre, rivuole il suo splendore, o come lo vorrei davvero!
Le sensazioni aumentano e anche la pressione del sangue, sudi da far paura come se ci fosse il solleone, senti l’angoscia che prende di petto ciò che di più caro hai. Ma non mi arrendo, carico di forza bruta mi metto a disposizione di chi mi vuole curare, mi guarda in sottecchi, osserva le mie pulsazioni, mi critica se dò in escandescenza per i dolori, ma io continuo imperterrito a lamentarmi, aspetto che funzioni a meraviglia ciò che mi hanno dato. Poi all’improvviso tutto è svanito, le cose cattive che avevo in me spariscono, vedo lontano la luce, il viale alberato che intravedevo ora mi appare in tutta la sua bellezza, fiorito, pieno di quei fiori profumati a cui attingerò ancora, sento l’aria intorno a me che mi apre la via, mi coccola, mi lascia sognare ciò che di più bello avrei pensato, ritorno a vivere un sogno che si era perduto nel tempo ed ora è qui davanti a me. Strano, ma sento gli uccellini intorno a casa mia che cantano, loro mi vedono felice, spensierato, che mi muovo nel giardino scherzando e ridendo con altre persone, sanno che sto meglio e accettano di buon grado ciò che non vedevano più da mesi.
E’ questa la felicità? E’ questa che mi ha dato la forza di vivere? E’ questo il pensiero che mi assale: sono davvero io o c’è qualcuno in me che, sotto mentite spoglie, mi dice che sto bene, e sotto sotto invece macina la sua carne come se ogni cosa aumentasse o svanisse nel più breve tempo possibile? Il susseguirsi di queste vicende mi ha dato un’esperienza da raccontare agli altri; ogni momento che ho vissuto in questo periodo mi è stato d’aiuto verso chi non sa cosa sia amare la vita e, invece devi andartene, perché SPESSO LE SCIAGURE RISVEGLIANO LA SOLEDARIETA’ UMANA.
Un medico ti dice che stai per morire, ma sono le leggi della natura, si nasce, si vive (più o meno bene), e si muore, ma la morte deve essere un traguardo il più lontano possibile, nessuno la cerca, se non quei pazzi che sfrecciano a 200 km orari per le strade, e che non pensano a ciò che può succedere andando a sbattere contro una pianta, ma io, che cosa ho fatto per meritarmela? La mattina che sono andato a prendere le risposte delle analisi, mi tremavano le gambe, per due motivi, il dottore del laboratorio mi ha dato una lettera per il mio medico chiusa, e una aperta dove ci sono le mie analisi; non capisco il motivo della lettera al mio dottore, non domando, esco dal laboratorio e con le gambe tremanti mi dirigo a casa, per fortuna che non ho preso la macchina, così mi dirigo velocemente, entro in casa dopo una decina di minuti con il pensiero della lettera al mio medico, non apro la mia lettera aperta, sono in ansia, così lei (mia moglie), mi dice: allora come sono andate le analisi? La guardo e le rispondo: non l’ho ancora aperta, fallo tu, io non ho il coraggio di guardare il risultato. Le passo la lettera e lei tranquillamente la apre, seduta accanto a me su una sedia; vicino la osservo che legge, il suo viso da prima inizia a scorrere veloce sulla lettura, poi inizia a piangere, mi guarda mi osserva e mi dice: Lorenzo, le analisi dicono che il male è svanito nel nulla, lo dice mentre continua a piangere, tra i singhiozzi, lei mi dice vai dal dottore, fagli vedere cosa c’è scritto e poi cosa dovrai fare per esserne sicuro, le dico di sì e mi accingo a partire quando lei vede la seconda lettera, è chiusa e mi chiede per chi è, le dico che me l’ha data il dottore del laboratorio d’analisi ed è chiusa, non so cosa ci sia ma al mio medico chiederò se vuole dirmi cosa ci sia scritto. Parto con questo interrogativo, pensi alle cose più brutte, alle cose più incoerenti con la mia lettera, gli avrà scritto che è solo per non farmi sapere come sono davvero, i miei dubbi sono tanti, brutti, cattivi, scellerati e sicuramente lontani dalla cruda realtà, sto male e il medico mi dice il contrario, che vita del cavolo, devo sobbarcarmi anche i dubbi di chi non ha coraggio di dirmi che il mio male sta seguendo il suo corso, ognuno la pensi come vuole, ma di certo io lo vorrei sapere come sto, niente scale dorate, nudo e crudo deve dirmelo anche se mi prende un colpo lì, ma deve essere chiaro.
Arrivo nello studio medico e aspetto con il mio numero 12, nel visore c’è scritto numero 7, mi armo di pazienza, prendo una di quelle riviste che stanno dai medici e che le avranno lette un migliaio di persone. Sgualcite le pagine, sono rotte, mancano dei fogli, mancano addirittura le pagine frontali, e non sai nemmeno che rivista è, così le sfogli pensando a quando toccherà a te, ma dentro di me la lettera… ; penso di aprirla, quasi mi scottano le mani, la appoggio sopra una sedia vuota accanto e la guardo c’è scritto: all’esimio dottor M……. a prima vista sembrerebbe una lettera qualsiasi, passano diversi minuti guardo l’orologio della parete e vedo che sono trascorsi più dei minuti che io pensavo, anzi quasi una ora è mezza, alzo gli occhi e vedo numero 11, aspetto con ansia che tocchi a me, e finalmente vedo aprirsi la porta, scatta il led numerico 12, entro e dò il buongiorno al dottore.
Per prima cosa gli consegno la sua lettera, mi dice di attendere un attimo e poi apre la lettera dove ci sono le mie analisi, mi dice: Lorenzo sembra da come sono andate le analisi che tutto va bene, niente per ora è certo ma stai sereno e tranquillo, ora vivi la tua vita senza pensare alle cose brutte, ma spera che la cura continui a funzionare, e vedrai che le cose andranno al loro posto e in pochi giorni o forse un mese sapremo se è il caso di operare, mi sta quasi congedando, al che mi sorge il dubbio della lettera chiusa, con un certo pudore gli chiedo: è possibile dottore sapere cosa vuole il medico del laboratorio di analisi da lei? Lui mi guarda sorridendo e mi fa: leggi tu stesso cosa c’è scritto. Con fare dubbioso apro la lettera, vedo l’intestazione del medico del laboratorio e leggo più sotto queste parole: il suo malato è fuori dall’ordinario, non ha più quel male di cui avevamo parlato, vuol dire che la cura funziona, distinti saluti e il nome. Mi guarda e mi vede con una luce nuova negli occhi, mi fa con calma, Lorenzo te l’ho fatta leggere perché quando sei entrato avevi gli occhi spiritati, sono sicuro che per tutto il tempo che sei rimasto qui non hai sentito una sola parola di quello che ti ho detto, aspettavi solo il risultato di questa lettera, ma ora stai tranquillo fai le tue cose come prima, e ricorda una cosa: la cura va seguita e continuata, non ci fermiamo, faremo altri controlli mensili se vuoi, ma per adesso pensa a stare bene. Lo ringrazio di avermi fatto leggere la lettera, esco; il cuore tra un po’ scoppiava dalla felicità, non lo so come sono arrivato a casa, la guardo (mia moglie), e le dico cosa c’era scritto nella lettera, lei non dice nulla va nella sua camera a piangere, e poco dopo arriva mia figlia, crede chissà cosa sia successo, fa domande a tutti e due, ma nessuno dei due ha voglia di rispondere, pensiamo allo scampato pericolo, poi prendo la lettera, gli faccio vedere il risultato, lei mi guarda e dice: papà è un miracolo.
Lo penso anche io, ma le dico: no penso che i sogni ritornano a volte e ti danno la speranza di amare con tutto il cuore.
Vi ho descritto ciò che ho provato in questi 5 mesi, ma ricordate come diceva una canzone di Gianni Morandi “uno su mille ce la fa”
GRAZIE A TUTTI VOI
Lorenzo3.an